3.0  La formazione ‘domenicana’ guida il processo creativo della ‘pittura-predicazione’ di fra Giovanni Angelico

   Il primo rilevante evento-pittorico di fra Giovanni ‘domenicano’ che conosciamo con certezza è il Trittico di san Pietro Martire, pitturato tra gli anni 1425-1428: lo pssiamo quindi considerare come manifestazione della formazione di fra Giovanni nel convento San Domenico di Fiesole da circa tre anni.

In questo dipinto, ancora con arie gotiche e tuttavia già pregno di accenti rinascimentali, si disvela il ‘frate-novizio professo’, cioè il frate ancora impegnato negli studi ed in via di assimilazione della spiritualità di san Domenico, il fondatore dell’Ordine; di san Pietro Martire, testimone della fede; di san Tommaso d’Aquino, il maestro per eccellenza della ‘sacra doctrina’. Questi tre santi hanno indicato nella ‘praedicatio’, alla maniera di Giovanni Battista, il mistero della Incarnazione del Figlio di Dio in Maria, trono del Cristo (si osservi l’Annunciazione rappresentata nelle cuspidi.

Nel 1433 con l’esecuzione del Tabernacolo del Linaiuoli fra Giovanni raggiunge “il caposaldo stilistico cronologico che chiude il momento formativo e apre la fase matura[1]: giudizio valido non solo a riguardo della ‘forma-arte’ (il dipinto) ma e della ‘forma-persona’ (l’Angelico stesso). Fra Giovanni, infatti, a tale data ha sicuramente fatto esperrienza dell’evento-sacerdozio e si è immesso di diritto nella via praedicationis.

Nel 1445 il Beato Angelico è a Roma e lavora per papa Eugenio IV, e poi (tra il 1447-1449) per Niccolò V. L’evento romano-pontificio è vissuto da fra Giovanni con intensità. Egli rende ‘visibili’ la cultura artistica di Roma e la commissione-papale nello stile-‘parole’ degli affreschi della Cappella Niccolina: “il testamento pittorico dell’Angelico, la dimostrazione di una pittura che poteva evolversi come un fiore che sboccia, senza cambiare essenza anche se muti aspetti”[2].

Le ‘qualifiche’ dunque dello stile personale del Beato Angelico, nei vari momenti ed ambienti, sono ‘evoluzioni’ (‘in eodem sensu’) e non ‘cambiamenti essenziali’. Siffatta osservazione di Cesare Brandi dev’essere estesa alla  ‘forma-persona’ di fra Giovanni, che ha prodotto il gesto figurativo, concretizzatosi di volta in volta in opus-gothicum e/o opus gothicum-humanisticum e/o opus humanisticum, ma sempre per ‘scelta personale’, per espressione della propria spiritualità ed intellettualità).

Le opere del Beato Angelico, infatti, sono sorte (dirò con A. Prandi) “per necessità ambientali e cronologiche”, mentre vigeva la ‘cultura-gotica’, “quella, per brevità, di Lorenzo Monaco, con tutte le implicazioni dell’ultimo gotico e della preziosità delle carte miniate”; si è espressa, sempre “per necessità ambientali e cronologiche”, nell’affermarsi della ‘cultura umanistica’, “quella che informava costumi, arte, parola nella Firenze, ch’egli abitò quasi tutta la vita”; ma “nell’una e nell’altra temperie seguì il proprio gusto, piegando a questo così le eleganze tardo-gotiche come le sublimità intellettualistiche del Quattrocento”[3].

Fra Giovanni, dunque,  esprime nei vari momenti del suo fare-arte i momenti del suo agire, così che il finis-operantis e il finis-operis non sono divaricati. L’Angelico si esprimeva secondo moduli dello stile gotico e/o stile umanistico quando sentiva tale ‘langue’ rispondente alla propria “spiritualità”.

Il joli-gotico era in fra Giovanni ‘funzione’ della ‘spiritualità del Trascendente’, del mondo altro, quello dell’oro (per fare un’esemplificazione pittorica), cioè di Dio; il reale (e non il ‘naturalistico’), quello della ‘res-umanistica’, assunta dal linguaggio-retorico in alternativa all’ens del linguaggio scolastico[4], era ‘funzione’ della ‘spiritualità dell’incarnazione’, cioè del mondo del ‘Figlio di Dio-Figlio dell’uomo’, quello del “quanto avete fatto a uno dei più piccoli tra questi miei fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo, 25, 40), che è il cosmo pittorico messo ‘in luce’ nella Cappella Niccolina — e che non a caso è l’espressione ‘più umanistica’ del Beato Angelico — con la distribuzione delle elemosine da parte di Stefano e con la distribuzione dei tesori della Chiesa ai poveri da parte del diacono Lorenzo[5].

La ‘forma-persona’ del Beato Angelico, dunque, ‘padroneggia’ i media visionis ed il soggetto in essi e da essi posto nell’esistenza-pittorica. E la vis spirituale intrinseca alla ‘volontà-d’arte’ di fra Giovanni è tale da non rendergli necessaria la distruzione o l’”abbandono delle maniere vecchie” — come ritenuto dai critici, per antico ‘pregiudizio’, confermato autorevolmente dalla storiografia di G. Vasari —, perché egli è in grado di assumerle e riportarle in modo ancillare al proprio intento di pittore-frate Predicatore.  Così, del resto, avevano operato nel corso storico della costruzione della cultura dei cristiani Girolamo, Agostino e Tommaso.

Dunque la ‘reductio’ degli schemi gotici e/o masacceschi, portatori di trascendenza e/o di immanenza, è ‘reductio’ per volontà-d’arte (appunto) ad espressione-visione-teologica; è, in breve, ‘reductio ad fidem et theologiam’.

È la Fede, e non la natura, che provoca l’atto creativo-pittorico di fra Giovanni. Perciò la sua arte è creazione (soprattutto) e non mimesi. Di qui prende avvio una certa ‘libertà’ dell’Angelico dallo ‘spazio naturale’.

Pertanto le varie ‘reductiones’: di Cimabue ‘dal greco al latino’; di Giotto ‘dalla astrazione pittorica al naturalismo’; di Masaccio ‘dalla visione prospettica communis alla visione prospettica artificialis’, trovano nel Beato Angelico ‘compimento’ e ‘metamorfosi’ secondo la sua ‘volontà d’arte’. Egli ‘riporta’, appunto, il latino di Cimabue, il naturalismo di Giotto, la prospettiva geometrica di Brunelleschi-Masaccio alla visione pittorica della Fede.

La verità dell’arte del Beato Angelico è la verità della Fede; è la verità dell’ordine domenicano (la ‘caritas veritatis’, proclamata da alcuni emblemi dei frati Predicatori); è il referente della verità-di-visione delle opere del Beato Angelico.

         3.1

In qesto creare le proprie espressioni pittoriche ‘dominatrici’ delle forme culturali dgli stili e delle maniere e nella loro capacità e forza di sottoporle allla Fede e alla teologia, fra Giovanni Angelico si rivela discepolo di san Tommaso il ‘doctor’ dell’Ordine domenicano, e ‘prototipo’ della ricerca sia della conoscenza che della predicazione del mistero di Dio e della salvezza. Siffatta ricchezza ‘teorica’ veniva assimilata dall’Angelico e passava nella sua forma-persona: ecco la ‘formazione’ di Fra Giovanni ‘domenicano’; ricchezza che egli poi metamorfosava nella forma-arte (i dipinti) mediante una razionalizzazione e teologizzazione secondo ‘giuste proporzioni’. Correttamente quindi G.C. Argan ha potuto affermare: “Le thomisme d’Angelico est bien plus une question de style que seulement de contenu”[6].

Certo nel convento di Fiesole il ‘tomismo’ ‘(o meglio il ‘tomista’) — così ligio alle ‘rationes’ e alla ‘intellettualità’ nella ricerca della ‘conoscenza’ del mistero di Dio — trovava una certa attenuazione. Si voleva e si rimaneva ‘discepoli di Tommaso’, e quindi fedeli ai ‘principia’ del ‘santo Dottore’, ma, insieme a tale ‘fedeltà’, si ‘voleva’ che lo studio-scienza non prendesse la preminenza sulla sapientia-caritas[7].

‘Esemplare’ di siffatto modo di ‘essere-tomisti’ era fra Giovanni Dominici, il cui ‘spirito’ aleggiava nel ‘suo’ convento di Fiesole, e vi aveva attratto Guido di Piero, che (è lecito credere) volle nominarsi ‘fra Giovanni’ per richiamarsi appunto a lui e ‘ricordarlo’[8].

‘Culturalmente’ infatti fra Giovanni Dominici s’impegnava — e contro Coluccio Salutati, il corifeo (in quel momento) dell’umanesimo — nella difesa del primato dell’intelletto sulla volontà, della “lux veritatis” contro le “tenebrae opinionis opacae”, che venivano quasi identificate nel “secularium litterarum studium”. Ma intanto egli affermava anche, e nelle stesse pagine, alcuni principi teorici, che porranno in grado il Beato Angelico di ‘orientare’ la propria ‘invenzione’ fantastico-ideale verso quella ‘luce’ (pittorica), fisica e metafisica, naturale e di altro mondo (quello della fede e della grazia) che, sia pure «per diaphana enigmatum et figurarum» risplende nei suoi dipinti, e si fa esegesi-visiva del versetto del salmo (35,10), che è filo conduttore della «Lucula noctis»: In lumine tuo videbimus lumen[9].

Influsso speculativo-pratico su fra Giovanni Angelico ebbe anche fra Antonino Pierozzi. Fu questi ad essergli ‘magister’ e ‘prior’ nel convento di San Domenico di Fiesole negli anni di ‘formazione’ (1422-24); fu fra Antonino ad assisterlo, come priore del convento di San Marco (1439-1444). Egli esercitò un  vero ‘magistero’ su fra Giovanni con l’insegnamento teologico-morale sulle ‘motivazioni’, che rendono proficuo il vedere e quindi la pittura[10].

L’occhio del corpo e l’occhio dell’anima sono da usare, insegnava fra Antonino ‘moralista’, «pie et fructuose», sia nella contemplazione delle cose speculative: occhio destro, sia nell’intuizione delle cose pratiche: occhio sinistro[11].  La ‘vista: visus’ è infatti, e allo stesso tempo, ‘nobilior sensus’ e ‘periculosior sensus[12]. La  «porta degli occhi», dev’essere perciò «custodita continuamente»[13]. Essa è «la porta di Gerusalemme»; per essa ‘intrat Iesus per sensus spirituales, scilicet visum contemplationis’[14].

Anche santa Caterina da Siena, la ‘madre’ della riforma dell’Ordine, ha offerto all’Angelico ‘ipirazione’ alla espressione del suo stile. Suor Caterina, infatti, si serviva del linguaggio pittorico per esprimere la conoscenza-visione della ‘contemplazione’. Per lei l’intelletto era «occhio dell’anima», e l’intellezione «vedere». Distingueva il «lume naturale» della forma dell’occhio dal «lume della fede», infuso per grazia, e donato da Dio quasi «pupilla dell’occhio»[15]. Poneva ‘oggetto’ dell’occhio la bellezza di Dio e dei suoi ‘misteri’ e la bellezza della creatura[16]. Indicava il processo conoscitivo-visivo (potrei dire i ‘momenti della inventio’), che fissa nella memoria, penetra con l’intelletto (‘conosce vedendo’), ama con la volontà, e termina nel ‘gustare l’arra di vita eterna’[17]. Specificava il carisma della missione dei domenicani come dono di lume di scienza, di colore di santa vita, di caldo di ardentissima carità[18].

L’Angelico dunque poteva ‘assimilare’ agevolmente la dottrina contemplativa della Consorella domenicana, la quale poi la tesseva (per così dire)  su una trama  ‘discorsiva’ - si ricordino il Dialogo e le Lettere -, che egli trovava affine al suo ‘modo’ di comporre figurazioni.della storia della salvezza o della vita della Chiesa e la faceva rifulgere nelle sue ‘figurazioni’.

Il Figlio di Dio è «lume —  dettava Caterina —  che ha in sé il colore della vostra umanità, unito l’uno con l’altro. Unde il lume della mia deità [del ‘Padre’] fu quello lume unito col colore de l’umanità vostra. Il quale colore diventò lucido quando fu impassibile in virtù della deità, natura divina. E per questo mezzo, cioè de lo obietto di questo Verbo incarnato intriso e impastato col lume della mia deità natura divina, e coi caldo e fuoco dello Spirito santo avete ricevuto il lume»[19]. Ed ancora: il legno su cui è steso ed elevato il Crocifisso è «ponte della dottrina mia [Dio-Padre]»; avvinti a quel ponte-croce, i discepoli del Figlio di Dio «sono affogati e annegati nel sangue [...]. Unde si leva l’occhio de l’intelletto speculandosi nella mia Deità [...]. Questo è un vedere per grazia infusa»[20]. Ora si ‘guardino’  le immagini del Cristo pitturate dal Beato Angelico.

Lume-colore-lucido-calore-fuoco-sangue-impasto-ponte è ‘terminologia’ appropriata a definire i motivi-stilistici che ‘fanno’ un dipinto; essa è traslata da suor Caterina a linguaggio-teologico:quello della deità-umanità-Spirito santo-impassibilità-carità. Come avviene, appunto, nel pitturare del Beato Angelico: si ‘veda’ l’affresco di fra Giovanni Angelico “Cristo in croce contemplato da San Domenico”, nel chiostro di San Marco.


[1] Cfr. ORL.ANDI S.,  Necrologio’ di S. Maria Novella, Firenze 1955, v. II, p. 12:  “Fr. Ristorus de Campi conversus: hic fuit maximus architector et una cum frate Xisto converso [...]. Fecerunt  nostram ecclesiam [...], fecerunt primas (o: magnas) testudines palacii florentinorum et pontem camrarie et  primas testudines palacii domini pape rome; (p. 28): Fr. Mazzettus conversus [...] carpentarius fuit peritus et in  ipsa arte industmius et architectus.  [...] Obiit Prati ecclesie fratrum nostrorum presidens et  insistens; (p .31);  Fr.  Burgensis conversus [...] et  ipse carpentarius utilis et sedulus circa operam tam ecclesie quam conventus; (p .35)… Fr. Albertinus dictus Mazzante [...], carpentarius et ipse in edificiis et officinis construendis perutilis et subtilis; (p. 52): Fr. Johannes conversus [...] de Campi [...]  efftectns est in ordine bonus carpentarius et industrius in edificiis constniendis [...].. Post diluviuim qnod inundavit Florentie anno domini 1333, ad rehedificationem del pontelacarraia, quod prefatum diluvium dissipavit,  ipse factus est per comune totius illius operis, principalis et unicus  architector [.1; (p. 53): Fr. Vanni de Verona, convensus, fuit vir et in cantando et in pulsando, et in pingendo satis inteligens [...]; (p. 67); Fr. Janninus de Marcoiano de  Mucello conversns [...]. Cum esset optimus lignorum faher et carpentarius perutilis  multa et rnagna edificiorum opera perfecit in diversis conventibus provincie, ac  etiam in urbe in eccclesia sancri Petri.  Fuit insuper bonus pigmentarius: erat enim in seculo huius artis [...]; (p. 94): Fr. Jacobus Talenti de Nepozano conversus magister lapidum ac edificiorum bonus [...]. Magna pars ecclesie sancte marie novelle constructa est et capirulurn, et multa primcipalia opera in conventu». - Cfr. C. Meesserman O.P.,  L’architecture  dominicaìne au  XIII’ siècle, in  “Arch.Fratrum Praedicatorum”, vol. 16 (1946), pp. 177-181; E. Marino O.P., Santa Maria Novella e il suo spazio culturale, cit., l.cit., pp. 346-364. Sull’attività di fra Giovanni da Campi e di fra Iacopo di Talento da Nepozzano, cfr. E. Panella O.P., Note di biografia domenicana tra XIII e XIV secolo, in “Arch. Fratrum Praed.”, vol. 54 (1984), pp. 243-245. -  S. Orlandi, Beato Angelico, cit., p. 17: “Non siamo in grado di dire cosa possa aver spinto il giovanetto verso la vita religiosa e partiolarmente dell’Ordine di San Domenico, scegliendo per di più la vita della più stretta povertà e regolare osservanza tra i religiosi di San Domenico di Fiesole”. -  Queste osservazioni di p. Orlandi sulla ‘povertà’,  richiesta dalla vita di riforma voluta fin dalla fondazione del convento di San Domenico di Fiesole, sono sufficienti  a denotare quanto lontana dal reale storico sia l’opinione espressa (sia pure con un ‘forse’) da Giorgio Bonsanti sull’accettazione di Guido ‘pittore’ nella comunità di fra Giovanni Dominici e di sant’Antonino, vale a dire che  il fatto che Guido “era già pittore ‘professionista’ al momento di entrare nell’Ordine”  fosse motivo da parte dei frati dell’Osservanza di Fiesole per accettarlo, perché “tale qualifica” permetteva loro di fare “assegnamento sui proventi ch’egli avrebbe recato al convento con la sua arte”. Cfr. G. Bonsanti, Beato Angelico. Catalogo, cit., p. 9.. -  Cfr. V. Alce O.P., Angelicus pictor., cit., p. 24: “Lo strano, almeno per noi, è che non si sia rivolto a nessuno dei conventi esistenti in Firenze”.

[2] Cfr. S. Orlandi, ‘Necrologio’, cit., t. II, pp. 189-190. Fra Alessio Strozzi, figlio di Ubertino - e detto “il giovane” per distinguerlo dall’altro frate Alessio degli Strozzi figlio di Iacopo - apparteneva dal 1413 al Collegio dei Teologi dell’Università di Firenze e allo stesso tempo, secondo la descrizione entusiasta che ne dà fra Giovanni Caroli, riportata da Orlandi (e che trascrivo) fu: “versato in ogni ramo dello scibile umano, eruditissimo nelle arti liberali, dotto in matematica e nella geografia e nella musica. A nessuno cedeva nella pittura o miniatura dei codici; sapeva anche scolpire nel legno ed in qualunque altra materia. Lo loda poi particolarmente per la conoscenza che aveva dell’arte architettonica e dell’orificeria, tanto che Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti niente imprendevano senza prima ascoltare il giudizio o parere di fra Alessio. Nelle esercitazioni filosofiche e teologiche si dimostrò di acutissimo ingegno e fu eloquentissimo, ecc.”.

[3] Cfr. Constitutiones fratrum ordinis Praedicatorum, ed. Lazarus de Soardis, Venetiis 1516, “Prologus Constitutionum”, p. 7r. - Cfr.  Antoninus Arch. Florentinus, Chronica,  cit., Pars III, Tit. XXIII, cap. II, fol. 158:   Ordinavit [Dominicus] per fratres suos cum magno studio et zelo [...] salutem animarum per predicationis exercitium, disputationis contra haereticos, et exhortationum privatarum et lectionum et consiliorum in foro conscientiae”.

[4] G. Vasari, Don Lorenzo, monaco degli Angeli di Firenze, in “Opere di G. V.”, cit. p. 17.

[5] C. Gilbert, The conversion of Fra Angelico, in “Scritti di Storia dell’arte in onore di Roberto Salvini”, Sansoni ed., Firenze 1984, pp. 281-284..  - Cfr. C. Gilbert, The Conversion, cit., pp.284-286). - Cfr. Raymond Creytens O. P., Manfred de Vercelli O. P. et son traité Contre les Fraticelles, in “Archivum Fratrum Praedicatorum”,   vol. XI (1941), pp. 173-208. -  Cfr. Antoninus Arch. Florent., Chronica, cit., Pars III, Tit. XXII, cap. VIII, fol. 131v-132. - William Hood in “Fra Angelico at San Marco” (Yale University Press, 1993) accenna all’incontro che vi può essere stato tra l’esuberante predicatore fra Manfredi ed il Beato Angelico in Firenze e nel convento di Fiesole, ma opportunamente non ne fa motivo della scelta vocazionale di Guido (pp. 9-10).

[6] Cfr. la Lettera di fra Raimondo da Capua, scritta in Colonia il 27 settembre 1398, ed inviata ai frati che egli o il suo ‘vicario’ fra Giovanni Dominici avevano assegnati ai conventi di ‘riforma’. Il passo cui mi riferisco nel testo è il seguente: «Ad aures meas pervenit, quod quidam ex vobis sub colore discendi scientiam, sapientiam veram ad quam coeperunt per viam regiam currere, deserere iam disponunt; non attendentes, quod Deus scientiarum est Doctor, nec quod scientia inflat, charitasque sola aedificat, nec intelligentes quod unctio Sancti Spiritus docet de omnibus: imo nec advertentes, quod Sanctus Doctor noster [Thomas] etiam plus oratione, quam humano studio totam scientiam, imo sapientiam acquisivit». Cfr. Raymundi Capuani, XXIII Mag. Gen. Ord. Praed., Opuscula et litterae, Romae 1899, p. 101.— Il maestro generale fra Raimondo da Capua aveva istituito fra Giovanni Dominici ‘per universam Italiam vicarium generalem’, il 20 novembre 1393. Cfr. Opuscula et litterae, cit., pp. 81-83. -

[7] Cennino Cennini, Il libro dell’arte o trattatoo della pittura, a c.  di F. Tempesti,   Milano 1975, pp. 29-30. “[...] la più degna è la scienza; appresso di quella seguita aicuna discendente da quella, la quale conviene aver fondamento da quella con operazione di mano: e questa è un’arte che si chiama dipignere”. - Già agli inizi del XII secolo Ruperto von Deutz (1070ca-1135) aveva distinto lucidamente le arti non soltanto in ‘liberali’ ed ‘illiberali’ ma anche e soprattutto in arti che sono da annoverare tra le scienze e quelle che non raggiungono tale livello. Le arti  sono ‘scienza’ sia quando questa si fonda sulla ‘via letterale’: e sono le “artes quae libris continentur”, sia quando percorre la via ‘non letterale: illitteralis’, come si verifica con  l’architettura, l’artigianato, e simili (come la ‘pittura’), ciascuna delle quali tuttavia “con ragione è detta scienza anche se viene appresa senza  il ricorso ai libri: recte quidem scientia dicitur, sed non legendo percipitur” . Anzi, Ruperto arriva a dare maggiore nobiltà alla ‘scientia illitteralis’, in quanto questa non dà bellezza alle cose mediante le parole, come accade con la ‘scietia litteralis’, ma fa belle le parole stesse mediante il reale delle cose: “non iam res verbis, sed verba rebus ornarentur”. Cfr. Rupertus Tuitiensis, De operibus Spiritus Sancti, lib. VII, cap. X, in “Opera”, t. I, Excudebat M. Pleunich, Venetiis 17748, pp. 695-698. -  Ad evitare accuse di non rispettare l’originalità dell’arte, e di riportarle ad una derivazione del ‘linguaggio’, è  dunque  opportuno parlare (alla maniera di Rupert von Deutz e, vicinissimo a noi alla maniera di M. McLuhan) di arti linguistiche-arti non linguistiche, o (e meglio) di arti alfabetiche-arti non alfabetiche.

[8] G. Dominici, Lettere sprituali, a c. di M.-T. CASELLA  e G. POZZI, Friburgo (Svizzera) 1969, p. 1969: Lettera di G. Domiinici a Bartolomea Alberti, da Siena 31-1-1405.

[9] L.-B Alberti, De pictura, Reprint a c. di C. Grayson, Laterza ed. Roma-Bari 1975, lib. II,  nn. 28-29, pp. 51-53.

[10] Antonino (s.) Archiep. Fiorent., Opera utilissima et necessaria alla instruzione delli secerdoti, etc,. Di qualunque devota persona la quale desidera sapere bene confessarsi delli ssuoi peccati,  M. L. Antonio Giunti, Venetiis 1536,  p. 50r.

[11] Cfr. S. Orlandi, Beato Angelico, in “Rivista d’Arte”, v. 29 (Annuario 1954), Doc. IV, p. 185.

[12] Cfr. Acta capitulorum generalium ordins Praedicatorum,  Rornae 1900, vol. III. pp. 161-163. - U. Middeldorf ha notato che vi è identità di ‘figura’ tra le sembianze di fra L. Dati, scolpite da L. Ghiberti sulla lastra sepolcrale del Maestro generale, ancora visibile in Santa Maria Novella, e le sembianze del “San Nicola della pala dell’Angelico a Perugia”. Middeldorf afferma: “Che due artisti s’incontrino a tale distanza di tempo [circa venti anni] su un piano così elevato, è un caso veramente raro e spiegabile soltanto con un’affinità profonda del tutto fuori del comune”. Cfr. U Middeldorf, L’Angelico e la scultura, in “Rinascimento”, a. VII (1955) n.2, pp. 188-189. Sono d’accordo con l’illustre Storico, anche se non mi sembra inverosimile che la identità di sembianze possa derivare dalla conoscenza personale e ‘visiva’ che l’Alberti e l’Angelico avevano dell’aspetto del p. L. Dati. In ogni caso, la raffigurazione di fra L. Dati nella tavola perugina dell’Angelico mi appare segno evidente dell’apprezzamento che fra Giovanni custodiva del Maestro generale dell’ordine domenicano, che egli aveva conosciuto ancora ‘giovanetto’ in S. Maria Novella, e al quale, divenuto ‘frate domenicano’ aveva promesso ‘obbiedienza’, secondo la formola della ‘professione’ nell’emissione dei voti religiosi. -  Di fra Leonardo Dati sant’Antonino riepiloga le doti ed il merito acquisito nel superamento dello scisma nella Chiesa e nell’Ordine. “Vigesimusquintus magister [Ordinis] Leonardus Statii de Florentia: magnus sermocinator et praedicator. Hic in concilio Constatiensi fuit deputatus unus ex electoribus pape Martini, qui ablato schismate in dicto concilio remansit unicus totius ordinis magister; ubi prius divisus est in duos generales. Rexit ordinem annis X et mensibus VII, et appositus  est ad praesens anno Domini 1425, cum honore maximo sepultus in conventu S. Mariae Novellae”: cfr. Antoninus Arch. Florent., Chronica, cit., III p., Tit. XXIII, cap. XIII, fol. 179 v.  -  Cfr. G. Savonarola, Prediche sopra i Salmi, a c. di V. Romano, A. Belardetti ed., Roma 1955, vol. II, Predica XLIV, p. 261. Cfr. ancora di G. Savonarola, Triumphus crucis, a c. di M. Ferrara, A. Belardetti ed., Roma 1961, , lib. I, cap. 2, p. 8:  “Christus spinis coronatus, plagarum livorem totiusque cruentati corporis cicatrices et vulnera ostendens”; e: Sermones in Primam divi Ioannis epistolam, a c. di A. Verde e d E. Giaconi, Ed. del Galluzzo, Firenze 1998, Sermo XIV (27 dic.1490), pp. 198-199: “Veniamo all’immagine del Crocifisso. Che cosa c’è infatti di più dolce che possa essere visto dai nostri occhi ? Questa immagine muta i nostri cuori: Haec enim immutat corda”.  - Ho accennato alla predicazione di Savonarola sul ‘Crocifisso’, perché in essa troviamo una delucidazione teologica-critica anche delle ‘visioni’ del Cristo in croce, che fra Girolamo ‘vedeva’ nei dipinti dell’Angelico in San Marco sentendone la forza estetico-appellativa ed affettiva. Cfr. E. Marino, Sul trattato “Apologeticus de ratione poeticae artis” di fra Girolamo Savonarola, in “Memorie Domenicane”, N. S. 29 (1998), pp. 179-246.

[13] Cfr. Constitutiones primaevae S. .0. Praedicatorum, cit., p. 9.

[14] Cfr.Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, Il-Il, q. 188, a. 6.

[15] Tommaso D’Aquino, Summa theologiae, I, p., q. 2, prolog.

[16] Sul rapporto arte-liturgia, cfr. E. Marino, L’affresco ‘La Vergine dalla radice di Iesse’ di Andrea Bonaiuti in San Domenico di Pistoia. Saggio metodologico su iconografia e teologia, Ed. “Memorie Domenicane”, Pistoia 1982, pp. 131-133, e passim.

[17] Per precisazioni su! processo stimolo (o fonte)-inventio-espressione artistica, cfr. E. Marino, L’affresco [...].  Saggio metodologico su iconografia e teologia, cit., pp. 89-94.

[18] F. De Saussure, Corso di linguistica generale, Laterza ed., Bari 1970, p. 25. Cfr. ancora: “I fatti di coscienza che noi chiamiamo concetti, si trovano associati alle rappresentazioni dei segni linguistici o immagini acustiche che servono alla loro espressione”, p. 21.

[19] Tommaso D’Aquino, Summa theol.  I p., q. 76, a. 1: ” L’immagine fantastica sta all’intelletto come i colori alla vista. Quindi i fantasmi vengono a  trovarsi di fronte all’intelletto come le immagini dei colori di fronte alla vista”. Per il processo intellettivo ‘immagine-intelletto- parola’, cfr. anche Somma contro i gentili, lib. IV, c. 11: “Io chiamo specie intellettiva ciò che l’intelletto concepisce in se stesso della cosa che conosce [...]. Essa è un’immagine che l’intelletto concepisce dalle cose da lui conosciute, e che viene significata esternamente dalla parola” (e possiamo anche aggiungere: dalla figurazione ottica).

[20] Tommaso D’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 188, a. 6. . - Cito l’articolo di Tommaso perché in esso l’Aquinate definisce il fine e le modalità dell’agire del frate domenicano: fine e modalità che il Beato Angelico esprime ‘suo modo’ con  e  nella pittura.