L’itinerario di queste riflessioni è ben riscontrabile in un libro, l'Enciclopedia Giuridica, pubblicato da Filomusi nel 1873 e definito tra i “più geniali che ha prodotto la nostra cultura universitaria” (Capograssi, p. 381). Intanto a Roma veniva bandito il concorso a professore straordinario per la cattedra di Filosofia del diritto a cui Filomusi concorse e che vinse brillantemente presentando le sue pubblicazioni: Il processo civile contumaciale romano e una specifica dissertazione su La dottrina della Stato nell’antichità greca nei suoi rapporti con l’etica, un piccolo libretto, frutto di uno studio sulla dottrina dello Stato ricercata attraverso la speculazione dei pensatori greci, specialmente di Aristotele, per raccordarla alla speculazione moderna. Infatti l’intento dell’autore di trattare un tema di interesse non esclusivamente storico era chiaramente espresso nell’introduzione: “ …la dottrina della Stato comincia in Grecia. Il concetto organico dello Stato, restaurato nei tempi moderni, è concetto essenzialmente greco. Il bisogno della speculazione moderna non è un ritorno puro all’etica classica ma nuova coscienza della stessa affinché il pensiero moderno ne esca più pieno, completo e vivente” (p. 2). Insieme a questi lavori presentò anche la sua Enciclopedia Giuridica valutata in sede d’esame come l’opera migliore tra quelle prodotte al concorso. Concepita secondo un criterio panoramico e di totalità tipico delle trattazioni del tempo, essa concorreva con le altre enciclopedie – come quelle del Koheler e dell’Holtzendorff - allora pubblicate in Germania rivendicando il concetto di essa non nella meccanica unione di trattati di diritto naturale, di diritto civile,…, ma nella riproduzione organica e sistematica delle cognizioni fondamentali che formano il patrimonio giuridico di un dato popolo.
Essa provvede a riunire in tutto organico gli elementi fondamentali dei vari rami del diritto per svolgersi sotto l’influenza di un sistema filosofico senza il quale non è possibile elaborare una costruzione sistematica del saper giuridico. Essa compie la più alta sintesi alla quale la scienza può elevarsi poiché, assumendo il compito di raccogliere tutte le discipline, ne mostra l’intima connessione all’idea unica e organica del diritto. E’ la ‘scienza finale’ e come tale può essere vera propedeutica nella studio della materie giuridiche.
Tra le componenti che generarono in Filomusi una tale concezione dell’Enciclopedia e della sua utilità vi era l’influenza della interpretazione cosi detta storico-filosofica-dogmatica del diritto positivo dei “professori di Napoli” che egli ebbe come insegnanti. Tra questi Enrico Pessina che affermò l’importanza di una ‘nuova Enciclopedia’ quale sintesi e comparazione delle diverse indagini, terreno d’incontro e di scambio tra le scienze (Pessina, p. 61). Ma le questioni circa l’Enciclopedia come scienza non andavano poi disgiunte da quelle riguardanti l’Enciclopedia come disciplina, inizialmente impartita nell’Università e poi abolita dagli ordinamenti didattici. C’è da dire comunque che come insegnamento introduttivo agli studi giuridici essa ebbe nel testo di Filomusi il suo libro fondamentale. Infatti l’insegnamento imposto dal regolamento Borghi nel 1875, convinse Filomusi a svolgere un apposito corso – come risulta da un opuscolo da lui pubblicato Enciclopedia e Filosofia del diritto. Schema delle lezioni dettate nella Regia Università di Roma – e per conseguenza, ad approfondire e corredare gradualmente la sua Enciclopedia che ebbe sette edizioni. Prescindendo ora dalle diverse edizioni per tornare all’Enciclopedia Giuridica in sé e per sé bisogna dire che per Filomusi essa era, prima di tutto, una prospettiva da cui comprendere tutto il diritto e, attraverso di esso, la vita (Piovani, p. 244, 247). Come dire, una modalità per apprendere tutta la materia giuridica movendo dal concetto tradizionale dell’unità del diritto. L’intenzione infatti di cogliere il rapporto tra il diritto e la vita sottende tutta l’opera, senza annullarsi nelle definizioni tecniche. Nella trattazione dei vari istituti come la famiglia, il testamento, il possesso si tiene in conto la persona nella sua volontà. Essa nelle azioni che compie realizza il diritto, dando concretezza e autenticità agli istituti giuridici senza mai dissolversi in una storia universale, superiore che annulli la sua individualità. Anche la Stato deve rimanere sempre all’altezza dell’uomo, promovendo e garantendo con le sue leggi l’individuo nelle varie sfere in cui si esplica la sua libertà.
Con la prolusione Del concetto del diritto naturale e del diritto positivo nella storia della Filosofia del diritto, il 6 dicembre 1873, Filomusi aprì il suo primo corso di Filosofia del diritto nella facoltà giuridica di Roma. Qui la sua attività scientifica giungeva a conoscere una nuova stagione, a motivo anche dei colleghi avuti e delle amicizie coltivate tra personalità che ebbero responsabilità nella vita giuridica e politica dell’Italia post-risorgimentale. Tra di esse anche Pasquale Stanislao Mancini, Preside della facoltà (1873-1876), poi Ministro di Grazia e Giustizia. Filomusi ricordava come ebbe da lui sostegno nei primi anni di insegnamento nonché stimolo alle questioni di legislazione che allora si agitavano in Parlamento. In modo particolare, quelle relative ai lavori di preparazione per l’unificazione legislativa nel diritto penale. Diversi erano i progetti sul nuovo codice penale allora in discussione al Senato e Filomusi, su suggerimento di Mancini, curò uno studio propositivo sul progetto del 1874, Delle condizioni che escludono o diminuiscono l’imputabilità, riguardante la problematica delle attenuanti generiche, tema allora collegato alla questione della abolizione della pena capitale. Sempre nel contesto dell’interesse alle problematiche sulle riforme legislative si ascrive una sua monografia, Il Matrimonio religioso e il diritto, nella quale vengono affrontate le questioni controverse riguardanti la precedenza del Matrimonio civile rispetto a quello religioso, toccando anche la delicata problematica dei rapporti tra Stato e Chiesa. Ma riguardo a Mancini si deve riconoscere come Filomusi torni spesso a valersi dei suoi suggerimenti: così in materia di usi civici e nelle materie di diritto internazionale pubblico e privato alle quali rivolse un’attenzione quasi costante, spinto dall’idea che l’attività giuridica non potesse prescindere dalla cooperazione scientifica tra i giuristi europei e degli altri continenti. Perciò i corsi universitari da lui dettati erano nutriti di riferimenti interdisciplinari e di ampi confronti con le elaborazioni straniere. E questo per meglio educare all’indagine e alla critica i suoi studenti, alcuni dei quali spesso impegnati anche nel lavoro di litografia o di stampa delle dispense. Infatti le Lezioni di filosofia del diritto dell’anno accademico 1876-1877, uscirono in forma di dispense litografiche e furono così riprodotte parecchie volte con l’aggiunta di supplementi - semplici stralci dell’Enciclopedia Giuridica - a cura degli studenti ( poi pubblicate nel 1949 insieme ad altri scritti in un volume unico, Lezioni e Saggi di Filosofia del Diritto, a cura di Giorgio Del Vecchio e ripubblicate dallo stesso editore nel 1992).
Intanto nel 1878 sopraggiungeva la nomina a professore ordinario. Il suo insegnamento – nel dilagare del positivismo e della crisi della filosofia come disciplina - insisteva sulla necessità di rendere la scienza giuridica e la filosofia del diritto complementari al fine di cogliere in una visione unitaria e organica il problema del diritto. A questo compito egli orientò gli anni dell’insegnamento filosofico e poi anche di quello civilistico al quale fu chiamato - per voto unanime della facoltà giuridica - dopo la scomparsa del prof. Pacifici Mazzoni. Accettò, pur non senza esitazione, credendo che “.. nello stato degli studi di diritto civile in quel tempo, la sua opera potesse essere più utile in quel campo che nella filosofia del diritto...” (Scialoja, Ricordo..., p. 14).
In realtà, lo stesso insegnamento di Pacifici Mazzoni non era stato lontano dalla esigenza di dare agli studi civilistici una nuova espansione anzi, nelle sue Istituzioni di diritto civile italiano si intuiva molto bene la necessità di abbandonare il metodo esegetico per favorire l'apertura alle metodologie sistematiche.
La discussione che si animò tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del secolo successivo intorno ai procedimenti più adatti nell’interpretazione del codice, rivelava la necessità di un nuovo metodo di studio su cui fondare una scuola nazionale di diritto civile e poter stabilire un nuovo rapporto tra scienza giuridica e testo di legge, tra diritto civile e codice civile. Questo dibattito - il cui approdo fu appunto l’indicazione del sistema in luogo dell’esegesi - rappresentò anche un confronto di più ampio respiro tra le correnti del sapere giuridico, una svolta decisiva per il cammino della scienza giuridica italiana.
Filomusi, condividendo l’intento su cui si fondavano i vari interventi diretti a risollevare le sorti degli studi civilistici, nella prolusione su La codificazione civile e le idee moderne che ad essa si riferiscono sosteneva che all’esigenza di “una riforma del metodo di trattazione” non fosse estraneo il bisogno di una riforma della legislazione al cui fine devono concorrere “le variazioni fondamentali nella concezione del diritto e dello Stato ... finora non valutate in rapporto al concetto e ai limiti di un codice civile” (p. 184, 185, 191). Proprio la consapevolezza di tale concorso poteva far fronte alle modificazioni che si andavano delineando nel concreto, contribuendo alla interpretazione dei processi economico-sociali e alla determinazione del loro assetto giuridico. Muovendo dalla nozione kantiana dello Stato di diritto lasciava notare quanto essa non fosse più rispondente al moderno orizzonte statuale, a causa della presenza del “ concetto moderno di società… Le meravigliose forme di associazione moderna sorte nell’impulso dei bisogni delle infime classi, e specialmente delle classi operaie, danno origine a numerosi rapporti personali ed economici che mal si adattano nella categoria storica del diritto privato e del diritto pubblico” (p. 198-201).
Soltanto uno Stato che non si limita a garantire ma bensì promuove, nelle forme e nei limiti posti dal dalla legge, tutti i fini della società umana può, grazie alle sue più larghe funzioni, investire la non chiara e definita serie dei rapporti sociali. Ed è su una funzione dello Stato, l’azione amministrativa o 'amministrazione sociale' che deve misurarsi la categoria dei diritti sociali fatta oggetto di una legislazione speciale molto sviluppata soprattutto in Europa, in Inghilterra e che, in modesti tentativi cominciava in quel periodo a fare capolino anche in Italia.
La 'tendenza sociale' nella legislazione non può essere negata anzi, “procedendo dapprima per singole leggi, essa potrà in seguito elevarsi anche ad una sintesi, come una specie di codificazione, che stia accanto al codice di diritto privato e che con esso si armonizzi” (p. 205).
In ordine allora alle questioni metodologiche, la sua convinzione si delineava chiaramente: “... è bene che nella legislazione di diritto privato vi sia un punto fermo ... e che il Codice civile nelle sue linee generali debba rimanere invariato”. E' alle vedute sistematiche della scienza giuridica - non legata al sistema legislativo - che spetta di preparare le riforme e “ rannodare all'esposizione fondamentale degli istituti la serie dei rapporti che ad essi si connettono, attinenti alla legislazione sociale e a qualunque altro ramo della vita giuridica” (p. 206).
Non assumendo come proprio l'ordine seguito dal legislatore, il sistema si svolge e si costruisce secondo criteri autonomi: l'esegesi e la costruzione dommatica. La prima, sempre necessaria, è fecondata dall'esame storico degli istituti perché il sistema giuridico non si perda in un astratto schematismo logico. Necessaria e insieme preliminare, l'esegesi puntuale richiede l'ausilio della filosofia per l'apporto dei concetti generali e dei nessi organici affinché le norme vigenti possano ordinarsi a sistema.
Concretamente, il contemperamento di questi criteri nel quadro dell'unità assoluta e filosofica del diritto, è attestato nei numerosi corsi di diritto civile dettati da Filomusi nell'Ateneo romano. Interessanti a proposito quelli sui diritti reali e sulle successioni.
Spesso i corsi venivano completati da appendici o sussidi contenenti note a sentenze oppure contributi già prima pubblicati in altri periodici. Da qui anche la ‘speciale ammirazione’ che come docente egli seppe suscitare nei suoi allievi, tra i quali anche il Principe ereditario Vittorio Emanuele III del quale divenne precettore nel 1889 per incarico del Re Umberto. Correlati poi al suo insegnamento risultano essere i contributi su diverse questioni di legislazione nonché il suo interesse alle problematiche sulla riforma dell’Università.
Rispondendo all’appello del Ministro Boselli entrò a far parte, nel 1889, di una “Commissione per lo studio di un nuovo regolamento universitario” sostenendo la necessità di un ritorno al principio della libertà di scienza.
Successivamente, nel 1906, dopo la morte di Icilio Vanni, nonostante le sue difficili condizioni di salute, riprese per incarico la cattedra di Filosofia del diritto che tenne insieme a quella di Diritto Civile, fino alla fine della sua carriera accademica.
Furono soprattutto le sue motivazioni ideali a spingerlo nella difesa di principi e nella proposta di riforme di contenuto etico, in particolare per quanto riguarda il matrimonio e la sua indissolubilità, la filiazione, la ricerca della paternità nonché la custodia della famiglia in quanto tale, negli anni in cui vi era il dibattito su queste problematiche in ambienti non solo giuridici ma della cultura in genere. La tendenza sociale nella legislazione prendeva corpo in modo sempre più progressivo trovando nei gruppi sociali emergenti il suo oggetto privilegiato. La funzione sociale della proprietà, le figure contrattuali nascenti dallo ‘spirito di associazione’ moderno, il contratto di lavoro sarebbero stati i lineamenti della legislazione rinnovata. E questo orizzonte guidava la sua riflessione anche quando, nel 1902, contribuì ai lavori della “Commissione per un provvedimento legislativo sul contratto giornalistico”, istituita dalla Associazione della Stampa periodica italiana che ne affidò la presidenza a Luigi Luzzatti. E sempre sotto la presidenza di Luzzatti intervenne, nel 1904, ai lavori della “Commissione Reale per la conversione del debito oneroso sulle terre”, promuovendo uno studio sulla riforma dell'istituto della trascrizione, già informato in Germania sul sistema dei libri fondiarii. Prese parte alla “Commissione per la riforma della legislazione di diritto privato” istituita nel settembre del 1906 da Gallo, Ministro di Grazia e Giustizia nel Governo Giolitti. Partecipò anche ad una Commissione analoga successivamente istituita da Scialoja per la predisposizione di tre disegni di legge sulla cittadinanza, sulla condizione dei figli naturali e sulla trascrizione. Anche la vita politica lo coinvolse intensamente sebbene il suo orientamento politico non si avviò mai verso forme di attivismo vero e proprio. Infatti la sua presenza viene segnalata in quei contesti che sapevano più di confronto intellettuale che di chiara propaganda. Nel 1908, al Circolo Savoia in Roma, espose il suo concetto Sul programma di un nuovo partito conservatore riformista: pubblicato dalla Rassegna Nazionale, rivista fiorentina alla quale collaborava, restò solo uno schema di un partito nuovo che non si concretizzò. La stessa chiarezza ed energia ricorre nel discorso su Il compito dell’Italia nell’incivilimento dell’Africa settentrionale, letto nella sala del Consiglio Comunale di Chieti il 21 ottobre 1911.
Il suo pensiero sembrava percorrere un itinerario che, partendo dallo studio del diritto, poneva attenzione alla società e alle istanze che interpellavano le strutture statali. E su di esse fermò il suo interesse, grazie anche a Silvio Spaventa che conobbe personalmente e alla scuola del quale si ispirò per la concezione dello Stato. Il 20 maggio 1884 Filomusi parlò di lui in una commemorazione promossa dalla locale Associazione Abruzzese, associazione di cui diverrà presidente dopo la morte di Spaventa.
In realtà la presenza di questa figura non fu per lui un incontro episodico bensì un confronto continuo che segnò la sua riflessione più matura. Già nell’Enciclopedia Giuridica era presente l’interesse per lo studio dello Stato e la percezione delle forti trasformazioni vissute dalle istituzioni tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento (p. 15-17,32-34,447 ss.). Ma richiamando la lezione spaventiana egli si avvicinò in modo più significativo alle cause della crisi dello Stato, orientando il suo studio non tanto all’elaborazione di una teoria generale quanto al fine di una maggiore comprensione della nuova realtà divenuta più complessa. La sua analisi partiva dall’ormai noto concetto dello ‘Stato di diritto’, che nella concezione di Silvio Spaventa superava la definizione kantiana di Stato di sicurezza, di uno Stato tutore dei diritti, per diventare promotore, secondo la legge, della vita dei singoli e della società. “Lo Stato moderno – precisava Filomusi ricollegandosi alle considerazioni di Spaventa - è veramente ‘Stato di diritto’ ma in senso più elevato che in Kant.... Esso, per dirla con le parole di Stahl, deve determinare esattamente ed inviolabilmente assicurare nella forma del diritto, tanto la via e i limiti della sua attività, quanto la libera sfera dei suoi cittadini ... . Questo è il concetto dello Stato di diritto, e non che lo Stato attui solo l’ordine giuridico senza scopi amministrativi, … . ‘Stato di diritto’ non designa lo scopo o il contenuto dello Stato, ma solo la forma ed il carattere con cui lo scopo si realizza” (p. 487,489). Infatti lo Stato ha altri compiti oltre alla semplice tutela del diritto dei singoli ma nessuno di essi può essere adempiuto prescindendo dalla legge. Anzi, più propriamente, questa diventa il mezzo attraverso cui prende forma concreta l’intima natura dello Stato. Essa è una natura etica in quanto etici sono i suoi compiti, quelli diretti all’attuazione del ‘benessere’ e della ‘civiltà’ (p. 457-458). E lo Stato li attua pienamente nel momento in cui accoglie le concrete esigenze di libertà e di autonomia, impegnando la sua azione al superamento continuo dei profitti individuali e dei particolarismi di classe. Si delineava così il fondamentale concetto di ‘Stato etico’, concetto che trovava in Hegel o meglio, nell’hegelismo di Bertrando Spaventa e della tradizione giuridica meridionale le sue origini, i suoi schemi. “La forza e l’autorità vera degli Stati - dirà Silvio Spaventa parlando alla Camera dei Deputati - consiste, oggi più che mai, nel rappresentare veramente ed efficacemente gli interessi comuni; nel dirigere la società … per le sue vie, non a pro di questa o di quella classe, di questo o di quell’uomo ma sibbene di tutti ...” (Spaventa S., Dicorso alla Camera ..., p. 423 ss). Una società democratica ha delle esigenze che impongono allo Stato un numero sempre maggiore di servizi e uffici. E’ dunque, sul terreno nuovo dell’amministrazione e non su quello della costituzione che debbono misurarsi le libertà dei singoli e dei gruppi: “... la libertà oggi deve cercarsi non tanto nella costituzione e nelle leggi politiche, quanto nell’amministrazione e nelle leggi amministrative” affinché “... nella vita degli Stati moderni, dove gli uomini sono collegati sempre più da nuovi rapporti di diritto pubblico tra loro, ogni interesse trovi uguale ed efficacia realizzazione” (Ivi, p. 23). Questa la misura di una ‘amministrazione comune’ quale attuazione delle libertà e dei diversi scopi sociali già previsti dalla legge.
Se si esaminano gli scritti di Filomusi - anche quelli costituiti da appunti e schemi di lezioni universitarie - si coglie il carattere di estrema apertura del suo pensiero verso le vicende del momento. Egli è tra chi vede chiaramente un fenomeno che era allora allo stato iniziale e cioè, l’emergere progressivo del ruolo centrale della pubblica amministrazione: la legge 20 marzo 1865 n. 2248 nei suoi allegati ne sarà una conferma, attribuendo potestà discrezionali alle autorità amministrative centrali e periferiche. Il crescente ampliamento dell’intervento e dell’azione statale riproponeva dunque.in modo consistente, la domanda di giustizia. Quale “studioso imparziale dei fenomeni sociali” (Beneduce P., p. 73), egli sapeva che, nei sistemi di governo parlamentare così detti di partito - sistemi maggiormente esposti all’esercizio arbitrario del potere - il rimedio all’abuso dei congegni della pubblica amministrazione poteva aversi in una legislazione amministrativa che determinasse le condizioni e i limiti del potere amministrativo.
La proposta di Silvio Spaventa di sottoporre ad una revisione le norme proprie dell’amministrazione, per vedere se esse rispondessero alle istanze garantiste (Spaventa S., Discorso alla Camera ..., p. 8, 12, 15 ss), appare a Filomusi come la risposta all’esigenza di giustizia nell’amministrazione. Infatti nella Enciclopedia Giuridica veniva appunto affermata la necessità che l’attività amministrativa operi entro i limiti stabiliti dalla legge sottolineando, nel contempo, l’esigenza di organizzare “una funzione che serva come di controllo imparziale negli atti di amministrazione e giudichi della loro conformità alle leggi” (p. 634). Sono parole che porteranno a delineare un’aspetto tutt’altro che irrilevante della riflessione del giurista abruzzese ma che trovano, negli ambiti e nelle proporzioni dell’Enciclopedia come in diversi interventi nelle pubblicazioni periodiche, il luogo adeguato ove egli partecipa e riflette gli aspetti del movimento dottrinario che caratterizzò la nascita della nostra giustizia amministrativa, in quell’insieme di riferimenti teorici e politici che portarono alla legge 31 marzo 1889 n. 5992 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato.
Il 26 gennaio 1910 Filomusi fu nominato Senatore del Regno: tale nomina coronò la sua opera di studioso. Assiduo nel partecipare ai lavori parlamentari, pronunciò numerosi e svariati discorsi, intervenendo sulle questioni più disparate, comprese quelle sulla organizzazione del Notariato e del Bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione, sostenne vari progetti di legge, in modo speciale, quelli attinenti al diritto di famiglia e ad un nuovo riassetto dei suoi istituti. Le problematiche poi di diritto pubblico interessarono la sua attività al Senato intorno ai temi nodali della giustizia amministrativa, della disciplina delle Ferrovie e dei servizi pubblici di trasporto, del nuovo regime di identificazione e utilizzazione delle acque. Anche il dibattito sul riordinamento degli studi, in particolare quelli universitari, trovò un apporto nei suoi contributi.
Quando si trattò di sensibilizzare le istituzioni alla tutela e alla promozione dell’arte, più di una volta, dalle aule del Senato egli fece appello al Ministro competente per ottenere un intervento economicamente efficace a tutela dei monumenti dell’Arte italiana facendosi portavoce, in modo particolare, degli interessi della “Associazione per la Cultura Artistica Nazionale”, associazione di cui era membro.
Sollecitò un nuovo intervento dello Stato anche sulla allora tanto dibattuta questione dei Cataloghi delle cose di interesse storico, artistico, archeologico sostenendo la ferma necessità di cataloghi completi per gli oggetti d’arte, per i beni mobili e immobili del nostro paese aventi carattere artistico o storico.
L’attività svolta come Senatore si accompagnò agli ultimi anni di insegnamento e a quelli successivi al suo collocamento al riposo, avvenuto nel 1917. E proprio in questo anno, segnato dalla perdita della moglie, Caterina dei marchesi Castiglione, la sua Enciclopedia Giuridica raggiunse la settima ed ultima edizione. Fu anche nominato membro supplente della Commissione permanente d'Accusa presso l'alta Corte di Giustizia.
Nel 1918 ricevette inoltre, la nomina di Commendatore nell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, nomina che si aggiunse ad altri titoli e onorificenze ottenuti durante la sua vita.
L’ultimo suo scritto, di carattere filosofico, fu Verum ipsum factum, un articolo dettato nel maggio del 1921 per la Rivista Internazionale di Filosofia del diritto. Quest’articolo, che attesta la profonda stima nutrita per Vico, mostra come tutta la riflessione di Filomusi si sia sempre raccordata ai fondamenti originari del suo pensiero. Lo scritto si chiude infatti con queste parole: “ Come dice Bertrando Spaventa, lo sviluppo è ‘moto’ o ‘movimento’; e con l’idea del movimento io determinai lo sviluppo del diritto naturale e del diritto positivo in una triplice forma di movimento: ‘movimento ideale’, ‘movimento psicologico’, ‘movimento storico’. Così io dissi nella mia prolusione alle lezioni di Filosofia del diritto nel dicembre del 1873 ed a tale concetto mi sono mantenuto e nei libri e nell’insegnamento. Secondo il mio sistema e con tali presupposti ne risulta una Filosofia del diritto data da un ‘idealismo reale e concreto’, o con altri termini da un ‘realismo ideale’ ” (p. 214).
Morì a Tocco Casauria il 22 ottobre 1922.