Il Beato Angelico maestro ed esemplare dell'arte iconoteologica

1. <Guido di Piero diviene fra Giovanni>

           L’opera pittorica e la persona del Beato Angelico hanno sollevato da sempre due questioni (cfr. MARINO E., Beato Angelico. Umanesimo e teologia, in “Beato Angelico. Miscellanea di studi”, a c. della Postulazione Generale dei Domenicani, Roma 1984, pp. 465-533).

            La prima controversia ha riguardato il curricolo  della vita e dell’inizio della produzione artistica del mugellano Guido di Piero, futuro fra Giovanni da Fiesole e poi Beato Angelico.

            Guido era nato, e lo si dava per certo, nel 1387 (o 1388) nel Mugello; aveva ricevuto l’abito dei frati Predicatori nel 1407; la sua prima opera certa e significativa, il Trittico di s. Pietro martire (attualmente al Museo di S. Marco di Firenze), compariva negli anni 1427-1428 quando fra Giovanni aveva circa quarant’anni: la qual cosa costringeva i critici a dichiarare il  Domenicano ‘pittore ritardatario’.

            Le ricerche storiche di Stefano Orlandi e di Werner Cohn hanno corretto tali datazioni e giudizio stabilendo con il conforto di documenti d’archivio gli inizi di Guido-fra Giovanni  (cfr. ORLANDI S., Beato Angelico. Monografia storica della vita e delle opere con appendice di nuovi documenti, Leo S. Olschki, Firenze 1964, p. VIII-X).

            La nuova e (più) ‘storica’ cronologia proposta da padre Orlandi insegna che Guido nasce nella Podesteria di Vicchio (probabilmente nel Popolo di San Michele a Rupecanina in località detta Moriano) tra il finire del secolo del Gotico e l’inizio del secolo dell’Umanesimo: forse nello stesso anno di Masaccio (a. 1401); entra nel noviziato del convento San Domenico di Fiesole tra il 1420-1422 e vi riceve la formazione ‘domenicana’ da fra Antonio Pierozzi (conosciuto come sant’Antonino) secondo le direttive della ‘riforma’ voluta da fra Giovanni Dominici, fondatore del convento fiesolano nel 1404; è ordinato sacerdote tra il 1427-1429; è istituito  per la prima volta ‘vicario’ del Convento  negli anni 1432-1433.

            La seconda questione dibattuta dagli storici ha avuto per oggetto il rapporto persona-artisticità di Guido pittore-‘laico’ divenuto fra Giovanni pittore-‘domenicano’. Siffatta indagine però, per quanto aiutata dalla puntualizzazione dei dati biografici accennati, non è stata sviluppata.

            Alcuni critici d’arte continuano a soffermarsi in considerazioni che non vanno al di là dell’intuizione degli schemi formali ed iconografici delle opere dell’Angelico: linea, disegno, prospettiva, spazialità, luce, colore, atteggiamenti, descrizioni contenutistiche di persone, luoghi, ecc.

            Essi credono di spiegare le opere del Beato Angelico ricorrendo (ad esempio) alla categoria del confronto con la formatività di Lorenzo Monaco, di Gherardo Starnina, di Masolino da Panicale, di Filippo Brunelleschi, di Lorenzo Ghiberti, di Luca della Robbia  o di Masaccio.

            In tal modo però l’opera d’arte di fra Giovanni viene studiata applicando ’criteri esteriori’, non proporzionati a cogliere nella ‘unità’ del cosmo degli schemi  - che sono ‘una simul’ (appunto) stilistici semantici e simbolici - la efficienza e la persistenza della persona dell’Angelico, la sua ‘volontà d’arte: Kunstwollen’ e la pienezza di ‘espressione: Künstlerwollen’ che spirano sentimento e liricitàcultura e fede, che producono quel senso che spiega l’iconografia in se stessa e quel referente che fa ‘balzare’ negli occhi e dagli occhi - si ricordi l’etimologia del lessema ‘simbolo’ -  il ‘lógos’ (vale a dire  l’iconologia) o il ‘theológos’ (cioè l’iconoteologia) che aprono le immagini al ‘reale’, che è il mondo  della natura e/o della storia e/o dela Fede.

            Altri storici, non potendo escludere le composizioni dell’Angelico misurate e tuttavia ridondanti per ‘pienezza’ di referenze alla storia della salvezza e alla devotio dalla corrente artistica innovativa propria del primo Umanesimo fiorentino - accettato pregiudizievolmente come ‘laico’ -, si appellano a decodificazione non formulata sull’oggettività del ‘codice angelichiano’ ma su ipotetiche categorie-precorrimento:  un’anticipata ‘controriforma’, una non meglio specificata ‘arte della Chiesa’, un ‘umanesimo cattolico’ e un ‘sentimento religioso’, quasi che il  ‘sentimento lirico’ che l’artista patisce nell’intuizion-di-Fede dell’universo della ‘bellezza-grazia’ umano-divina, e che poi da efficiente iconopoieta rende immanente ed espressiva (allo stesso tempo) nelle opere delle proprie mani, costituisca impedimento all’autonomia dell’arte.

            Vi sono poi critici che fantasticano nell’arte di fra Giovanni  altro tipo di categorie, quelle  di ‘compromesso’ o di ‘autocensura’ o di ‘propaganda’, che sono qualifiche chiaramente non coerenti con la ‘persona’ morale-artistica dell’Angelico, con la sua “energia formante” (uso un’appropriata formula di L. Pareyson), con la sua vocazione di pittore divenuto tutt’uno col  domenicano, che dispiega il carisma di frate Predicatore e di teologo nella Ecclesia non dal pulpito o dalla cattedra  con l’attrattiva della Parola di Dio (Giov. 1, 1), ma dalle  (e con le) ‘immagini visive’, splendide forme spiranti l’affascinante bellezza della “Immagine di Dio” (2 Cor. 4, 4), cioè del mistero di Cristo e dei suoi discepoli.

2. <Arte pittorica e ministero domenicano>

          In realtà, chi vuole capire la ‘persona’ di Guido-fra Giovanni, dalla quale promana la creazione inventiva ed il gesto formativo dei suoi dipinti, occorre che analizzi lo svolgimento del suo processo spirituale e le motivazioni che lo hanno ispirato e diretto nell’esercizio dell’arte.

            Ora i primi documenti di archivio, che rendono conto del Beato Angelico, manifestano esplicitamente i due stati di vita nei quali Guido di Piero ha agito, vale a dire lo stato di laico-pittore: “Guido di Piero dipintore del popolo di santo Michele Visdomini [...] addì 31 ottobre 1417”; e lo stato di frate-domenicano: “feciesi frate di santo Domenico”, in data non precisata ma certamente prima del mese di giugno del 1423, quando gli amministratori dell’ospedale di S. Maria Nuova annotano nel libro delle uscite: “A frate Giovanni dei frati di San Domenico di Fiesole per dipintura d’una croce, fine di giugno 1423” (cfr. S. Orlandi, Beato Angelico, L. S. Olschki, Firenze 1964).

            Dunque, Guido ‘dipintore’ si prolunga e si trasforma in fra Giovanni ‘domenicano’, sempre però ‘dipintore’. Osservazione ovvia, ma che bisogna sfruttare per cercare d’interpretare il percorso-interiore che accompagna e determina il percorso estetico dell’Angelico.  

            La vocazione di pittore appartiene a Guido di Piero ‘laico’: e Guido ‘laico’ la segue compiendo il tirocinio di apprendista presso quei ‘maestri-dipintori’ fiorentini che avevano fatto delle loro botteghe la fucina di gusti maniere ed arie - direbbe G. Vasari -, che testimoniano allo stesso tempo il tramonto del medievale stile gotico: con Lorenzo Monaco o Simone Camaldolese (ad esempio) e l’aurora dell’età nuova: con Paolo Uccello e, soprattutto, con Masaccio, il vero astro nascente. 

            Guido di Piero incede in siffatto cammino dell’arte con la ‘pienezza’ della sua vita, che era ‘laica’ per lo stato civile ma non per le aspirazioni o intenzioni o finalità. Infatti, per rispondere in modo positivo alla ‘forma interiore: la volontà di  essere pittore’ egli  matura la decisione d’inverarla nella volontà di essere pittore-domenicano nello stato religioso presso i frati Predicatori  di Fiesole.

            Giorgio Vasari comprese che la scelta di Guido di “farsi religioso dell’ordine dei Frati Predicatori” costituiva il fatto essenziale della vita dell’Angelico, ma lo spiegò secondo la spiritualità di un certo ‘cenobismo’ che descriveva la vita conventuale come ‘fuga dal mondo’ ed un ritirarsi nella ‘quiete’ del chiostro per “poter meglio salvarsi” (cfr. Vasari G., Frate Giovanni da Fiesole, in “Le opere di G. Vasari” a c. di G. Milanesi, Firenze 1906, t.II, p. 505 e ss.). Così lo Scrittore aretino si precluse il retto apprezzamento della ‘vocazione domenicana’ di Guido.

            Infatti, fosse stata la ‘quiete’ la  ragione profonda ad indurre Guido a professare le costituzioni dei domenicani, egli avrebbe optato non per la vocazione di frate sacerdote ma per la vocazione di frate converso, cioè di religioso che, non essendo tenuto al lungo corso degli studi - dalla grammatica alla filosofia alla teologia - ma soltanto all’esercizio delle opere manuali, gli avrebbe consentito di dedicarsi subito e con esclusività al ‘lavoro’ di pittore, libero da  impegni di studio di culto  e di apostolato propri del frate sacerdote.

            Anzi, si può addirittura ipotizzare che Guido, che di certo frequentava i frati del convento di Santa Maria Novella, che era la primitiva fondazione voluta in Firenze da San Domenico stesso, abbia atteso per affiliarsi all’ordine dei Predicatori la riapertura del convendo di Fiesole, avvenuta tra il 1418-1420. I domenicani infatti di S. Maria Novella - come apprendiamo dall’antica Cronaca conventuale - non concedevano il sacerdozio agli artisti in quanto li computavano tra i ‘lavoratori servili’, i quali per norma di diritto canonico non potevano accedere allo stato clericale. Ma i frati ‘riformatori’ del Convento fiesolano, che giudicavano il postulante soprattutto dalla sua volontà di preghiera, e la prudenza e l’intelligenza di fra Antonino - il quale viveva dall’interno la esuberante cultura artistica fiorentina che si riconosceva ormai da tempo e con fierezza nelle ‘arti liberali’ - consentirono a Guido di divenire domenicano-sacerdote.

3. <Il Beato Angelico predica tramite la visione delle immagini>

           La ‘scelta’ di Guido di assimilare la sua volontà di praticare la pittura (o Künstler-wollen) alla volontà  di vivere da frate domenicano-sacerdote-predicatore (o Dominikaner-Priester-Prediger-wollen: uso questi sintagmi perché denotano che le distinte ‘vocazioni’ formano tuttavia un ‘Totum’ non accidentale), era in armonia con il carisma dell’ordine dei  Predicatori, anzi lo potenziava.

            La vita del frate domenicano aveva (ed ha) come ‘fonte originaria’ dell’annuncio della Parola il processo ‘contemplari-contemplata’, cioè la contemplazione e l’accettazione del mistero di Dio, che ha come fulcro la celebrazione liturgica, in cui il mistero della redenzione è proposto in modo speculativo-pratico, cioè secondo una messa in opera di segni: parola e gesto, ascolto e visione, e mediante forme espressive della pietà, quasi servizio ‘artificiato’, che possiamo rendere col nesso linguistico tedesco ‘Kunstgottesdienst: servizio di Dio in forma d’arte’.

            Tale quotidiana esperienza conventuale suscitava nel frate Predicatore stimolo al movimento intellettuale di conoscenza e di adesione al mistero della Fede, che avrebbe poi ‘trasmesso agli altri’ con la parola. Da questa condizione di vita Guido-fra Giovanni dipintore-predicatore prendeva abbrivo proporzionato alla ‘invenzione’ di quelle ‘forme ideali-fantastiche’, che avrebbe poi ‘impresse-espresse’ in immagini  nell’insieme degli schemi che costituiscono il concreto  dell’opera visiva. Dunque il frate Predicatore, fosse egli ‘oratore’ - alla maniera di fra Iacopo Passavanti o di fra Giovanni Dominici - oppure ‘artista’ - come fra Giovanni, appunto -, non attingeva che ad una medesima fonte: ‘la pienezza della contemplazione’.

            La ‘novità’, che l’Angelico introdusse nella ‘predicazione’ dei frati domenicani, sta nella maniera-di-predicare, cioè (e l’enunciato è del ‘frate Predicatore’ Tommaso d’Aquino) nel “comunicare agli altri quanto contemplato: contemplata aliis tradere” (cfr. Summa Th., II, q. 188, art. 6)  non per mezzo del suono dell’ ‘immagine-acustica’ (è questa la descrizione che F. De Saussure dà della ‘parola’) che percuote l’orecchio dell’ascoltatore e penetra  nell’animo, ma attraverso la visione di immagini che fanno dell’occhio del fruitore “la porta di Gerusalemme, attraverso la quale entra Gesù”, come insegnava Antonino il priore di fra Giovanni (cfr. Antoninus arch. Flor., Summa moralis, pars. I, tit. II, cap. III, & III).

            E questo non più in modo indiretto, come era accaduto con domenicani committenti o consulenti che offrivano la ‘materia della inventio’: si noti - e mi limito ad alcune puntualizzazioni di pitture che Guido ebbe modo di ammirare in S. Maria Novella -  il rapporto dell’ affresco-”La Crocifissione” di Stefano fiorentino con il  libro-”Specchio della Croce” di fra Domenico Cavalca (ancora in loco, nel Chiostro Verde di S. Maria Novella); si pensi al riferimento del dipinto-”Trionfo di s. Tommaso” di Andrea di Bonaiuto splendente sulla parete sinistra del Capitolo conventuale di S. M. Novella (conosciuto come: Cappellone degli Spagnoli) con il trattato-”Divisio scientiae” di fra Remigio de’ Girolami. Con fra Giovanni le parole della Fede e le gesta ed i gesti della storia della salvezza, configurati nel crogiuolo della sua intellezione-fantasia dei ‘contemplata’, vengono infusi direttamente sulle pergamene sulle tele sulle tavole e sulle mura. (Cfr. E. Marino, S. Maria Novella e il suo spazio culturale, in “Memorie Domenicane” 1983).

4. <Dalla pittura-poesia alla pittura-annuncio evangelico>

           Il Beato Angelico è in realtà ‘iconoteologo’ nell’intimo della persona - quasi ‘forma personae’ -  e nella struttura delle forme visive (o ‘forma artis’).

            Fra Giovanni Angelico intuisce secondo un’estetica di Fede e poi dà esistenza all’espressioni pittoriche secondo una ‘teologia estetica’ ben ponderata. Egli infatti sa proporzionare con peculari ‘mezzi di espressione’ (alla maniera di Tommaso nella sacra dottrina) sé ed i suoi fruitori al mistero di Dio, che come pictor-contemplator-veritatis  rende gioioso agli occchi e affascinante per l’animo. 

            È questo generare nella belleza della Fede e con ‘intelletto d’amore’ che costituisce fra Giovanni artista originale all’interno della cultura dell’Umanesimo di Firenze.

            Se, ad esempio, poniamo di contro Masaccio e fra Giovanni avvertiamo che il Domenicano nello stesso tempo che ammira l’artisticità del nuovo Giotto ne diviene antagonista.

            L’Angelico accetta di mettere in prospettiva e con realismo l’oggetto naturale - come isegnato da Brunelleschi e da Leon Battista Alberti -, ma la misura prospettica e l’oggetto naturale non sono per lui né ‘la misura’ né ‘il naturale’. Per il Pittore domenicano (e tommasiano) v’è una prospettiva di Fede e di Grazia, che perfeziona ed eleva la ‘prospettiva geometrica’; e v’è l’aspetto creaturale che specifica e riporta l’oggetto fisico e gli uomini alla loro relazione col mondo di Dio e alla loro disponibilità radicale all’azione del Creatore.

            Fra Giovanni e Masaccio, perciò, si distinguono per la ‘qualità’ della volontà d’arte, e quindi del processo della ‘inventio’ e della pratica della ‘tecnica’ pittorica.

            Masaccio vuole esprimere l’umanità nuova indicandone la ‘forma’ o ‘condizione umana’, e quindi la presenta percorrendo una via di ascesi all’insù: dall’Uomo alla Fede, in una situazione spaziale-plastica di luce-ombra atta ad accogliere ed a corrispondere al mistero di Dio. L’Angelico vuole anch’egli esprimere l’umanità nuova ma prospettandone la ‘forma’ o ‘condizione cristiana e soprannaturale’ che le proviene dalla partecipazione al mistero del Salvatore, e quindi la pone dinanzi ai nostri occhi in una situazione di luce-grazia, doni che da Dio giungono all’uomo come per una via all’ingiù: dalla Fede all’Uomo.

            Queste considerazioni ci iniziano a riconoscere nel Beato Angelico quanto apprendiamo dalla riflessione e definizione dei Padri del Concilio di Nicea II (a. 787), che affermavano: “le pitture dei Santi sono state tramandate nella Ecclesia non altrimenti che la sacra lettura dei vangeli”. La storia della salvezza, infatti, si manifesta - spiegano i Padri niceni - sia mediante la Parola-che-si-ascolta sia attraverso l’Immagine-che-si-vede, perchè come la lettura porta all’orecchio e quindi alla mente il contenuto del testo, così la visione delle pitture trasferisce all’occhio e quindi all’animo il contenuto dell’espressione figurativa (cfr Conc. Niceno II, [Terminus], in “Conc. Oecumenicorum decreta”, a c. Ist. per le scienze relig., Bologna 1973, p. 135, e  passim; B. Carranza, Summa conciliorum et pontificum, Venetiis 1546, Actio sexta, tomo I, p. 295v).

            Dunque il suono ed il colore, la parola (o orecchio)  e la visione (o occhio), vale a dire la predicazione e l’ostensione delle opere visive, costituiscono ‘due vie’ paritetiche per accogliere e proclamare  la rivelazione divina. (cfr. E. Marino, Estetica fede e critica d’arte, ed. Prov. Rom. dei FF. PP., Pistoia 1997).

             In fra Giovanni Angelico, ‘dottore’ delle visioni del mistero di Cristo Parola-Immagine di Dio (Giov. 1, 1; 2 Cor. 4, 4) e delle visioni del mistero dei discepoli del Salvatore  “predestinati ad essere conformi all’Immagine del Figlio di Dio” (Rom. 8, 29), si è attuata con pienezza “l’alleanza tra l’arte e la Parola”, che i recenti documenti sia dela Conferenza Episcopale Toscana “La vita si è fatta visibile” (28 febbraio 1997),sia della Conferenza Episcopale Italiana ‘Spirito Creatore’ (30 nov. 1997) chiedono che venga con urgenza rinnovata.

            Non meraviglia perciò che le esortazioni papali, da Pio XII a Paolo VI propongano agli artisti ed al popolo di Dio il Beato Angelico come maestro ed esemplare.

            La loro esortazione è stata resa più efficace con papa Giovanni Paolo II, che ha voluto la ‘beatificazione’ di fra Giovanni (cfr. la ‘Lettera apostolica’ del 3 ottobre 1982), e che recentemente nella recente “Lettera agli artisti” (24 aprile 1999) ha confermato  esplicitamente che “le opere del  Beato Angelico” sono da ritenere “modello eloquente di una contemplazione estetica che si sublima nella fede”. 

                                                           EUGENIO MARINO OP

Ed invero, la ‘forma visiva’ di ciascuno dei dipinti del Beato Angelico, che sono un ‘tutto’, e dall’insieme delle sue opere, che costituiscono anch’esse una ‘totalità’, che ci sentiamo rimbalzare dalla ‘forma visiva’.