2. Dal Valla a Quintiliano: riscoperta e rilettura della Institutio.

Si è detto sin qui circa la tematica centrale dei quattro saggi monografici, vale a dire gli obiettivi, i problemi e gli argomenti di questi "studi e testi". Occorre ora aggiungere in che modo, lungo l'intera ricerca e le singole trattazioni monografiche, sia stato riconsiderato il metodo assunto dal Valla a fondamento della sua analisi storico-linguística. Intendo riferirmi a quanto altrove ho chiamato il quintilianesimo radicale del Valla: la ripresa cioè della Instítutio oratoria di Quintilíano in funzione della ricerca filologíca e della critica teorica; di quella «historical revolution» che D.R. Kelley dava come specifico della critica filologica del Valla nel suo Foundations of Modern Historical Scholarship del 1970. (Per una rivalutazione dell'affermazione di Kelley, si veda il mio Lorenzo Valla. Repastinatio, liber primus: retorica e linguaggio, in AA.VV., Lorenzo Valla e l'Umanesimo Italiano, Padova 1986, pp. 217-239).

Nelle pagine introduttive al mio primo Lorenzo Valla del '72, già più volte citato, avevo scritto quanto segue:

«La Instítutio oratoria, dunque, deve ritenersi lo strumento scientifico di base della filologia valliana, sia nelle sue fasi di sviluppo che nei criteri e presupposti fondamentali. I capitoli primo e secondo del presente lavoro intendono rendere evidente questo assunto, in funzione di una adeguata valutazione del rapporto tra cultura umanistica e teologia nel Valla» (ivi, p. 9).

Il brano concludeva sui due riferimenti che sarebbero stati alla base del mio lavoro: la controversia tra Bracciolini e Valla sulla questione della «comparatio Cíceronis Quintílianique»; il recupero del codice della Instítutio (ms. Lat. 7.723 della Nazionale di Parigi) che il Valla aveva acquistato dall'Aurispa e utilizzato nel suo ultimo insegnamento romano come cattedratico di Retorica, corredato di glosse autografe marginali, soprattutto, ed interlineari.

Alle suindicate pagine introduttive, dalle quali ho or ora riportato la citazione, seguivano i capitoli primo (Lo studio della Institutio Oratoria) e secondo (L'analisi linguistica) che costituivano la prima sezione del volume (Lorenzo Valla, cit., pp. 31-206). In essa trattavo della genesi e della formazione dello statuto gnoseologico ed epístemologíco che il Valla aveva attinto e densamente rielaborato partendo dall'opera di Quintiliano e la tradizione retorica di cui quell'opera era portatrice. Era stato in forza della ríscoperta e rilettura della Institutio che il Valla aveva scritto la sua opera prima De Comparatione Ciceronís Quíntilianique: l'«opusculum» (così chiamato dal Valla) a tutt'oggi introvabile, e da chi scrive ricostruito nei suoi tratti essenziali mediante altri testi del Valla sull'argomento e riferimenti all'opuscolo di contemporanei suoi primi lettori. Con il De Comparatione il Valla dettava il suo "discorso del metodo", in dissenso con il ciceronianesímo del primo umanesimo da Petrarca a Poggio Bracciolini. Esso resterà a fondamento della sua ricerca di critica filologica, come aveva intuito il Mancini suo primo biografo, e posto a base ínterpretatíva dell'opera valliana nel mio volume del '72.

Tale base interpretativa dell'opera valliana, ampiamente trattata nella prima sezione del suddetto volume, è stata altrettanto ampiamente ripresa e rielaborata nei quattro saggi. Ciò era ineludibíle, da parte mia, nel passaggio sia all'analísi di altri scritti valliani (come ad esempio l'Oratio sulla pseudo-Donazione), sia alla ricerca di eventuali influssi del quintilianesímo valliano, particolarmente sui contemporanei dell'Umanista, su Polizíano e la seconda metà del '400, sino ad Erasmo e all'erasmismo (come la controversia Moro-Erasmo-Dorp, trattata nel primo dei quattro saggi).

La rilettura della Instítutio (con le glosse autografe del parigino Lat. 7.723), che avevo già dimostrato essere alla base della critica storico-filologica del Valla, è stata la costante di fondo di questi saggi monografici. L'approfondimento del quintflianesímo valliano sulla base del Lat. 7.723 insieme all'ulteriore analisi della controversia Valla/Bracciolini sulla «comparatío Ciceronis Quintilianique», è stato ancora una volta il contesto immediato e la tematica dominante della ricerca da me svolta in questi saggi.

Le glosse autografe del Valla nel parigino Lat. 7.723 sono state pubblicate di recente con apparato critico magistrale ed ampia introduzione storico-critica: Lorenzo Valla, Le Postille all'Instítutio Oratoria di Quìntiliano. Edizione critica a cura di Lucia Cesarini Martinellí e Alessandro Perosa, Padova 1996. Il lettore della presente raccolta dovrà ovviamente riferirsi a questa edizione dell'inedito valliano ogni qualvolta le postille del Valla siano prese in considerazione, riportate testualmente o negli espliciti riferimenti alla lettura valliana del testo di Quintiliano.

Ritomo alla prima sezione del mio Lorenzo Valla, cit., pp. 31206. In quella sezione si è cercato di individuare il quintilianesírno del Valla come assunzione della Institutio quale «novum organon» di critica anti-metafisica in opposizione all'Organon aristotelico-scolastíco e di critica storico-filologica nel senso anti-ciceroniano del primo umanesimo. E tengo a sottolineare a questo punto, anche per meglio comprendere quanto si dirà fra breve, che la tesi interpretativa suddetta (quintilianea) dell'opera valliana non aveva alcun precedente nella storiografia valliana moderna, anche in quella più prossima alla mia pubblicazione del '72. Come scrisse con fine ironia uno dei miei maestri nei confronti di chi aveva invertito i tempi della storiografia dell"l'umanesimo civile": ignorare o addirittura violare la ferrea legge della cronologia non sarà mai possibile, se non a scapito di serietà intellettuale nella ricerca storica. Ma si veda la più recente ed altrettanto magistrale edizione critica delle glosse autografe del Valla alla Institutio Oratoria: J. Fernández López, Retórica, Humanismo y Filología: Ouíntilíano y Lorenzo Valla, Logroño 1999.

Per trovare un precedente, o meglio, il precedente per antonomasia in quanto origine e fonte dell'interpretazione "quintilianea" dell'opera valliana, occorre riportarsi a Poggio Bracciolíni e alla sua critica nei confronti dell'umanísta romano. (Per una síntesi della controversia per tratti essenziali, rimando a Poggio Bracciolini contro Lorenzo Valla. Le Orationes in L. Vallam, in AA.VV., Poggio Bracciolini: 1380-1980, Firenze 1982, pp. 137-161).

Poggio Bracciolini poteva senz'altro considerarsi, nei confronti del giovanissimo Valla, il rappresentante seniore della prima generazione di umanísti. Con le Orationes anti-Valla - questi le chiamerà «invectivae» e con tale titolo saranno poi vulgate a stampa - il Braccioliní assurgerà a primo interprete autentico dell'opera valliana. Ne individuerà sul nascere il quintilianesimo radicale in senso antí-ciceroniano e, mettendone a fuoco la portata eversiva, argomenterà la sua critica totale in termini altrettanto radicali.

Nelle Orationes e in molte lettere dell'Epistolario, il Poggio esplicherà un'analísi critica puntuale ed illuminante sulla natura e le implicazioni dell'umanesimo vallíano. Il progetto del Valla per lo studio delle litterae classiche e biblico-cristiane si poneva come fortemente differenziato da quello della tradizione umanistica di prima generazione. Da ricerca di recupero ed assimilazione della classicità, come intesa per lo più dai primi umanisti, il progetto valliano passava ad essere essenzialmente euristica filologica. L'analitica grammaticale del Valla infatti si dispiegava lungo dimensioni linguistico-semantiche in funzione di critica storico-filologica.

Bracciolini intuiva con estrema chiarezza la specificità dell'umanesimo storico-filologico del Valla, in contrasto con quello classicista, suo e di altri suoi contemporanei. E la migliore controprova della propria analisi il Poggio la trovava nelle scritture vallíane di filologia classica (le Adnotatíones alle Decadi di Livio) e di quella biblica (le Adnotationes al Nuovo Testamento), e soprattutto nella critica valliana anti phílosopbía e theologia classica e scolastica. Di qui l'imputazione poggiana della "grande trasgressione" operata dal Valla e dai suoi seguaci nei confronti della prima generazíone di umanistí.

La svolta euristica attuata dal Valla, giudicata come «schola» alternativa, è posta sotto accusa da Poggio in quanto negazione della «schola antiqua» per lo studio delle litterae - come egli scríve nella corrispondenza con Guarino Veronese. Proprio in base alla scelta valliana del quintilianesimo della Institutio, Poggio è indotto a parlare di due «scholae»: la prima («illa príor», «illa nostra antiqua») di cui Guarino rimaneva appunto l'ultimo rappresentante, e la seconda, la «schola» alternativa del Valla e dei «vallenses». Costoro stavano tramando (quasi "cospiratori") per la distruzione di quella cultura umanistica che aveva avuto origine in Petrarca ed era stata perseguita dai suoi primi seguaci (Lorenzo Valla, cit., p. 9).

Le Orationes di Bracciolini (opera fortemente significativa per stile e contenuto) insieme alla contro critica degli Antidota in Pogíum (autentica quanto brillante «apologia pro vita sua», Lorenzo Valla, cit., p. 402) sono state la fonte immediata, fondamento ed origine della mia analisi dell'opera valliana e della conseguente interpretazione "quintilianea". La controversia tra i due Umanistí, prolungatasi negli anni ed estesasi ai circoli umanistici più rappresentativi da Roma a Firenze, da Napoli a Venezia, è stata lo spettro contestuale ed intertestuale per determinare i tempi e le motivazioni degli scritti valliani, le tematíche e le questioni ívi trattate, l'iter intellettuale del loro Autore. La moderna storíografia aveva come obliterata quella controversia ignorandone di conseguenza la specificità: essere cioè il dibattito tra Bracciolini e Valla alle originí d'una divaricazione all'interno di una stessa ricerca delle lítterae classiche e cristiane. La divaricazione teorica e metodica tra umanesimo storico-filologico ed umanesimo formale-classicista acquisterà profondità e consistenza con la seconda metà del '400 e dimensíoni europee nel secolo seguente. (Vedi qui il saggio Da L. Valla a T. Moro).

La storiografia moderna, eliminando lo studio analitico di quella controversia tutta centrata sul quintilianesimo intuito dal Braccioliní nella proposta valliana e trascurando gli annessi storici e culturali di quel dibattito (come il Concilio di Firenze 1438/39, l'esercizio "costantiniano" del potere papale, la logica formale e l'esegesi biblica della Scolastica contemporanea), era venuta a perdere tratti essenziali del pensiero valliano, se non il senso globale dell'opera sua. L'umanista romano, invece, era stato ben compreso dai suoi coetanei: spesso rifiutato per il suo radicalismo e sottoposto a critica puntuale, ma anche talvolta recepito, anzi ripreso, da alcuni suoi contemporanei o personalità immediatamente posteriori. Tra i primi, come si è visto, occupa un posto preminente il Bracciolini; tra i secondi ha posto di rilievo, in base a ricerche più recenti, Juan Louis Vives (1492-1540). Intendo riferirmi alla ricerca condotta da Valerio Del Nero, Linguaggío e filosofia in Vives. L'organizzazione del sapere nel De disciplinis (1531), Bologna 1991. (Ma vedi anche, sul linguaggio in Vives, gli studi antecedenti di R. Waswo, Language and Meaning in tbe Renaissance, Princeton 1987).

Del Nero non tratta della critica di Vives all'etica valliana del De voluptate, ben nota agli studiosi dell'umanista spagnolo. E suo studio è tutto centrato sulla ripresa diretta e testuale di Vives del quintilianesímo valliano e delle corrispondenti teorie linguistiche.

Dal Valla, considerato «dilígens lector Quintiliani» e suo maggiore interprete, il Vives riprende la concezione specificamente quintilianea del linguaggio come «consuetudo», e la radicalizza in «consuetudo vulgi»: questa è, in realtà, la «consuetudo domina et magistra sermonis», «cum linguae arbitrium sit penes populum, domínum sermonis sui» (Linguaggio e filosofia, cit., pp. 60 e 71). Di qui proviene che «Vives - scrive Del Nero - ribadisca a più riprese la centralità del "sermo" quale primario vincolo sociale, nel quale "phrases" e "modi loquendi" vedono fondata la loro garanzia di comunicabilità su un consenso pubblico [...] "velut communis monetae signum" [...] [e] la lingua latina quale "aerarium" dal quale attingere» (ivi, pp. 60-61). Si noti l'accostamento tra Vives che ritiene le lingue classiche «sacrariurn eruditionis» e Valla che scrive del «latini sermonis sacramentum» nel «proemium primum» delle Elegantíae, cui sopra si è accennato.

Infine, il confronto complessivo tra Valla e Vives. Per Valla, l'analisi linguistica come indagine semantica è «analisí deontoligizzante le strutture del linguaggio [...] in un energico processo di storicizzazíone critica [...] cardine di una riforma epístemologica fondata sull'egemonia della retorica su una logica apodittica» (Línguaggio e filosofia, cit., p. 62). Per Vives, quel medesimo tipo di analisi linguistica si colloca «in una visione dinamica della cultura dove il linguaggio è colto anche nella sua dimensione díacronica, dove la retorica e la filología svolgono il preciso compito di mettere in moto una realtà culturale immobilmente astratta» (ivi, p. 57). Si aggiunga poi quanto Del Nero scrive sulla «storicità delle lingue» e la complessa concezione della «traduzione» nell'opera di Vives, sempre in un confronto diretto con l'opera vallíana (ivi, pp. 77-93).

Al Vives dunque occorre attribuire la ripresa posteriore del quíntilíanesimo, magistralmente rielaborato sulla Institutio oratoria con la mediazione del Valla; al Bracciolini va riconosciuta la prima ed autentica interpretazione quíntilianea del Valla, in contemporanea alla stessa scrittura e all'insegnamento dell'umanista romano sulla medesima Institutio.

3. Epilogo.

Quintiliano dedica l'intero libro I della Institutio alla grammatica. Questa infatti è costitutiva della formazione («instítutio») del retore («oratoria»). Egli suddivide la grammatica in «metodíca» e «istorica»: la prima («metodíca») si fonda sulla seconda («istoríca») in quanto la grammatica «metodíca» è disciplina normativa i cui dettami provengono per via induttiva da quella «ístorica». L'una e l'altra determinano la grammatica quale dottrina, sincronica e diacronica ad un tempo, dei fondamenti del linguaggio. La grammatica dunque, prima ancora di essere dottrina prescrittiva del processo discorsívo, cioè una precettistica del parlare e dello scrivere rettamente, consiste anzitutto nell'indagine analitica della prassi linguistica in genere e nello studio filologico delle fonti e dello sviluppo storico del linguaggio. L'«ars grammatica», che è ricerca grammaticale (morfologica e semantica) lungo le coordinate «metodica» ed «istorica», assurge così a scienza filologíca e critica: disciplina storico-teorica del sapere linguistico.

Alla messa in opera dell'«ars grammatica» come indagine filologica è dedicato il libro Il della Institutio, dove Quintiliano determína il rapporto specifico che intercorre tra grammatica e retorica. La grammatica, «quam in latinum transferentes litteraturam vocaverunt» - scrive il Retore latino (Il, 1.4) -, è fundamentum dell'«ars rhetoríca». E ruolo infatti che compete alla grammatica e l'oggetto che le è proprio sono essenzialmente in funzione diretta ed immediata della retorica. Quest'ultima è la scienza onnicomprensiva di tutte le branche del sapere, poiché, essendo ogni sapere espresso in linguaggio e scrittura, ogni sapere cade nell'ambíto della litteratura. Al termine di un'ampia indagine circa la natura e le dimensioni dell'oggetto proprio della retorica, Quinfiliano conclude: «Ego, neque íd sine auctoribus, materiam esse rhetorices iudico omnes res quaecunque ei ad dicendum subiectae erunt» (ivi, Il, 21.4).

Il Valla riprende la Institutio di Quintilíano con tutte le sue implicazioni gnoseologiche ed epistemologíche, provenienti dalla tradizione della retorica classica cui aveva dato origine la prima Sofistica. (Cfr. E Edward Cranz, Quíntilian as Ancient Thínker, «Rbetorica. A Journal of the History of Rhetoric», XIII, 1995, pp. 219-230). L'Umanista poi, rielaborando i fondamenti della Institutio, porta la «rhetorica» ad autentico superamento (Aufhebung) della «philosophia» arístotelico-scolastica (cfr. Lorenzo Valla: la retorica come critica fflologica e superamento della filosofia, in Ulisse. Enciclopedia della ricerca e della scoperta, IlI, pp. 70-76, 78-80, 194-196, a cura di L. Lombardo Radice, Roma 1977).

Il Valla quindi, con la messa in atto della Instítutio ai fini dell'indagine umanística, amplia la disciplina retorica ben oltre i limiti di tecnica della persuasione entro cui l'aveva confinata un certo ciceronianesimo contemporaneo. Tale operazione estensiva arriva a tal punto da costituire la retorica «scienza-epistéme del linguaggio», così che la retorica, prima di risolversi in tecnica d'argomentazione, è nei suoi fondamenti una grammatologia delle scritture classiche e biblíche. (Sulla teologia come grammatologia della Scrittura rimando al mio contributo Renaissance Humanism and the Origins of Humanist Theology, in AA.W, Humanity and Divinity in Renaissance and Reformation. Essays in Honor of Charles Trínkaus, Leiden 1993, pp. 101-124)

In nuce. Con la Instítutio oratoria l'umanesimo filologico del Valla venne a concretizzarsi come ricerca grammatologica integrale della letteratura classica e della letteratura biblíca. Nel primo caso, quello delle humanae litterae, l'analitica grammatologica voleva essere riflessione etica e politica per una conoscenza storica fondata sulla letteratura classica latina e greca. Nel secondo caso, quello delle sacrae litterae, la medesima analitica voleva essere in funzione di quella «nuova teologia da grammatici» - come con disprezzo sarà qualificata dai Maestri in Teologia di Lovanío anti-Erasmo - una «nuova teologia», di fatto, che consistesse, tutta ed essenzialmente, nella rigorosa esegesi critico-filologica delle scritture bibliche, ebraiche e cristiane.

La svolta storico-filologica del primo umanesimo italiano fu dunque opera di Lorenzo Valla.

Credo di aver tracciato le coordinate per una lettura ravvicinata della presente raccolta. Non potrei tuttavia chiudere questa introduzione senza esprimere la mia gratitudine nei confronti di studiosi ed amici che hanno reso possibile, per vie e modi diversi, le mie ricerche ed i miei scritti. Impossibile nominarli tutti. Sono ormai moltitudine di ogni lingua popolo e nazione, per usare un'espressione scritturistica. La mia presenza pluríennale a Villa I Tatti mi ha messo a contatto con il mondo accademico della ricerca storica sul Rinascimento nei suoi aspetti molteplici e più diversi. Di qui quello scambio continuo di idee e prospettive, progetti e problemi con quella moltitudine di studiosi ed amici. Da tutti ho ricevuto immensamente. Mi limito a nominare singolarmente i proff. Charles Trinkaus e Melissa Bullard. Con Charles Trínkaus, studioso eminente e tra i primi del Valla e dell'umanesimo italiano, vi è stata una comunicazione costante che ha fatto da contrappunto alla nostra ricerca per linee parallele. Se i miei saggi monografici hanno dato un qualche contributo allo studio dell'umanesimo valliano, ciò è dovuto particolarmente ai miei rapporti di ricerca e di amicizia con Trinkaus. A Melissa Bullard debbo la mia riflessione sull'umanesimo rinascimentale come crisi globale - sullo sfondo della storiografia che va da Burckhardt a Garin. L'ininterrotta conversazione ed amicizia, dai primi anni '80, con Melissa Bullard ha contribuito in modo determinante sui miei studi, scritti ed insegnamento. Il mio ringraziamento al prof. Michele Ciliberto, Presidente dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, che mi ha indotto con insistente cortesia a raccogliere i quattro saggi nel presente volume. Un ringraziamento particolare ai dott. Laura Fedi e Fabrízío Meroi del medesimo istituto e a Fiorella Superbi di Villa I Tatti per la loro attenta collaborazione redazionale. La mia espressione d'intensa gratitudine al prof. Eugenio Garin, il cui magistero è stato all'origine dei miei studi sulla «cultura rinascimentale».

Aprile 1999

Salvatore I. Camporeale

Villa I Tatti

The Harvard University Center

 for Italian Renaissance Studies

Firenze