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ASMN I.C.102 F 62r Invenit se Augustinus (1° resp.)  Roma 1981

Proemio
agli Atti del capitolo provinciale,
ed. Roma 1981, pp. 9-12.

Proemio    1   2   3   4   5  ë

Siena 1312

Ferrara 1494

Quezon City 1977

Atti del capitolo provinciale della provincia Romana dei frati Predicatori, celebrato a Roma, presso l’«Institut S. Dominique» (via Cassia), 18 agosto - 12 settembre 1981; ed. Roma 1981. Autore "legale e normativo" di testi simili è la persona collettiva dei capitolari; proemio approvato e fatto proprio dai definitori così come redazionalmente sortito dalla mia penna.

Proemio

1. La nostra provincia ha dato vita, dal suo costituirsi dopo le soppressioni ottocentesche sino ad oggi, a forme diverse sia di strutture comunitarie che di ministeri di predicazione. Esse hanno risposto a loro modo a situazioni della società italiana, ad esigenze dell’animus cattolico del nostro paese, ad appelli e modelli della chiesa italiana nel primo cinquantennio [non cinquantenario di ed.] di questo secolo. Non è nostro compito descrivere le profonde trasformazioni occorse nella scena politica e sociale dell’Europa dal secondo dopoguerra in poi, e in particolare nel nostro paese, né illustrare la grande stagione di speranze della chiesa convocata dallo Spirito del Signore in concilio ecumeníco. Ne facciamo fugace menzione per prendere atto che trasformazioni sociali, politiche, culturali e di costume hanno indotto nuovi e diversi modelli di vita; un’inedita domanda di fede cui l’atto apostolico dei discepoli del Signore dovrà provvedere nuove forme d’evangelizzazione, più congrui luoghi di predicazione, più pertinenti strutture di catechesi e di pastorale.

Una provincia d’un istituto religioso rappresenta - ben lo sappiamo - modica energia di fronte alla vastità e alla rapidità delle trasformazioni che ci circondano. Tuttavia la verifica e l’esame critico di se stessi - che sono poi nostra stessa conversione - non può non investire anche le forme comunitarie della nostra testimonianza. «Ordiniamo - dice il recente capitolo generale di Walberberg 21,1 - che [...] ogni provincia sottoponga a critica indagine la qualità della testimonianza data dalle proprie comunità e dai propri organismi». È stato, questo, il clima in cui si è svolto il nostro capitolo provinciale. Senza farne oggetto d’un unico e isolato atto legislativo, abbiamo esteso a tutti gli atti del capitolo provinciale - dove con maggiore dove con minor successo - l’ansia di rispondere all’ordinazione di Walberberg: «Ordiniamo che le priorità elaborate negli atti del capitolo generale di Quezon City (n. 15,5) siano oggetto d’accurata riflessione e siano mandate ad effetto secondo la diversità delle situazioni locali» (W-20).

2. La riqualificazione del nostro atto apostolico e il riorientamento delle nostre attività si è dovuto misurare con la dinamica propria delle trasformazioni di un organismo sociale: il peso storico del dato di fatto e le possibilitá del nuovo; il tutto nel fenomeno in atto del preoccupante processo della diminuzione del personale.

L’impegno per la giustizia sociale, quale elemento costitutivo della predicazione nel mondo di oggi, è certamente un elemento di novità negli Atti della nostra provincia. Il futuro potrà forse provvedere strumenti e occasioni più efficaci per la nostra testimonianza in proposito; dichiararne l’importanza e mettere in moto un processo di sensibilizzazione ha pure la sua importanza.

Le istituzioni della provincia a servizio dell’apostolato mariano sono fiorenti; ma ne abbiamo voluto evocare i termini teologici da cui trarre lezione per un’attività promozionale che miri a più temperati e ricchi rapporti spirituali del ruolo di Maria nella vita del Cristo e della chiesa.

Le parrocchie - il caso è classico - sono l’eredità storica delle possibilità offerte alla nostra provincia di ricostituirsi agli inizi del secolo dopo le precedenti soppressioni. Il capitolo provinciale ha mirato a mettere in atto condizioni perché le forze della provincia impiegate in tale settore ricuperassero propositi apostolici per contesti e situazioni non più raggiungibili tramite un’istituzione di base quale la parrocchia: frange lontane del cattolicesimo pubblico e ceti decristianizzati dovrebbero entrare di diritto e con più sistematicità in una catechesi parrocchiale consona al carisma domenicano. Ma abbiamo nel medesimo tempo impegnato la provincia a contenere il numero delle parrocchie, come è esplicitamente richiesto dalla nostra legislazione.

L’importanza qualitatíva del vicariato in Pakistan e i successi del suo sviluppo s’impongono oltre le esigue misure dello spazio riservatogli; mentre il primo tentativo di costituire organismi di promozione della Famiglia domenicana e fraternite laiche appella alla nostra speranza del futuro.

Altre iniziative e tentativi di rispondere con spirito apostolico a nuovi tipi di preghiera e di lavoro dovranno essere promossi e incoraggiati. Quanto tentato da due nostri confratelli del convento di Pistoia, residenti a Querceto, risulta congruo, nelle motivazioni e nelle forme, allo spirito con cui gli ultimi capitoli generali ci sollecitano a nuovi «loci praedicationis» (cf. Quezon City 15,3b).

3. Sulla vita comunitaria ci ha guidato il pensiero che vi sono state nella storia della chiesa forme molteplici e diverse di comunità riunite in nome del Cristo; la vita d’una comunità di frati Predicatori dovrebbe rintracciare motivi del proprio sorgere e modelli del proprio organizzarsi nell’atto apostolico che di volta in volta dovrà porre in risposta a nuovi appelli d’evangelizzazione. Siamo persuasi che da siffatta fedeltà di ministero la vita stessa comunitaria risulterà nutrita e rafforzata (cf . W-78).

Il «problema delle vocazioni» - com’era prevedibile - ci ha assillato non poco. Vorremmo a questo riguardo che la comune preoccupazione anziché esprimere paure d’una dinastia che teme di estinguersi esprimesse la speranza di chi intende ristabilire la validità, finanche l’urgenza, del proprio ministero nella comunità degli uomini e dei credenti. Ma dobbiamo esser consapevoli che il cosiddetto «problema delle vocazioni» coinvolge fenomeni più vasti delle vicende domestiche d’un istituto religioso. La trasformazione della società e della sua etica, l’immagine della chiesa nel mondo civile, l’emergere del ruolo del laicato tra i ministeri della chiesa, il facile accesso della popolazione scolastica all’istruzione di stato, la diminuzione della prole nelle famiglie di tradizione cattolica hanno sconvolto, dagli anni ’60 in poi, la demografia degli istituti religiosi. Confessiamo di non avere soluzioni facili e sicure. Siamo però dell’avviso che l’aggregazione a istituti religiosi sarà in prima istanza promossa dal modo stesso in cui questi sapranno riaffermare la propria valenza rispetto alle attese spirituali della nostra società in trasformazione e ai ministeri che urgono nella chiesa di Dio. E in una società che rincorre se stessa verso novità inedite di forme sociali, di costume e di pensiero alieno dai modelli di tradizione cristiana, l’Ordine domenicano può riasserire la propria validità nella misura in cui saprà ricostituire la propria vita interna e il proprio atto apostolico in risposta a nuove domande d’evangelizzazione del nostro paese. In altre parole, ci sembra che l’aderenza e l’urgenza con cui la nostra comunità domenicana saprà rispondere agli appelli d’una nuova società e d’una nuova religiosità, ristabilirà il suo valore, e dunque la sua capacità di attrazione.

4. L’animazione e la promozione della vita intellettuale ci ha posto di fronte a delicati problemi. La diminuzione del personale e la chiusura dello Studium in molte province dell’Ordine, ha dato luogo a molteplici sforzi legislativi - dal capitolo generale di Madonna dell’Arco (1974) alla RSG (1975) ai capitoli generali di Quezon City (1977) e Walberberg (1980) - di creare nuovi istituti che surrogassero lo Studium provinciale nella promozione della vita intellettuale. Ne abbiamo tratto ispirazione; ma abbiamo tuttavia constatato la natura sperimentale, talvolta fluttuante, di tali tentativi. Il capitolo provinciale ha voluto centrare la propria attenzione nella riqualificazione del promotore provinciale degli studi, nel potenziamento degli organi di stampa - specie di Memorie domenicane e Vita sociale - e nella ricostituzione [non ricostruzione di ed.] d’un convento che, proprio come “communitas” (cf. W-196-197), divenisse supporto istituzionale e comunitario a un forte centro di vita intellettuale a servizio della evangelìzzazione secondo la più genuina tradizione domenicana. Siamo consapevoli che tali proposte hanno non poche ragioni di fragilità. La loro attuazione va ben oltre i tempi e i mezzi di cui dispone il capitolo provinciale. La provincia intera coi suoi organismi vi dovrà essere impegnata nell’immediato futuro.

In tale contesto si spiega, per esempio, il fatto che il Centro di diffusione e ricerca dottrinale, di cui abbiamo dovuto constatare l’impraticabilità, resti per il momento sospeso per quel che ne prevede lo statuto.

5. Una parola di speranza. Ci si imbatterà, scorrendo gli Atti, in ripetute confessioni di crisi. E certo non sarà l’apostolo, vigile a spiare i segni dei tempi, a voler negare i momenti delle vicende della fede esposti alla tentazione. Ma la speranza fa parte della medesima fede che scruta le insidie dell’oggi; essa custodisce le promesse della fede rimesse al domani. E segni di speranza non fanno difetto e nel mondo e nella chiesa. Le analisi che l’intelligenza della fede premette alla trasformazione e alla conversione fanno aggio alla speranza del domani. La ricostituzione delle nostre forme di vita, personali e comunitarie, in fedeltà alla predicazione del vangelo e al carisma di Domenico ci dà diritto alla speranza.


finis

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