poesie 2009 (2) |
Copyleft © Emilioweb settembre 2009 |
La Giustizia ormai è un sogno,
un’utopia,
così come la libertà.
Siamo tutti vittime e tutti schiavi
di un mondo banale e ingiusto,
dove le ali della libertà si sono spezzate,
dove non riusciamo più a sognare,
non riusciamo più a sperare
…dov’è la Giustizia?
In un innocente condannato?
In un uomo incatenato?
Io non conosco la Giustizia,
quella per cui si è tanto lottato,
quella per cui si è rinunciato
ai sogni della Libertà..!
Ho ascoltato le grida del silenzio:
erano dolci e disperate,
forti e delicate.
Pochi le ascoltano, e nessuno le cerca
…eppure sono lì,
dentro ognuno di noi
ed è quando parla il silenzio
che ascoltiamo la musica nel cuore,
quella vera,
che ci indica la strada da percorrere:
ciò che è bene e ciò che è male.
È il silenzio che ci sorprende nei nostri discorsi
e a volte ci esorta ad ascoltarlo.
Ma il mondo grida più forte
e noi siamo troppo disposti ad ascoltarlo!
La vita non è mai semplice per nessuno,
guai se così non fosse!
Non sapremmo cos’è il dolore
per conoscere la gioia;
non sapremmo cos’è il male
per conoscere il bene;
non sapremmo cos’è la morte
per conoscere ed apprezzare la vita,
con i suoi ostacoli e i suoi problemi
perché la vita è una continua lotta
ma se non avessimo gli ostacoli da superare
quale sarebbe lo scopo per cui viviamo?
Lacrime di perdono
Sei figlio di un ebreo e non hai colpa.
Sei figlio di un ebreo
e non devi provare dolore.
Sei figlio di un ebreo
e non devi piangere lacrime amare
per aver visto tuo padre
morire in un campo di concentramento
e tua madre spegnere la sua vita in una camera a gas.
Non devi provar rabbia, dolore e disprezzo:
devi solo perdonare e amare
perché sono loro
che “non sanno quel che fanno”.
Perdonali e dimostrerai la superiorità della tua razza.
Lettera di un condannato
Nella mia stanza
i giorni passano senza contarli.
O meglio, ho perso il conto:
non so più cosa provo, cosa voglio.
A mille domande, mille paure e dubbi
che affollano la mia mente
si alterna la rassegnazione.
Mi arrendo.
Cosa posso fare tra queste mura?
Niente!
Ho esaurito le mie forze, le mie preghiere,
le mie speranze.
Mi chiedo
come posso vivere ancora così?
Forse è meglio farla finita;
ripenso ai giorni passati,
quando guardavo il sole e non lo vedevo,
quando respiravo e non me ne accorgevo.
Chissà… forse la mia unica colpa
è stata quella di non apprezzare
ciò che il Signore ha fatto per me.
Non ho saputo apprezzarlo,
non ho saputo vivere,
non ho saputo assaporare il gusto della Libertà
…e apprezzare l’orgoglio di essere uomo.
Gli eroi
hanno fatto la storia dell’umanità!
Le loro gesta,
i grandi poeti hanno narrato
e i nostri sogni hanno popolato.
Oggi siamo tutti eroi della nostra vita,
perché ci vuole coraggio
per affrontare questa lotta continua.
Eroi lo siamo tutti,
nel nostro tempo,
a modo nostro,
con i nostri sogni!
Una luce nel buio
Quando uscirai da quel tunnel
ricordati di colui che ti ha amato
…e ancora ti aspetta.
Quando uscirai da quel pozzo profondo
ricordati di lei che ti aspettava ed è andata via.
Quando uscirai da quel baratro in cui sei caduto
ricordati di coloro che ti amano,
ti aspettano e sono lì a tenderti una mano
ma soprattutto ricordati che la tua vita
è lì che aspetta che tu ritorni al tuo mondo,
giusto o sbagliato che sia.
Quando uscirai da questo male,
perché tu uscirai,
ricordati che il sole è lì che splende per te,
perché tu meriti la vita
e la vita merita te!
So ‘ncontrate ne zione pe’ la via.
“Vagliò”, m’ha ditte
“ajutame a salle pe’ sta rua zica”.
“Vabbò” ci so ditte...
E mentre j’ teneva sotte braccie m’parleva.
M’ha ditte della guerra, della fame,
della vita sè e d’ quela degli atri,
m’ha ditte di comma denga esse
e d’quande so stata fortunata a nasce mo.
Quela rua zica zica
m’pareva ‘na scalata:
nen finisceva più,
e ogni scaletta m’peseva a salle.
Pareva ca glie porteva ‘ncoglie.
Finalmente seme arrivate.
“Vagliò, Ddì t’pozza benedice,
m’so alleggerite, m’sente meglie;
da quande ca voleva dice ste parole
ma nen sapeva a chi!”
Bellissima poesia in dialetto luchese,
ispirata a quotidiani fatterelli di vita
lungo i ripidi vicoli di Luco dei Marsi,
strutturale estensione del sistema abitativo.
Non intendo tradurla ma solo "volgarizzarla" in lingua
perché il lettore non luchese
possa tornare a leggerla e rileggerla. E gustarla in originale.
Emilio Panella, 9.IX.09 -
Il vicolo
Ho incontrato un vecchietto per strada.
"Ehi, ragazza", mi ha detto,
"aiutami a salire per questo vicoletto".
"Va bene!", gli ho detto...
E mentre lo tenevo sottobraccio, egli mi parlava.
Mi ha detto della guerra, della fame,
della vita sua e della vita altrui,
mi ha detto come devo comportarmi
e come sono stata fortunata a nascere oggi.
Quel vicolo piccolo piccolo
mi sembrava una scalata:
non finiva più,
e ogni gradino mi era duro a salire.
Mi pareva di portarlo a spalla, il vecchietto.
Finalmente siamo arrivati.
"Ragazza, Dio ti benedica,
mi sono alleggerito, mi sento meglio;
da quanto tempo avrei voluto dire queste parole,
ma non sapevo a chi!"
Il lavoro:
c’è chi lo vuole e chi lo respinge,
chi lo cerca e chi lo evita.
C’è colui che non ha lavoro per sfortuna o per altro,
si dispera e non si arrende.
C’è colui che lo cerca
ma in fondo spera di non trovarlo
e c’è chi invece riesce a vivere anche meglio
senza alcuna fatica.
Ma il sapore del lavoro, delle fatiche,
ti rende il giorno stanco e affaticato,
ma la sera, quando le fatiche si alleviano
e il sonno è più profondo
ti addormenti con il sorriso sulle labbra
perché quello che hai guadagnato
è per te e per coloro che porti sulle spalle
e contano su di te:
questa è soddisfazione!