5. Le proporzioni e l’universalità della matematica

Sull’importanza della matematica per le arti e per le tecniche avevano insistito già alcuni artisti e teorici del Rinascimento come Lorenzo Ghiberti, Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci, che nel delineare il programma enciclopedico delle conoscenze richieste al pittore, allo scultore e all’architetto, avevano riservato alla geometria e all’aritmetica un ruolo fondamentale. Nel curriculum universitario degli studi, inoltre, le arti del quadrivio rivestivano nel Quattrocento una insostituibile funzione propedeutica per l’esercizio della  medicina, della filosofia naturale e quindi della teologia. Nel sistema educativo umanistico, infine, le discipline matematiche venivano in molti casi considerate importanti per la formazione culturale dell’uomo rinascimentale. Il ruolo della matematica, in ogni caso era, tuttavia, subordinato ai fini educativi che nei diversi ambienti culturali di lingua latina o volgare venivano perseguiti. Perfino all’interno della tradizione abachistica, la matematica, che costituiva la parte più consistente per la formazione dei mercanti, degli ingegneri, degli agrimensori e dei tecnici, era considerata per lo più in funzione dell’utilità che poteva fornire all’esercizio quotidiano delle arti e dei mestieri e non per il suo valore fondativo del sapere.

Con Luca Pacioli, invece, la matematica diventa una vera e propria philosophia prima, fondamento e garanzia di certezza di tutto lo scibile. Nelle lettere che aprono la Summa e la Divina proportione il frate di Sansepolcro, infatti, disegna un progetto culturale di matematizzazione del sapere che poi ripeterà nella prolusione al corso su Euclide tenuto nella Scuola di Rialto nel 1508. Il nucleo centrale di tale programma è costituito dalla universalità delle matematiche, scienze in primo gradu certitudinis sulle quali si basano tutte le arti e le scienze inventate dall’uomo. Nel corso del Cinquecento l’idea della matematica come disciplina universale diventa un topos letterario che ricorre nelle prefazioni delle maggiori opere matematiche del secolo: dalla Practica Arithmeticae di Cardano al General Trattato di Tartaglia, dall’Algebra di Bombelli alle traduzioni e commenti dei classici di Commandino e di Clavio. L’opera di Pacioli, in molti casi, costituisce una delle fonti di origine di quel topos letterario.

Museo di Capodimonte, Napoli, fine XV: fra Luca Pacioli e Guidobaldo da Montefeltro6. La dedica della Summa 
a Guidobaldo da Montefeltro (1494)

Nella lettera che apre la Summa la motivazione della matematizzazione di tutta la conoscenza resta sospesa fra la riconosciuta utilità a fini pratici delle discipline matematiche e la certezza che esse forniscono al sapere. Da una parte Pacioli mette in evidenza il ruolo fondamentale dell’aritmetica e della geometria nelle arti meccaniche, nel commercio e nei mestieri; dall’altra insiste sulle garanzie di esattezza della conoscenza fornite dalle matematiche alle altre arti liberali e a tutte le discipline insegnate nelle Università (giurisprudenza, medicina, filosofia, teologia).

Non sono, però, soltanto l’utilità e la certezza a rendere la matematica universalmente applicabile. C’è una motivazione più radicale che Pacioli pone alla base del suo progetto: l’idea che il mondo sia stato creato da Dio per mezzo dei numeri, delle figure geometriche e delle proporzioni. La Summa è, infatti, attraversata da una sottile vena metafisica che emerge nell’epistola dedicatoria e riaffiora saltuariamente in quelle sezioni del libro – come la prima e la sesta distinzione – in cui si registrano impennate speculative. La scienza delle proporzioni, in questi casi, è estesa all’intero scibile umano non soltanto perché la geometria è una disciplina utile ed esatta ma perché il mondo stesso è costruito con le figure geometriche dei poliedri regolari, caratterizzati da una proporzione costante tra lo spigolo e il diametro della sfera nella quale sono inscritti.

Il progetto culturale di Pacioli esposto nella lettera dedicatoria a Guidubaldo presuppone una drastica revisione del sistema delle arti e delle scienze codificato dalla scolastica medievale, e presente negli ordinamenti delle Università. I mestieri manuali dei tecnici (come il geometra, l’ingegnere, il mercante-ragioniere,  lo stratega militare, l’idraulico, il meccanico, il pittore, lo scultore e l’architetto), vengono infatti affiancati da Pacioli alle attività “intellettuali” dei dotti  (il medico, il giurista, il musicista, il docente universitario delle discipline del trivio e del quadrivio, il filosofo e il teologo) in virtù della comune radice di tutte le arti e le scienze che è appunto la matematica.

Nella dedica a Guidobaldo frate Luca procede ad esaminare la funzione insostituibile della matematica nei vari campi della conoscenza cominciando dall’astrologia (astronomia) alla quale – rileva Pacioli - “chi è colui che, non dico dotto, ma ancor manco asai che mediocre erudito, el qual chiaramente non veda quanto è connexa e necessaria[?]”. Nell’architettura, poi, l’utilità della geometria e delle proporzioni è evidente; come, del resto, - rileva frate Luca - mostra “Vitruvio in suo volume e Leon Battista degli Alberti Fiorentino in sua perfetta opra de architectura [...] proportionando suoi magni et excelsi hedifitii”, tra i quali viene ricordato il palazzo ducale di Urbino, “el qual non solo a la vista subito veduto piaci, ma ancor più reman stupefato chi con intelletto va discorrendo, con quanto artifitio e ornamento è stato composto”.

Pacioli affianca Vitruvio all’Alberti sia per sottolineare il Rinascimento dell’architettura nel XV secolo, sia il carattere matematico di questa disciplina che la poneva di diritto tra le scienze in primo gradu certitudinis. Vitruvio aveva codificato nel De architectura i canoni di bellezza classici, ricorrendo alla scienza delle proporzioni. Leon Battista Alberti, che il frate aveva conosciuto a Roma nel 1471, rinnova il progetto vitruviano elaborando i principi dell’architettura matematica del Rinascimento. Nel De re aedificatoria, stampato per la prima volta nel 1485, l’architetto fiorentino dedica il primo libro soprattutto alla funzione del disegno, considerato come l’anello di congiunzione tra la matematica e l’architettura, riservando gli altri due libri dell’opera alla trattazione dei materiali e dei metodi di costruzione. Il primo libro (la teoria), è tuttavia inscindibile dagli altri due (la pratica). La matematica è, quindi, per l’Alberti alla base dell’architettura. L’esempio del palazzo di Urbino, a questo proposito, è significativo per almeno due aspetti: 1) la struttura razionale dell’edificio, al quale lavorarono architetti del calibro del Laurana e di Francesco di Giorgio Martini; 2) il richiamo alla corte dei Montefeltro in cui l’architettura – come dimostra la Patente al Laurana (1468) di Federico – era un’arte matematica molto apprezzata.

L’architettura inizia il trittico delle discipline “artistiche” che si fondano sulla matematica. A questa infatti seguono la pittura e la scultura, anch’esse caratterizzate dall’uso delle scienze matematiche nella riproduzione della bellezza naturale. Quanto alla prima, Piero della Francesca l’aveva caratterizzata mediante tre elementi: commensuratio, desegno e colorare. Il primo elemento, la commensuratio, implica l’uso della prospectiva artificialis..

 

La perspectiva - scrive Pacioli -, se ben si guarda, senza dubio nulla serebbe se queste [le matematiche] non li se accomodasse, comme a pieno dimostra el Monarca a li tempi nostri de la pictura Maestro Piero dei Franceschi nostro conterraneo, e assiduo le la excelsa V.D. casa familiare; per un suo compendioso trattato che de l’arte pictoria e de la lineal forza in perspectiva compose.

 

La citazione del De prospectiva pingendi serve a Pacioli a dimostrare come alla pittura sia necessaria la prospettiva, “la quale – aveva scritto Piero – discerne tucte le quantità proportionalmente commo vera scientia, dimostrando il degradare et acrescere de onni quantità per forza de linee”.  Ebbene, la geometrizzazione della pittura tramite la prospettiva e la implicita strutturazione matematica dello spazio non si limita a costituire una caratteristica riscontrabile solo in Piero della Francesca ma rappresenta una innovazione rivoluzionaria accettata dai maggiori pittori rinascimentali. Se si esclude Leonardo, che a quest’epoca il frate ancora non aveva conosciuto, la lista dei prospettici con “li quali in diversi luoghi discorrendo” Pacioli ha maturato una visione matematica della pittura, comprende i migliori pittori italiani del Quattrocento: Gentile e Giovanni Bellini, Alessandro Botticelli, Filippino, Domenico Ghirlandaio, il Perugino, Luca da Cortona, Mantegna, Melozzo da Forlì e Marco Parmigiano. Questi pittori - afferma il frate - “sempre con libella e circino lor opre proportionando a perfection mirabile ducano; in modo che non humane ma divine negli ochi s’apresentano”. “Libella e circino”, cioè riga e compasso, sono gli strumenti fondamentali per la costruzione dello spazio prospettico e quindi per il proporzionamento degli oggetti nella scena dipinta. Il pittore non sarebbe in grado di portare l’opera “a pefection mirabile” senza l’ausilio della geometria.

Un analogo discorso riguarda gli scultori e i lapicidi, tra i quali Pacioli cita Andrea Verrocchio e il Pollaiolo, Giuliano e Benedetto da Maiano, Antonio Rizzo e Alessandro Leopardi. Anche la scultura, come l’architettura e la pittura, è infatti una disciplina che usa la matematica: in questo caso è tuttavia la teoria delle proporzioni del corpo umano ad essere maggiormente richiesta agli artisti. Lo stesso Alberti aveva sottolineato l’importanza della matematica nella scultura quando nel De statua paragonava l’arte dello scultore a quella di Zeusi alle prese con la statua di Giunone realizzata per gli abitanti di Crotone. Come Zeusi scelse le membra migliori di cinque belle fanciulle così – dice Alberti – “in questo medesimo modo ho io scelti molti corpi, tenuti da coloro che più sanno, bellissimi, e da tutti ho cavate le loro misure e proporzioni, delle quali avendo poi fatto comparazione […], ho prese da diversi corpi e modelli, quelle mediocrità, che mi son parse le più lodate”( L.B. Alberti, De statua, in Opere volgari, Firenze, Bonussi, 1847, vol. IV, p. 180).

Per Pacioli, del resto, la scienza delle proporzioni dell’uomo non soltanto è il cuore della scultura ma costituisce anche il riferimento imprenscindibile dell’architettura; tanto è vero che il Tractato del’Architectura che il frate matematico scriverà per i lapicidi e gli scalpellini di Sansepolcro comincia proprio con l’individuazione delle proporzioni della testa e del corpo umano. Gli stessi rapporti proporzionali che realizzano l’armonia delle membra umane sono, infatti, impiegati in architettura nella disposizione dei vari elementi di un edificio.

Alle cosiddette arti figurative (pittura, scultura, architettura) segue la menzione della musica, la quale “chiaro ci rende lei del numero, misura, proportione e proportionalità, esser bisognosa”. Sulla musica Pacioli non si dilunga molto, ricordandone soltanto l’utilità per il culto divino; ma che essa fosse una disciplina matematica è attestato dall’appartenenza alle arti del quadrivio, insieme ad aritmetica, geometria ed astronomia. Nel 1484 inoltre si ebbe la prima edizione a stampa del De institutione Musica di Boezio, dove la teoria delle proporzioni era posta a fondamento della pratica musicale. Le consonanze armoniche perfette, ottava, quinta e quarta, erano infatti racchiuse, come aveva insegnato Pitagora, nei rapporti fra i primi quattro numeri interi (1/2 per l’ottava; 2/3 per la quinta, 3/4 per la quarta). La conoscenza delle proporzioni aritmetiche, geometriche e armoniche, inoltre, era indispensabile per la comprensione dei vari sistemi di intonazione, e dei diversi tonoi teorizzati dagli antichi.

Anche la cosmografia – afferma Pacioli - dimostra “quanto li sia necessario el numero, la misura e la proportione”, come evidenziano Eratostene, Strabone e Tolomeo, “quando, de tutto lo universo mondo debitamente proportionando lor gradi in una piccola carta, provincie, cità, castelli, e siti marittimi e mediterranei hanno redatto”.

Mentre l’allusione alla musica e alla cosmografia, da tempo considerate discipline matematiche, è del tutto in linea con la tradizione, l’inserimento delle arti meccaniche tra le discipline matematiche risulta innovativa: queste – sostiene frate Luca - “toltoli de mano la squadra, el sexto, con la lor proportione, non hanno che si peschino”. Se si escludono, Ruggero Bacone, Ugo di San Vittore e alcuni fisici occamisti, il disprezzo per le arti meccaniche nel Medioevo è comune pressoché a tutte le correnti filosofiche. Nell’opera di Pacioli le arti meccaniche, così come l’arte del commercio, acquistano uno statuto epistemologico rispettabile proprio grazie all’uso delle matematiche. Basti pensare, del resto, all’importanza che il frate assegna ad un’arte matematica “derivata” quale è quella militare, in cui “tutte sue machine e strumenti [...] commo bastioni, ripari, bombarde, briccole, trabocchi e cetera, con tutte le artigliarie e ingegni sempre con forza de’ numeri, mesura e lor proportioni si troveranno fabricati e formati”. Dell’arte militare Pacioli dice di aver più volte discusso con i maggiori condottieri del suo tempo sulla base degli autori classici di strategia, come Frontino e Vegezio. La conclusione a cui perviene Pacioli è che “nullo degno exercito, o a obsedione o defensione deputato, de tutto provveduto se po’ dire se in quello non si trovi ingegneri e nuovo machinatore particularmente ordinato”.  

Il sapere degli ingegneri e dei tecnici militari aveva una lunga tradizione che dal mondo romano e arabo era filtrata, attraverso le compilazioni medioevali come quelle di Villard de Honnecourt, Konrad Kyeser e Guido da Vigevano, fino alla prima generazione degli ingegneri del Rinascimento (Jacopo Fontana, Marino Taccola, Ridolfo Fioravanti e Roberto Valturio). Ciò nonostante il sapere dei tecnici militari era stato sempre emarginato dalle considerazioni dei dotti. Luca Pacioli cerca di riallacciare il rapporto dei condottieri contemporanei con gli autori classici e si incontra con strateghi e ingegneri militari come Camillo Vitelli e Giovan Giacomo Trivulzio, “de parte in parte discorrendo per li antichi volumi Quinto Curtio, Frontino, Vegetio e gli altri che de re militari hanno scritto […]; le qual cose certamente tutta l’aperta experientia de la felicissima Vostra paterna memoria [Federico da Montefeltro] a l’universa Italia el feci manifesto”.

Pacioli ritiene che la matematica sia necessaria per la progettazione e la costruzione di “rocche, torri, revelini, muri, antemuri, fossi, torrioni, merli, mantelletti e altre fortezze nelle terre e castelli, che tutta Geometria e proportione con debiti livelli e archipendoli à settati”. Non a caso l’esempio paradigmatico dell’ingegnere è per frate Luca “el gran geometra Archimede syracusano [...] che con sue machine e ingegni mechanici salvò incolume Syracusa da l’impeto e successo bellico de’ Romani”. Per Archimede infatti la matematica non solo è alla base della meccanica e della statica, cioè di discipline che richiedono comunque l’esperimento oltre che la dimostrazione, ma diviene anche strumento per la progettazione di macchine utili all’uomo. Il riferimento ad Archimede “gran geometra”, da una parte quindi serve a giustificare il carattere matematico dell’ingegneria, dall’altra pone questa disciplina su un livello scientifico che raramente le era stata riconosciuto nel mondo dei dotti.

Sulla scia di Boezio e di Isidoro di Siviglia, l’autore della Summa estende poi  l’importanza della matematica anche alle scienze del trivio. Così la grammatica, la retorica, la poetica e la dialettica in una maniera o nell’altra necessitano - sostiene Pacioli - del numero e della misura. La grammatica, infatti, non può fare a meno del numero, sia nelle regole della scrittura, sia nella distribuzione degli accenti (grave, acuto e circonflesso); la retorica “con debito numero” distingue le parti di un’orazione; la poesia prescrive canoni numerici “per mesura e bilancia de tutti suoi armonici versi” e la dialettica, infine, “senza el suffragio di queste doi sorelle, Arithmetica e Geometria e del loro essenzial vinculo proportione, appare non poter per alcun modo in tutto esser manifesta”. La filosofia, dal canto suo, ricorre spesso alle dimostrazioni matematiche, come si può vedere in alcuni passi delle opere aristoteliche “dove con ogni cura la proportione de’ mobili, motori e moti, e lor potentie dimostra. E in quel de celo e mundo altro non revolta che circuli, corpi, sphere e lor proportioni”. Tutte la arti liberali, quindi, necessitano della base matematica.

Della Medicina - afferma il frate - altro “non acade addure se non quello che de sotto nel trattato de proportioni e proportionalità se dirà; dove se concluderà senza loro intelligentia al subsidio de la humana corporal salute per niun modo poterne venire”. Perfino la Giurisprudenza - e qui Pacioli cita il celebre Bartolo da Sassoferrato - non può fare a meno delle proporzioni e nemmeno la teologia “senza la notitia de la arithmetica, geometria, proportioni e proportionalità possi intendere”.

L’estensione del numero è quindi universale. Pacioli infatti con molta cura si preoccupa di ribadire la necessità della matematica per tutte le discipline che in quel periodo venivano insegnate nelle Università, oltre che naturalmente per le arti meccaniche e per quelle che successivamente saranno chiamate “belle arti” (pittura, scultura, architettura). Ogni campo del sapere quindi deve strutturarsi matematicamente se vuole essere annoverato fra le scienze. La ragione di ciò risiede nella convinzione che il mondo sia stato creato mediante la matematica:

 

Tutte le cose  create - conclude Pacioli - sian nostro spechio chè niuna si troverà che sotto numero, peso e mesura non sia constituta, commo è ditto da Salomone nel secondo de la Sapientia. Hanc denique preoculis Summus Opifex in celestium terrestriumque rerum dispositione semper habunt. Dum orbium motus; cursusque syderum et planetarum omnium ordinatissime disponeret . Hec quando ethera firmabat sursum. Et appendebat fundamenta terre, et librabat fontes aquarum. Et mari terminum suum circundabat legemque ponens aquis ne transirent fines suos, cum eo erat cuncta componens etc..

 

É quindi la struttura matematica dell’universo a giustificare l’estensione a tutte le discipline della geometria e dell’aritmetica.

Con questa sottile vena metafisica “Fratris Luca de Burgo Sancti Sepulcri, ordinis minorum, sacre theologiae Magistri” dedica la Summa ad “Illustrissimum principem sui Ubaldum Duces Montis Feretri, Mathematice discipline cultorem serventissimum”, alla cui corte, centro dell’umanesimo matematico, il libro poteva trovare la più calda accoglienza.

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