IL ”BREVIARIO” DI FRA GIROLAMO SAVONAROLA
Compendio della spiritualità e della predicazione del Domenicano
Le celebrazioni del Quinto Centenario della morte di fra Girolamo Savonarola in Piazza della Signoria di Firenze (1498-1998) si sono concluse con un evento editoriale di eccezionale valore: la pubblicazione del Breviario in uso del Savonarola e da lui ampliamente ‘postillato’, compendio - e anche da questo punto di vista, dunque, ‘breviario’ - della vita spirituale ed apostolica del predicatore per eccellenza della Città del Fiore, e contributo essenziale alla lettura integrale degli scritti del Domenicano, che non hanno trovato posto nel progetto dell’ “Edizione nazionale delle opere di G. Savonarola”, edita da A. Belardetti (Roma) a cominciare dal 1955.
Il primo volume de “Il Breviario di Frate Girolamo Savonarola” è “riproduzione fototipica dell’incunabolo Banco Rari 310 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze”, curata dalla “Fondazione Ezio Franceschini” e pubblicata presso la SISMEL-Edizioni SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze 1998.
Il “Breviarium secundum ordinem sancti Dominici”, che fra Girolamo ebbe in uso - a cominciare dal 1485/6 fino al 1492/3 - per adempiere all’opus della preghiera liturgica, ma che egli arricchì stilandovi in ’postille’ i pensieri che le celebrazioni gli suggerivano in vista della predicazione, era stato pubblicato a Venezia nel 1481 - il 21 di novembre, precisa l’explicit, ove viene aggiunto non senza orgoglio: “impensa caractere iucundissimo et optimo Joannis de Colonia Nicolai Jenson sociorumque: qui summam curam adhibuere: ut suaue quoque sine vitio lauteque sit elaboratum”.
Tale breviario ha il formato di mm. 145 X 105. Si tratta infatti non del “Breviarium magni voluminis” che, collocato sul badalone in mezzo al coro o in più parti di esso su ampi leggii, veniva letto contemporaneamente dai religiosi oranti, ma del “Breviarium parvum”, che i frati itineranti ed i predicatori portavano con sé per soddisfare all’obbligo delle Costituzioni che prescrivevano: “Praedicatores vel itinerantes cum in via existunt officium suum dicant prout sciunt et possunt” (cfr.“Constitutiones primaevae S. Ord. Praedicatorum” XXXIV, a c. del Conv. di S. Domenico di Fiesole, a. 1962). Nella riproduzione in facsimile il ‘Breviario’ è stato ‘ingrandito’ alla misura di mm. 220 x 160, e ciò - avverte il prof. Claudio Leonardi nella breve premessa (p. XIV) - “per desiderio di padre [A. F.] Verde”, animatore del Progetto Savonarola, “per facilitare, almeno in parte, la lettura delle glosse, spesso di piccolo modulo e di andamento corsivo”.
La Direttrice della Biblioteca Nazionale dott. A. Ida Fontana richiama l’attenzione su questo breviario-incunabolo e lo descrive quale “cimelio prezioso perché esso, come dimostrano gli studi, conserva molto probabilmente la legatura originale in cuoio verde oliva voluta dallo stesso primo possessore” (p. XIII).
Il secondo volume del “Breviario”, che ha per sottotitolo la specificazione: “Postille autografe trascritte e commentate a cura di A. F. Verde O. P.”, è stato curato dalla redazione della più che centenaria rivista “Memorie Domenicane” - che insieme alla Regione Toscana, alla Fondazione Ezio Franceschini e all’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento ha promosso le onoranze del Savonarola -, e pubblicato (come il primo volume) presso SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze 1999.
Il commento alle postille è preceduto dalla Introduzione di p. Verde (pp. XV.XLVIII), e dagli interventi complementari ed esplicativi di Giulio Cattin su “I Sermoni De Sanctis “ (pp. XLIX-LXV), di Sebastiano Gentile su “Poliziano e la sua traduzione dell’opera di Atanasio in una postilla del Breviario” (pp. LVI-LVII), di Simone Nencioni e Manila Soffici su “Le annotazioni autografe di G. Savonarola nel Breviario” (pp. LXVIII-LXXIV), e di Piero Scapecchi che puntualizza nella “Scheda codicologica” alcune peculiarità del Breviario (pp. LXXV-LXXVI).
Nella “Introduzione” il domenicano A. F. Verde ci narra che Roberto Ridolfi, il più attivo studioso di Savonarola, fin dal 1939 aveva fermata la sua attenzione sulle postille di fra Girolamo al Breviario, ma che sconsolato lamentava che nessuno aveva tentata ”l’ardua impresa di identificare e di datare le prediche che vi si trovano scritte” (p. XV). Dopo circa sessant’anni tale “impresa” è stata compiuta con rigore da p. Verde insieme con esperti collaboratori, che si sono sobbarcati all’onus et aestus di decifrare (e non era facile) le postille autografe, di trascriverle e commentarle.
Anzitutto Verde si è cimentato nel determinare ‘quando’ Savonarola è entrato in possesso del Breviario e vi ha scritto le annotazioni e/o schemi di predicazione. Ed è riuscito a tale scopo sceverando anche i “riferimenti cronologici nelle densissime postille autografe” (p. LXIX), vericando, ad esempio, le date che sono apposte alle rubriche che trattano del cursus dell’ anni circulum: “Cum nunc simus in anno 1486, bissextus erit 1488” (p.6); ed ancora: “Sumus in ultimo anno indictionis. Anno 1490 Indictio 8” (p. 6). Pertanto Verde stabilisce che fra Girolamo “ebbe tra le mani il Breviario in un arco di tempo di almeno sette anni, compresi fra il 1486 ed il 1493 circa” (p. LXIX).
Questa datazione esclude che tale Breviario sia stato ‘il primo’ che fra Girolamo abbia avuto con sé come ‘frate itinerante’, ché altrimenti egli vi avrebbe (con tutta probalità) lasciato tracce fin dal 1482, quando venne inviato al convento di San Marco di Firenze come professore e predicatore. Il Breviario postillato fu dunque un ‘secondo’ Breviario-compagno di viaggio di Savonarola - la qual cosa però non esclude che egli abbia lavorato sul Breviario personale anche nella quiete della propria cella -, al quale dovette seguire un ‘terzo’, posteriore al 1493 e non arrivato fino a noi (pp. XXV-XXVIII). Del resto le “osservazioni paleografiche” di S. Nencioni-M. Soffici confermano che nel Breviario postillato da Savonarola sono presenti anche altre due ’mani’ (pp. LXIX-LXX).
Le ‘Postille’, precisa p. Verde, sono “testi redatti” da Savonarola, cioè “testi preparati per essere poi spiegati”, e non “testi riportati” come avvenne per le prediche posteriori al 1494 ad opera di Lorenzo Violi (pp. XLVI). Alcune volte, anzi, le postille sembrano un diario di quanto Savonarola aveva predicato: “Et dixi quid est Evangelium, ut habes in sermonbus Apocalipsis” (il corsivo è mio; cfr. c. 5v, pag, 23). La lingua delle postille è quella latina, e “tuttavia - annota Verde - fra Girolamo all’uditorio laico predicava in lingua volgare” (p. XLVII).
Nelle postille Savonarola manifesta le sue fonti d’ispirazione o ”strumenti di lavoro” - come si esprime A. F. Verde -, che ci rendono conto della sua vasta cultura. Verde li riassume (prima di esplicitarli) nel seguente passo. “Non pochi di questi [strumenti di lavoro] sono da lui citati: la Bibbia e la Glossa biblica, il Corpus iuris canonici, le opere dei SS. Padri (in particolare: Moralia sive expositio in Iob ed i Dialogorum libri IV di s. Gregorio Magno), la Historia Scholastica di Pietro Comestor, l’Ordinarium iuxta ritum sacri Ordinis Fratrum Praedicatorum, la Summa virtutum et vitiorum di Guglielmo Peraldo, lo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais, le Vitae Patrum, le opere di s. Tommaso D’Aquino (compresa la Glossa continua sui quattro Vangeli, dallo stesso Savonarola chiamata Catena aurea), le opere di s. Alberto, quelle a lui vicine di s. Vincenzo Ferrer e di s. Antonino, le varie leggende della vita dei santi soprattutto, ed esplicitamente citata, la Legenda aurea di Iacopo da Varazze [“vide in Voragine”: è il richiamo che fra Girolamo appone nelle ‘Postille’], eccetera” (pp. XL-XLI).
Accanto a san Tommaso, Savonarola ha come patrimonio culturale la frequentazione di sant’Agostino. Di questo Dottore della Chiesa il Lettore-predicatore di San Marco nel Breviario recensisce e sunteggia, quasi libro per libro, le grandi opere che Verde poi puntualizza per il lettore indicando con cura il ‘locus’ della citazione.
Riporto quasi al completo l’elenco degli scritti di Agostino - che, si abbia presente, nell’ordine Domenicano è chiamato “Pater Augustinus” perché san Domenico ne adottò la ‘Regula’ -, appuntati nel Breviario per far gustare l’erudizione ‘agostiniana’ di fra Girolamo: Super Genesim ad litteram (cc. 60v-61r, pp. 230-232); De doctrina christiana (c. 61r-62r, pp. 232-235); De Trinitate (c. 62r-63v, pp. 235-239: faccio notare che nel 13° libro, cap. 10, fra Girolamo pone a raffronto la dottrina di Agostino e quella di Tommaso sul “redemptionis modus” ed esprime preferenza per le ‘rationes’ dell’Aquinate lette nella Terza parte della Somma teologica, c. 63r, p. 238); Liber Meditationum (c. 63v, pp. 239-240); Enchiridion (c. 63v-6av, pp. 240-243); De triplici habitaculo (c. 64r-64v, p. 243); De scala Paradisi (c. 64v, pp. 243-244); De duodecim abusionibus (c. 64v, p. 244); De beata vita (c. 64v, p. 244); De assumptione beate anime (c. 64v., p. 245); De divinatione demonum (c. 65r, p. 245); De honestate mulierum (c. 65r, p. 245); De cura pro mortuis agenda [gerenda], c. 65r-65v, pp. 246-247); De vera et falsa penitentia (c. 65v, pp. 247-248); De compunctione cordis (c. 66r, p. 248); De contemptu mundi ad clericos (c. 66r, p. 248); De decem preceptis per comparationem ad decem plagas (c. 66r, pp. 248-249); De fide ad Petrum (c. 66r-66v, pp. 249-250); De vita et moribus clericorum (c. 66v, pp. 250-251); De vera religione (c. 67r-67v, pp. 251-253).
Analizzando la struttura degli schemi p. Verde mette in evidenza il ‘metodo’, si potrebbe dire, con cui Savonarola approntava le varie postille e ne usufruiva. Esse, infatti, non sono monadi a se stanti, ma vengono connesse tra di loro come una rete (o parti di un tutto), e con rimandi precisi, a predicazioni già tenute - ad es. alla “predicazione della Quaresima del 1490, [...] del Quaresimale del 1491” (p. XXXI) -, a “testi da lui composti in epoca anteriore ed in varie occasioni” - ad esempio “sono richiamate le lezioni sull’Apocalisse tenute tra il 1° agosto 1490 ed il 9 gennaio 1491” -, oppure a postille interne al Breviario quasi a rendere le une completamento delle altre (pp. XXXV).
Le ‘Postille’ al Breviario diverranno poi a loro volta gli appunti di riferimento della predicazione e degli scritti che fra Girolamo svolgerà in tempo posteriore. “Di solito il Savonarola - chiosa A. F. Verde nel presentare il “Sermo In Domino confido” - rimandava al Breviario per richiamare un luogo dove aveva già esposto l’argomento che andava enunziando e che il richiamo permetteva di tralasciare” ([G. Savonarola], Scritti vari, a c. di A. F. Verde, A. Belardetti ed., Roma 1992, p. 312).
Con peculiare cura p. Verde attira l’attenzione del lettore sulle ‘rationes fidei’, e ne discopre con acume e chiarezza l’origine ed il valore incentivo alla fede. “Il Frate Domenicano - aveva annotato p. Verde nella ‘Nota critica” alle “De rationibus fidei” del Triumphus fidei abbreviatus messe a confronto con l’anteriore redazione “scritta sulle carte del Breviario” - caratterizzò il comune tessuto argomentativo con forti accenti tipici della sua personalità: fece derivare le rationes dalla sua esperienza del male del secolo, le applicò ai vari eventi storici cui andava partecipando e le presentò come efficace antitodo all’incredulità che giudicava essere la fonte di tutte le sciagure (“flagella”)” ([G. Savonarola], Scritti vari, cit., p. 357).
Nella Introduzione e nelle Note lo studioso trova dunque le indicazioni necessarie ed utili alla lettura del Breviario ed un ausilio indispensabile per ulteriori personali ricerche.
Le postille stese dal Frate domenicano sui margini bianchi del Breviario insieme alla sua ‘mano’ dal ductus controllato per “trasmettere chiaramente il messaggio” - come hanno sottolineato gli studiosi della scrittura di Savonarola i paleografi S. Nencioni-M. Soffici (p. LXXII) - ci manifestano il ‘diligens studium’ di fra Girolamo nel prepararsi e nel preparare la predicazione, che è l’”azione più fruttuosa e piu eccellente tra tutte le opere compiute dai frati dell’Ordine: opus fructuosius et excellentius inter omnia opera Ordinis”, insegnava il Maestro generale Umberto de Romanis nella sua “Expositio Constitutionum FF. Praedicatorum” (cfr. Opera. De vita regulari, Marietti ed., Torino 1956, t. II, p. 31).
Savonarola anzitutto - e pertanto non bisogna dimenticarlo - ‘pregava’ e ‘meditava’ recitando o cantando l’Ufficio divino che il breviario presentava e regolava giorno per giorno ed ora per ora, e non solo con la prescrizione delle rubriche ma e soprattutto mediante la proposizione ‘ecclesiale’ e quindi ‘autoritativa’ ed ‘ortodossa’ dei misteri della salvezza. Fra Girolamo ricorda, ed annota tra le postille, che san Domenico: “Fratres excitabat in choro ad utrumque partem ut alacriter cantarent” (cfr. c. 259r, p. 401).
La preghiera liturgica era in realtà la prima fonte della ‘meditazione’ diuturna e notturna del discepolo di Domenico. Egli l’apprendeva fin dal noviziato: “Novitii infra tempus probationis suae in psalmodia et officio divino studeant diligenter”, e veniva dichiarato che non potevano essere ammessi alla professione “nisi prius didicerint divinum officium sicut ordinatum fuit in capitulo apud Carcassonem, MCCCXII” (cfr. “Liber Constitutionum FF. O. Pr.” dist. I, cap. XIV, ‘per Lazarum de Soardis, Venetiis A. Domini 1516, c. 27v).
L’ Officium divinum diveniva pertanto lo strumento di formazione permanente del frate domenicano, che lo proporzionava anche e costantemente alla ‘predicazione’, secondo quel processo spirituale-culturale indicato da Umberto de Romanis ai frati impegnati nell’annunzio della parola del Signore: “Sapiens praedicator debet facere quod in se est, diligenter studendo circa praedicationem faciendam, ut laudabiliter fiat. [...] Sermones Dei corde sunt comedendi, et diligentius attendendi, et sic ad populum proferendi” (cfr. Liber de eruditione praedicatorum, VII, in “Opera”, cit., t. II, p. 394), e compendiato da san Tommaso con stringatezza nell’effato quanto mai espressivo (e pienamente aderente alla personalità di Savonarola, anche in questo discepolo dell’Aquinate):“ Contemplari et contemplata allis tradere: contemplare e trasmettere agli altri quanto contemplato” (II-II, q. 188, a. 6).
Gianfrancesco Pico della Mirandola testimonia, e per confidenza fattagli dallo stesso fra Girolamo, che il Frate ricevette piena luce sulle sue profezie durante un momento di contemplazione mentre partecipava alla preghiera liturgica. “Un giorno dicendo l’ufficio in coro, elevato in contemplazione alle cose di Dio, giunse a quel versetto del Salmo ‘Bonus es tu, et in bonitate tua doce me iustificationes tuas’ [Salmo 118, 68: questo versetto veniva recitato all’ora Terza della Feria II dopo la seconda domenica del Salterio]. E subito tutte le tenebre della mente si fuggirno et ogni dubitazione [de futuris quae praeviderat eventis: specifica il testo latino], nata nuova luce, fu via scacciata” (G.F. Pico Della Mirandola, Vita di Hieronimo Savonarola, Volgarizzamento anonimo, a c. di R. Castagnola, Ed. del Galluzzo, Firenze 1998, cap. V, p. 15; cfr. l’ediz. latina: Vita Hieronymi Savonarolae, a c. di E. Schisto, L. S. Olschki ed., Firenze 1999, cap. 5, p. 119).
Le postille rivelano ad abundantiam che fra Girolamo nella composizione dei suoi discorsi si lasciava guidare dai testi del breviario. Ad esempio, nella festa di san Gregorio Magno l’ordito è basato sul: “Narra quae habes in tribus primis lectionibus [...]. Dic quartam lectionem et quintam, cui interpone quod [...]. Et sequere sextam lectionem cui adiunge [...] Et dic tres ultimas lectiones” (cfr. 211r-211v, pp. 366-369).
Il Frate di San Marco però non era ripetitore anonimo dei testi che assumeva dal breviario: egli li faceva passare al fuoco di quei fattori che formavano la sua spiritualità e strutturavano la sua predicazione, vale a dire il ‘contemplare la vita di Cristo’ (si ricordi l’effato di s. Tommaso: contemplari, etc): “Ego [...] nihil melius invenio quam contemplari vitam Christi: omnis eius actio, omne verbum, est nostra instructio” (c. 108v, p. 311), e l’amore del Redentore sprigionantesi dalla dolorosa Passione: ”Nihil est efficacius amore Christi et nihil magis ad eius amorem excitat quam contemplatio Passionis eius” (cfr. c. 112v, p. 320).
Era da questa ‘rotula in rota’ della contemplazione amorosa di Cristo-crocifisso che Savonarola riteneva venisse prodotto il moto centrifugo della predicazione della salvezza da annunciare ‘agli altri’: contemplata aliis tradere, come osservanza del precetto dell’amore del prossimo che il Signore aveva prescritto come volontà suprema ai suoi discepoli. E’ questo infatti il senso della ‘postilla’ che il Frate domenicano appone all’epistola della messa della festa dell’Ascensione: “Praecepit [Iesus] quod praedicarent pro salute aliorum et hoc est testamentum eius, scilicet dilexio proximi. Et ad hoc omnes tenentur suo modo” (c. 129v, p. 343).
Dall’amore di Dio e del prossimo Savonarola faceva dunque scaturire la qualifica del suo modo di predicare, che consisteva nel porgere l’insegnamento del Vangelo con l’intento di renderlo efficace nella ‘formazione’ o ‘reformazione’ della vita dei singoli e della città. Egli usava, quasi personale ‘rubrica’, l’imperativo: ‘pratica’, cioè non restare fermo nella ‘teoria’ ed applica agli uditori. “Pratica contra eos qui expectant penitere” (c. 100r, p. 288). E per raggiungere più facilmente tale scopo talvolta soggiungeva: ‘vulgariza’, che può significare sia ‘rendi più facile la comprensione’: “Et recita totum et vulgariza” (c. 214v, p. 374); sia ‘parla in lingua italiana’: “Ego quasi vitis [Giov. 15, 1-5] etc. Et totum dic in vulgari” (c. 273v, p. 4).
In alcune circostanze per attenuare l’impatto di austerirà o rigore della predicazione su argomenti che potevano turbare l’uditorio fra Girolamo s’imponeva di esporre cum affectu: “Dic praedicando contra vanitatem mundi, de morte et iudicio etc. Et hoc cum affectu rogando” (c. 286, p. 438).
Per manifestare il proprio amore ed attrarre i fedeli alla compiacenza del mistero considerato, il Domenicano ardiva ricorrere a parole audaci e poetiche.
Predicando sulla Vergine Maria egli ‘scioglie la lingua’ in modi di dire che sanno della tenerezza dei poeti del dolce stil novo: “In fine dic: Benedic anima mea, resolve te in linguas etc., quia [Maria] est amorosa cordis nostri etc., et dic: o Virgo parce mihi, quia amor nescit reverentiam etc. Tu es illa quae me confortat” (c. 214r, p. 373).
Alla Vergine Maria fra Girolamo si rivolgeva filialmente con fiducia e devozione anche per ricevere aiuto o - per riprendere il lessema del Domenicano - ‘connforto’ nell’esercizio dell’ufficio di predicatore. Nel sermone XII sulla Prima Lettera di Giovanni [a. 1490] manifestava agli uditori che egli nella notte dell’antivigilia di Natale sentendo un grande mal di testa: “cum haberem caput humoralibus calidis occupatum”, e temendo di non poter salire sul pulpito per la solennità della nascita di Cristo, si rivolse alla Madonna per esserne liberato “promettendo” che in caso di guarigione avrebbe predicato nel periodo natalizio “sui gaudi e sulle consolazioni” che ella aveva esperito nel partorire Gesù: “Ad Virginem Sanctam me contuli promittens, si me liberaret ut saltem posse celebrare, quod istis diebus sermones facerem de gaudiis et consolationibus quas habuit in isto partu” (cfr. “Sermones in Primam divi Ioannis epistolam” secondo l’autografo, a c. di Verde A. F e Giaconi E., Ed. del Galluzzo, Firenze 1998, Sermo XII, p. 172 ).
Nella postilla alla festa dell’Ascensione del Signore fra Girolamo si proponeva di rivolgersi agli ascoltatori ‘in modo dolce’; ed il suo parlare si conformava di fatto all’ansia della ‘Sposa dei Cantici’: “Et hic pratica dulciter: Benedicens ergo eis ferebatur in coelum etc [Luca 24, 51]. Oculi autem et corda sequebantur. O Virgo, ubi est cor tuum ? O Petre, etc. O amor, Christe, rapuisti cor meum, trahe me post te [“Canticus canticorum” 1, 3] etc” (c. 129v, p. 343).
Negli appunti dei sermoni sul Cantico dei cantici, che avrebbe predicati nella chiesa di San Lorenzo nel 1484, il Savonarola aveva quasi assolutizzato la ‘theologia cordis’: “Il tuo cor dunque non stia in te; non lo ritenere nel corpo, ma prendelo a dàlo a me [...]. Dare ergo omnia alia Deo et non dare cor, est nihil dare” ([Savonarola] Sermoni sopra il principio della Cantica, a c. di Cantelli Berarducci S., A. Belardetti ed., Roma 1996, I, pp. 4-6).
Fra Girolamo, troppo spesso qualificato di ‘rigidezza’, non sottovalutava affatto l’amore e l’’amore sensibile’: “Vivere sine amore nullus potest [...]; non trahimur nisi per sensibilia inter que species hominis excedit”. E questa costatazione lo induceva a ‘contemplare’ la manifestazione dell’amore di Dio nel ‘sensibile’, appunto - e per di più ‘bello’ - della ‘incarnazione del Figlio di Dio’: “Propter hoc Filius Dei incarnatus est et factus speciosus”; e lo portava a proclamare in Maria, Sposa della Sapienza - e la ‘Sapienza’ “è la bellezza stessa: quae est ipsa pulchritudo” -, la “immagine massima della Sapienza: maxime imago Sapientiae”, e quindi “la donna più bella: est pulcerrima”: più bella di Sara e di Rebecca, del sole e degli angeli, così che “la sua stessa figura attrae il nostro animo: et figura ipsa trahit animos nostros” (c. 273v, pp. 416-417).
In forza di questa ‘vis movendi’ fra Girolamo costruiva le sue prediche con enunciazioni strutturate non solo secondo le leggi della retorica, cioè capaci di portare l’uditorio mediante l’entimema all’assenso delle ‘rationes fidei’, ma anche con esposizioni di carattere poetico che guidavano gli ascoltatori all’accettazione del messaggio evangelico attraverso l’inferenza del sillogismo poetico (appunto), che porta all’adesione mediante la ‘adlicentia’ propria del ‘bello’, come il Frate domenicano aveva insegnato nello scritto ”Apologeticus de ratione poeticae artis” del 1491-1492, contemporaneo alle ‘Postille’ del Breviario (cfr. Marino E., Sul trattato ‘Apologetiscus de ratione poeticae artis” di fra G. Savonarola, in “Memorie Domenicane” N. S. 29 (1998), p. 181 e ss.).
Ad esempio, quando leggiamo la postilla alla festa della Natività di Maria le ‘rationes’ che fra Girolamo adduce per eccitare i fedeli, uomini e donne, alla devozione della Madre del Figlio di Dio, ci appaiono vere e proprie ‘rationes cordis’, provocate dall’amore: “Ergo cupiens ut omnes capiantur eius amore ostendamus qualiter est super omnes maxime diligibilis”. Invitava perciò ‘gli uomini’, i quali sono “molto attirati dall’amore delle donne: multum trahit amor mulierum” ad amare la Vergine Maria: “vos, viri, hanc pulchram diligite” per lasciarsi in tal modo trasportare all’amore di Dio: “ut per ipsam ad divinum amorem transeamus”; ed invitava contemporaneamente ‘le donne’ “ad imitare la Vergine se volevono essere amate dagli angeli e dagli uomini: o mulieres, si vultis ab angelis et hominibus vere diligi, imitamini Virginem” (c. 273v, pp. 416-417).
È siffatta ‘sensibilità’ che induce Savonarola ad introdurre nella sua predicazione addirittura citazione di versi, propri od altrui. Nel Breviario la postilla sulla Passione del Signore apponeva l’abituale ‘rubrica personale’ che gli prescriveva: “pratica’’. “Et hic pratica sic: anima che fai ? Cor mio che pensi ? etc.”, che sono espressioni che egli aveva usato ad litteram nel Proemio al “De passione Domini” ed in versi nella lauda “Che fai qui, core”, della quale è autore: Proemio e Lauda si leggono nel Codice autografo - rispettivamente a c. 33r e a c. 56v; cfr. Cattin G., Il primo Savonarola. Poesie e prediche autografe dal Codice Borromeo, L. S. Olschki ed., Firenze 1973, pp. 21-22, 221 e 290) -, al quale espressamente rimandava: “iuxta illud quod tu scis in Prohemio et laude” (Breviario c. 115r, p. 327). I primi versi della ‘lauda’, scritti su due colonne, suonano: “Che fai qui Core / Che fai qui core / Vane al tuo dolce amore”.
A c. 114r (p. 324) del Breviario il Predicatore domenicano incitava l’anima a consolare il Cristo che stava per salire sulla croce: “Vade, ergo, anima, ad consolandum eum”, ed in questo contesto riportava il verso O Yhesu, fami teco morire, che troviamo nella “Laude al crucifixu” (che Savonarola firma): “Jesu fami morire / Del tuo amore vivace / Jesu fami La(n)guire / Co(n) te segnor verace” (strofa VI, in: Cattin G., Il primo Savonarola. Poesie. cit., p. 220).
Lo stesso verso fra Girolamo ripetva ancora una volta nel Breviario a c. 115v (p. 328) quando esprimeva la sua contemplazione di Cristo sofferente sulla croce: “Declara quale crucifixerunt eum [...] Deinde pratica: O Yhesu, qualiter te video [...], Fami, Yhesu, teco morire”.
Il verso savonaroliano ed il contesto nel quale lo introduce sembrano coniati sulle rime di Iacopone da Todi: “Cristo amoroso, et eo voglio / en croce nudato salire // e voglioce abracciato, / Signore con teco morire (cfr. Iacopone da Todi, Laude, Reprint a c. di Mancini F., Ed. Laterza, Roma-Bari 1977, lauda n. 15: “Ensegname Iesu Cristo”, vv. 51-53).
Al di là dei singoli versi riportati nelle Postille, impressionano le due laude che Savonarola scrive sul foglio di guardia recto del Breviario: la prima lauda: Tuto sei dolce, Idio, Signor eterno appartiene a Feo Belcari; la seconda lauda è di fra Girolamo (egli nel ‘congedo’ la chiama “canzoneta”): Jesù, splendor del cielo e vivo lume. Queste poesie possono considerarsi quasi ‘premesse’ o ‘prefazione’ o ‘fonte d’ispirazione’ di quanto fra Girolamo intendeva postillare scorrendo le pagine del suo breviario.
Di questa intenzione troviamo conferma nel Codice autografo, il così detto ‘Codice Borromeo’ studiato da Giulio Cattin. Nel foglio in pergamena, che costituisce la guardia della coperta interna, Savonarola trascrisse la sua lauda: Onnipotente Idio, / Tu sai quel che bisogna al mio lavoro. In questa “breve lauda in forma di preghiera” Cattin interpreta acutamente che Savonarola abbia voluto esprimere “in forma poetica i suoi ideali di asceta e di mistico” (Cattin G., Il primo Savonarola, cit., p. 84). Il medesimo progetto, aggiungo, viene insinuaro nella lauda di Feo Belcari: O anima cechata / Che non trovi riposo copiata sulla c. 1r, che prefigura le angustie di fra Girolamo di fronte alla ‘cecità’ dei cristiani tutti: “Considera principes, cardinales, doctos, artifices, mulieres etc. tamquam ceci ambulant” (cfr. Verde A. F., G. Savonarola: il Quaresimale di S. Gimignano, in “Memorie Domenicane”, N. S. 20 (1989), [3° schema], p. 186).
Del resto sappiano che la prima estrinsecazione che Savonarola ha dato di se stesso è nelle sue composizioni giovanili, scritte quando ancora non aveva professato la regola di san Domenico, cioè nelle canzoni “De ruina mundi” del 1472 e “De ruina ecclesiae” del 1475 ca, nelle quali sotto forma lirica appaiono le sue preoccupazioni di ardente cristiano sulla ‘rovina del mondo’ nel quale si trovava a vivere: Vedendo sottosopra volto el mondo (“De ruina mundi” v. 6), e sulla ‘rovina della Chiesa’ che amava con zelo quasi geloso: [...] Quando / Io vidi a Roma intrar quella superba, / Che va tra’ fiori e l’erba / Securamente, mi restrinsi alquanto / Ove io conduco la mia vita in pianto. [...] Povra va con le membra discoperte, / I capei sparsi e rotte le g[h]irlande (“De ruina ecclesiae” vv. 29-33, 45-46).
V’è dunque un ‘animo poetico-ascetico-mistico’, che è la ‘forma personae’ di Savonarola, che dalle ‘poesie giovanili’ si estende all’apostolato di ‘frate Predicatore’, anche se solo eccezionalmente in ritmo metrico.
Nella lauda (ad esempio)Jesù, splendor del cielo riscontriamo quei ‘sentimenti’ profondi di ‘amor sensibilis’ che fra Girolamo infonde nelle postille delle pagine del Breviario al quale è stata preposta. Accenno alcuni versi.
Anzitutto rievoco il già menzionato Leitmotiv mistico che agitava il Frate e che forse egli si riproponeva quotidianamente quasi ‘giaculatoria’: Fammi d’amor morire, esplicitato in: E por me estesso al mondo in tanto oblio, / Che, morto, in me tu viva, Iesù pio (vv. 19-21); e poi rammento: Amar vorei e vo cerchando amore (v. 29), Qual cor spiatato in te non se innamora, / Se penetrasse il cielo ? (vv. 36-37), Tu sei, Yhesù, pur quello / Che per salvar il mondo in croce pende (vv. 40-41; cfr. “Breviario”, Postille iniziali, Seconda lauda, pp. 2-3).
Al gusto dell’espressione poetica Savonarola unisce l’apprezzamento per la musica ed il canto, che accompagnavano normalmente la celebrazione corale dell’Ufficio divino. Il testo dei Salmi, che scandisce le pagine del breviario, si risolve infatti in ‘inno-cantico--elevazione dell’animo’, che sono come la ‘modulatio’ della “lode di Dio” che ‘sgorga con forza dalla voce’: questa è la descrizione che fra Girolamo ci propone quando postillando il versetto dell’”Invitatorio”: Venite exultemus Domino, iubilemus Deo salutari nostro - che introduce il Salmo che apre il libro sacro: “Beatus vir qui non abiit in consilio impiorum et in via peccatorum non stetit” -, annota che il Salterio è “Liber hymnorum vel Soliloquiorum David prophete de Christo”, e spiega: “Est autem hymnus laus Dei cum cantico at vero canticum est exultatio mentis habita de eternis in voce prorumpens” (c. 16r, p. 30).
Il ‘canto’, leggiamo nella densa postilla all’ufficio della festività del Natale, è ‘segno della grazia’ quando è ‘delectatio’ della contemplazione dei misteri del Figlio di Dio fatto uomo, e quando scuote con il “giubilo” l’anima tutta e la porta a correre all’amore di Cristo, secondo l’annuncio degli Angeli ai pastori ed il loro canto “Gloria a Dio” (Luca 2, 8-14): “Signa gratiae sunt delectatio in talibus contemplationibus etc. et ex hoc angeli cantant quia tota anima iubilat et omnes virtutes ad Christi amorem currunt, obsequuntur caritati etc.” (c. 72r, p. 261).
Fra Girolamo ‘sentiva’ dunque il canto come approfondimento della contemplazione dell’opera della salvezza e come ‘gioia’ che nel suo grado più alto diviene ‘giubilo’, cioè quel gaudio ineffabile che non si riesce né a soffocare né ad esprimere: “Iubilus est ineffabile gaudium quod nec taceri potest nec exprimi valet” (c. 28r, p. 82). In questa descrizione sembra riascoltare fra Iacopone: O iubelo de core / che fai cantar d’amore // Quanno iubel se scalda, / sì fa l’omo clamare; / e la lengua barbaglia, / non sa que se parlare; / drento no ‘l po' celare / (tant’è granne !) el dolzore (cfr.Iacopone da Todi, Laude, cit., Lauda n. 9, p. 35).
Siffatto ‘giubilo’ esplodeva nel Tempo di Pasqua nella modulazione festosa dell’Alleluia, che Savonarola descrive in modo originale come “Atomo e punto di tutti i Salmi: Alleluia. Athomus et punctus omnium psalmorum” (c. 47r, postilla al salmo 116, p. 179), quale “voce del peccatore liberato dalla mano del nemico: Alleluia. Vox pec catoris erepti de manu inimici” (c. 47r, potilla al salmo 114, p. 178), e quale espressione della vittoria dei martiri: “Alleluia. Vox martyrum” (c. 47r, postilla al salmo 115, p. 178).
Savonarola trasportava ‘il giubilo’ in momenti supremi della predicazione quando la “dulcedo Christi” o la contemplazione del “Pater dulcis et Redemptor” trascinava alla ‘dolcezza’ (appunto) e allo ‘stupore’: “sentit homo dulcedinem [...], stupit homo”. In tali circostanze di profonda commozione il Predicatore domenicano imponeva a se stesso di esporre come avviene a chi è agitato dalla forza gioiosa del ‘giubilo’: “Et hic discurre iubilando” (c. 97r, pp. 280-281).
In tal modo Savonarola sorpassava l’insegnamento del Maestro generale dell’Ordine fra Umberto de Romanis, che nell’erudire i predicatori assimilava la predicazione semplicemente al canto: “Ad sciendum quantum acceptum sit istud officium coram Deo, notandum quod praedicatio est quasi quidam cantus; Nehem[ia, lib. 2] 7 [73]: ‘Habitaverunt cantores in civitatibus suis’. Glossa: Cantores sunt qui dulcedinem caelestis patriae pia voce praedicant” (cfr. Umberto de Romanis, Liber de eruditione praedicatorum, VII, in “Opera”, cit., vol.II, p. 380).
Il Predicatore domenicano, inoltre, volgeva in senso ‘morale’ la funzione della ‘modulatio’ intrinseca al canto dei Salmi in quanto v’intuiva ‘significato’ il modo giusto dell’agire, che è ‘imitazione’ più che di Davide - l’autore del Salmo 2 (che fra Girolamo sta postillando) -, di Cristo stesso: “Psalmus autem est modulatio in psalterio decem cordarum et significat bonam operationem; igitur psalmus David, idest tractatus ad bene operandum, ad imitationem David, idest Christi” (c. 16r, p. 30).
Parimenti nel postillare il Salmo 97, 6 (faccio solo degli esempi): “In tubis ductilibus et voce tubae corneae” Savonarola applicava la maniera della produzione del suono: attraverso il ‘martello: malleus’ come avviene con la ‘tuba ductilis’ (cosi egli interpretava) a coloro che sono ‘tribolati’ come se fossero picchiati da martello, e tuttavia con il loro incedere nella via di perfezione fanno ‘risuonare le lodi di Dio’: “Tubae ductiles significant illos qui tribulati sunt malleo et tamen producuntur per profectum vite ut laudes Dei resonent”; e paragona l’emissione del suono del‘corno’ a coloro che superando il frastuono degli ‘affetti carnali’ si rendono adatti ad essere voce di lode del Signore: “Tube cornee sunt illi qui affectu carnis superant: sic enim sunt apti ad vocem laudis Dei” (c. 42r, p. 157).
Le annotazioni che Savonarola fermava nelle Postille sulla predicazione alternano alla descrizione o definizione del contenuto di fede o teologico o pastorale la determinazione del ‘modo, o ‘comportamento’ che egli intendeva prendere nel corso della effettiva dizione dal pulpito.
Fra Girolamo, ad esempio, si prescriveva con quale ‘atteggiamento’ doveva pronunziare alcune parole, alle quali egli annetteva importanza ed efficacia. Nel proporre la domanda di Cristo ai suoi discepoli: “Sed vos [...] quem esse dicitis ? [Marco 8, 27], Savonarola aggiungeva: “Hic pratica versus ad Chrucifixum”, al quale egli intendeva manifestare, alla maniera dell’apostolo Pietro, la propria personale risposta di fronte all’assemblea dei fedeli che lo ascoltava e gli rivolgeva lo sguardo: “Tu es Creator omnium, qui unctus, dulciter incarnatus, passus etc. [...] Dulcis es in corde, ore et opere etc.“ (c. 239r, p. 390).
Predicando sulla Passione nel giorno del venerdì santo fra Girolamo specificava non solo con quali parole aveva a concludere l’ultimo periodo del discorso con cui invitare i fedeli alla partecipazione del mistero divino, ma anche con quali ‘gesti’ e con quale ‘timbro di voce’ proporle. “O popule, surge, adora, clama. Et, elevato crucifixo, clama et da benedictionem et vade” (c. 116r, p. 329).
Abbiamo notato nelle Postille un giudizio, e lusinghiero, che il Frate di S. Marco dava di una sua predica, che chiamava ‘bella’. “Super evangelio in finem habes pulchrram predicationem supra, inter communes etc.” (c. 282v, p. 426). Siffatta qualificazione sorprende ancor più quando si ha presente che Savonarola aveva creduto, in forza dell’esperienza della prima predicazione fiorentina negli anni 1482-1487, di aver quasi fallito come predicatore: “Ognuno che mi conosce lo sa, che io non aveva né voce, né petto, né modo di predicare, anzi ero in fastidio ad ogni uomo il mio predicare” (cfr. Prediche sopra l’Esodo, a c. di Ricci P. G., A. Belardetti ed., Roma 1955, t. I, Predica II del 18 febbr. 1498, p. 50).
Gianfrancesco Pico ci ha lasciato della predicazione di Savonarola - anzi, del semplice conversare di lui - l’attestazione più penetrante, quella che ha saputo carpire nelle parole del Frate la ‘vis evangelii seminis’: “Et non solo le parole dette in pergamo, ma amcora le dette familiarmente in terra erano molto efficaci et virtù havevano di quello evangelico seme, il quale in buona terra seminato frutto grande produce” [Luca 8, 4-15] (cfr. Vita di H. Savonarola, cit., cap. IV, p. 14).