VII.3 Come la Fede e la teologia si esplica nel corso del tempo, così la pittura
VII.3.1 Periodo dell’arte romanica
Nel periodo dell’arte romanica, nata nel travaglio dei popoli ‘barbarici’, che sovrappongono o sostituiscono la propria cultura alla ‘paidéia’ e al ‘régimen’ del territorio occidentale dell’Impero romano, l’estetica dell’arte (e della Fede) è intuizione della ‘fortitudo’ del Regno di Dio [55].
Gli artisti imprimono-esprimono nelle loro opere il ‘tremendum’: gli edifici del ‘luogo santo’ s’impongono per il peso delle masse e per gli edifizi di culto dalle mura impenetrabili, quasi fortezze dei ‘milites Christi’ contro le forze del male. La scultura e la pittura mettono sotto gli occhi eletti e reprobi in un mondo strano e fantasioso di animali e di demoni, dominato e superato dalla ‘Maiestas Domini’ di Dio creatore e di ‘Cristo-giudice’.
Lo stile è ‘allegorico’ ed ‘anagogico’; vale a dire conforme a ‘ciò che tu credi: quid credas’ e a ‘quanto tu vai incontro nnel futuro: quo tendas’; e spesso ha funzione ‘apotropaica’ (cfr. V, 2 e VII, 1).
Dio difende l’uomo dalle forze del male, sottopone al proprio giudizio i reprobi e prospetta ai fedeli in Cristo il Regno della salvezza.
VII.3.2 Espressione del mondo del gotico
Nell’espressione del mondo del gotico i credenti si ‘vedono’ e si trasferiscono nella gioia del Regno dell’Altissimo, al quale innalzano le chiese a guisa della ‘preghiera’, concepita come ‘elevatio mentis in Deum’, con pilastri agili, con archi acuti, con finestre aperte alla luce, che per mezzo di grandiose variopinte vetrate è tramutata in festa di colori; colori che Tommaso descriveva come ‘lux inspissata’.
Nello stesso tempo il trascendente ‘mondo di Dio’ è portato dai pittori ‘qui-sulla terra’: i discepoli di Cristo, guardando gli affreschi immensi che ornano le pareti delle chiese - si è parlato di ‘horror vacui’ -, e ammirando gli ampi polittici dispiegati sulle mense degli altari o le piccole ancóne che cominciano ad abbellire le case private, si riconoscono ‘familiari’ di quel mondo di Angeli e di Santi, di fratelli di Cristo e figli di Maria madre e regina: si ricordi il canto della “Salve Regina, mater misericordiae”.
Le raffigurazioni presentano l’amore ascetico di s. Bernardo; quello cortese del ‘dolce stil novo’, che con l’estetica del ‘fascinans’ e del ‘joli’ unisce l’umano ed il trascentente in una “vivace bellezza: Schön-lebendigkeit’: quello schietto ed universale dei “Fioretti” di s. Francesco, quello metafisico della Scolastica [56], e quello forte-dottrinale dell’Ordine fondato da s. Domenico: l’amoroso drudo | de la fede cristiana, il santo atleta (Dante, Paradiso XII, 55-56), che con la predicazione-immagine acustica della Parola di Dio ispira e rende fervida e cólta la ‘impressione-espressione’ dell’immaginario visivo degli artisti, quasi trasformazione lirica della pagina della scra Scrittura e della sacra dottrina di Tommaso.
Ogni uomo è membro della Famiglia di Dio: figlio di Dio, fratello del Figlio dell’Altissimo fattosi figlio di Maria, ‘luce che risplende nelle tenebre’ (Giov. 1, 5).
VII.3.3 Arte dell’età dell’Umanesimo
L’arte dell’età dell’Umanesimo rinnova lo spirito del gotico dandogli ordine e finitezza geometrica.
Brunelleschi trova il retto ‘punto di vista’ e lo fissa con l’ausilio della piramide visiva, sperimentata quando mise in prospettiva (secondo il “videre in speculo” della Prima ai Corinti 13, 12) ‘il bel San Giovanni’ di Firenze ed il Palagio dei Signori [57].
Come la terra è centro del mondo, così l’uomo è centro e “misura di tutte le cose”.
Leon Battista Alberti riprende nel De pictura, ed in modo esplicito, l’insegnamento di Protagora dell’uomo-misura e lo applica alla visione pittorica. Ma così facendo non secolarizza il mondo dell’arte - come spesso si è frainteso -; piuttosto lo riporta a quella che egli considera più esatta cognizione sensibile di ‘visione-in-misura: punto-di-vista’ del mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio.
Infatti Alberti non si riferisce nel suo trattato all’uomo del filosofo-sofista, ma ‘da pittore: veluti pictor’ si interessa dell’ “homo-pictus”: quell’uomo che egli ammirava come ‘misura’ nelle opere di Ghiberti, Donatello, Luca della Robbia e soprattutto di Masaccio. E quell’uomo-misura delle espressioni artistiche - e del reale della storia della salvezza - è il Cristo [58].
Si veda il Cristo del Tributo nella chiesa del Carmine di Firenze, che Masaccio pittura ‘al centro’ della scena evangelica, e con la prospettiva e con i colori lo costituisce ‘referente-misura’ dello spazio della narrazione e dei valori: e con rimando-simbolico ‘misura’ anche dei ‘tributi’, che era lecito o meno imporre ai cittadini nel nuovo catasto di Firenze.
Oppure, si osservi il Cristo-crocifisso che Masaccio pone ‘al centro’ dell’affresco la Trinità in S. Maria Novella di Firenze per significarne il mistero di mediazione, che ‘misura’ cielo-terra-sottoterra: la figurazione parte dal cielo (il soffitto a cassettoni) che fa corona al Padre che nello Spirito santo accoglie il Figlio, che sulla croce della passione redime Adamo peccatore, che giace in ‘forma di scheletro’ sotto la mensa dell’altare.
La nuova ‘misura’ della storia della salvezza è per Masaccio il sacrificio sacerdotale di Cristo che fa conseguire il trionfo sulla morte; è per Raffaello la “Disputa del Santissimo sacramento dell’altare”, affrescata nelle Stanze del Palazzo Vaticano.
L’uomo dunque misura il reale ma ‘in speculo fidei’, cioè in dipendenza della misura-Cristo [59].
VII.3.4 Arte del ‘Manierismo
L’arte del ‘Manierismo, sul finire del Quattrocento, sconvolge l’ideale di misura e di bellezza.
A Firenze Savonarola produce, con il risveglio morale delle coscienze, anche la catarsia delle espressioni visive, e talvolta anche la ‘metamorfosi’ della vita e dell’opera degli artisti: basta ricordare Baccio della Porta che diviene fra Bartolomeo nell’ordine dei Frati Predicatori, e Botticelli che passa dall’ispirazione di Ficino [60] a quella del Frate di San Marco [61].
I pittori non si sentono più di esaltare alla-Ghirlandaio la società in cui vivono. Essi violano deliberatamente i canoni della proporzione e del colore per creare forme che esprimano, sia pure nella bellezza, il disagio interiore che esperiscono. La “laetitia civitatis”, descritta da Poliziano sulla cartella apposta agli affreschi di Ghirlandaio della Cappella Maggiore di S. Maria Novella, è finita!
Intanto si trasferisce nel mondo dell’arte la c. d. ‘galassia Gutemberg’ - analizzata da M. McLuhan -, che individualizza-separando ogni uomo dai numerosi altri lettori sparsi in ogni regione d’Europa, pur avendo contemporaneamente tra le mani lo stesso libro ‘stampato’: possibilità che non poteva offrire la rarità (e il più delle volte la unicità) del ‘codice manoscritto’, e fa assaporare ‘immagini’ che la fantasia ri-crea e/o ri-compone in piena autonomia.
L’agitazione e l’individualismo - non si dice l’individualità, che è pregio dell’iconopoieta - penetra nelle ‘forme artistiche’, sia quelle espresse in ‘immagini visive’ che in quelle che connotano le ‘immagini acustiche’, perché l’inquietudine ed il ‘libero esame’ è nella situazione culturale sincronica.
Erasmo ne percepì la tragedia. Nel “Ciceronianus”, uscito a Basilea nel marzo del 1528, ci mostra la società con parole che sembrano écfrasi di visione di opere d’arte. “Nella presente età [...] nella quale purtroppo con fatale rovinio ogni cosa è agitata e messa sossopra, sia che si guardi alla situazione del Cristianesimo [si ricordi Lutero!], sia che si considerino le condizioni dei sovrani e degli stati, sia che si guardi all’andamento metodico degli studi letterari: tutto vi è sconvolto” [62].
Il ‘paganesimo’ - lamenta Erasmo - si camuffa sotto l’apparenza del ‘cristiano’. La cultura ‘ciceroniana’ non è al servizio della Fede; piuttosto è la Fede ad essere piegata al classicismo pagano ed ai suoi miti. Non è la ‘forma classica’ che diviene ‘ancilla’ del mistero cristiano, ma sono le ‘espressioni cristiane’ che diventano occasione per un godimento della ‘forma classica’.
“È il paganesimo, credimi, o Nosopono, è il paganesimo che insinua nei nostri orecchi e nell’animo nostro. [...] Quanto rimaniamo a bocca aperta, quanto restiamo attoniti, se ritroviamo simulacri di vecchi demoni o anche un frammento di simulacro: e le immagini di Cristo e dei santi a stento guardiamo con occhi favorevoli. [...] Quanto ci compiacciamo di trovare impressa sopra una moneta la figura di Ercole, o di Mercurio, o della Fortuna, o della Vittoria, o di Alessandro Magno, o di un Cesare qualsiasi: e dilegiamo quali superstiziosi quelli che tengono tra le cose care il legno della croce e le immagini della Trinità e dei santi. [...] Nei quadri il nostro sguardo è più attratto da Giove scivolato attraverso l’impluvio in grembo a Danae, che da Gabriele annunziare alla Santa Vergine la concezione divina; ci piace più Ganimede rapito dall’aquila, che Cristo ascendente al Cielo; trattiene più dolcemente gli occhi la rappresentazione delle feste Baccanali, o delle feste Terminali, piene di brutture e di oscenità [‘turpitudinis et obscenitatis’], che la rappresentazione della resurrezione di Lazzaro, o del battesimo di Cristo per opera di Giovanni. Ecco i misteri [‘haec sunt mysteria’] che copre il velo del soprannome di ciceroniano. Credimi: col pretesto di una bella denominazione si tendono insidie ai giovanetti semplici e suscettibili d’essere ingannati. Non osiamo professare il paganesimo, tuttavia cerchiamo di mascherarci col soprannome di ciceroniano”[63].
Michelangelo è l’artista che interpreta nel modo più drammatico lo smarrimento spirituale della Ecclesia in quel ‘manifesto’ di fede e cultura che è il Giudizio universale della Cappella Sistina: lo spazio s’insinua all’interno delle forme e le porta a ‘torsione’, quasi a connotare lo spasimo delle anime; ed il Cristo dalle ‘proporzioni eroiche’ con il braccio alzato in un gesto di condanna terribile dà allo spazio un movimento che partecipa e sente il ‘tremendum’ del rigetto dei reprobi.
Le ‘misure’ e le ‘rinascite’ degli uomini sono chiamate a rendere conto al Giudice divino.
VII.3.5 Arte del barocco
Gli artisti del barocco, superate le difficoltà provenienti dalla riforma cattolica e protestante e dalle interpretazioni delle norme sull’arte sacra ribadite dal Concilio di Trento [64], cercano dapprima un accordo con lo ‘stile classico’ - si abbiano presenti i pittori Santi di Tito, Federico Zuccari, Iacopo Chimenti, Ludovico Cigoli -; na poi amplificano la ‘forma classica’ e addirittura la vanificano rompendo equilibri, spezzando archi e sfondando illusionisticamente pareti e cupole, quasi ammaliati dalla vista ‘alla-Copernico’ e ‘alla-Giordano Bruno’ degli infiniti cieli e mondi e delle orbite ellittiche dei pianeti definite da G. Kepleto.
Si pensi al Colonnato ellittico a due fuochi di Piazza San Pietro di Gian Lorenzo Bernini, e alle scenografie di ‘gloria’ di Andrea Del Pozzo nella Chiesa di Sant’Ignazio e di Giovan Battista Gaulli nella chiesa del Gesù in Roma.
La proporzione, la simmetria e l’unico punto di vista diventano ‘ghiribizzi capricci bizzarrie’, perché - teoriza Federico Zuccari - l’artista deve esprimere nel disegno ‘interno’ e/o ‘esterno’ quanto la forza della ‘mente’ e della ‘fantasia’ gli permette di escogitare e inventare [65].
Le aspirazioni degli uomini per l’infinito - sia esso ‘dis-centrismo’ o artificio’ - trovano conforto nella perfezione senza limiti di Dio e nella gloria celeste, che Egli concede ai suoi Santi.
VII.3.6 Il secolo dell’illuminismo e l’età contemporanea
Il secolo dell’illuminismo pone di contro la ‘fede in Dio’ e la ‘fede nella ragione’.
Il ‘regime cristiano’, che aveva sostenuto la cultura ed il cosmo dell’arte, non è più il referente costante e primario. Il ‘morale’, il ‘politico’ pretendono un’esclusività che si fonda sul deismo e/o ateismo. I movimenti artistici si succedono e si contrappongono: neoclassicismo - e ritorno del ‘mito’, contro il quale insorge A. Manzon [66] -, romanticismo, naturalismo, nazareni, ecclettismo, impressionismo, futurismo, avanguardie, postavanguardie, transavanguardie, fino all’odierno postmoderno.
L’arte ha percorso (e va percorrendo) la stessa via della cultura.
Dove è stata proclamata la ‘morte di Dio’ lì è stata dichiarata la ‘morte dell’arte’.
Nei paesi socialisti (prima della caduta del ‘Muro’) la non-rilevanza che si attribuiva alla ‘religione’ nella costruzione del benessere del paese è coincisa con la non-rilevanza della ‘qualità artistica’ nell’ambito dell’economia. Nei paesi capitalisti la strumentalizzazione del ‘religioso’ ai fini dell’interesse economico ha il suo corrispondente nella ‘mercificazione’ della qualità artistica.
In queste situazioni d’incertezza, ormai secolari, gli artisti contemporanei hanno proposto e percorrono vie ‘altre’ da quelle del passato, cioè le vie del ‘contro-ambiente’ (direbbe M. McLuhan). Si oppongono sia alla ‘via positiva del diesseits’, cioè della ‘imitazione’, che in campo cristiano è imitazione ‘per artem’ delle gesta di Cristo e della sua Ecclesia: ‘via dell’incarnazione: Ut evangelium, pictura’; sia alla ‘via della trascendenza: jenseits’, si tratti del mondo platonico o di quello svelato dalla Rivelazione divina: ‘via della eminenza: Ut fides-theologia-traditio, pictura’ (cfr. VII, 1).
Tuttavia, anche sotto questa ‘forma’ - o, detto con più pertinenza, ‘mancanza di forma: Formlosigkeit -, l’arte contemporanea non si rende inadatta all’espressione del cosmo cristiano.
Gli artisti ‘informali’, che abbandonano e distruggono l’aspetto esteriore figurativo del reale per “un art autre”, come la descriveva nel 1952 il critico francese M. Tapiè, trovano nella teologia della ‘via negativa’ di Dionigi Areopagita (cfr. VII, 1) - via che chiamerei del referente ‘a-centrico’ (o del ‘keinerseits’) - la possibilità di esplicare il loro carisma all’interno di quel vasto programma di autenticità, che la Ecclesia chiama ‘nuova evangelizzazione’.
VII.3.7 L’artista-postmoderno
L’uomo-artista-postmoderno, nel misurare e misurarsi nella storia con ‘prospettiva negativa’, vale a dire con espressioni a-iconografiche ed a-iconologiche in funzione di ‘catarsia’ e di rinnovamento del ‘sentimento’, incontra la proposizione della Rivelazione divina, che per prima ha contrastato la “immunditia” di ideologie, che privavano l’uomo della sua dignità (cfr. V, 1) [67].
L’arte giustifica (rechtfertigt, direbbe Gadamer) se stessa all’interno della ‘conditio’ culturale nella quale si sviluppa, e pertanto ritorna sempre a vivere come trasmette il mito della fenice.
La iconologia della Fede (o ‘iconoteologia’) offre in continuazione - san Paolo dice ‘nunc: ora’ (Atti 21, 40) - il proprio lógos: la Parola-Wort e la ‘ratio-Vernunft’, e pertanto è sempre ‘nuova’ quando è impressione-espressione del ‘buono annuncio’ di “quello che era da principio” - ‘anfänglich’:si rimemorino i “concetti fondamentali” di Heidegger (cfr. VI, 3) -, “quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che abbiamo osservato e toccato con le nostre mani, ossia il Verbo di Vita” (1 Giovanni 1, 1).
V’è rapporto speculare tra la ‘estetica-della Fede’ e la ‘estetica-dell’arte’, tra la ‘verità-della Fede: Glaubens-wahrheit’ e la ‘verità-dell’arte: Kunst-wahrheit’.
La Fede si imprime-esprime nell’opera delle mani dell’artista, che adegua la ‘recta-ratio artis’ alla ‘recta-fides sacrae Scripturae’. Viceversa, l’opera d’arte imprime la ‘forma fidei’ negli occhi del vedente-credente, che la esprime ed assimila nel percorso interiore ‘sensitivo-intellettivo’ del proprio animo.
La Fede e le sue manifestazioni entrano perciò, e di necessità, nella storia, ovviamente anche della storia dell’arte.
Sant’Antonino da Firenze, il priore che accolse il Beato Angelico nell’ordine Domenicano, diceva che “la porta degli occhi” è come “la porta di Gerusalemme”: per essa “come attraverso sensi spiritualizzati o visione contemplativa entra Gesù: intrat Iesus per sensus spirituales, scilicet visum contemplationis” [68].
Le ‘periodizzazioni’, che si possono distinguere nel vasto panorama della storia dell’arte, si manifestano zone variopinte della storia dei dommi, della teologia, della prassi del culto e della pietà della Ecclesia e/o di porzioni del popolo di Dio, ‘che è in cammino’ in ogni regione dell’ecumene, sostenuto dal ‘filo conduttore’ - si ricordi il Leitfaden di Heidegger (cfr VI, 3) - dell’ascolto dalla Parola di Dio, e dalla visione delle opere e delle gesta mirabili e belle del Signore [69].
Eugenio Marino O. P.
[55] Lorenzo Ghiberti ritiene che a causare la rottura con l’arte del IV secolo, che ha comportato secoli di decadenza: ‘circa d’anni 600’, sia stata l’azione ‘destruens’ di Costantino delle raffigurazioni pagane (cfr. VI, 2. 3). Lo scultore delle ‘Porte del Paradiso’ inizia il “Commentario Secondo”: “Adunque al tempo di Costantino imperatore e di Silvestro papa sormontò su la fede cristiana. Ebbe la idolatria grandissima persecuzione in modo tale, tutte le statue e le pitture furono disfatte e lacerate”: Lorenzo Ghiberi, I Commentari, a c. di O. Moresani, R. Ricciardi ed., Napoli 1947, p. 32. - Erwin Panofsky interpreta il passo di Ghiberti come la prima chiara espressione di quella che potremmo chiamare “teoria della soppressione dall’interno” della civiltà classica, cioè “il bigottismo iconoclastico”, in contrapposizione alla “teoria della devastazione dall’esterno”, cioè “il vandalismo barbarico”; anche se poi Ghiberti congiunge le due ‘teorie’ riportando la decadenza dell’arte alla “interruzione della tradizione classica”, effetto sia della perdita della letteratura classica sia delle devastanti invasioni barbariche: E. Panofsky, Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale, Feltrinelli ed., Milano 1971, p. 42.
[56] Cfr. E. Panofsky, Architettura gotica e filosofia scolastica, Liguori ed., Napoli 1986.
[57] Antonio Billi (cfr. Il Libro di A. Billi, Fiorentino ed., Napoli 1968, p. 31) e l’Anonimo Magliabechiano (Fiorentino ed., Napoli 1968, pp. 67-68) attestano non solo che “Pippo di ser Brunellesco cittadino fiorentino, fu dotto in sacra Scrittura”, ma che l’astrologo Paolo del Pozzo Toscanelli soleva dire “che, udendolo parlare gli pareva santo Pagolo”. - A. Parronchi ha dedicato in “Studi su la dolce prospettiva” (A. Martello ed., Milano 1964) un capitolo a Brunelleschi-san Paolo: “Brunelleschi: Un nuovo san Paulo”. Parronchi arriva a siffatta conclusione indagando sulla maniera artistica di Brunelleschi, nella quale egli trova impressa-espressa la categoria di san Paolo: Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem (1 Corinti 13, 12); che egli commenta: “Il nostro guardare - avrebbe ragionato Brunelleschi - è una visione imperfetta, e l’apostolo Paolo dice che la visione che noi abbiamo della Divinità è simile a immagine riflessa in uno specchio. Ma siccome l’artista nella sua opera vuol solo rinchiudere un’immagine del mondo reale, non gli resterà che tradurla in figura con le medesime leggi con cui la realtà nello specchio si vede riflessa. - Portare il suggestivo tropo dell’Apostolo sul piano della sperimentazione formale - continua Parronchi -, ecco quello che avrebbe fatto Brunelleschi” (pp. 415-428).
[58] L. B. Alberti, De pictura, Laterza ed., Roma-Bari 1975, lib. I, n. 18, p. 34: “E fassi comparazione in prima alle cose notissime. E dove a noi sia l’uomo fra tutte le cose notissimo, forse Protagora, dicendo che l’uomo era modo e misura di tutte le cose, intendea che tutti gli accidenti delle cose, comparati fra gli accidenti dell’uomo si conoscessero, Questo che io dico appartiene a dare ad intendere che, quanto bene i piccioli corpi sieno dipinti nella pittura, questi parranno grandi e piccoli a comparazione di quale ivi sia dipinto uomo”.
[59] Si è troppo insistito sul ‘realismo’ - che alcuni critici hanno addirittura confuso con ‘naturalismo’ - dell’arte del Quattrocento. Ora se è vero che Masaccio, in dipendenza da Brunelleschi, che stimava la pittura-prospettica scienza subalternata alla ‘geometria’, ha fatto attenzione all’aspetto ‘quantitativo’ che è incluso nella delimitazione del disegno-misurato (e non più ‘ottico’), e sulla ‘res’ più che sullo ‘ornato’, è altrettanto vero che altri (e sommi) hanno preferito ‘modellare’ la forma mettendone in vista piuttosto l’aspetto ‘qualitativo’. Ad esempio. Il Beato Angelico specifica la ‘quantità-prospettica’ con la qualità della luce: il Cristo che ‘illumina gli uomini’ e con la grazia li porta a perfezione. Piero della Francesca rende la prospettiva geometrica contemplazione della ‘bellezza’ della ‘res visa’ in una stabilità o quiete che quasi smorza il tempo. Domenico Ghirlandaio fa ammirare la ‘bellezza’ del mondo della storia della salvezza nella partecipazione degli uomini della società di Firenze. Sandro Botticelli-ficiniano è attento alla irradiazione del ‘Sole-Bene supremo’, che tutto rende ‘specchio’ della propria ‘universale Bellezza’; e con il giuoco della linea ritmo-melodia: visione-ascolto-intelligenza / Viriditas-Laetitia-Splendor libera l’Anima-in-corpore dalla materialità che la mortifica (cfr. E. Marino, O. P., Estetica fede e critica d’arte, L’arte poetica di Savonarola. L’estetica di Ficino e la Primavera di Botticelli, Centro Riviste, Pistoia 1997). Leonardo rende ‘belle’ le sue opere prospettandole nello sfumato della luce, che è forma-vibrante che gioisce in uno spazio che ama la natura come luogo della storia e dei misteri cristiani: si veda l’Ultima Cena, in S. Maria delle Grazie, in Milano.
[60] S. Botticelli nella Allegoria della Primavera (Firenze, Galleria degli Uffizi) mette sotto il nostro sguardo il “faticoso viaggio d’Amore, accennato da Ficino nel “Sopra lo Amore, ovvero Convito di Platone” (ES ed., Milano 1992), e svolto sistematicamente nel più ampio scritto la “Theologia Platonica”, in cui specifica che il ‘viaggio’ è il cammino di coloro che vanno verso Dio: “itinerantium mentis in Deum”. Cfr. E. Marino, Estetica fede e crictica d’arte.[...] La Primavera di Botticelli, cit., pp. 124-233.
[61] Si osservi, ad esempio, la Crocifissione simbolica (Canbridge, USA, Fog Art Museum), dipinta da Botticelli nel 1500, quand’egli era ormai divenuto ‘piagnone’. Nelle ‘immagini visve’ della tavola si intuiscono le ‘immagini acustiche’ della predicazione di Savonarola, che esortava gli artisti fiorentini a porre sotto gli ochhi dei fedeli, come esemplare ‘fascinans’, il “Crocifisso”, prima causa della storia della salvezza. Cfr. . E. Marino, Estetica fede e crictica d’arte. L’ arte poetica di Savonarola [...], cit., pp. 56-124. - La Natività mistica (Londra, National Gallery) fa riferimento alla predicazione profetica ed apocalittica di Savonarola, come Sandro spiega nella iscrizione greca, che egli vi ha inserito. La versione italiana suona:“Questo dipinto sulla fine dell’anno 1500, durante i torbidi d’Italia, io, Alessandro, dipinsi nel mezzo tempo dopo il tempo, secondo l’XI di san Giovanni nel secondo dolore dell’Apocalisse, sulla liberazione di tre anni e mezzo del Diavolo; poi sarà incatenato nel XII e lo vedremo calpestato come nel presente dipinto”: cfr. loc. cit., p. 108 e ss., e nota 286.
[62] Erasmo da Rotterdam, Il Ciceroniano o dello stile migliore, a c. di A. Gambaro, La Scuola ed., Brescia 1965, pp. 4-6. - Quest’opera ha più forza nello smascherare la cultura ‘paganeggiante’ dei letterati ‘cristiani’ e degli artisti ‘cristiani’ che non lo Apologeticus. De ratione poeticae artis di Savonarola (cfr. E. Marino, O. P., Sul trattato “Apologeticus de ratione poeticae artis” di fra Girolamo Savonarola, in “Memorie Domenicane” N. S. 29 (1998), pp. 179-246).
[63] Erasmo da Rotterdam, Il Ciceroniano o dello stile migliore, cit., pp. 157-163).
[64] Sulla ‘riforma’ (cattolica e protestante) e le arti figurative, come pure sulla soluzione del Concilio di Trento alla ‘questione delle pitture’ nelle Chiese e del loro uso ‘secundum pietatem’, cfr. E. Marino, O. P., Culto-arte-storia nella problematica dell’Umanesimo e della Riforma, in “Sapienza” 33 (1980), pp. 5-55. - La motivazione profonda dell’interpretazione della ‘riforma’ dell’arte voluta da Lutero è nel rifiuto dell’applicazione della ‘allegoria’ all’esegesi: cfr. M. Lutero, Discorsi a tavola, Einaudi ed., Torino 1969, p. 57 [estate-autunno 1532]: “Quando ero monaco, sono stato un maestro in fatto d’allegorie. D’ogni cosa facevo un’allegoria. Poi mediante l’Epistola ai Romani, giunsi a conoscere un poco Cristo. Allora mi resi conto che non c’erano allegorie; non cosa significava Cristo, ma che cosa era Cristo. [...] Girolamo e Origene, che Dio li perdoni, ci hanno servito solo a farci cercare allegorie. In tutto Origene non si fa parola di Cristo”.
[65] Federico Zuccari, Idea dei pittori, scultori, et architetti, l. II, cap. 4: “Questa terza specie [del disegno] è quella, che rappresenta tutto quello, che la mente humana, la fantasia, et il capriccio di qualsivoglia arte può inventare. [...] Di queste deve l’Eccellente Pittore, Scultore et Architetto esser copioso inventore, e più di tutti il buon Pittore, come universale, e di concetti vario, et ove ciascuno scuopre il giudizio, e l’ingegno e lo spirito, e la prontezza di disporre, et ordinare”, in: D. Haelkamp (a c.), Scritti d’arte di Federico Zuccaro, L. S. Olschki ed., Firenze 1961, p. 237. - Ho potuto notare nella mostra dell’artista A. Laganà l’influsso che sta avendo sulla pittura l’attuale concezione dello spazio e le ‘impressioni’ conseguenti ai programmi di esplorazione spaziale: cfr. E. Marino, La mostra di A. Laganà nel Chiostro di San Marco a Firenze (7-21 maggio 1994), “Revolutio orbium-Revolutio artium”, in “Vita Sociale”, n. 262 (1994), pp. 316-318.
[66] Alessandro Manzoni, Sul Romanticismo. Lettera a Cesare D’Azeglio (1823): “Io ritengo detestabile l’uso della mitologia, e utile quel sistema che tende ad escluderla. [...] La mitologia non è morta certamente, ma io la credo ferita mortalmente; tengo per fermo che Giove, Marte e Venere faranno la fine che hanno fatta Arlecchino, Brighella e Pantaleone. [...] L’uso della favola è vera idolatria [...]. Dico l’idolatria; e non temo di abusare del vocabolo, quando San Paolo lo ha applicato espressamente all’avarizia, e in altri termini ha dato la stessa idea dell’affetto ai piaceri del gusto. [...] L’effetto generale della mitologia non può essere che di trasportarci alle idee di quei tempi in cui il Maestro non era venuto, di quegli uomini che non ne avevano la predizione e il desiderio, di farci parlare tuttavia come se Egli non avesse insegnato, di mantenere i simboli, le espressioni, le formole dei sentimenti, che Egli ha inteso distruggere, di farci lasciare da canto i giudizi che Egli ci ha dato delle cose, il linguaggio che è la vera espressione dei giudizi, per ritenere le idee e i giudizi del mondo pagano”. In“Alessandro Manzoni, Opera omnia”, vol. 6, I parte, a c. di U. Colombo, Ed. Paoline, Milano 1967, pp. 386-392.
[67] Per un’assunzione critica in senso positivo dell’arte del ‘postmoderno’, rimando al mio saggio Il Museo immaginario di Maria, cit., cap. V, 5. 1: L’iconomariologia e la cultura del postmoderno; e 5. 2: L’arte iconomariologica come esperienza della condizione umana-cristiana, pp. 81-95.
[68] Antoninus Arch. Florentinus, Summa moralis, pars I, tit. II, cap. 3, § III, col. 170, in “S. Antonini opera omnia”, cura T. Mamachi et D. Remedeli, Florentiae 1741.
[69] Come si è parlato della ‘morte dell’arte’, subendo l’ideologia di Hegel senza approfondire il reale del ‘continuum’ storico, così v’è stato chi con troppa facilità ha proclamata la ‘f’ine dell’arte-iconìa della sacra Scrittura’ e del mistero della Fede. Certamente. occorreva porre il problema. E questo è stato fatto, come denota un’abbondante bibliografia. Mi limito alla segnalazione dei seguenti studi: Wieland Schmied (Hersg.), Zeichen des Glaubens. Geist der Avantgarde. Religiöse Tendenzen des 20. Jahrhunderts, Electa/Klett-Cotta Buchhandlung, Stuttgart 1980; Reiner Beck, Reiner Volp u. Gisela Schmirber (Hersg.), Die Kunst und Kirchen. Der Strei um die Bilder heute, F. Brukmann Verlag, München 1984; Günther Pöltner u. Helmuth Vetter (Hrsg.), Theologie und Ästhetik, Herder, Wien-Freiburg-Basel 1985; Ermenno Genre e Yann Redalié (a c.), Arte e teologia, Ed. Claudiana, Torino 1997; Timothy Verdon (a c.), L’arte e la Bibbia. Immagine come esegesi biblica, Biblia Associazione laica di cultura biblica, Firenze 1992; Egon Kapellari, Und haben fast die Sprache verloren. Fragen zwischen Kirche und Kunst, Verlag Syria, Graz-Wien-Köln 1995; Horst Schwebel, Die Kunst und das Christentum. Geschichte eines Konflikts, Verlag C. H. Beck, München 2002.