L’ Ufficio divino, proposto dal breviario, è essenzialmente ‘Scrittura-orante’, non solo perché i ‘Salmi’ ne costituiscono la trama ma anche e soprattutto perché il complesso dell’anno liturgico gira intorno alle celebrazioni del mistero di Cristo, annunziato e proclamato dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, interpretato e vissuto ‘in medio Ecclesiae-locus gratiae’ ricordandolo, attualizzandolo e profetizzandolo nei tempi dell’Avvento-Natale-Pasqua-Dopo la domenica della SS. Trinità [il c. d. “Temporale”], coll’ausilio delle considerazioni e delle omelie dei Santi Padri, dei Dottori e degli Autori ecclesiastici, e con la ‘memoria dei Santi’ (il c. d. “Santorale”) imitatori eroici del Cristo.
Le ‘Postille’ pertanto di Savonarola non potevano non inserirsi in questo regime sacramentale sia per estrarne le ‘auctoritates’ - ed il cosmo cultuale è per se stesso ‘auctoritas’ principe in quanto locus fidei e locus theologicus insieme -, che costituiscono le ‘armi’ del frate predicatore: ”Auctoritates quae sumuntur de libris sacris sunt quasi arma quibus defendimus nos et impugnamus inimicum”, insegnava il Maestro Umberto de Romanis (cfr. Expositio regulae B. Augustini, cap. CXL, in “Opera”, cit., vol. I, p. 421); sia per renderlo predicabile e quindi fruibile dai fedeli ai quali intendeva rivolgere la parola.
Savonarola, come appare da una lettura anche superficiale delle ‘Postille’, seguiva il Maestro Umberto anche quando questi - pur essendo stato colui che maggiormente aveva contribuito alla determinazione dei testi e delle rubriche dell’ufficio divino celebrato nell’ordine domenicano - ammoniva con severità i predicatori a non stare incondizionatamente alle rubriche e al calendario, cui di necessità dovevano attenersi i frati nella recita corale, ma di badare all’utilità degli ascoltatori: “Alii vero tantum intendunt ad proponendum thema diei conveniens, quod neglecta interdum utilitate propter huiusmodi proprietatem, talia proponunt themata quod in ipsis parum aut nihil utile auditoribus continetur” (cfr. Umberto de Romanis, Liber de eruditione praedicatorum, VII, in “Opera”, cit., vol.II, p. 396).
Savonarola, pertanto, assumeva dal breviario i testi della sacra Scrittura e li esponeva secondo l’esigenza della parenesi. Metodo, del resto, che il Domenicano seguiva normalmente nella predicazione. Ad esempio, nella predica XVII sui Salmi egli, spiegando il Salmo 124, 1: Qui confidunt in Domino, esclamava: “Firenze, e’ pare che il Signore abbia fatte queste Scritture per noi “ (“Prediche sopra i Salmi”, a c. di V. Romano, A. Belardetti ed., Roma 1969, vol. I, p. 281).
In siffatto uso pastorale della lettura delle Scritture Savonarola denota che egli, come testimonierà Gianfrancesco Pico della Mirandola, aveva assimilato gli “eloquia veteris et novi Testamenti” comprendendoli “profunde exacteque quantum homini licet”: con essi ed in essi Savonarola affinava il suo esprimersi sia nello scrivere che dal pergamo:: “Nec solum quae de pulpito ad plebem faciebat verba, verum et quae privatim etiam absque suggestu et populi conventu disserebat” (G.F. Pico Della Mirandola, Vita Hieronymi Savonarolae, cit., c. 4, pp. 116-117).
Il 7 novembre 1490 - negli anni in cui stendeva le ‘postille’ sul breviario -, predicando sulla Prima Lettrera di Giovanni egli chiedeva ai Fiorentini di non sentire nella sua predicazione la ‘parola di un uomo’ ma la ‘parola del Signore Gesù’: “Rogo vos, fratres, ne respiciatis me - ego enim homo sum sicut et vos - sed verbum est Domini Yhesu qui [*quod*] egreditur de ore meo” (cfr. “Sermones in Primam divi Ioannis epistolam”, cit., Sermo III, p. 46). E nel Breviario ne dava la motivazione compendiandola in un enunciato di rara efficacia: chi vuol insegnare il Vangelo dev’essere ‘libro di Cristo’: “Et dixi quid est evangelium [...]. In fine dicens quod qui vult docere sit liber Christi” (c. 5v, p. 23).
Fra Girolamo, in realtà, nelle ‘postille’ era attento a rimanere fedele alla Parola della sacra Scrittura che il breviario gli suggeriva secondo l’esigenza della “lex orandi” dei discepoli di Cristo. Egli accettava con fede la rivelazione divina e la elaborava teologicamente in conformità a quanto anche le Costituzioni dell’Ordine (quelle ‘primaevae’ e quelle ‘vigenti’ al suo tempo) prescrivevano: “Nullus fratrum nostrorum legat in prophetis vel in psalmis alium sensum litteralem nisi quem sancti approbant et confirmant” (cfr. “Constitutiones primaevae S. O. P.” XXX, ed. cit., p. 21; “Liber Constitutionum FF. O. P.” dist. II, cap. XIV, cit., p. 81r ).
Nello scorrere il ‘totum’ delle postille del Breviario noi scopriamo che fra Girolamo, pur nella dominante ‘intentio’ di predicatore e non di puro ‘esegeta’, ricercava anche (e non infrequentemente) la ‘veritas’ del testo scritturistico, sia quella ‘hebraica’ che ‘caldaica’ e ‘graeca’. Porto alcuni esempi.
Annotando il Salmo 26, 13 il Frate domenicano avvertiva che il testo latino: “Ut videam voluptatem Domini” avrebbe dovuto essere traslato (secondo lo Psalterium iuxta Haebreos tradotto da s. Girolamo: è questa la fonte che A. F.Verde ci indica, p. 29) in: “Ut videam pulchritudinem Domini” (c. 22r, p. 55).
Tale ‘veritas’ filologica (la ‘pulchritudo’) del testo ebraico sicuramente proporzionava meglio lo spirito di Savonarola all’ammirazione della ‘bellezza’ che i Fiorentini profondevano ad abundantiam negli edifici e nelle immagini del culto, ma che egli si sentirà obbligato a ‘criticare’ ( e non solo nell’Apologeticus de ratione poeticae artis del 1491-1492) perché la ‘bellezza’ dei misteri cristiani - che nel breviario trovavano espressione dommatica ed anche ‘poetica’ e ‘bella’, e come tale fecondante la ‘fantasia’ ed il ‘sentimento’ degli artisti sia nel ‘contenuto’ che nella ‘forma’ - scadeva troppo spesso dalla ispirazione di Fede e diveniva ‘voluptas’ non del Signore (come recitava il Salmo non riportato alla ‘lectio’ ebraica) ma della propria personale ‘sensibilità’. Ancora un esempio.
Predicando il 5 marzo 1496 fra Girolamo, che ormai ben conosceva i fiorentini e la loro città, riprendeva le deviazioni che egli scorgeva nelle pitture che abbellivano le pareti delle chiese perché le ‘vedeva’ divergenti dalla ‘verità referenziale’ del racconto scritturistico. “L’immagine dei vostri dèi sono le imagini e similitudini delle figure che voi fate dipingere nelle chiese, e li giovani poi vanno dicendo a questa e quella: - Costei è la Maddalena, quell’altra è santo Giovanni -, perché voi fate dipingere le figure nelle chiese alla similitudine di quella donna o di quell’altra, il che è molto male fatto e in grande dispregio delle cose di Dio” (Savonarola G., Prediche sopra Amos e Zaccaria, a c. di Ghiglieri P., A. Belardetti ed., Roma 1971, v. II, Roma 1971, Predica XVIII, p. 25. Eppure Savonarola vagheggiava di poter imitare i pittori (il Beato Angelico ?) nel suo ‘predicare’, come fa fede la postilla all’ufficio di san Luca evangelista, ritenuto ‘pittore’ della Vergine Maria: “Manifesta est dignitas evangelistarum [...]. Volo pingere unum christianum et evangelistam” (c. 286r, p. 436).
Nell’esame del Salmo messianico 71, 16: “Erit firmamentum in terra in summis montium”, fra Girolamo riteneva che il versetto 16 si potesse interpretare con varie sfumature linguistiche, “ma: at” soffermava l’attenzione sulla versione caldea: “et erit memoriale triticum in terra, in capite montium elevabitur” vel sic: “Erit placentula frumenti in terra in summis montium, at translatio caldaica habet: In capitibus vel supra capita sacerdotum (c. 34v, p. 117).
In una “traccia di appunti” sul libro della Genesi 24, 16, passo che si riferisce a Rebecca: “Puella decora nimis, virgoque pulcherrima nimis, et incognita viro”, Savonarola faceva presente che ‘virgo’ risponde all’ebraico “Aalma” e che questo lessema viene usato anche dal profeta Isaia, e ne specificava il significato. “Virgo [...]. Hic habet Aalma sicut Is[aia] 7 [14], idest abscondita, quae plus dicit quam virgo” (c. 298r, p. 448). L’osservazione e la valutazione filologica del monema “aalma” come più ‘comprensivo’ di quello di “virgo” è forse propria di Savonarola: è infatti assente nelle “Interpretationes hebraicorum nominum”, che venivano offerte in appendice al testo della Bibbia: cfr. ad es. la Biblia stampata dal ‘Magister Johannes dictus Magnus’ a Venezia nel 1484: “Aalma: virgo abscondita, vel absconsio virginitatis” (in fine e senza n. di p., ad vocem ).
Nell’esegesi del testo di Giovanni 18, 28: “Adducunt ergo Yhesum ad Caypham”, fra Girolamo giudicava che è da preferire la ‘veritas graeca’, ed affermava: “melius ut habetur in greco a Caypha in pretorium, et sic tollitur omnis dubitatio” (c. 114v, p. 326). e - si può sottintendere - facilita l’esposizione nel corso della predica.
L’attenzione di Savonarola al ‘senso letterale’ della s. Scrittura si manifesta anche nel riconoscimento delle difficoltà che egli incontrava nella lettura di alcuni salmi: “Ps. 148 [corretto in 138]. Est hic psalmus plenus obscuritate (c. 52r, p. 198); si ritrova nello sforzo di concordare l’“ordo hystoriae” e la ‘sequenza del fatto’, quando appaiono riferiti in modo dissonante nelle varie redazioni della narrazione evangelica: “De negatione autem Petri nota quod evangeliste [Matteo 26, 69-75; Marco 14, 66-72; Luca 22, 55-62; Giovanni 18, 15-18 e 25-27] non curabant ponere ordinem hystoriae sed factum, eo quod in Scriptura multa dicuntur vel per recapitulationem, vel per anticipationem. Si vis omnia concordare, hic sic ordina [...]” (cfr c. 114v, p. 325); e si esperisce nel comporre il dissidio interpretativo tra le ‘auctoritates’ dei santi Padri, quale ad esempio l’autorità di s. Girolamo e quella di s. Agostino: “Ps. 105. Alleluia Alleluia. Hieronymus dicit unum [Alleluia] poni pro praecedentis psalmi fine et alterum [Alleluia] pro principio sequentis, sed non placet Aug[ustino]. Agit autem de iniquis laudando Deum de misericordia” (c. 44r, p. 167).
Con più frequenza, e seguendo l’uso liturgico della s. Scrittura vigente nel breviario e nei testi delle Messe, Savonarola poneva in risalto la “multiplicitas sensuum sub una littera” (c.58v, p. 223). I Salmi, infatti, egli li gustava come se contenessero ‘vari sapori’ per rendere più condìto il ‘pasto dell’anima’: “Ps. 107. Hic psalmus componitur ex postremis partibus duarum praecedentium, idest 56 et 59, ut quasi diversi sapores condiantur in pastum animae” (c. 45v, p. 171). Nella postilla-panegirico di sant’Agostino, Savonarola citava il santo dottore che nelle Confessioni [XII, 27] dice: “Scriptura est fons: sensus multi sunt, multi rivuli” ( c. 272r, p. 416).
Fra Girolamo discerneva quindi ed in continuazione - in concorde dottrina con Tommaso: Summa th. I p. qu. I, a. 10 -, il ‘sensus’ o la ‘sententia’ intrinseci e/o connotati nella ‘littera’: quello morale, allegorico ed anche accomodatizio, che arricchiscono, talvolta con esuberanza, i testi recitati nel culto della Chiesa.
Ad esempio, Savonarola leggeva ‘moraliter’ il Vangelo della seconda Domenica di Avvento (Luca 21, 25): “Erunt signa. - Moraliter. Q[uaestio] peccatoris. Erunt signa damnationis in puncto mortis in sole, idest in ntellectu [...]. Et luna, idest in voluntate [...]. Et stellis, idest in sensibus interioribus et exterioribus [...], etc.” (c. 64r, p.242): interpretazione che connota come Savonarola non sia da ritenere predicatore e profeta ‘apocalittico’ delle ‘cose ultime’ ma del ‘presente inconbente’ (ed in questo senso anche ‘furturo’, ma prossimo) su Firenze e sull’Italia.
Siffatta esegesi dei segni apocalittici in senso ‘spirituale è tanto più da valutare quando si nota che fra Girolamo con questa interpretazione si distaccava dall’insegnamento dei ‘novissima’ contenuto nell’autoritativa omelia papale di s. Gregorio Magno riportata nelle lezioni del breviario: “Dominus ac redemptor noster, paratos nos invenire desiderans, senescentem mundum quae mala sequantur denunciat, ut nos ab eius amore compescat. Appropinquante eius termino quantae persecutiones praeveniant, innotescit: ut si Deum metuere in tranquillitate nolimus, saltem vicinum eius iudicium vel persecutionibus attriti timeamus. [...] Et erunt signa vero in sole, et luna, et stellis. Ex quibus profecto omnibus alia iam facta cernimus, alia in proximo ventura formidamus” (cfr. le lezioni VI-IX, c. 64r e v, vol. I).
Nelllo schema di predica per la Domenica delle Palme fra Girolamo s’imponeva di esporre il Vagelo passando in successione dalla ‘littera’ alla ‘allegoria’ al ‘senso morale’. “Declarata primo Evangelii parte prima ad litteram vel etiam aliquid de allegoria, moraliter declara qui sunt illi quos Yhesus vocavit ad cenam suam [...]” (c. 109v, p. 312).
Nel postillare la resurrezione di Lazzaro (Giovanni 11, 47) fra Girolamo difendeva espressamente il ricorso ad interpretazioni fondate su una personale ‘contemplazione’, che possono rimandare lecitamente ad escogitazioni soggettive ‘verisimili’ al di là delle comuni ed accettatte significazioni. “Post resurrectionem Lazari collegerunt etc. [...] Est autem notandum quod non omnia sunt scripta sed si contemplamus quaedam que nec sunt contra fidem nec conra bonos mores nec contra rationem, et sunt verisimilia, non debemus damnari etc.” (c. 113v, p. 322): che è dichiarazione apologetica di tante espressioni del ‘legomenon’ del breviario e delle proprie prediche, anche di quelle sulla sacra Scrittura.
Ed in realtà, Savonarola - in conformità alla ‘intentio’ dell’ordito dell’Ufficio divino che egli postillava - era impegnato a spiegare che la ‘veritas’ della Parola rivelata (vecchio e nuovo Testamento) e la ‘molteplicità delle significazioni’ inerenti alla ‘littera’ hanno come referente il mistero di Cristo.
Il Frate domenicano, soprattutto nell’annotare i Salmi con i quali è intessuto il ‘sacrificium laudis’ della preghiera delle Ore liturgiche, si ispirava alla metodologia insegnata da Cristo ai due discepoli di Emmaus. Il Risorto, per rendere comprensibile lo ‘scandalo’ del suo mistero pasquale, “rifacendosi da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture quanto si riferiva a lui” (Luca 24, 26-27: passo commentato da Savonarola ‘litteraliter e moraliter’ a c 119r (pp. 335-336).
L’esegesi scritturistica di fra Girolamo si estendeva così in ‘esegesi teologica’, che alla maniera di Tommaso scevera con acribìa nei precetti cultuali dell’antica Legge “il senso letterale” che rispondeva alle “esigenze degli antichi”, e le “ragioni di ordine figurale o mistico” di Cristo della Chiesa e dei sacramenti che danno luogo al senso allegorico morale ed anagogico (I-II, q. 102, a. 2).
Per fra Girolamo il Salmo 27, introdotto come “Psalmus ipsius David”, divieniva salmo “de solo Christo” (c. 22v, p.56). Nell’invocazione del Salmista: Eripe me de inimicis meis (58, 2) Savonarola ascoltava la voce di Cristo: “Christus hic clamat” (c. 31r, p. 97). All’inizio del Salmo 81 fra Girolamo postillava: “Psalmus iste est de duabus naturis in Christo in quo reprehenditur Synagoga quod cum Dominum corporaliter viderit, non cognoverit” (c. 38r, p. 136). Al Salmo 68 annotava: “Agit de passione Christi per quam commutatus est mundus et loquitur Christus” (c. 33r, p. 112). Nel Samo 63 Savonarola sentiva lo stesso Cristo, unito al suo Corpo mistico, parlare del mistero pasquale: “Agit de Passione Christi et resurrectione et loquitur totus Christus, idest caput et membra” (c. 32r, p. 103): che è interpretazione esatta e valida della liturgia, come la possiamo leggere nell’enciclica “Mediator Dei” di Pio XII: “Sacra Liturgia [...] integrum constituit publicum cultum mystici Iesu Christi Corporis, Capitis nempe membrorumque eius” (cfr. “Mediator Dei “ del 20 nov. 1947, n. 20).
I Salmi sono inoltre interpretati secondo il comune sentire dei Padri e dei Dottori, e vengono qualificati sia come “voce” della Chiesa militante: “Ps. 60. [...] Vox est Ecclesiae militantis in terra” (c. 31v, p. 100); sia come ‘lode della Chiesa’: “Ps. 47. [...] Laudat et commendat civitatem idest Eclesiam primo a dignitate conditoris, secundo a situ, tertio ab amplitudine, quarto a benignitate regis, quinto a stabilitate eterna” (c. 28r, p. 83); sia ancora come ‘profezia-prefigurazione’ della Ecclesia nella sua perfezione: “Ps. 28. Psalmus David in consummatione tabernaculi, scilicet quando transtulit archam in Hyerusalem [2 Samuele 6, 1-19], per quam intellige Eclesiam translatam ad consummationem virtutum” (c. 22v. p. 56).
Nei Salmi Savonarola leggeva poi l’attestazione dell’effusione della ‘grazia’ di Dio: “Ps. 70. [...] In hoc psalmo commendatur gratia Dei quasi per singulas syllabas” (c. 34r, p. 114). Nel Salmo 80 egli stimava che fosse preannunziata la “aqua Baptismi, figurata per opus quinte diei in quo creavit Deus pisces etc.”, e vi trovava l’ammonizione ai battezzati di perseverare in tale grazia per accedere costantemente verso le realtà celesti: “Monet ergo ut post baptismum contemptis terrenis ad caelestia ascendamus” (c. 38r, p. 135). Nella recita del Salmo 21, 26: ”vota mea reddam in conspectu” Savonarola annotava:”idest sacrificium Eucharistiae”, al quale la preghiera prescritta dal Breviario prepara e del quale è ringraziamento quotidiano (c. 21r, p.52).
Nelle ‘postille’ alla s. Scrittura Savonarola intreccia dunque con le osservazioni filologiche quelle dommatiche, teologiche e liturgiche. Anzi, a carta 57v troviamo fra Girolamo soffermarsi esplicitamente su alcune “rationes fidei”, che hanno una loro specificità perché sembrano ispirate dalla lettura ‘continua’ del breviario.
Le “rationes fidei”, che Savonarola stendeva a cominciare dal “margine superiore per tutto lo specchio della carta [57v]“ - c’informa A. F. Verde -, contornano il ‘Credo’ nella stesura conosciuta come “Symbolum Quicunque” (o “Atanasiano”, attestato tra il IV-V secolo), che inizia: “Quicunque vult salvus esse ante omnia opus est, ut teneat catholicam fidem, quam nisi quisque integram inviolatamque servaverit, absque dubio in aeternum peribit” (c. 57v, vol. I). Savonarola avrebbe pertanto seguìto di fatto l’asserzione attribuita a papa Celestino I (422-432) - in realtà dell’autore anonimo dell’opera “De gratia et libero arbitrio” -, cioè “quel noto e venerando effato” - secomdo la descrizione di Pio XII (cfr. “Mediator Dei”, n. 47) -, che indicava la ‘legge della preghiera’ come determinante la ‘legge della Fede’: “Legem credendi lex statuat supplicandi”.
La peculiarità delle “rationes fidei” che Savonarola scriveva sul Breviario, nei confronti (ad esempio) delle ‘rationes fidei” che egli aveva appuntato all’interno della predicazione quaresimale di San Gimignano del 1486 [schema 7°] (cfr. Verde A. F., G. Savonarola: il Quaresimale di S. Gimignano, cit., pp. 195-301), è nell’attenzione precipua che egli dava al “culto divino”.
Savonarola infatti spiegava nella ‘Prima ratio’ elencata nelle postille del Breviario che il raggiungimento del fine della vita umana, cioè la “contemplatio veritatis et primae veritatis”, nel presente stato di vita non si può raggiungere: “ut patet ratione intellectus, affectus et multarum necessitatum”, ma è dato soltanto ‘sperare’ impegnando se stessi a rendervisi proporzionati (cioè “apti”) attraverso il “medium” che è la “puritas cordis”. Questa però, chiarificava sùbito il Priore di San Marco, si ottiene ‘maxime’ con la pratica o “instrumentum” del culto divino: “Medium ad hunc finem [...] est piritas cordis [...] Ad hoc autem medium maxime, cum debeamus solum divinis vacare, est instrumentum cultus divinus, sicut sunt leges instrumenta virtutum” (c. 57v, p. 221). Nelle ‘rationes fidei’ addotte nel Quaresimale di S. Gimignamo, il culto divino, anzi la “diminutio cultus Domini”, è appena accennato (e per di più in forma negativa) nell’ultima ratio, cioè la ‘octava’, e presentato (in quanto ‘diminutio’) quale “causa flagellorum” (cfr. A. F. Verde, G. Savonarola: il Quares. di S. Gimignano, cit., p. 198).
La ‘Settima ratio’ esposta nel Breviario non solo conferma la “Prima”: “Qui melius est purificatus, melius intelligit veritatem”, ma contiene un chiaro rimando ai “dottori cristiani”: “doctores christiani maxime fuerunt purificati”, e alla loro santa vita: “ut patet per vitam eorum”, celebrata soprattutto nelle lezioni che si leggono nel ‘Notturno’ che Savonarola di volta in volta ampliamente postilla (c. 57v, p. 222).
Ad esempio, nel tessere l’elogio di san Girolamo il Savonarola afferma che questo dottore “virgo etiam fuit”, e che “emundavit cor per Scripturas”, e che senza siffatta ‘purificazione’ non avrebbe potuto interpretare il testo sacro: “sciebat quod non potest ex toto [s. Scriptura] penetrari “, e ne derivava il motivo dalla lettura di Giovanni Cassiano, il padre spirituale dei discepoli dei monaci santi (cfr. Conlationes XXIV, De spiritali scientia): “aliud est facilitatem oris et nitorem habere sermonis, aliud venas medullasque caelestium intrare dictorum” (c. 283v, p. 430).
Certo, tale ‘ratio’ si ritrova ‘predicata’ anche nel Quaresimale di San Gimignano (1486), ma vi è investigata quale ‘coniecturatio” delle ‘rationes’ che avevano provocato i molti ‘flagelli’ descritti nella s. Scrittura: “Causae flagellorum Dei multae sunt in Scripturis”. Si può infatti ritenere che verificandosi le medesime cause: “posita causa etc”, abbiano a seguire gli stessi effetti. E fra Girolamo lo chiarificava con alcuni esempi: Caino fu ‘flagellato’ a causa dell’omicidio, la generazione del tempo di Noè fu ‘flagellata’ con il ‘diluvio’ a causa della lussuria, ecc., dunque anche oggi se in Firenze o nella Chiesa si praticano tali delittuose azioni c’è da aspettare un ‘flagello’. Ed aggiungeva che per affermare tali rapporti di causa ed effetto non occorreva essere ‘profeti’: “Ego non dico haec quasi propheta sed ex Scripturis coniecturando quod Ecclesia magnum flagellum expectat” (A. F. Verde, Il Quaresimale di S. Gimignano, cit., p. 195).
Le ‘rationes fidei’ che Savonarola raggruppava nel Breviario sono espressione di una ricerca teologica che vuole ‘servire’ ed indurre alla fede con argomentazioni desunte da assiomi filosofici e/o da costatazioni di un ‘fatto’ della storia della salvezza.
Nella ‘Secunda ratio’, ad esempio, fra Girolamo imposta il ragionamento appellandosi al ‘principio’: “Finis noster est veritas, ergo ille est vere finis cui magis natura adhesit et adheret”; ma per estenderne la ‘inferenza: ergo’ esplora la ‘esperienza concreta’ della storia ove tale ’principio’ viene vissuto e ne connota il valore di ‘ratio’ in rapposto alla ‘fede’: “sed hoc est fides cui humana natura adhesit mirabilius cum sit de non visis, universalius quia de omni genere mundi etc., fortius quia nec blandiciis, nec rationibus, nec flagellis avulsa est etc [...]” (c. 57v, p. 221).
Tale metodologia era stata osservata con acume da Gianfrancesco Pico della Mirandola, che la riteneva percorsa da un insieme di ‘illuminazione divina’ e di ‘processo di ragione’ e di ‘coniecturactio’: “Egli in parte illuminato era da Dio, parte per intendere le cose rivelate con ragione humana discorreva. Nondimeno seguendo la ragione, in quella parte pendeva alla quale le cose di Dio mostrategli lo tiravano, parendogli verisimile Iddio dover punire i gravi peccati de’ prelati et principi cristiani, li quali con li loro mali esempi li buoni costumi rovinano” (G.F. Pico Della Mirandola, Vita di Hieronimo Savonarola, cit., cap.V, p. 15).
Peculiare delle Postille al Breviario è ancora la estensione delle ‘rationes fidei’ in dodici “spirituales rationes” (c.58r-59r, pp. 225-228). Anche queste ruotano intorno al simbolo della fede, il ‘Credo’, talvolta espressamente evocato: “Credimus resurrectionem” (Octava ratio); “credimus sanctificationem animarum” ((Nona r.); “Credimus vitam eternam” (Decima r.); “Incarnationem credimus” (Decimaprima r.).
Le “spirituales rationes” sono nelle intenzioni di fra Girolamo ‘manuductio ad fidem’ e provocazioni per quei non pochi intellettuali fiorentini che rimanevano talmente radicati nelle ‘ragioni filosofiche’ da rifiutare la trascendenza della fede ed il ‘rationabile obsequium’ (Romani 12, 1): “Quidam semper volunt veritates philosophie, sed postea non credunt ea que sunt fidei, quia putant nihil esse quod ratione comprehendi non posse” (c. 121r, p. 338). Perciò egli aggiungeva al “credimus” le ‘rationes’ o il “quia”.
Ad esempio, per confortare la fede nella ‘incarnazione’ del Figlio di Dio egli s’imponeva: “Declara qualiter credamus et qualiter est verum, tum per rationes superius factas [cioè nelle precedenti ‘rationes spirituales’], tum ex convenientia Incarnationis, tum quia possumus faciliter obiecta solvere, tum per dicta prophetarum et Sybillarum et eorum quae fiunt in Eclesia et quia conveniens fuit dare unum primum etc, et per miracula que quotidie fiunt in nomine Virginis Marie” (c.59v, ‘Decimaprima ratio’, p. 227).
Porto l’attenzione su quest’ulima ‘spiritualis ratio’, cioè l’accordo tra Profeti e Sibille, sia perché si può presumere che essa abbia fortemente ‘impressionato’ il giovane Michelangelo, uditore della parola savonaroliana, il quale poi la ‘espresse’ in ‘forma visiva’ nella grandiosa vôlta della Cappella Sistina (1508-1512), sia perché su questa ‘spiritualis ratio’ Savonarola vi ritornò nella predicazione e negli scritti - cito ora soltanto il “Triumphus fidei abbreviatus” - per confortare la ‘verità’ dell’incarnazione del Figlio di Dio: “quia [...] omnia consonant idest dicta prophetarum et Sybillarum” ([G. Savonarola], Scritti vari, cit., Triumph. fidei abbr., p. 197).
Nelle ‘spirituales rationes’ fra Girolamo manifesta apertamente obbligo intellettuale al ‘suo’ maestro san Tommaso: “Questo è il mio venerando e dilectissimo maestro San Thomaso de Acquino, col quale con gran conforto vivo, e senza el quale forsi l’anima mia già serebbe morta” (cfr. Cattin G., Il primo Savonarola. Poesie e prediche autografe, cit., Prohemium in festo Sancti Thome de Aquino, p. 300). In ben nove delle dodici ‘rationes’ egli cita espressamente l’Aquinate: “Habes rationes in S. Thoma” (1a e 2a r.); “Vide in primo contra Gentes” (3a r.); “Et multa habes in S. Thoma” (4a r.); “quod omnia de nihilo fecerit habes in S. Thoma” (5a r.); “Averrois conatur depravare, at rationes sunt contra eum. S. Thomas etc.” (7a r.); “Credimus resurrectionem [...], Vide S. Thomam” (8a r.); “Patet convenientia in S. Thoma” (11a r.); “ De Matrimonio habes in S. Thoma” (12a r).
In un altro passo del Breviario (tra i molti che si potrebbero allegare) Fra Girolamo ci fa conoscere con quale acribìa egli faceva ricorso a san Tommaso per connotare ‘concordia’ tra teologia ed evangelo. “Expone secundum Thomam in Primo Sententiarum d. 17, q. 2, a. 5, et concorda cum Evangelio Ioannis” (c. 112, p. 220).
È interessante ancora avvertire che nelle postille Savonarola è attento alla ‘storia’ della composizione di alcuni testi liturgici, che egli leggeva nel breviario o nelll’ordinario della Messa e che stimava risalissero ai santi ‘dottori’ della Chiesa. Porto come di consueto ‘ut brevitati orationis consulam’ alcuni esempi.
Nella festa di sant’Ambrogio fra Girolamo ricordava che questi, mentre si trovava assediato in chiesa per volontà dell’imperatrice Giustina fautrice degli Ariani, compose ed intrecciò ‘psalmi et hymni’: “Iustina custodiri faciebat ecclesiam [...] et sic psalmi constituti et hymni” (c. 214v, p.375).
Nella celebrazione di san Girolamo, Savonarola riconosceva a questo dottore l’ordinamento dell’ufficio divino e l’introduzione della dossologia “Gloria Patri” al termine della salmodia: “officium ordinavit et Gloria Patri” (c. 284r, p. 431) - in realtà san Girolamo nel 383 ‘corresse’ il Salterio su domanda di papa Damaso (cfr. Batiffol P., Histoire du Bréviaire Romain, Libraire A. Picard-J Gabalda, Paris 1911, p. 53).
Postillando l’ufficio di sant’Agostino, Savonarola faceva presente che quando questi fu battezzato da sant’Anbrogio il neofita ed il vescovo pregarono dicendo l’inno “Te Deum”: “Ad Ambrosium venit [Augustinus] cun Adeodato et Alipio et baptizati sunr dicendo: Te Deum etc.” (c. 271r, p. 412); “Te Deum” che nel “Psalterium chorale fratrum sancti Dominici” veniva dichiarato dalla rubrica che lo introduceva quale “Hymnus sive Canticum Sanctorum Ambrosij et Augustini” (cfr., ad es. l’edizione: Venetijs in officina heredum Luceantonij Junte, 1551, p. 199v; il “The Oxford Book of Medieval Latin Verse”, a cura di F. J. E. Raby, Clarendon Press, Oxford 1985, attribuisce il “Te Deum” a Niceta di Remesiana, pp. 16-17). Savonarola, inoltre, rievocava la ‘sentita’ partecipazione di Agostino al culto: il grande intellettuale convertito durante la celebrazione dei riti si commoveva fino alle lacrime: “Flebat in Canticis Eclesie” (c. 272v, p. 416).
Nella festa di san Gregorio Magno fra Girolamo ricordava che fu questo papa - in occasione della peste inguinaria causata dalle inondazioni del Tevere nell’anno 590 - ad istituire le “litanie” penitenziali e la “processione” detta “septiformis”, e che in tale circostanza san Gregorio praedicavit de flagellis, quasi a dirci che egli si rifaceva ad un precedente autorevole della sua predicazione ‘de causa flagellorum’: “Et dic quartam lectionem et quintam [come nel notturno del breviario] cui interpone - altro esempio di come Savonarola si lasciava guidare nella predicazione dall’ordito del breviario e tuttavia non pedissequamente: vi aggiungeva infatti personali considerazioni - quod, cum Tiberis crevisset et serpens magnus transisset et alie bestie venenate, que in mari mortue et ad litus proiecte, sequta est pestis inguinaria, et Gregorius praedicavit de flagellis et letanias constituit processionem septiformem etc.” (c. 211r, p. 367).
Inoltre il Predicatore domenicano annotava che papa Gregorio era intervenuto sulle melodie che si cantavano nelle “varie chiese del mondo” e vi aveva infuso una peculiare ‘dolcezza’: “Sequere sextam lectionem cui adiunge quod correxit cantus diversarum partium mundi ad dulcedinem Eclesie Romane” (c. 211r, p. 317).
Di san Gregorio fra Girolamo sapeva ancora che egli (com’è affermato nel “Liber Pontificalis”, ed. L. Duchesne, Paris 1889, t. I, p. 312) aggiunse nell’orazione “Hanc igitur” del Canone [detto: Romano] della Messa alcune espressioni: “In Canone addidit: Dies quoque nostros in tua pace disponas etc.” (c. 211r, p. 368).
Queste spigolature, prese dal ‘Santorale’ del breviario, confermano quanto Giulio Cattin afferma della “metodologia” di Savonarola nello stendere le postille sui sermoni “De sanctis”: “Perfino un ricco impianto di deduzioni ascetico-speculative doveva essere arricchito dalla concretezza del dato biografico” (p. LIV).
Per Savonarola, infatti, la considerazione dei santi del passato conduce al retto esercizio della virtù della prudenza, che richiede una disamina sulle esperienze compiute in altri tempi: “Dic mihi - predicava a San Gimignano nel 1486 -: nonne ad prudentiam requiritur memoria preteritorum ? Considera sanctos preteritos” (cfr. A. F. Verde, G. Savonarola: il Quaresimale di S. Gimignano, cit., [28° schema], c. 16r, p. 238).
Nelle postille al Breviario fra Girolamo assurgeva così ad una riflessione più alta, cioè ad una ‘ratio spiritualis’ che giustificava la sua predicazione sui santi e sul culto che egli professava per essi.. Egli percepiva con chiarezza che nel fare l’elogio degli amici di Dio imitava il Signore che ai santi concede ‘lode e gloria’, e che i santi sono ‘gloria’ dei fedeli cristiani ed esempi efficaci ad esercitare le virtù ‘qualora vengano imitati’. “Debemus imitari Deum qui dat eis [i. e. sanctis] laudem et gloriam, tum quia est gloria nostra si tamen imitemur eos etc., tum quia hoc maxime excitat ad virtutem” (c, 210r, p. 366).
Fra Girolamo nel tessere l’elogio del confratello san Vincenzo Ferrer, ‘predicatore’ che egli sentiva spiritualmente vicino: annunciava infatti l’“Evangelium purum, cum quo convertit multos”, raccomandava a sé, prima ancora che agli altri panegiristi, di ‘essere misurati’ nelle parole, per non sembrare di lodare se stessi e la propria oratoria: “In Sanctis temperemus nos ne velimus nos ipsos in eis laudare et linguam magnificare” (c. 215, p. 376).
Nel panegirico dell’apostolo Pietro però a me sembra che fra Girolamo non si sia sufficientemente ‘moderato’ non solo nel ‘predicare’ in qualche modo se stesso ma anche nel far ricorso ad una espressione linguistica di splendida bellezza retorica.
Ed in realtà, in tale postilla Savonarola metteva in pubblico la profonda fede che gli riempiva l’animo. Egli infatti professa con ardore insolito la propria adesione all’insegnamento di Pietro: “Doctrina piscatoris est Patris, est Filii, est Spiritus Sancti, ergo [si noti la conclusione] quem damnat damno, quem recipit recipio “; esplicita il più grande apprezzamento per la suprema autorità giurisdizionale del primo degli apostoli: “De eius dignitate nota quod nulla potest ese maior cum omnes supponantur eius iudicio, et ipse nullius. [...] Cunctos iudicaturus, a nemine est iudicandus nisi deprehenditur a fide devius”; conferma la sua fedeltà alla Sede di Roma, nonostante le obiezioni che si potevano elevare sul retto agire della curia papale: “Sed dicis: Prevaluit iniquitas Rome etc. - Respondeo primo quod fides stat, secundo quod Dominus scit, que sunt eius, tertio quod purificabit eam etc”; e riconosce senza ambagi che Pietro ha ‘potestà divina’ nell’esercizio delle chiavi: “Agit sicut Deus quando, scilicet, non vult absolvere, non vult dare gratiam etc. Item per excomunicationem et penitentiam etc” (cfr. c. 239r-v, pp. 390-392).
A questo panegirico postillato sul breviario fra Girolamo rimandava nel Sermo in festivitate Petri et Pauli, tenuto tra il 1491-1493: “Cetera habes in Breviario extensa” ([G. Savonarola], Scritti vari,, cit., p. 82 e p. 304 e ss); e siffata citazione conforta il valore delle asserzioni in esso contenute. Le affermazioni ‘dommatiche’ sul primato di Pietro denotano infatti le ‘rationes fidei’ e le ‘rationes spirituales’ (ed anche le ‘rationes cordis’) che lo sostenevano nell’ impegno di cristiano e di predicatore.
La professione incondizionata a Pietro e al suo Successore dovrebbe pertanto essere vagliata dagli storici di fra Girolamo quando esaminano il comportamento ‘arduo’ che egli manifestò nei momenti della lotta interiore e dell’esito della sua vita difronte all’obbedienza-disobbedienza, alla iniquità di Roma-purificazione della Chiesa e alla scomunica-comunione con il pontefice Alessandro VI.
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Le postille del Breviario, dunque, sono ‘compendio’ e ‘confessione’ della fede e dell’amore che animò la vita la predicazione e l’azione di fra Girolamo Savonarola.
In queste postille, composte negli anni 1485/6-1492/3, trovano eco le precedenti note che il Frate domenicano appose alla Bibbia e che scrisse negli anni 1479-1482 quand’era giovane sacerdote nel convento di S. Maria degli Angeli a Ferrara; si ritrovano gli schemi di predicazione che egli stese su alcuni quaderni agli inizi del suo primo soggiorno a Firenze negli anni 1483-1485. V’è dunque continuazione ininterrotta tra questi scritti-appunti e lo scorrere del percorso spirituale formativo e pastorale di fra Girolamo: dalla ‘Bibbia’ che è il ‘locus revelationis et fidei’, ai ‘Quaderni autografi’ che mostrano la sua ‘officina praedicationis’ quand’egli vi lavorava nel silenzio della cella nel convento di sant’Antonino e del Beato Angelico, al ‘Breviario’ che è fonte e nello stesso tempo somma di fede di contemplazione di preghiera e di zelo a voler parlare di Dio ed annunciare la sua Parola nella Città più ricca di fermenti culturali e religiosi, di ‘umanesimo’ civile e cristiano.
A quanti desiderano conoscere fra Girolamo Savonarola si potrebbe consigliare di seguire il monito che egli dava a se stesso, quasi per rimemorarsi e riconoscersi: “Scrutare singula verba diligenter et pratica prout habes in Breviario” ([G. Savonarola], Scritti vari, cit., “Sermones de Spiritu Sancto”, p. 123).
EUGENIO MARINO OP