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5. Una nota filologica. Nei commentari biblici patristici e medievali ricorrono frequenti alcune metafore che, lungi dal suggerire pronunciamenti di strutturalismo ante litteram, testimoniano però la consapevolezza dei nodi in cui s’innerba l’intelligenza del testo bíblico e che in definitiva segnano le caratteristiche d’un pensiero, e cioè d’una cultura. Son tutte immagini che asseriscono con rigore simbolico la compresenzialità e le relazioni simultanee di più unità ordinate in sistema. Queste sono altrettante chiavi di lettura - semanticamente interdipendenti - del messaggio consegnato al tutto della composiziore.

La metafora del tessuto, ad esempio. «Nova lex de veteri texta est» (S. ILDEGARDA, sec. XII, Liber divinorum operum, p. III, vis. 10, n. 9: PL 197, 1010 A). Della ruota: «Quid enim est rota in rota, nisi Novum Testamentum in Vetere revelatum?» (PL 76, 835 B).

Sulla scia di GREGORIO MAGNO, In Ezech. l. I, hom. 6, n. 15: «Rota intra rotam est Testamentum Novum, sicut diximus, intra Testamentum Vetus, quia quod designavit TV, hoc TN exhibuit» (PL 76, 835 B). S. TOMM., Summa theol., I-Il, 107, 3, sed c.

Il velum e la figura rispetto alla veritas - su cui ruota tutto lo sforzo ínterpretativo delle relazioni dei due Testamenti - sono altri espedienti noetíco-linguistici con cui il medievale stabilisce i nessi significanti di elementi in composizione. Questi potranno anch’essere eventi storici dell’economia di salvezza; ma il loro messaggio è ricevuto solo quando, ricomposti come termini di raffronto sincronico, affermano le loro relazioni semantiche. Comunissima pure l’immagine dell’aedificium, fabrica, architectura. E quella stessa di structura, - sebbene bisogna guardarsi dallo stringere il termine con un assedio di forzosa esegesi.

Exég. II, 2: Symboles architecturaux, pp. 41-60. C'è l'aedificium della Scrittura, come la christiana aedificatio e infine l'universa spiritualis fabricae structura, cioè la Chiesa: si legga UGO DI S. VITT., Didasc. 1. VI, c. 4 (PL 176, 802-805) dove confluiscono mirabilmente tutti questi temi in una sintesi che è di pensiero come di convergenze storiche.

S. AGOSTINO, De civit. Dei, XI, 27; S. GIROLAMO, Ep. 108, n. 26, ed. Hilberg, II, p. 344. RICCARDO DI S. VITT.: «spiritualis intelligentiae structura» (PL 196, 527 B). UGO, Didasc. 1. 6, c. 4: «Meministi... supra me divinam Scripturam aedificio similem dixisse, ut primum fundamento posito structuram in altum levetur, plane aedificio similem, nam et ipsa (Scriptura) structuram habet» (PL 176, 802 B). Cfr G. SCHOLTZ, «Structur» in der mittelalterlicher Hermeneutik, in Arch. f. Degriffsgeschichte 13 (1969) 73-75.

Tutte immagini, come si vede, che riuscirebbero incontestabilmente gradite ai teorici confessi dello strutturalismo.

6. Per concludere, si potrebbe avanzare il dubbio sulla possibilità d’integrare le due letture - sull’asse associativo e su quello sintagmatico - senza disperate acrobazie. Sulla possibilità fin’anche di passare dalla struttura alla storia o, se si vuole, dal significato all’evento.

La questione, si sa, è vivacissimamente dibattuta tra gli opposti schieramenti degli storicisti e degli strutturalisti. Ma è formulata in termini esasperatamente teorici. Per quanto concerne il presente lavoro, sarà sufficiente premettere che riteniamo pertinente - vista la configurazione d’ell’ermeneutica medievale - usufruire dell’analisi strutturale (e quindi come metodo d’interpretazíone) là e quando la sonda verticale è richiesta per cogliere messaggi depositati su falde semantiche sovrapposte.

G. PUGLISI, Che cosa è lo strutturalismo, Roma 1970: L'analisi strutturale come metodologia, pp. 71-90. Per le nozioni linguistiche di paradigma (o campo associativo) e sintagma del linguaggio, cfr. F. De Saussure, Corso di linguistica generale, Bari 1970; R. Barthes, Elementi di semiologia, Torino 1966, III: Sintagma e sistema, pp. 53-78.

Tentativi in tal senso non mancano neppure in regime di teologia cristiana.

P. RICOEUR per esempio ha mostrato, in un saggio divenuto classico, come la considerazione dell'evento biblico e la recensione dei suoi molteplici significati salvifici (la polisemia è un fatto semantico eminentemente strutturale) possano concorrere alla restituzione d'una ermeneutica integrale, con palesi ripercussioni sulla teologia biblica. Il saggio in questione è stato riprodotto in AA. VV., Exégèse et herméneutique, Paris 1971. Cfr. anche J. BARR, Semantica del linguaggio biblico, Bologna 1968; AA. VV., Analyse structurale et exégèse biblique. Essai d'interprétation, Neuchâte1 1971. Tutto il fasc. 61 (1973) n. 1 di «Rech. de Sc. Relig.» è dedicato a: Analyses linguistiques en théologie.

Ma rimaniamo all’interno della logica propria all’esegesi melievale.

Tutta la Scrittura, si dice, è protesa a condensarsi - per così dire - in un’unica parola, il Cristo Verbum abbrevíatum.

Ruperto di Deutz (†  1135), In Joa. 1. 7: «Verba quae multa locutus est, unum Verbum sunt; unum, inquam, verbum quod ipse caro factum est. Illud unum Verbum multis verbis, id est multis elementaribus et articulatís sonis locutus est multis mysteriis...» (PL 169, 494 C-D). GUERRICO Abb. (disc. di s. Bernardo), De Nativ. Domini, sermo 5, n. 3: «Verbum siquidem breviatum est, ita tamen ut in eo consummatum sit omne verbum quod ad salutem est, quia nimirum verbum consummans et abbrevians in aequitate ipsum est» (PL 185, 44 C-D). E non si può non ricordare l'opus magnum di PIETRO IL CANTORE, il Verbum Abbreviatum (1192) appunto, per la cui importanza v. F. STEGMÜLLER, Repertorium biblicum Medii Aevi, t. IV, Madrid 1954, pp. 248 ss. Verbum Abbr. PL 205, 23-370.

Di lui parla l’intera rivelazione; lui è, a sua volta, esegeta unico e adeguato dell’intera Scrittura:

Ugo di San Vittore, De arca Noe morali II, 8: «Quia omnis Scriptura divina unus liber est, et ille unus liber Christus est, quia omnis Scriptura divina in Christo loquitur, et omnis Scriptura divina in Christo impletur, et legendo Scripturam hoc quaerimus, ut eius facta et dicta atque pracepta agnoscentes...» (PL 176, 642 C-D). HERVEI MONACHI, In Is. l. VIII, c. 62: agli Ebrei non è data la comprensione delle Scritture perché «Christum, qui solus intelligentiam earum aperuit, reprobaverunt» (PL 181, 557 D).

Tutte le significazioní del testo sacro, quale ne sia il codíce di lettura, sono puntate verso il Cristo. Così come tutto il VT è orientato a significare il Nuovo. Christus illuminator antiquitatum (Tertulliano).

Ora il vero Vangelo non è la “scrittura” neotestamentaria (che sarebbe essa stessa una littera che uccide) ma il Cristo come persona ed evento normativi della fede cristiana; come lex novissima.

«Novum Testamenturn vel sacerdotium, qui est Christus» (Beda: PL 93, 431 A). Il medievale è vocazionalmente restio a isolare la Scrittura nel suo testo redazionale; ciò trasformerebbe il Testamentum (che comporta sempre il faedus, la promissio, la lex, l'oeconomia) in Instrumentum, documento scritto.

SEDULIO SCOTO (sec. IX) sulla scia di Tertulliano ancora scrive: «Testamentum instrumentum dicitur, quod Graecum esse non dubium est, quia nimirum omnes codices Novi Instrumenti primum Graeco sermone sunt editi, excepto apostolo Mattheo; non quod ipsius quoque Evangelium Graeco sermone non esse conscriptum, sed quia primiws Hebraicis litteris est editum...» (PL 103, 338 A-B. «Veteri Instrumento »: ib. col. 337 D).

S. TOMMASO, Summa I-II, 106, 2: «Per lítteram íntelligitur quaelibet scriptura extra homínes existens... Unde etiam littera Evangelii occideret nisi...».

L’unica parola della Scrittura «non (est) aliud quam evangelium, id est seipsum»  (Pascasio Radberto, In Matth. praef., PL 120, 39 B-C). Ma l’atto del credente che coglie il Cristo oltre la littera termina alla latitudine extratestuale creata dall’economia storica della lex nova: alla vita della Chiesa, cioè, che è destinataria e proclamatrice della Parola nel medesimo tempo. Ora la praedicatio, in quanto atto della Parola, raccoglie nel suo ministerium tutti i travagli e tutti i frutti della comunità dei credenti protesa ad enucleare, per sé e per gli altri, profondità sempre nuove del messaggio salvifico. «Praedicatio est quoddam instrumentum quo Ecclesia Dei fabricata est» (Anonimo del sec. XIII, in J. LECLERQ, Le magistère du prédicateur au XIII siècle, AHDLMA  21 (1946) 113). I dispensatori del nuovo testamento sono gli espositori del vecchio: «Dispensatores Veteris Tes.ti, iidemque praenuntiatores Novi T...; dispensatores Novi T., iidemque expositores Veteris T.» (S. Agostino, Contra Faust. 1. 22, c. 79: PL 42, 451). L’atto della predicazione  -  virtus et potestas evangelicae praedicationis (Prospero dAqu., In Ps. 109; PL 51, 318 D)  -  dispensa l’intelligenza della storia sacra. Esso è esegesi (Exégèse I, 2: La prédication apostolique, pp. 668-681).

Ma è proprio l’atto della parola che è sul versante storico del linguaggio. La parola - e ci si rifaccia a De Saussure - è l’evento transitorio e significante del sistema dei segni (lingua). L’accadere del discorso si libera dal reticolo dei segni attraverso l’intenzionalità della referenza. Tale, in ogni modo, è la logica del mistero cristiano che si svela su ambedue i versanti dell’universo dei segni, quello della res e quello del verbum.

S. Tommaso: «auctor sacrae Scripturae est Deus, in cuius potestate est ut non solum voces ad significandum accomodet (quod etiam homo potest facere), sed etiam res ipsas» (Summa I, 1, 10). E sappiamo che cosa significhi res nel contesto della teoria ermeneutica. Il senso spirituale «accipitur ex hoc quod res cursum suum peragentes significant aliquid aliud... ». Ed è Dio che «adhibet ad significationem aliquorum ipsum cursum rerum suae providentiae subiectarum» (Quodl. VII, q. 6, a. 16).

Quando praedicamus fidem et mores docemus res,
quando exponimus Scripturam docemus verba (S. Tommaso, In Ps. 48, 2).

L’uníverso dei segni cede all’universo degli eventi. La fabrica cede alla traditio. La parola, sulla soglia della consumazione semantica, connota l’evento. L’esegesi bíblica accetta come istanza critica di se stessa - e cioè della sua legittimità a costituirsi come sapienza cristiana - lo scrutinio che il Cristo conduce nella storia dei suoi discepoli e della sua Chiesa. Non è, in fondo, quel che il medievale intende con una formula tesa al massimo del suo rigore spirituale: le sacre Scritture vanno interpretate non ex sensu quem facíunt, sed ex sensu ex quo fiunt? (RAUL ARDENTE, sec. XII, Hom. in Epist. et Ev., p. II, hom. 26: PL 155, 2035 D). Il tempo della Chiesa fa, a suo modo, il senso delle Scritture.

Come san Tommaso intende la convergenza del messaggio biblico con la coscienza di fede del suo tempo? Nel tentativo, amoroso e rigoroso, di sondare la parola di Dio per il suo oggi, come restaura la perentorietà del momento cristico della historía salutis sia in quanto definitivo modello etico dei suoi discepoli sia in quanto discrimine, storico ed ermeneutico nello stesso tempo, dell’intera littera della Scrittura?

Come si delinea, nell’opera esegetica di Tommaso, la teologia della lex nova tra le conquiste culturali dell’Europa del tempo e le ansie del mondo nuovo in gestazione? Le prime lusingarono l’audacia intellettuale del magister; le seconde rattennero il vir apostolicuis tra le aspirazioni e le tentazioni d’una Chiesa in riforma. Entrambe inclinarono, in definitiva, al pondus evangelicae disciplinae.

Il presente saggio intende per l’appunto offrire un contributo ad illustrare - nella prospettiva suddetta - quest’avvincente pagina della storia della teologia cristiana.

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