[f. 40] Sesta regola, detta «linea trasversale» e «capitan terzo» o «nominativo terzo». Questa regola è la migliore di tutte e più si mette in uso, però sarà da me dichiarata lungamente: la nomino «linea trasversale» perché va atraverso sì per le piazze e vie e chiese o in altri siti che habbino che forme si voglino, o quadrangolare o sest’angolare o ottangolare, non inporta perché con questa regola si loca bene in tutti i luoghi, come si vedrà benissimo nelli esempli addotti da me qui di sotto, detti chiaramente perché sieno intesi da tutti; e se qualche volta apparirà ch’io replichi le medesime cose, lo fo per maggiore intelligenza di quei che leggeranno questa nostra opera.
In prima voglio locare in una camera piccola o cella detta da’ padri domenicani, un bel concetto di Job quando egli disse le sei miserie dell’huomo [Iob 14, 1-2] e prima: «homo natus de muliere» [Iob 14, 1]; seconda «brevi vivens tempore» [Iob 14, 1]; terza «repletur multis miserijs» [Iob 14, 1]; quarta «qui quasi flos egreditur e(t) conteritur» [Iob 14, 2]; quinta «et fugit velut unbra» [Iob 14, 2]; sesta «et nunquam in eodem statu permanet» [Iob 14, 2].
La prima miseria, metto mia madre che mi ha partorito e loco alla porta della camera e però dico: «homo natus de muliere», che è la prima miseria. Le seconda miseria, locata alla prima cantonata un vecchio pieno di brevi e di’: «brevi vivens tempore». All’altarino che segue a mano ritta, vi metterai un infermo ripieno di piaghe dal capo fino a’piedi e dirai la terza miseria: «repletur multis miserijs». Alla seconda cantonata vi metterai la tua sorella, adornata di vaghi e bei fiori che presto si guastano, e però dirai la quarta miseria dell’huomo: «qui quasi flos egreditur e conteritur». Alla finestra che segue vi metterai un tuo amico con un onbrello in [f. 40v] mano per star sotto l’onbra per non essere offeso dal sole e però dirai la quarta miseria: «e(t) fugit velut unbra». Alla cantonata che segue vi metterai un gran cortigiano che non istà sempre in grazia del suo signore ma tal volta si vede perdere la grazia e la vita insieme, però tu di’ la sesta miseria de l’huomo: «e(t) nunquam in eodem statu permanet».
Adesso voglio dire le sei miserie de l’huomo senza nominare figure né luoghi e però dico: prima «homo natus de muliere», secondo «brevi vivens tempore», terzo «repletur multis miserij», quarto «qui quasi flos egreditur e conteritur et fugit», quinto «velut unbra», sesto «et nunquam in eodem statu permanet».
Hora nomino le sei miserie dell’huomo a rovescio cominciandomi dall’ultima cantonata della nostra camera dove lasciai di locare la sesta miseria e dico: sesta «e(t) nunquam in eadem statu permanet», quinta «et fugit velut unbra», «qui quasi flos egreditur e conteritur», quarta; terza «repletur multis miserij», seconda «brevi vivens tempore», prima «homo natus de muliere».
Un’altro esemplo voglio mettere per linea traversale e voglio locare su una via di Firenze detta la «via della Scala», ch’è appo Santa Maria Novella, e mi comincio a man ritta a pigliar il primo luogo dove è il tabernacolo su il canto di detta via, e vi metto un religioso con la croce a.llato a detto tabernacolo e però dico prima «croce». Secondo luogho, piglio l’uscio della prima casa, che vi stanno i Casavecchi, e vi dipingo una grande stella rossa sopra la porta e però dico «stella rossa sopra la porta». Terzo luogho, dipingho sopra la porta di Messer Jacopo dal Borgho un gran sole d’oro e però dico «sol d’oro». Quarto, alla porta murata ch’andava giù al nostro convento di Santa Maria Novella, che vi è dipinto sopra una madonna con Iesù suo figluolo in braccio fatto dalla nobilissima [f. 41] casa de gl’Acciaiuoli, che vi si vede ancora l’arme di detta famiglia scolpita, vi metto un duca di quella famiglia che tiene in mano un bel vaso d’oro pieno di bei fiori e però dico nel quarto luogo «vaso». Alla porta della chiesa delle donne mal maritate fo una bella porta di porfido et dico nel quinto luogo «porta». Alla porta del giardino che fu già de’ Bartolini vi fo un monte d’ariento inmaginatoriamente e dico nel sesto luogo «monte». Alla porta della chiesa delle reverende monache di Ripoli vi dipingo un bell’oriolo, però dico nel settimo luogo «oriolo». Alla porta che va nel convento di detto monasterio vi metto un fattor loro che legge un libro et ha gl’occhiali perché ha cattiva vista, però dico nel settimo luogo «occhiali». Alla porta dell’ultime case di Ripoli, appresso alla fognia, vi metterò uno astrolago con un paio di seste grandi in mano, però dico ne l’ottavo luogo «sete». Al fornire dell’orto di Ripoli, sul cantone, ci metto un huomo d’arme con una mazza ferrata in mano, però dico nel nono luogo «mazza ferrata». Su il canto adirinpetto, che vi è il muro delle reverende monache di Santa Maria, vi metto un pastore che tosa le pecore con le forbice, e però dico nel decimo luogo «forbice». Alla porta prima che si trova, che va nell’orto de’ Signori Acciaiuolo, vi metto Santa Barbera con una torre in mano e però dico nel decimo luogo «torre». Alla porta dell’orto de’ senplici di detto Signore Alessandro Acciuaiuoli, vi metto un bel martello che serva per picchiare accioché il giardiniere senta, però dico nel duodecimo luogo «martello». Alla prima casa che si trova vi metto un canpana grande, però dico nel tredecimo luogo «canpana». Alla via piccola che si trova a man ritta, che non ha uscita, vi metto un tanburino che suona il tanburo [f. 41v], però dico nel quarto decimo luogo «tanburo». All’ultima casa di quei tessitori metto un alfiere del Conte di Petigliano con l’insegna in mano e però dico nel quinto decimo luogo «bandiera». Alla porta del giardino de’ Rucellai vi metto uno di quella nobil’ famiglia che legge un libro, però dico «libro». Nel decimo settimo luogo, su il canto di via Polverosa, vi metto un tronbettier che suona, però dico nel decimo ottavo luogo «tronbettiere». Su il canto del monasterio delle monache di San Martino vi metto una vedova che vadia a visitare una sua figliuola, però dico nel decimo nono luogo «vedova». Alla porta piccola vi metto un confessoro di detto monasterio che dice l’uffizio, però dico nel vigesimo «confessoro». Alla porta del parlatorio vi metto un dottore che vadia a parlare a una sua sorella monaca, però dico nel vigesimo primo luogo «dottore». Alla porta dove sta il fattore di detto monasterio vi metto un loro ortolano, però dico nel vigesimo secondo luogo «ortolano». Nel mezzo della via dell’Albero vi metto un Turcho, però dico nel vigesimo terzo luogo «Turcho». Nella via de’ Canacci vi metto un can corso, però dico nel vigesimo quarto luogo «corso». Nel mezzo della via Benedetta vi metto una bella nicchia di porfido e locovi sopra un san Benedetto, però dico nel vigesimo quinto luogo «san Benedetto». Nel mezzo di via Porcella vi loco un san Paulo sopra una gran colonna, però dico nel vigesimo sesto luogo, dico «san Paulo». Per ultimo, su la cantonata che comincia la loggia dello spedale vi loco dui santi, san Domenico et san Francesco, perché sono sopra la porta della chiesa dipinti del detto monasterio et ecco che ho locate varie cose per una via publica. Tu puoi locare in tutte le vie e strade che ti sieno note e locare ciò che a te piace.
Voglio dire adesso i nomi ch’ho locato senza i luoghi e figure cominciandomi [f. 42] a man ritta e dico: prima «croce», secondo «stella», terzo «sole», quarto «vaso», quinto «porta», sesto «monte», settimo «oriolo», ottavo «occhiali», nono «seste», decimo «mazza ferrata», undecimo «forbice», duodecimo «torre», tredecimo «martello», quarto decimo «canpana», quinto decimo «tanburo», sesto decimo «bandiera», decimo settimo «libro», decimo ottavo «tronbettiere», decimo nono «vedova», vigesimo confessore», vigesimo primo «dottore», vigesimo secondo «ortolano», vigesimo terzo «Turcho», vigesimo quarto «can corso», vigesimo quinto «san Benedetto», vigesimo sesto «san Paulo», vigesimo settimo «san Domenico et san Francesco».
Hora voglio nominare questi nomi a rovescio cominciandomi a man sinistra et rigirare tutta la via della Scala e dico: vigesimo settimo «san Domenico e san Francesco», vigesimo sesto «san Pagolo», vigesimo quinto «san Benedetto», vigesimo quarto «can corso», vigesimo quarto, anzi terzo «Turco», vigesimo secondo «ortolano», vigesimo primo «dottore», vigesimo «confessoro», decimo nono «confessoro», decimo ottavo «tronbettiere», decimo settimo «libro», decimo sesto «bandiera», decimo quinto «tanburino», decimo quarto «canpana», decimo terzo «martello», duodecimo «torre», undecimo «forbice», decimo «mazza ferrata», nono «seste», otto «occhiali», settimo «oriolo», sesto «monte», quinto «porta», quarto «vaso», terzo «sole», secondo «stella», primo «croce». Io ho locati questi ventisette nomi in via della Scala per via d’esempio ma io, quando vi loco in detta via della Scala, piglio più di ottanta luoghi.
Tu adunque, benigno lettore, puoi locare nelle vie a te note con poca distanza da un luogo a un altro quanto a te piace o che da un luogo a un altro vi sia otto braccia e meno non inporta, purché i luoghi che tu pigli ti sien noti e ti muovino a te per che a.mme muove un uscio d’una porta, un tabernacolo, a te un’altra cosa [f. 42v]; fa a tuo modo purché tenghi a mente tutte le cose che inpari per memoria locale.
Adesso voglio locare in una piazza di Firenze nota a tutti della città, che sarà la piazza del Gran Duca, et in detta piazza voglio locare tutti i frutti o alberi che tengono sempre mai le foglie verdeggiante, sì il verno come la state, et incomincio a locare alla chiesa di santo Romolo e nel mezzo di detta chiesa e su la porta vi metto un gran palma e però dico: prima «palma», perché santo Romolo la riscieve mediante il Santo Martirio. Alla porta del reverendo prete che ha la cura di detta chiesa ci metto il cefaglione o la palma umile detta, che fa datteri come ulive, e questi cefaglioni sono nel chiostro di Santa Maria Novella e così nel cimitero di detto convento e però dico nel secondo luogo «cefaglione o palma umile». Su la cantonata che segue vi metto un gran vaso d’aranci, però dico nel terzo luogo «aranci». Al primo banderio che è adirinpetto, dove si raguna la Conpagnia onorata della Lisena, vi metto un vaso di mortelle perché i Lesinanti adoperano in canbio di pepe le coccole di mortella per spender poco, però dico nel quarto luogo «mortelle». Alla bottegha che segue, che vi sta un banderaio, vi metto un vaso di cederni, però dico nel quinto luogo «cederni». Su il canto di Calimaruzza vi loco un grand’alloro, però dico nel sesto luogo «alloro». Sotto il tetto de’ Pisani alla via che va a Santa Cecilia vi metto un bel vaso di limone, però dico nel settimo luogo «limone». Su il canto di Vacchereccia vi metto un albero detto «pome d’Adamo», però dico ne l’ottavo luogo «pome d’Adamo». Alla prima bottegha che oggi vi sta un merciaio sotto le case de’ Baroncelli vi metto un gran cipresso, però dico nel nono luogo «cipressso». Alla bottegha che segue vi [f. 43] metto un corbezzolo e però dico nel decimo luogo «corbezzolo». Nel mezzo della via detto oggi «Chiasso di Messer Bivigliano» vi metto un ginepro, però dico ne l’undecimo luogo «ginepro». Alla prima colonna della Loggia de’ Signori vi metto un gran pino e però dico nel duodecimo luogho «pino». Alle statue di marmo delle Sabine tolte vi metto un albero detto «sabina» e però dico nel tredecimo luogo «sabina». Alla seconda che segue di detta Loggia vi metto un bell’abeto verdeggiante, però dico nel quarto decimo luogo «abeto». Alla terza colonna vi metto un leccio, però dico nel decimo quarto luogo «leccio». Al Perseo che seguita a man ritta vi metto una guglia di bossolo, però dico nel decimo sesto luogo «bossolo». Alla quarta colonna della loggia vi metto un grand’ulivo al ferro, dove s’usa il prima di maggio porsi per allegrezza, e però dico al decimo settimo luogo «ulivo». Alla statua del Bandinello vi metto un albero domandato «melangolo», però dico al decimo ottavo luogo «melangolo». Alla statua piccola di marmo che tiene la catena vi metto una pianta grande di lentaggine e però dico al decimo nono luogo «lentaggine». Nel mezzo della porta del Palazzo del Gran Duca vi metto un albero bello detto «nasso», però dico al vigesimo luogo «nasso». Alla statua piccola dove si mette la catena vi metto una pianta di lentischio, però dico al vigesimo primo luogo «lentischio». Al gigante David un leandro, però dico al vigesimo secondo luogo «leandro». Al leone di piazza lo corono con una corona di lauro regio, però dico al vigesimo terzo luogo «lauro regio». Al gigante della fonte di piazza vi metto una gran pianta di sughero, però dico al vigesimo quarto luogo «sughero». Alla porta della dogana vi metto una pianta d’ [f. 43v] agrifoglio, però dico al vigesimo quinto luogo «agrifoglio». Alla porta principale dove stanno i maestri del sale vi metto una gran pianta di teron betico e però dico al vigesimo sesto luogo «teverion betico». Alla porta della Gabella de’ Contratti vi metto una pianta d’ulivastro e però dico al vigesimo settimo luogo «ulivastro». Su il canto della Condotta, che vi sta un barbiere, vi metto una grande scopa verdeggiante, però dico al vigesimo ottavo luogo «scopa». Alla porta della casa delli Uguccioni vi metto una pianta nobile che sempre tien la verzura, detta «pezzo», e però dico al vigesimo nono luogo «pezzo». Al canto che segue dov’è l’uffizio delle farine vi metto un gran ramerino e però dico al trigesimo luogo «ramerino». Alla cantonata che vi è dirimpetto una bottegha, vi metto una gran pianta d’ellera, però dico al trigesimo primo luogo «ellera». Alla porta piccola all’alato della chiesa di Santo Romolo, vi metto una pianta di mortella, però dico al trigesimo secondo luogo «mortella».
Ecco, benigno lettore, ch’io ho locato in questi trenta dui luoghi i nomi delli alberi o piante che sempre tengono le foglie verde; molti più luoghi arei potuto pigliare in detta piazza ma mi son contentato di questi pochi per mostrare che nelle piazze si può locare bene, come s’è detto di sopra.
Hora voglio dire tutti i sopra detti nomi senza figure e mi comincio dalla porta della chiesa di Santo Romolo e rigiro tutta la piazza a man ritta e dico nel primo luogo : «palma», nel secondo «cefaglione» o «palma umile», nel terzo «aranci», nel quarto «mortelle», nel quinto «cederno», nel sesto «alloro», nel settimo «limone», ne l’ottavo «pome d’Adamo», nel nono «cipresso», nel decimo «corbezzolo», ne l’undecimo «ginepro»; nel duodecimo «pino», nel tredecimo [f. 44] «sabina», nel quarto decimo «abeto», nel quinto decimo «leccio», nel sesto decimo «bossolo», nel decimo settimo «ulivastro», nel decimo ottavo «melangolo», nel decimo nono «lentaggine», nel vigesimo «nasso», nel vigesimo primo «lentischio», nel vigesimo secondo «leandro», nel vigesimo terzo «lauro regio», nel vigesimo quarto «sughero», nel vigesimo quinto «agrifoglio», nel vigesimo sesto «teverion betico», nel vigesimo settimo «ulivastro», nel vigesimo ottavo «scopa», nel vigesimo nono «pezzo», nel trigesimo «ramerino», nel trigesimo primo «ellera», nel trigesimo secondo «mortella».
Ora voglio dire il medesimo nominativo a rovescio e dico: trigesimo secundo luogo «mortelle», nel trigesimo primo «ellera», nel trigesimo «ramerino», nel vigesimo nono «pezzo», nel vigesimo ottavo «scopa», nel vigesimo settimo «ulivastro», nel vigesimo sesto «teverion betico», nel vigesimo quinto «agrifoglio», nel vigesimo quarto «sughero», nel vigesimo terzo «lauro regio», nel vigesimo secondo «leandro», nel vigesimo primo «lentischio», nel vigesimo «nasso», nel decimo nono «lentaggine», nel decimo ottavo «melangolo», nel decimo settimo «ulivo», nel decimo sesto «bossolo», nel decimo quinto «leccio», nel decimo quarto «abeto», nel decimo terzo «sabina», nel duodecimo «pino», ne l’undecimo «ginepro», nel decimo «corbezzolo», nel nono «cipresso», ne l’ottavo «pome d’Adamo», nel settimo «limone», nel sesto «alloro», nel quinto «lederno», nel quarto «mortella», nel terzo «arancio», nel secondo «cefaglione» o «pianta umile» e nel primo «palma».
[f. 46r] La settima regola ‹è› domandata da me «cibo»: non a caso, ma per la similitudine che c’è ne l’exercitarsi in questa memoria locale et inparare a mente molte cose in un dì. Noi sappiamo ch’è laudevol’usanza che ‹i› corpi nostri noi gli cibiamo più volte il dì, come se a dire la mattina pigliare un poco di greco con un poco di pasta reale et altre cose, venendo il mezzodì noi desiniamo mangiando lautamente molte vivande et beviamo varie sorti di vini, la sera similmente si cena honoratamente, meglio che non s’è desinato la mattina.
Ho preso questa similitudine di domandare questa settima regola «cibo» a dar ad intendere, sicome si divide il mangiar che facciamo il giorno più volte, così e non altrimenti si viene ad inparare per memoria locale e cibare noi stessi di virtù, perché potremo cibare i nostri corpi subito che sian’ levati e pigliare la colazione della mattina et insieme quel che haviamo a avere a desinare et a cena, ma agraveremo troppo i nostri stomachi; ma, dividendolo in più tempi del dì, non ci fa nocimento e non aggrava i nostri corpi. Così, avendo noi a inparare a mente per memoria locale dugento concetti il dì o dugento articoli di san Thommaso, se gli volessimo inparare a mente subito levati dal letto straccheremo troppo la memoria, sicome si viene a straccare e far male al corpo nostro a provedere tutto il cibo la mattina che debbiamo pigliare in tutto il giorno. In però tu, industrioso giovanetto, se vuoi imparar bene e con facilità, tien’ a mente questa mia settima regola che è questa: la mattina, quando tu ti lievi, se vuoi inparare a mente dugento concetti o dugento articoli, fa prima d’averli [f. 46v] scritti in un tuo libretto et avendogli messi tutti per via di numeri, incominciando da uno fino a dugento, così comincia a inparare a mente la mattina a buon’ora, dieci per volta. Così, per via d’esemplo, dieci la mattina subito che sei levato, dieci di quivi a un’hora, dieci avanti desinare, dieci doppo desinare, così va dividendo tutte l’hore del dì tanto che tu vadi alle quattro ore di notte.
Così, ogni giorno ti troverai avere inparato cento o dugento concetti, overo cento nomi di inperatori o pontefici e tutto quel che vorrai imparare, che a te sarà utilità grande, agl’altri arà stupore e maraviglia che tu sia sì universale in saper ragionar d’ogni cosa alla sprovista con tanta sicurtà et gentilezza che rapisci i cuori di tutti i virtuosi, poiché se si ragiona di fiumi reali del mondo et altri picoli tu gli nomini tutti, dicendo ancora tutte le città che sono appresso quelli; così ancora se si parla de’ pesci, tu gli nomini tutti per nome e dì la bontà di quegli; è bel ragionamento quello che si fa delle vaghe e belle pietre poiché adornano i capi de’ regi, le loro mani, così adornan similmente le spose loro et tu in un tratto nomini tutte le pietre preziose; così ancora tutte le pietre dure e tenere che si contengono nel nostro libro che ho fatto delle pietre; se tu vuoi, poi, inpari in tre dì a nominare con facilità tutte le piante, alberi, erbe e semplici che sono nell’Italia e questo lo farai con facilità se piglierai la Tavola Universale del nostro Secondo Libro che habbiamo fatto dell’Agricultura Esperimentata; così anco bel ragionamento farai ne’ banchetti e conviti dove vi sono gentilissime giovane et tue honorate parente insieme a mangiare con esso teco.
Adumque, trovandoti tu che hai memoria locale piglierai occasione [f. 47] di favellare de’bei fiori che sono su la tavola e per volere mostrare che in Firenze ci è più fiori belli e odoriferi et vaghi et in altre città, mercé del Gran Duca Francescho [1541-1587] et de’ suoi giardinieri e semplicisti, e in particular di Messer Giuseppo Fiammingho [1535-1595] che ne condusse di tante sorte alla Città del Giglio, come si può vedere nel nostro libro che habbiamo fatto de dodici mesi de l’anno, et ogni mese troverai per alfabeto tutti i fiori che vengono in ciaschedun mese. Di più, accioché ti habbi a inamorare de’ fiori e dilettarti d’essi, habbiamo fatto un altro libro dove in quello gli vedrai tutti dipinti con i suoi proprij colori insieme con i suoi rametti che hanno le foglie verdeggiante e detti fiori saranno di gran contento e spasso alle nostre carissime madre et amantissime sorelle, poscia che a loro indirizzo tal opera, sicome ho presentato ‹a› i lor figli studiosi di Lettere questo libro della memoria locale.
E per tornare a ragionare della nostra memoria locale, dico che sarebbe ben fatto che uno che vuol venir di gran memoria et esser nominato abbi assaissimi luoghi dove possa locare più cose con prestezza, come faceva il molto reverendo padre Francesco Panicarola, predicator rarissimo, dove dicon che egli aveva cento mila luoghi familiari, di più ne prese più di diecimila. Se tu andassi inmitando simil religioso virtuoso, la fama tua sarebbe celebre a tutto il mondo, che tu facessi a mio modo d’exercitarti in questa memoria locale, poiché tu puoi in un’hora, quando vuoi fare il tuo sforzo, inparare a mente tutte le piante delle quali favella Dioscoride [De Materia Medica] e questo è intervenuto a un dei miei carissimi compagni che ha questa memoria locale [f. 47v] che in un’ora ha inparato a mente un libro e io, per piacevolezza, gl’ho fatto un picciol dono.
Qui potrei nominare un fanciulletto piccolo che fa stupire tutti gl’ingegni rari, i quali l’hanno sentito dir tante cose a mente che egli ha inparato da me e le va ritenendo, che per ispasso molti signori lo desiderano vederlo; con ciò sia cosa che non sa a.ffattica leggere quelle cose che dice a mente per memoria locale siché di qui puoi vedere l’utilità grande che si ritrae da questo modo di inparare a mente più cose.
Qui voglio dir brevemente come ci doviamo exercitare a inparare a mente tutte queste cose cioè il libro come habbiamo detto de’ fiumi, delle pietre, delle pianti, de’ fiori, de’ semplici, de gl’animali terrestri, delli uccelli volatici; così saper nominare le provincie del mondo, le città famose d’esso; così ancora tutti i casati della tua città, i magistrati che sono in essa; così ancora nominare distintamente tutte l’arti che sono in quella. Se sei religioso puoi con gentilezza dir come la città magnifica di Firenze ha tante chiese, uffiziate con tanta magnificenza et honore et particolarmente il Duomo, che è sì bene uffiziato con tanti bei paramenti e ceri; si potrebbe qui dir del gran numero de’ signori canonici; altresì de’ reverendi cappellani e per dir brevemente è uffiziato benissimo con regal magnificenza quanto ogn’altro duomo sia in Cristianità. Poi aresti a nominare tutti i conventi de’monaci e de’ frati di diverse religioni che la città mantiene; così ancora tanti monasterij di venerande religiose. Potrei qui mostrare come la città di Firenze è stata, è, e sarà sempre religiosissima posciaché in questa si vegghino tanti hospitali si ben tenuti, così ancora [f. 48] ci sieno tanti luoghi pij, compagnie d’huomini; infino de’ giovanetti dove si allievano cristianamente e bene.
Ecco adumque, benigno lettore, che chi si exercita in questa memoria locale può mostrare a l’altre città le dignità, gl’honori che ha auto l’honorata città di Firenze. Se ti comincierai da’ sommi pontefici in fino a l’anno 1595, ne ha auti tre; d’essa ne è uscito quaranta dui cardinali. Non voglio nominare i gran patriarchi, arcivescovi, vescovi che sono usciti di questa nobilissima città andando per l’altre: con somma religiosità e divozione hanno retto i populi e governato con somma prudenza. Ma se vuoi, o benigno lettore, le dignità, gl’honori, i trofei che ha auto la tua città, leggi l’opera che ha fatto il molto reverendo padre monsignore Michele Poccianto, Fiorentino de l’Ordine de’ Servi [Catalogus scriptorum florentinorum omnis generis, Florentiae, apud Philippum Iuctam, 1589], e in quello vedrai scritto tutti i tuoi teologi fiorentini e tuoi scrittori, canonisti e filosofi, medici, dottori di legge (?), poetici, matematici, musici, dialetici, oratori, gramatici, comici, istoriografi et altri scrittori che, se per memoria locale tu gli saprai nominare a un proposito et ragionamento che fussi atto, mosterresti veramente d’essere universale et ogn’uno dependerebbe dalla tua bocca; stupore et maraviglia grande, ogn’un ne arebbe e in per te mosterresti le lodi grandi della tua città: il tutto farai se prenderai questa settima regola, detta da me «cibo», in dividere l’ore del giorno et in questo inparare come s’è detto di sopra.