P. Angelico Alori O.P.
IL CODICE DEL REGNO, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1995, pp. 240
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meditazioni bibliche, rielaborate per la stampa da materiale omiletico
realmente e ripetutamente predicato a laici e comunità religiose, mi confida l'A., luglio '03).
"La messe è molta, ma gli operai sono pochi"
(Mt 9, 37)
"Gesù andava attorno per tutte le citta e i villaggi insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno, e curando ogni malattia e infermità. Vedendo le folle ne sentì compassione, perche erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: la messe e molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe" (Mt 9,35-37).
Gesù, di fronte a quelle folle che incontra sia nelle citta che nei villaggi, esprime le sue impressioni rifacendosi ad una immagine biblica: le vede come un grande gregge, composto di tante pecore, che sono prive del pastore. Un gregge abbandonato a se stesso, e quindi privo della certezza della sopravvivenza, perche gli manca la presenza e la guida, il nutrimento e la protezione che soltanto il pastore potrebbe assicurare.
La visuale di Gesù, e quindi la sua impressione profonda, non è certamente di natura sociOlogica, cioè di un popolo senza un capo. Ma e di natura biblica, spirituale: un immenso gregge di persone umane abbandonate a se stesse, prive della guida morale di un profeta, prive del nutrimento spirituale di un sacerdote, prive dell'amore premuroso di un padre. Lo sguardo di Gesù sembra dilatarsi, fino a vedere uno sterminato gregge di anime che si muo~ vono, si agitano nell'ignoranza del loro destino, brancolano nell'incertezza senza intravedere una meta precisa, e sono perciò sfiduciate, disorientate, sfinite.
Che cosa dira Gesù ai discepoli, che sono con lui, di fronte a questa situazione? Non fa una proposta, da invece un ordine preciso: pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe.
Come vediamo Gesù si serve di ur~altra immagine biblica per indicare le folle che aveva prima descritte come un gregge senza pastore. Le vede come immensi campi di messe, destinati ad essere dissodati, seminati, coltivati e a suo tempo mietuti. Sono tanti, questi campi, sono grandi, e sono di immenso valore: sono in~ fatti proprietà di Dio. Ma, osserva mestamente Gesù, sono pochi gli operai incaricati di occuparsene per dissodarli, seminarli, coltivarli e a suo tempo mietere il raccolto. Che fare?
Sorprendentemente Gesù non ordina ai discepoli: mettetevi dunque a lavorare, datevi da fare. Ma "Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe".
Con queste parole Gesù non esclude certo di darsi da fare, ma indica quale sia la cosa a cui si deve riconoscere l'assoluta priorita: pregare.
I campi sono proprietà di Dio: lui ne è il padrone. A lui spetta di scegliere e inviare gli operai coi compito di coltivare ì suoi campi: cioè col compito di governare il suo popolo, di dirigerlo, istruirlo, difenderlo, radunarlo e assisterlo in tutte le vicende della sua storia, perche possa diffondere nel mondo il culto del vero Dio.
Gesù ci fa capire che con la preghiera che rivolgiamo al Padre veniamo ad inserirci attivamente nel piano divino della salvezza dell'umanita.
Non ci dice di chiedere che mandi molti operai: la nostra preghiera avra lo scopo di fare appello alla bonta del Padre perche, guardando alla sua messe e alla sua vigna, mandi gli operai. Egli, poi, ne disporra l'invio secondo che nella sua sapienza infinita riterra opportuno. La scelta delle persone, del numero di esse come dei tempi in cui inviarle, rimane un assoluto e imperscrutabile diritto di Dio, e quindi un mistero.
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Scorrendo le pagine della Bibbia vediamo che Dio personalmente sceglie ed elegge gli uomini cui affidare compiti di collaborazione con Dio nella guida del suo popolo. Dice a Mose: "Ora va'. Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti... lo sarò con te" (Es 3,10-12). Dio chiama il giovinetto Sarnuele, lo incarica di una missione presso il vecchio sacerdote Eli, e poi lo costituisce profeta; (1 Sam 3,10 sq). In seguito dira a Samuele: "Ti ordino di andare da jesse il Betlemita, perche tra i suoi figli mi sono scelto un re" (1 Sam 16, 1). Dio ordina ad Isaia: "Va' e riferisci a questo mio popolo" (Is 6,8). Anche l'apostolo Paolo spiegando il suo ministero dira: "Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani" (Gal 1,15-16).
Gesù stesso da conferma a quanto stiamo sottilineando, quando intende precisare rivolgendosi ai discepoli: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Gv 15,16).
Dio, dunque, ha e si riserva il diritto di scegliere i suoi collaboratori nell'opera della salveza, vale a dire gli opeari per i suoi campi e per la sua messe. Vuole cosi concedere all'uomo il privilegio di diventare collaboratore di Dio, ma si riserva il diritto di scegliere e di inviare chi vuole.
Nell'Antico Testamento suoi collaboratori erano stati i profeti e i sacerdoti, con l'ufficio di intermediari tra Dio e il suo popolo e col compito di offrire sacrifici a Dio a nome della comunità, e di istruirla nella Legge.
Nel Nuovo Testamento Gesù, Figlio di Dio, conferisce all'uomo compiti di collaborazione con lui di una natura e di una dignità incomparabili.
Incarnandosi egli e divenuto il mediatore unico tra Dio e l'umanita. Il sacrificio da lui offerto sulla croce e completo, perciò unico, di valore infinito e di efficacia eterna. Però, crocifisso e risorto da morte, ha voluto dare continuita nel tempo alla sua missione, ed allora ha voluto trasmettere ai suoi discepoli la sua soprannaturale missione di salvezza e il suo ufficio di mediazione tra Dio e gli uomini. Affida allora ai do~ dici e ai loro successori il potere di rinnovare il sacríficio eucaristico, di annunziare il vangelo, di battezzare e di rimettere i peccati: funzioni che sono l'esercizio del sacerdozio di Gesù. Gli Apostoli a loro volta trasmettono la loro missione sacramentale a dei fedeli prescelti, con l'imposizione delle mani, con la preghiera, facendo di questi altrettanti continuatori e ambasciatori di Cristo.
Cosi l'opera di Gesù si realizza attraverso i discepoli e gli altri che egli sceglierà nel corso dei secoli, e raggiungera la sua pienezza nella mietitura alla fine dei tempi.
Ma la constatazione fatta da Gesù: "la messe è molta, ma gli operai sono pochi", resta di un'attualita impressionante. Cosi pure rimane seria ed urgente la necessita che cresca il numero degli operai che si dedichino alla messe e alla vigna del Signore.
Impegnati a cercare di fare la nostra parte in questa situazione gravissima ed esaltante insieme, ammettiamo che potra essere di qualche utilita un convegno di studio e di ricerca, un congresso e anche un sinodo. è però di assoluta necessita attuare per primo il comando di Gesù: pregate il padrone della messe che mandi operai nella sua messe.
Ricorderemo che Gesù, dopo averci spiegato quanto intima sia l'unione dei suoi discepoli con lui, paragonando se stesso ad una vite e i discepoli ai tralci; ha precisato di essere lui la vera vite, identificando se stesso con essa, e aggiungendo che del campo in cui e piantata la vera vite il Padre suo e il vignaiolo (Gv 15,1). Come proprietario sapiente ne ha cura, la coltiva perché porti molto frutto.
Animati da questa fiducia, pregheremo il Padre, padronte della messe e della vigna. Ci rivolgeremo subito anche a Gesù, per dirgli: Aiutaci, Signore Gesù, a pregare il Padre tuo e nostro, e con i tuoi meriti infiniti rendi efficace la nostra povera preghiera: che il Padre scelga e invii a lavorare nella sua messe operai generosi e disinteressati, decisi a curare soltanto gli interessi del Regno di Dio.
Noi, che siamo gia sulla breccia, accoglieremo con rispetto chi si sente chiamato, verificheremo con soprannaturale discernimento 'i segni' della chiamata, per favorire la corrispondenza alla vocazione divina.
E continueremo a pregare, come ci hai comandoto, sicuri di essere ascoltati ed esauditi.
Il Codice del Regno
(Mt 25,25-26)
"Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatta a me" (Mt 25,40).
Al Giudizio Finale tutte le genti si raduneranno dinanzi al Figlio dell'uomo; "egli separera gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porra le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra " (Mt 25,21-22).
Nei greggi palestinesi, anche al presente, le pecore sono di color nocciola, le capre sono nere come il carbone. Anche mescolate le une alle altre, si distinguono benissimo le pecore dai capri. La destra e la parte nobile, di elezione; la sinistra e presagio infausto, di rifiuto e di condanna.
Ha inizio il Giudizio, che si svolge su di un codice di riferimento che consta di sei sole norme: chi le avrà rispettate entrera nel Regno, chi invece le avra disattese o infrante, ne sara escluso.
«Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato; nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,25-26).
Gesù proclama il primato assoluto delle opere di carita su tutte le azioni morali, per quanto buone e sante possano essere; e, cosa sorprendente, afferma di identificarsi con ciascuno dei suoi e nostri fratelli.
Che dire di quella beata ingenuita che forse èstata anche nostra: invidiando la sorte dei discepoli, a volte abbiamo forse pensato: quanto sarei felice se potessi vedere, anche per un solo istante, Gesù! Se lo potessi incontrare lo inviterei, metterei a sua disposizione tutto quanto possiedo, la casa e me stesso. Devo purtroppo constatare che Gesù ne lo posso vedere ne posso incontrarlo, perche ci ha lasciati ed e ritornato presso il Padre. Ma e proprio così? No. Ci siamo sbagliati. Gesù ci fa notare quale grave errore commettiamo quando pensiamo che non lo possiamo vedere ne incontrare su questa terra. Egli e presente, vivo, accanto a noi: solo che noi non lo sappiamo vedere e riconoscere.
Sono presente, ci avverte, dove c'e una persona che soffre o e in stato di bisogno; specialmente in chi soffre la fame o la sete, in chi e senza casa, in chi ha dovuto lasciare la sua terra ed e andato lontano, emigrante o esule o scac~ ciato o braccato, qualunque ne sia la causa. Sono presente, ci avverte, nel bambino che piange perche e rimasto solo, nel vecchio che trascorre i suoi ultimi giorni in solitudine, nella donna avvilita dalla prepotenza e dalla tracotanza dell'uomo. Sono presente dovunque c'è un cuore afflitto e ferito, dovunque c'e una tristezza per l'incertezza del domani, dovunque un occhio umano e bagnato di lagrime e un volto e triste e lucido di pianto. Io sono li presente a condividere tristezza e pianto, in attesa che anche tu te ne accorga e mi venga vicino col cuore in mano, ad offrire conforto in mia compagnia a questo mio e tuo fratello, a questa mia e tua sorella: che e quanto dire a me.
Comprendo allora che il Regno di Cristo e la dove un uomo sa vedere nel volto di un suo simile i lineamenti del volto di Cristo e sa offrigli il suo amore.
Chi ha un po' di cuore e certamente colpito dalla constatazione che il panorama del dolore umano in questi ultimi anni si e paurosamente allargato.
Alle sofferenze cui allude Gesù (fame, sete, nudita, malattie, prigionia) la perversita umana ne ha aggiunte altre, malvage, sottili, atroci, avvilenti, inaudite. è accaduto, e può accadere ancora, che su qualcuna di queste situazioni i mezzi di comunicazione diano informazioni fugaci e parziali, e dopo breve tempo tacciano del tutto: perche certe tristi vicende non fanno più notizia. 0 meglio, farebbero notizia, ma disturberebbero sogni e piani di qualcuno: e questo non deve accadere.
Ebbene, Gesù non è di questo avviso. Egli ha preso decisamente posizione collocandosi dalla parte di chi soffre, e oppresso, avvilito, dimenticato, o comunque vittima dell'orgoglio e della prepotenza. Il Signore e sempre solidale con chi soffre, nobilita il dolore umano, lui che ha accettato la Passione e la Morte, insegnandoci l'amore disinteressato, spinto fino al dono della vita.
Ma vuole che il nostro amore fraterno non si limiti a delle parole, ma passi attraverso il cuore e si ispiri sempre al 'codice del Regno'.
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Sul colle del Calvario sono state erette tre croci. Ad esse sono stati appesi tre condannati: due malfattori e un innocente, Gesù. Uno dei malfattori sfida Gesù a salvare se stesso e loro, se è vero che e il Cristo. Gesù non accoglie la richiesta, che è una provocazione e una sfida, e non una preghiera. L'altro condannato, invece, nutre sentimenti opposti: oltre a redarguire il compagno (non hai timor di Dio), ammette pubblicamente di essere stato condannato secondo giustizia (riceviamo il giusto per le nostre az ioni, egli invece non ha fatto nulla di male). Intravede in Gesù un innocente, condannato ingiustamente; un uomo a cui spettera un regno dopo che sara morto; un uomo che oggi condannato a morire sul patibolo della croce, subito dopo la morte conquistera un regno. Sul volto di questo giusto, crocifisso accanto a lui, questo 'buon ladrone' intravede, sia pure confusamente, i lineamenti del Giusto, del Sovrano della vita e della morte, del Signore dell'eternita.
E si rivolge a lui con fiducia, con sentimenti di fede, anche se embrionale (difatti non lo chiama Signore, ma soltanto col nome con cui lo conosce) e gli dice: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". E Gesù gli risponde, rivelandosi a lui come Signore: "1n verita ti dico, oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,42-43).
Il codice del Regno e qui rispettato? Si. Perché il buon ladrone ha saputo scorgere nell'uomo crocifisso accanto a lui i lineamenti del Giusto, del Signore e Salvatore; dopo essersi dichiarato peccatore, pentito delle sue malefatte, e giustamente condannato ad espiarle sulla croce, ha riconsociuto nel condannato Gesù il Giusto destinato a regnare dopo la morte. A lui si e raccomandato, chiedendogli umilmente di essere ricordato quando sarà entrato nel suo regno. Gesù, da gran Signore, gli promette il paradiso.
D'ora innanzi santi e peccatori, onesti e malfattori, avranno ingresso in paradiso: a condizione che si rivolgano a Cristo. lo riconoscano Salvatore, e credendo in lui lo amino: in se stesso e nei suoi fratelli.
Zaccheo, uomo dei nostri giorni (Lc 19,8)
Zaccheo, ebreo di razza e di religione, apparteneva alla categoria dei Publicani, che i Farisei definivano peccatori: singolare contrasto col suo nome, che sianifica il puro, il giusto.
Era un dirigente della dogana di Gerico, posto di transito importante, dove un esattore di imposte poco scrupoloso poteva sfruttare molte occasioni per arricchirsi, tanto piú che le tariffe allora si prestavano ad una grande elasticità: ed era facile approfittarne.
Sembra che Zaccheo avesse largamente approfittato della situazione, perche si era molto arricchito. Aveva sicuramente sentito parlare dai viaggiatori coi quali era sempre in contattò, di Gesù e dei suoi miracoli, e gli era sorto in cuore un forte desiderio di vederlo e di incontrarsi con lui.
Venuto a conoscenza che Gesù era giunto a Gerico, e saputo che tutta la citta si stava muovendo al suo passaggio, non puó resistere al desiderio che da tempo bruciava nel suo cuore. Ma era piccolo di statura: la folla lo avrebbe sommerso. Ricco come era di ingegno e di estro, non esita a salire su un albero di sicomoro, uno dei tanti che fiancheggiano la strada. Gesù passa di li coi suoi Discepoli, arriva vicino a quell'albero, alza gli occhi, lo vede e lo chiama per nome e si invita da se a casa di Zaccheo.
Meraviglia della folla, che sapeva bene chi fosse quell'uomo; meraviglia e disapprovazione per il privilegio accordato da Gesù a lui, a un peccatore: "vedendo ciò tutti mormoravano" (Lc 19,7).
Zaccheo, sebbene immerso nel suo lavoro assai lucrativo, e quantunque avvolto nella nube dorata delle sue ricchezze, aveva avvertito e accolto il desiderio di incontrarsi con Gesù, di vederlo con i suoi occhi. Questo desiderio, accolto, trattenuto, coltivato, fu come un benefico raggio di sole che lo illuminò, e segnò l'inizio del suo rinnovamento interiore.
Scende in fretta dall'albero, conduce Gesù a casa sua, ma prima di introdurre in casa sua l'ospite illustre tanto desiderato, ci tiene a dichia~! rare che Egli entra in casa di un uomo ormai onesto, perche deciso a riparare tutti i torti che ha commessi fino a quel momento.
Queste disposizioni sono la dimostrazione del cambiamento interiore che il desiderio di incontrare Gesù prima, e la sua presenza poi, hanno operato dentro di lui. Resta pubblicano, ma e ormai un uomo nuovo; riprenderá il suo lavoro, ma con altre intenzioni, perche è diventato un uomo onesto e giusto. Mosso da un semplice desiderio, e arrivato, vicino a Gesù, a delle risoluzioi pratiche che hanno radicalmente mutato la sua condotta: prese queste risoluzioi sincere, entra il lui il Regno di Dio e vi si stabilisce. Tanto che Gesù può acclamare: "Oggi la salvezza e entrata in questa casa... Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto" (Lc 19,10).
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Da tempo tutti i mezzi della comunicazione sociale ci mettono al corrente di tristi episodi di frodi, malversazioni, concussioni, estorsioni a danno sia di privati che dello Stato. Quasi mai, purtroppo, vediamo affiorare nel corso degli interrogatori degli inquisiti uno o l'altro di quei concetti, o sentimenti, che si chiamano 'espiazione' e 'riparazione'. Eppure dovrebbero essere note a chiunque quelle che sono le più elementari esigenze della giustizia quando viene lesa e conculcata: la colpa o reato deve essere espiato, il danno arrecato deve essere riparato.
Per noi che siamo seguaci di Cristo questo costituisce una certezza morale e insieme una necessità inderogabile. Ce lo insegna il Divino Maestro: Egli è venuto sulla terra per espiare i peccati dell'umanita, e per offrire a Dio quella riparazione che noi saremmo stati incapaci di offrire come sarebbe stato necessario.
Ma ciò facendo Gesù ci ha insegnato quale deve essere il nostro personale comportamento quando ci accorgiamo di aver peccato contro la giustizia: espiare il peccato, cosa che comporta sempre sofferenza e umiliazione, e a volte limitazione della liberta personale; e riparare il male arrecato o al singolo o alla comunita, con la restituzioe di ciò di cui ci siamo arbitrariamente appropriati.
Eventuali colpi di spugna su reati (peccati) contro la giustizia lasciano intatti gli inderogabili diritti di questa virtù, cui va riconosciuta la signoria sui rapporti sociali.
Fu pienamente convinto di ciò Zaccheo: modello di comportamento per chiunque abbia dei debiti nei confronti della giustizia: "Ecco, Signore, io dò la meta dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno restituisco quattro volte tano" (Lc 19,8).
Il sincero e umile riconoscimento di aver peccato; il desiderio di un incontro con Dio perche ci liberi dal peso che opprime la coscienza; la disposizione a compiere azioni di riparazione; il bisogno di ritrovare la serenita e la pace: e questo l'itinerario da percorrere per ritornare giusti.
Zaccheo si presenta come modello di comportamento. Attraverso il deciso cambiamento di rotta che ha voluto imprimere alla sua vita, Gesù ha potuto dichiarare: "Oggi la salvezza e entrata in questa casa, perche ancEegli è figlio di Abramo" (Lc 19,9).
Non soltanto il capofamiglia e stato conquistato da Gesù, ma evidentemente anche la moglie e i figli sono stati concordi con lui. In che cosa? Nell'impostare la loro vita, d'ora innanzi, sull'onesta, sulla giustizia, sull'apertura del cuore al prossimo. Restituendo i proventi di un'attività poco trasparente, imponendosi una condotta conforme in tutto alla giustizia e alFequità, quella famiglia avra perduto qualche vantaggio di natura economica, ma ha acquistato i vantaggi spirituali inestimabili derivanti dalla giustizia e dalla rettitudine. Sono diventati 'figli di Abramo': figli del Padre della Fede, capaci di accogliere Colui al quale Abramo aveva preparato tutti i suoi figli: l'Inviato di Dio, il Messia, Gesù Cristo.
Gesù Cristo: colui che espropriò se stesso (Fil 2,7-8)
Tutto ebbe inizio nel Paradiso Terrestre. Iddio creò l'uomo modellando la sua figura con la terra umida, come fa il vasaio con la creta. Infuse poi nelle narici della figura di fango un soffio vitale, e cosi nacque l'uomo: terra e soffio di Dio, creatura terrestre dotata di anima spirituale. Dio aveva creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (Gen 1,20; 2,7).
L'uomo trascorse giorni felici nella familiarita di Dio. Ma un giorno una gravissima tentazione gli venne presentata da parte di un misterioso personaggio che lo avvicinò sotto la forma di serpente.
L'insinuazione del serpente eccitò e scatenò nell'uomo l'ambizione e l'orgoglio: l'orgoglio di forzare i limiti della propria condizione, nel tentativo di trasformarsi in superuorno, uguale a Dio; l'ambizione di sottrarsi alla sovranità del Creatore, trascurando il precetto posto da lui, consistente nel divieto di cogliere e mangiare il frutto di un determinato alberto. Fu questo, infatti, il miraggio che il tentatore fece balenare agli occhi di Adamo e di Eva: diventare uguale a Dio, non soltanto conoscere il bene e il male, ma conquistare il potere di decidere quale sia il bene e quale sia il male, diventare arbitri della morale. Tutto questo equivaleva a sottrarsi alla sovranità di Dio, espropriandolo dal proprio essere, per diventare autonomi e indipendenti dal Creatore.
A questa tentazione Adamo ed Eva cedettero, commettendo un grave peccato. Uuomo, creatura di Dio, sulla quale Dio aveva impresso la sua immagine e la sua somiglianza; l'uomo, la cui dignita e grandezza stavano nel suo riferimento a Dio, nel suo rapporto d'amore con lui: cede alla tentazione di Satana, che lo illude col miraggio di conseguire la più perfetta realizzazione di se stesso rendendosi indipendente da Dio. Ben presto Adamo scopre quanto grave sia stato il suo errore, e quanto tragico sia l'inganno in cui è caduto: si accorge di essere nudo, povero, spogliato dell'amicizia di Dio, e infelice.
Il suo Creatore, da cui si era illuso di rendersi indipendente, gli ricompare dinanzi. A questa sua creatura, disobbediente e infelice, Iddio rimprovera quel folle gesto che l'ha messo in condizione di perdizione di infelicita. Ma, al tempo stesso, si dimostra giudice misericordioso, perche mentre gli rimprovera il perverso tentativo di ribellarsi al suo Dio, gli fa vedere che Dio non si e allontanato da lui, ed e anzi disposto ad accordargli a suo tempo il perdono.
Quale motivo ebbe il Signore in questo comportamento? Eccolo: Dio non può sopportare che l'uomo, oggetto privilegiato del suo amore, in cui ha impresso la sua immagine, gli venga sottratto in maniera definitiva da quel folle gesto di ribellione. L'uomo ha sbagliato cedendo alla tentazione di Satana che voleva che Adamo si sottraesse a Dio. Ma Dio decide di neutralizzare questo piano satanico, e manifesta la sua volonta di riappropriarsi dell'uomo: non gia per soggiogarlo e punirlo, ma piuttosto per liberarlo dal demonio e ricongiungerlo al suo amore.
Nel corso della storia umana Iddio manifesta ripetutamente la sua volonta di considerare l'uomo sua proprietà, e di non volerlo abbandonare a se stesso: avra sempre cura di operare il recupero di questa sua creatura decaduta, ma sempre amata. Iddio vuole riappropriarsi dell'uomo, che per natura sua è proprieta di Dio. A ciò e mosso dall'amore e dalla compassione per questa creatura, che satana ha sedotta e allontanata dal suo Creatore.
Il piano con cui Dio vuole recuperare l'uomo si attuera con azione lenta e progressiva, si sviluppera in tempi lunghi, prevede e richiede dei secoli, nel corso dei quali l'uomo sperimentera la sofferenza purificatrice, si rendera conto di aver bisogno di ritornare a Dio, e col dolore e la preghiera si disporra a ricevere il dono del perdono del Creatore e la grazia della riabilitazione.
Questo piano era stato delineato già nel Paradiso Terrestre, subito dopo il peccato di Adamo. Le parole di condanna rivolte da Dio al serpente tentatore "sii tu maledetto... io metterò inimicizia tra te e la donna, tra la sua stirpe e la tua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insídierai il calcagno" (Gen 2,14-15), ci fanno sapere che un discendente della donna, un uomo che verra in seguito presentato come 'il servo di Jahweh', riportera una vittoria definitiva sul principe del male, il demonio e satana, e lo caccera dalla mente e dal cuore dell'uomo.
L'attuazione del piano divino del recupero dell'umanita ha inizio quando Dio si sceglie un popolo e lo dichiara di sua proprieta. A questo popolo affida la missione di coltivare la fede nel vero Dio e di diffondere in mezzo agli altri popoli il culto per il Nome del vero Dio. In ordine a questa missione Iddio lo benefica, lo protegge con provvidenze e interventi prodigiosi. Quando questo popolo cadde in schiavitù e rivolgendosi a Dio ne implorò l'intervento liberatore. Dio inviò Mose perche lo sottraesse alle vessazioni del Faraone d'Egitto e lo guidasse verso il possesso di una terra di liberta che gli aveva promessa e assegnata come sua. Per liberarlo dalla schiavitù intervenne con prodigi vistosi, facendo scaturire acque nel deserto, facendo scendere il pane dal cielo, aprendo il mare perché il popolo transitasse all'asciutto, e distruggendo i nemici che lo inseguivano (Dt 26,5-9).
A ricordo di questi eventi salvifici, Dio stabili che fosse riconosciuta la sua sovranita sul popolo che aveva scelto come suo, dichiarando che il primogenito di ogni famiglia apparteneva a lui, e gli fosse perció riservato e consacrato: esso appartiene a mè (Es 13,2).
Se facciamo bene attenzione, nella liberazione di Israele dalla schiavitù sofferta in Egitto è prefigurata e anticipata la liberazione di tutta l'umanita dal peccato. Così pure, nelle parole di Dio "consacrami ogni primogenito... esso appartiene a me" (Es 13,2) è riaffermata la verità che ogni essere umano appartiene a Dio. Questa interpretazione trova la sua conferma nel testo latino della Bibbia che afferma esplicitamente «tutte le cose sono mie". t dunque vicino il momento che Dio ha fissato per scacciare satana dal cuore dell'uomo, per ristabilire la sua presenza in questa sua creatura. Il furto, compiuto da Satana nel paradiso terrestre, era destinato ad avere una durata temporanea, seppure prolungata nel tempo: e prossimo a spuntare il giorno in cui Dio riconquistera la sua proprieta.
Per bocca dei Profeti, particolarmente di Isaia (c. 53), Iddio promette l'invio del suo Servo che effettuerà il riscatto dell'umanita e la riportera, redenta, al suo Dio. La missione del Servo e voluta da Dio e viene descritta dal Profeta con secoli di anticipo, con sconvolgente precisione. Il riscatto sara operato a prezzo di sofferenze, sacrifici, umiliazioni, che il Servo affrontera come espiazione dei peccati degli uomini: "egli si addossera le loro iniquita", "il Signore fece ricadere su di lui l'iniquita di noi tutti", "egli e stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquita". Il carattere divino del servo di Jahweh e sottolineato con le parole: dopo la morte riportera la vittoria: "ricevera un giorno l'omaggio dei re", "io gli darò in premio le moltitudini".
Ultimo e supremo sacrificio affrontato dal Servo: la sua morte cruenta, con la quale l'umanita intera sara purificata dal peccato.
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Chi e questo Servo di Jahweh, che scende tra gli uomini per espiare i loro peccati con la sofferenza, l'umiliazione e la morte per mano di empi? Chi è questo servo che si addossa, egli santo e innocente, il peso immane delle iniquita di tutti gli uomini di tutti i tempi, per lavarle nel suo sangue?
Ecco la risposta: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5).
"1n questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perche noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma e lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1 Gv 4,9-10).
Il Figlio di Dio ha assunto nell'unita della sua Persona divina la nostra natura umana, nascendo da una donna, la Vergine Maria. La missione affidatagli dal Padre era quella di espirare i peccati degli uomini. Uha potuto fare mettendosi al loro posto, sostituendosi ad essi, perche era diventato uomo come loro. Ha espiato i nostri peccati nella sua carne di uomo, cui la sua Persona divina conferiva dignita e valore morale di portata infinita. Crocifisso e morto sulla croce come Uomo, è risorto da morte, sia per intervento del Padre, sia in forza della natura divina cui era congiunta la sua natura umana. Uomo e Dio insieme, ha eseguito il piano di salvezza dell'umanita assegnatogli dal Padre, in conformità alle profezie, come "Servo di Jahweh", in perfetta obbedienza, con amore infinito, sino alla crocifissione sul Calvario.
Così lo descrive S. Paolo: Gesù Cristo "pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato un nome che e al di sopra di ogni altro nome; perche nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo e il Signore a gloria di Dio Padre" (Fil 2,5-11).
Spogliò se stesso. Pur essendo di natura divina, non solo non ha rivendicato la sua uguaglianza con Dio, ma ha rinunciato alle sue prerogative divine: non le ha ritenute un bene da conservare gelosamente. Queste prerogative erano due: la maesta e la gloria. Prima dell'incarnazione, essendo Dio per natura - la seconda Persona della SS. Trinita -, il Figlio di Dio era come tale rivestito della maesta e della gloria proprie della natura divina. Teniamo presente che queste prerogative sono sempre sussistite in lui in maniera stabile e permanente, perche unite alla sua natura divina. Ma, quando ha assunto la natura umana, il Figlio di Dio che cosa ne ha fatto? Liberamente vi ha rinunciato; si e spogliato di esse, rinunciando a farle valere nel corso della sua vita. Si e spogliato di quanto poteva dimostrare la sua divinità gloriosa. Uha nascosta, fino quasi ad impedire di farne sospettare l'esistenza: salvo alcuni momenti particolari (trasfigurazione e alcuni miracoli).
Assumendo la condizione di servo. Giustamente parliamo di abnegazione di Cristo. Il Verbo di Dio facendosi uomo ha assunto la natura umana che e di per sé passibile, cioè soggetta alla sofferenza e corruttibile. P, veramente uomo, un vero uomo in senso pieno. Con tutti gli uomini condivide della natura umana debolezza, stanchezza, fame, sete, dolore: tutto, eccetto il peccato e le tendenze che ad esso conducono: le sue passioni erano perfettamente equilibrate.
L'abbassamento del Figlio di Dio, però, non consiste precisamente nel fatto che e diventato uomo, ma più esattamente nel fatto che ha scelto una vita umana di soggezione, di umilta, di obbedienza; una vita soggetta alla fatica, alla spossatezza, al dolore, e, in più, con la consapevolezza che l'aspettava la morte sulla croce per la cospirazione di uomini ingiuti e malvagi: perche cosi voleva il Padre.
Oltre ad essersi spogliato della maesta e della gloria, cui aveva diritto in quanto Figlio di Dio; oltre ad averle messe in ombra e quasi oscurate, come se vi avesse definitivamente rinunciato, ha voluto essere, apparire, comportarsi come un uomo sottoposto, un servo, la cui incombenza era quella di eseguire gli ordini ricevuti dal superiore. Un servo obbediente in tutto, non piú libero e indipendente, ma soggetto totalmente alla volonta di un altro Un servo, lui che era il Signore. La sua vita e stata tutta un servizio, un'obbedienza ad un altro: al Padre, che lo aveva inviato con una precisa missione. Egli l'ha eseguita e portata a compimento in conformita a quanto aveva gia previsto e profetizzato Isaia a riguardo del 'Servo di Jahweh'.
Gesù ha rinunciato ad ogni iniziativa personale, si è svuotato di se stesso, si è consegnato totalmente alla volonta del Padre, fino a subire la morte piú ignominiosa, quella sulla croce.
Nel comportamento di Gesù riscontriamo i caratteri di uno che si e espropriato di se stesso per passare in proprietà di un altro, sotto ogni aspetto. Egli potrà dire ai Giudei, sempre critici nei suoi rigiardi, che è sicuro di stare adempiendo un mandato ricevuto dal cielo: "Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me" (Gv 5,36-37).
Vita da servo: "c'è servizio e servizio: il servizio bello, glorioso, ricompensato, brillante; e il servizio umile, penoso, duro, servile, ininterrotto; quello di un brillante soldato, e quello di uno schiavo. Ebbene, bisogna avere lo spirito del primo e l'abnegazione del secondo; bisogna fare un lavoro da schiavo con l'animo di un eroe. Questo fu il servizio di Cristo" (P.L. de Grandmaison S.J.).
Per riconoscere il profondo abbassamento di Cristo, la sua abnegazione e la sua perfetta obbedienza fino alla morte di croce, il Padre ha esaltato e glorificato il Figlio conferendogli un nome che è al di sopra di ogni altro nome: cioè una gloria e una maesta che sono al di sopra di ogni gloria e maesta, una sovranità suprema, una dominazione universale. Questo nome eccelso è SIGNORE: Kuriov.
Precisiamo: la gloria che Cristo riceve dal Padre e quella stessa gloria che non si era mai se~ parata da lui, perche era congiunta alla sua natura divina. Ma il Figlio di Dio facendosi uomo l'aveva come oscurata, perche aveva voluto che non apparisse: se ne era separato. Ora, compiuta la sua missione, quella stessa gloria il Padre gliela restituisce, e d'ora in poi essa rimbalza sulla natura umana, irraggia su di essa, la trasforma e la trasfigura tutta quanta "cambiando la polvere della nostra abiezione nel corpo della sua gloria" (S. Leone Magno, sermone 2 sulla Passione).
Il Figlio di Dio fatto uomo, così glorificato, e degno di adorazione in cielo, in terra e nell'in~ ferno, cioè in tutto l'universo; dinanzi a lui ogni ginocchio deve piegarsi e ogni lingua deve proclamare che Gesù Cristo e il Signore. Questo a gloria di Dio Padre, perche dal Padre, fonte della divinita, sgorga ogni bene per suo Figlio Gesù Cristo, e ogni lode che celebra Gesù Cristo e anche un omaggio reso alla santita e all'amore infinito del Padre.
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L'apostolo Pietro rammentava ai fedeli: "Cristo pati per voi, lasciandovi un esempio, perche ne seguiate le orme" (1 Pt 2,21).
Le esigenze della vita cristiana affondano le radici nel mistero pasquale della morte e resurrezione di Cristo. Le sofferenze patite da Gesù e la sua morte in croce costituiscono un mistero, sul quale però proietta una luce la solidarieta di Cristo con tutta la famiglia umana. Gesù Infatti accetta di morire sulla croce per distruggere il peccato, perche su ogni uomo, liberato dalla servitù a satana, Dio possa ristabilire la sua sovranità: il suo regno.
Il credente sa che Gesù è il modello da imitare; vede chiaramente nel Vangelo le sue orme e avverte la necessita di seguirle. Con umilta, ma con decisione insieme, cerchera di mettersi alla sequela di Cristo, che e imitazione della sua abnegazione. Questa richiedera che il credente si spogli di ogni forma di egoismo; che sostituisca i criteri suggeriti dalla propria volorità con le superiori esigenze della volonta di Dio; che non si tiri indietro quando nella vita gli viene presentata la croce, ma che al contrario sappia vedere in essa un invito a prender parte al mistero della Pasqua del Redentore.
Liberato dal peccato e dalle sue scorie, il credente si espropriera di se stesso e potrà ritornare in pieno proprieta di Dio. Sarà felice che Dio possa dire di lui: "egli appartiene a me" (Es 13,2).