4. L’ Angelico, pittore della predicazione del beato Giovanni Dominici, di sant’Antonino e di santa Caterina da Siena

 Fra Giovanni Angelico non solo aderiva alla tradizione dottrinale domenicana che poteva dirigerlo ‘esteticamente’ nel creare le  ‘forme visive’, ma anche usufruiva della elaborazione dei contenuti che i confratelli avevano con la parola propogati per l’evangelizzazione e l’istruzione dei fedeli.

‘Contemplando’ le sue pitture possiamo sorprendere l‘Angelico nella ‘lettura’ e/o nello ‘ascolto’ di Giovanni Dominici o di fra Antonino o di santa Caterina da Siena: egli  ‘trasforma’ il ‘suono’ dei loro discorsi in linee, luce, colore e bellezza. Porto alcuni esempi.

         4.1

I cieli tutti a stelle d’oro fino” che fra Giovanni Dominici descrive ne “Il libro della carità”[1], divengono i cieli azzurri e stellati del loggiato toscano (e forse fiesolano), ove Maria riceve l’annuncio dell’Angelo (Luca I, 35) ed è ‘adombrata’  dalla luce-dorata del Sole divino: v. Pala dell’Annunciazione, Museo del Prado, Madrid.

Gli Angeli, pensati e fantasticati dal Fondatore del convento di Fiesole, riappaiono nella realtà delle figurazioni dell’ ‘Angelico’, che è denominato tale anche perché ‘pittore degli Angeli’.

Gli Spiriti che fanno corona al trono di Dio o sono inviati in ministero presso gli eletti del Signore ricevono l’aria pittorica con  la quale il Dominici li aveva espressi nel suo scrivere. «Gli ardenti Serafini,  i Cherubini lucenti, i Throni risplendenti, le Dominazioni come zafiri, et i verdi, et virtuosi smaraldi, et i forti diamanti delle Podestà, balasci di Principati, ottimi berilli de gli Arcangeli, perle bianche, grosse et tonde perle de gli Angeli beati»[2].

Gli Angeli stelle’[3],  scendono sulla terra-cielo ‘creata’ dal Beato Angelico (e ‘restaurata’ talvolta nell’originario giardino-paradiso dell’Eden), e fraternizzano con gli ‘amici di Dio’, «ciascuno [dei quali] è come una stella nel firmamento della santa chiesa, della quale il sole è Cristo Gesù salvator nostro vero Iddio, et huomo»[4].  E san Domenico, che l’Autore della Lucula ‘immagina’ nella «canzona di san Domenico» quale

                          «Angelo di puritade,

                          Cherubin nel sapere, 

                           Per amor Serafino [...]

                           Nella fronte di stella

                          Tutto chiaro e infocato»[5],

nelle costanti ‘figurazioni’ del Beato Angelico è il Santo della stella, stella d’oro d’argento di fuoco.

Ed infine (ma solo nell’esemplificazioni, che non mi è dato moltiplicare per usura di tempo, l’inno all’amore evangelico di Giovanni Dominici. «Nel nuovo Testamento sentirete per tutto apertamente intonare la carità la quale nel Vecchio era coperta. Ama, chi ama, vi dice san Mattheo, imperoché è fatto tutto fratello. Ama, grida san Marco, perché è fatto tuo maestro. Ama il precio tuo grandissimo dimostra san Luca. San Giovanni scrive, che questo è il desiderato premio, et l’allegrezza nostra, accioché noi più l’amiamo. Sopra tutte queste cose gridano Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni, Luca con Taddeo. Carità. Amate. Amate. Tutti amiamo, et altro non voglion predicare, che amore[6]: inno-pitturato come «Lex amoris» nella tavoletta conclusiva dell’Armadio degli argenti.

         4.2

L‘animus’ di fra Antonino — guida spirituale di fra Giovanni negli anni di ‘formazione’ spirituale-teologica nel convento di Fiesole, e negli anni dell’esecuzione degli affreschi nel convento di San Marco — è presente nella pittura del Beato Angelico quasi come “intenzione d’arte: Kùnstlerische-Intention’, direbbe il ‘visibilista’ C. Fiedler’[7].

Le ‘motivazioni’ teologiche-morali di sant’Antonino sul buon uso dell’occhio e del vedere sembrano in realtà l’ordito delle ‘intenzioni’ dell’agere-facere artistico di fra Giovanni, del suo occhio-vedere-esprimere: «De his omnibus oculis debet servari illud Psal. [XXV, 15]: Oculi mei semper ad Dominum / [i miei occhi sono sempre rivolti al Signore]»[8].

Il mistero-di-Dio, d’altra parte, richiedeva il ‘tradere-per-visionem’. Iddio, infatti, che «innanzi alla incarnazione non si poteva vedere», si è reso ‘visibile’, si «è fatto uomo, ha abitato tra gli uomini»[9]. Di qui scaturiva per fra Antonino la necessità che la contemplazione si fissasse sul mistero di Cristo-uomo — punto d’incontro della teologia e dell’umanesimo —, ed in particolare sul Crocifisso. Perciò fra Antonino insegnava a Dianora Tornabuoni: Ogni dì vi pigliate una poca di meditazione della passione del nostro Signore Gesù Cristo[10]. Pertanto non è arbitrio dedurre  dalle numerose immagini-Crocifisso dipinte dal Beato Angelico le immagini proposte da fra Antonino sulla contemplazione di Cristo-in-croce. Anzi, il rapporto fra le espressioni-visive di fra Giovanni e le espressioni-verbali di sant’Antonino s’impone quando, di fronte al Crocifisso contemplato da san Domenico, che ammiriamo nel Chiostro di San Marco (v. Tav. XV),  noi ‘ricordiamo’ la prescrizione di sant’Antonino: «Inginocchiatevi dinanzi ad un Crocifisso, e cogli occhi della mente, più che con quelli del corpo, considerate la faccia sua. Prima la corona delle spine [...]; poi gli occhi [...]. Poi rivolgete gli occhi della vostra mente alle mani  [...]. Poi considerate la ferita del costato [...]. Poi volgete gli occhi della mente vostra ai piedi, e considerateli bene di cuore, come sono sanguinosi, come sono squarciati dalli chiovi...”[11].  

Si potrebbe ancora prendere spunto dalle ‘visioni’ della Nascita di Gesà (Firenze, Convento di San Marco, cella n. 5), della Deposizione di Cristo dalla croce (Firenze, Convento di San Marco, Museo), e di altre ‘immagini’ del Beato Angelico, per ‘rimemorare’ le corrispondenti ‘descrizioni’ della Nascita e della Deposizione[12] di sant’Antonino; ma è, forse, preferibile indicare la ‘intentio’ connaturata alle espressioni visive e verbali dei ‘contemplata’, perseguìta dall’Angelico ‘in coincidentia’ di ‘invenzione’ con sant’Antonino e, si potrebbe aggiungere, con la cultura umanistico-sincronica.

Le immagini-contemplate (ed esposte alla ‘contemplazione’) assurgevano per fra Giovanni e fra Antonino ad ‘exemplaria’ dell’immagine dell’animo-del-contemplante, e volevano essere ‘induttive’ (come la elocutio della retorica umanistica) a volgere l’occhio a scrutare la bellezza (o ‘pulchritudo’) e/o la bruttezza (‘vitiositas’) della ‘cella’ interiore.

La creatura razionale — ‘esortava’ fra Antonino e ‘proponeva’ fra Giovanni — «frequenter considerare debet ipsius animae excellentiam, nobilitatem, et pulchritudinem sibi collatam». ‘Bellezza’ che può giungere sino a rispecchiare la bellezza-degli-Angeli: «Anima per bona supernaturalia collata, est imago totius Caelestis Hierarchiae»; come può degradare fino alla bruttezza-delle-bestie: «[Anima] si hic vivit vitiose, efficitur imago diversarum bestiarum»[13].

Le ‘parole’ dunque e le ‘immagini’ di fra Antonino e fra Angelico hanno una funzione-persuasiva ‘fascinante’, quella della ‘bellezza-degli-Angeli’, espressa dal Pittore domenicano: l’anima può divenire ‘seraphica per amoris ardorem; cherubica per cognitionis plenitudinem; thronica per praemii quietem et securam tentionem; dominativa per summam puritatem...’; ed una funzione-persuasiva ‘deterrente’, quella della ‘bruttezza-belluina’, espressa dall’Angelico e quasi compendiata nella ‘deformità diabolica’: l’anima turpe si assimila «superbia leoni, inani gloria pavoni, invidia lynci, avaritia talpae vel serpenti terram comedenti, ira cani, gula urso, acidia asino, luxuria porco, timiditas cervo, instabilitas avi»[14]. Si comprende perciò l’esortazione di sant’Antonino ad «apparecchiare la camera dell’anima [...] in abitazione di Spirito Santo»[15]; si capisce la tensione pittorica dell’Angelico nel ‘figurare le celle’ del convento di San Marco[16].


[1] Cfr. R. W. Lee, Ut pictura poësis. La teoria umanistica della pittura, Firenze 1974. - Aristotele metteva sullo stesso piano il poeta ed il pittore perché entrambi fanno opera di imitazione. Cfr. Aristotele, Dell’arte poetica, a c. di C. Gallavotti, Ed. L. Valla, A. Mondadori ed.,Milano 1978, p. 99: “Il poeta fa opera di imitazione, esattamente come un pittore o altro artista di figure” (25, 1). -- Per l’interpretazione della ‘Ut pictura theologia’, cfr. E. Marino, Iconologia del ciclo ‘Via Paradisi’ di Giovanni di Bartolomeo Cristiani. ‘Penitenza’ e Regno di Dio’ tra medioevo e umanesimo, in “Memorie Domenicane”, N. S. nn.  8-9 (1977-78), pp. 317-325; E. Marino, Estetica fede e critica d’arte. L’arte poetica di Savonarola. L’estetica di Ficino e la Primavera di Botticelli, ed. Prov. Rom. dei FF. PP., Pistoia 1997, p. 15 e ss.

[2] Cfr. W. Trimpi, The Meaning of Oraces. Ut pictura poesis, in “Journal of the Warburg and Courtland Institute”, vol. 36 (1973), pp. 1-34. - Cfr. Orazio Flacco, Arte poetica, a c. di A. Rostagni, Loescher ed., Torino 1991: ”Pictoribus atque poetis / quidlibet audendi semper fuit aequa potestas. / Scimus, et hanc veniam  petimusque demusque vicissim” (vv. 9-10).

[3] Cfr. Cennino Cennini, Il libro dell’arte, cit., p. 30: “E con ragione merita metterla [l’arte del dipingere] a sedere in secondo grado alla scienza, e coronarla di poesia. La ragione è questa: che il poeta, con la scienza prima che ha, il fa degno e libero di poter comporre e legare insieme si e no come gli piace, secondo sua volontà. Per lo simile al dipintore dato è la libertà poter comporre una figura ritta, a sedere, mezzo uomo, mezzo cavallo, sì come gli piace, secondo sua fantasia. Adunque, o per gra cortesia o per amore”.

[4] L.  B . Alberti, L’Architettura [De re aedificatoria], Edizione Il Polifilo, Milano 1966, lib VII, cap. X, pp. 608-610: “Non minore voluptate animi contemplabor, quam legero bonam historiam. Pictor uterque est: ille verbis pingit, hic penniculo docet rem”.

[5] Leonardo da Vinci, Il libro della pittura, ib: Scritti scelti, a c. di A. M. Brizio, Unione Tipogr. Ed. Torinese, Torino 1966, pp. 203-204. -  Cfr. Aristotele, Retorica, a c. di A. Plebe, Ed. Laterza, Bari 1961, lib. I, 1366a, e 1367b, cap. IX, pp. 41, 45. -   Aristotele, Retorica, cit., lib. I,1356a, cap. II, p. 7. Cfr. Ivi anche lib. I, 1370a, cap.  XI: “Il provar piacere consiste  nel sentire un’impressione [pathos]”, p. 53. - Cfr. Cicero M. T., De oratore, lib. I, 15, 70; lib. III, 7, 27: “Finitimus oratori poeta, numeris astrictior paulo, verborum autem licentia liberior, multis vero ornandi generibus socius ac paene par. [...] Id primum in poeta cerni licet, quibus est proxima cognatio cum oratoribus”. -  Cfr. Orazio Flacco, Arte poetica (= Epistola ai Pisoni], a c. di A. Rostagni, Loescher ed., Torino 1991, vv. 40-41: “[...] Cui lecta potenter erit res, / nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo” -  La traduzione, cui alludo, è quella che ho letto in “Orazio. Le Lettere”, a c. (anche per la ‘Traduzione’ di E. Mandruzzato, Bibl. Univ. Rizzoli, Milano 1983, p. 257.

[6] L. B. Alberti, De pictura, cit., lib. III, n. 53, pp. 92-93: “Affermo sia necessario al pittore imprendere geometria. E farassi per loro dilettarsi de’ poeti e degli oratori: se poetis atque rhetoribus delectabuntur. Questi hanno molti ornamenti comuni: hi quidem multa cum pictore habent ornamenta communia”. - Devo quest’annotazione a E. Panofsky, Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale, Milano 1971, p. 32. -  Sulla problematica ‘poesia-retorica’ nel Rinascimento e nel Barocco cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, Anatomia del Barocco, Aethetica ed., Palermo 1987, p. 20: “La mentalità retorica, durante il Rinascimento, si trasferisce in tutti i campi (non sembri quindi eccessivo l’impegno degli Umanisti sul problema). Tanto è vero, che quella tripartizione teorica [docere-movere-delectare] riconosciuta or ora per la poetica, non è difficile trovarla con una diversa nomenclatura anche nelle trattazioni di arti figurative, numerose a partire dal Quattrocento”. -  Quanto al Barocco riprendo ancora da Morpurgo le posizioni di Tommaso Campanella e di Francesco Bacone: “Comune a entrambi la implicita tendenza all’utile-dulci, al delectare-prodesse. Ma in Campanella questa sintesi avviene con una accentuazione del prodesse, in Bacone del delectare. L’uno è legato alle pregiudiziali rinascimentali della Controriforma, l’altro ne è sciolto” (p. 54). -   G. Paleotti,  Discorso intorno alla immagini sacre e profane (Bologna 1582), Ristampa anastatica con premessa di P. Prodi,  A. Forni ed., Sala Bolognese 1990, lib. II, p. 274. -  G. Paleotti, Discorso intorno alle immagini, cit., lib. I, p. 67. Cfr. ancora, Ivi, lib. II, p. 192: “Il fine della pittura cristiana non è solo dilettare [delectare], ma di giovare [prodesse] insieme”. - Lo storico Julius Schlosser Magnino annota: “come il Medio Evo anche il tardo Rinascimento insiste nel mettere accanto e sopra al delectare il prodesse”; cfr. “La letteratura artistica. Manuale delle fonti della storia dell’arte moderna”, a c. di F. Rossi, La Nuova Italia ed., Firenze 1977, lib. VI, p. 430. -  G. B. Ottonelli - P. Berrettini, Trattato della pittura, e scultura. Uso, et abuso loro. Composto da un teologo, e da un pittore (1652), a c. di V. Casale, Lib. ed. Canova, Treviso 1973,  cap. I, quesito secondo, p. 7. -  G. B. Ottonelli - P. Berrettini, Trattato della pittura, e scultura, cit., cap. III, pp. 148, 186, 204, 206. -  Cfr. Francesco Maidalchino, Tromba evangelica per la incarnazione del venturo Messia [...]. Con una Predica nel fine intitolata l’ottavo Miracolo del Mondo del p. f. Tomaso Carafa domenicano per la solennità dell’Angelico Dottore S. Tomaso d’Aquino, Appresso Guglielmo Oddoni, In Venezia 1642, p. 124.Il corsivo è mio.   -   Iohannes de Neapoi (I. de Regina), in Quaestiones variae Parisiis disputatae, q. XVIII, Punct. 1, ed. D. Gravina, Neapoli 1618, p. 147.  - Per inciso faccio presente che Girolamo Savonarola nell’Apologeticus. De ratione poeticae artis (lib. IV, A. Belardetti ed., Roma 1982, p. 248) - scritto mentr’egli faceva esperienza della pittura dell’Angelico in San Marco - sembra aver presente la descrizione del domenicano fra Giovanni da Napoli quando parla del fine dell’arte poetica: “Finis autem poetae est inducere homines ad aliquid virtuosum per aliquam decentem repraesentationem, ad modum quo fit homini abominatio alicuius cibi si repraesentetur ei sub similitudine alicuius abominabilis”. Cfr. E. Marino, Sul trattato “Apologeticus de ratione poeticae artis” di fra Girolamo Savonarola, in “Memorie Domenicane” N. S. 29 (1998), pp. 179-246.. A p. 186 riepilogo le considerazioni di fra G Savonarola sui sillogismi e la graduatoria che egli stabilisce fra loro.  “L’arte poetica è da considerare all’interno della scienza della dimostrazione o sillogistica. Infatti l’arte poetica ‘forma’ il prprio esplicarsi con lo ‘instrumentum’ dell’esempio, che è un procedere da singolo a singolo, così che mediante similitudini e metafore si prova che un oggetto è simile all’altro, e si sollecita in tal modo un assenso congetturale o ‘subspicio’. Il sillogismo-esempio ‘instrumentum poetae’ è conoscenza imperfetta, di minore dignità  sia del ‘sillogismo dimostrativo, che è il sillogismo per eccellenza o ‘sillogismo-finis’ delle due altre operazioni della mente (l’apprensione e il giudizio), che produce ‘sienza’, l’efficiens scire in senso proprio; sia dle ‘sillogismo dialettico’ (o ‘interrogatio probabilis’) che conclude a semplice ‘congettura-opinione’; sia del ‘sillogismo retorico’ che, mediante l’entimema, conclude alla ‘stimazione-existimatio”. - Savonarola si sforza di dimostrare la ‘minore dognità’ del sillooogismo poetico perché egli si opponeva a quanti applicavano la ‘Ut poesis’ alla sacra Scrittura e alla teologia. G. Boccaccio, ad esempio, affermava nella Vita di Dante e difesa della poesia: “Non solamente la poesia essere teologia, ma ancora la teologia essere poesia” (cfr. edizione a c. di C. Muscetta, Ed. dell’Ateneo, Roma 1963, cap. 22, p. 39).   -   M. Lotman, La struttura del testo poetico, Mursia e., Milano 1970, p. 17.

[7] Carranza B., Summa conciliorum et pontificum, Ad Signum Spei, Venetiis 1546, p. 295v. - Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Duodecimum saeculum sul Conc. di Nicea II conferma che “Il concilio [Nicea II] ha così definito come dogma della fede quella verità essenziale secondo cui il messagio cristiano è tradizione, paradosis”.  La Lettera apostolica è firmata 4 dic. 1987.- Profitto dela citazione del Concilio di Nicea II per far riferimento al Concilio Vaticano II, che ha un vero epinicio dell’arte sacra: Fra le più nobili attività dell’ingegno sono, con pieno diritto, annoverate  le arti liberali, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice l’arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l’infinita bellezza divina sche dev’essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo, e sono tanto più orientate e all’aumento della sua lode e della sua gloria, in quanto nnessun altro fine è stato loro assegnato se non di contribuire nel modo più efficace, con le loro opere, a indirizzare religiosamente la mente degli uomini”. Cfr. il testo latino in “Conc. Oecumenicorum decreta”, a c. dell’ Ist. per le scienze relig., Bologna 1973, Conc. Vat. II, De sacra liturgia, n. 122, p. 841.

[8] Cfr. Conc. Niceno II, [Terminus, cioè ‘definizione’], in “Conc. Oecumenicorum decreta”, cit., p. 135, e  passim.. -  CfrCarranza B., Summa conciliorum et pontificum, cit., p. 295v  [Conc. Nic. II, Actio sexta. Tomus primus].

[9] E. Marino, Estetica fede e critica d’arte, cit.,  pp. 32-33.

[10] Conc. Constantinopolitanum IV, Canones, III. In Concil. oecum. decreta, cit., p. 168, 10-30.  -  Conc. Constantinopolitanum IV, Canones, III. In Concil. oecum. decreta, cit., p. 168, 14-22.. -  Cfr. Dionigi Areopagita, De Ecclesiatica Hierachia III, 3 (432b). - La traduzione italiana del testo è di E. Turolla in Dionigi Areopagita. Le opere (“La Gerarchia ecclesiastica” cap. 3, C), Ed. CEDAM, Padova 1956, pp. 138-139. Ho citato ad abundantiam il testo dionisiano perché indica il fondamento dell’ermeneutica sia della Parola della s. Scrittura che della Immagine che dipende dalla Fede.

[11] Cfr. Alce V., “Omelie” del Beato Angelico, in  “Sacra Doctrina”, nn. 1, 5 e 6 del 1983. - (68) Il Dominici era morto a Buda il 10 giugno del 1419, quasi alla vigilia dell’ingresso di Guido nel convento di Fiesole. Del ‘Riformatore’ il cronista del Necrologio di S. Maria Novella afferma: «Primus in Italia regularem introduxit observantiam». Cfr. ORLANDI S., ‘Necrologio’ di S.M. Novella, cit., voi. I, p. 148.— Ricordo, quale esempio dell’ ‘attrazione’ che esercitavano i conventi ‘riformati’, che fra Benedetto di Domenico, contemporaneo del Beato Angelico — morì il primo aprile del 1453 —‘ del convento di 5. Maria Novella, dove aveva esercitato più volte l’ufficio di priore, si ritirò negli ultimi anni di vita nel convento di San Marco. «Arctiorem vitam cupiens invenire — si legge nel Necrologio — e monasterio illo regularium fratrum sui ordinis conventum sancti marci adiit». Cfr. ORLANDI  S, ‘Necrologio’ di S.M. Novella, cit., voi. I, p. 160.

[12] IOHANNES DOMINICI, Lucula noctis, ed. HUNT E., Notre Dame Indiana 1940, [Prologus], pp. 1-5. — Nella risposta di Coluccio a fra Giovanni Dominici — lettera rimasta incompleta per la morte di Salutati — si trova la più chiara affermazione dell’ ‘umanesimo’ come movimento culturale all’interno del cosmo della Fede. Mi limito a riferire la ‘professione di fede’ di Coluccio, che si basa sul ‘Crocifisso’ — come la ‘visione’ della Trinità di Masaccio, di cui ho detto; come il ‘soggetto-pittorico’ che qualifica il ciclo di San Marco e di Fiesole del Beato Angelico —, e sulla ‘prevalenza’ della ‘stultitia crucis’ sulla ‘sapientia mundi’. «Michi vero solus placet Iesus Christus et ipse pro salute fidelium crucijixus, qui florentibus Grecia Italiaque studiis [...] stultam fecit sapientiam huius mundi; stultam quidem non sapientia sapientium, sed stultitia praedicationis et crucis». Cfr. Epistolario di Coluccio Salutati, a cura di NOVATI  F., Roma 1905, voi. IV, p. 1, pp. 214-215. — Non sono d’accordo con Mario Salmi, il quale ritiene che porre rapporti tra Dominici e Beato Angelico è «discutibile tentativo di spiegare attraverso fonti letterarie la spiritualità» di fra Giovanni. ‘Discutibile’ sarebbe se i rapporti rimanessero a tale esclusivo livello letterario e non fossero confrontati con la ‘forma-arte’del Beato Angelico. Infatti, se è vero che «il Beato [...] doveva essersi egli stesso formato una propria teologia ispiratrice della sua arte» (che occorre d’altra parte ‘provare’, la qual cosa non fa il Salmi), è altrettanto vero che lo ‘specifico’ della ‘spiritualità’ del Beato Angelico deve essere nello spazio-tempo, in cui visse ed operò, e quindi nei circoli di cultura teologici-artistici nei quali egli maturò se stesso (cioè la sua ‘forma-persona’) e la sua arte (vale a dire la sua ‘forma-arte’). Cfr. SALMI M., Beato Angelico, cit., p. 81. Cfr. note 182-185.

[13] GIOVAN D0MINICI , Il libro della carità, Vinegia 1556, pp. 200-2 10.— Dominici raccomanda a Bartolomea degli Alberti di educare il bambino (anzi l’infante) attraverso la visione di opere d’arte, ma di ‘arte-povera’ (si potrebbe dire). «Avvisati se dipinture facessi fare in casa a questo fine, ti guardi da ornamenti d’oro e d’ariento, per non farli prima idolatri che fedeli; però che vedendo più candele s’accendono e più capi si scuoprono e pongonsi più ginocchioni in terra alle figure dorate e di preziose pietre ornate che alle vecchie affumate, solo si comprende farsi riverenza all’oro e alle pietre e non alle figure o vero verità per quelle figure ripresentate». Cfr. D0MINICI G., Governo di cura familiare, in «Prosatori volgari del Quattrocento», a cura di VARESE C., Milano-Napoli 1955, pp. 26-27.

[14] Uso la terminologia di Rudolf Otto (Il sacro, Milano 1966), che mi sembra appropriata a comprendere l’effetto che la pittura del Beato Angelico — come di altri artisti — ha sul fruitore. Il ‘fascinans’ ha nel Beato Angelico prevalenza sui ‘tremendum’ (che prevarrà, ad esempio, in alcune opere di Michelangelo).

[15] Constitutiones primaevae S. O. Praedicatorum, cit., ‘Prologus’, p. 5. «Cum ordo speciaiiter ob praedicacionem et animarum salutem ah inicio noscatur institutus fuisse».

[16] ANTONINUS ARCH. FLOR., Summa moralis, pars I, tit. Il, cap. III, § I, in «S. Antonini opera omnia», cura MAMACHI T. M. et REMEDELLI D., Florentiae 1741, col. 159-161.