Le notizie circa il numero e il tipo di scritti di Luca Pacioli sono reperibili in alcuni passi delle sue stesse opere. Nella Summa, ad esempio, si ha menzione di tre manuali di matematica composti prima dell’opera maggiore: 1) il trattato dedicato a “Ser Bartolomeo, Francesco e Paolo, fratelli Rompiasi” nel 1470; 2) l’opera scritta per i “gioveni de Peroscia”, completata nel 1478; 3) e quella composta a Zara nel 1481 “de’ casi più sutili e forti”. Dei tre tarattati d’abaco citati da Pacioli ci è pervenuto soltanto quello scritto per gli allievi di Perugia, conservato nel codice Vaticano Urbinate 3129. Le informazioni sulle opere successive alla Summa sono contenute invece nella Supplica di Pacioli al Senato veneto (19 dicembre 1508) per la richiesta del diritto di stampa dei suoi libri:
Tutti li quindici libri de Euclyde, zoè Arithmetrica, Geometria, proportione et proportionalità, littorali et vulgari cum sue figure et numeri possibili a cadauna secundo el Campano cum sue postille per tutto.
Item l’opra detta de divina proportione zoe de corporibus regularibus et dependentibus et eorum fabricis, vulgare et figure dignissime in prospectiva
Item un’opra detta de viribus quantitatis zoè dele forze quendam miraculose de numeri et quantità continua et vulgare.
Item de ludo scachorum cum Illiatorum reprobatiorum dicto schiphaniora anchor vulgar.
Item l’opra detta Summa de arithmetrica, geometria, proportione et proportionalità, alias del frate altre volte stampata in questa inclyta cità del 1494.
Il programma editoriale di Pacioli, in realtà,fu realizzato soltanto in parte. Delle opere contenute nell’elenco presentato al Senato della Serenissima, uscirono a stampa, e per i torchi di un unico editore, Paganino de’ Paganini, soltanto tre volumi: la Summa, già stampata, nel 1494, la Divina proporzione, pubblicata nel 1509 e, nello stesso anno, la versione latina del testo degli Elementi di Euclide nella edizione di Campano da Novara. L’opera “de viribus quantitatis”si è conservata in un unico esemplare manoscritto (Per una descrizione del codice e la sintesi degli argomenti ivi contenuti cfr. A. Agostini, Il “De viribus quantitatis” di Luca Pacioli, in “Periodico di Matematiche”, s. 4, vol. IV, 1924; C. Pedretti (a cura di), Documenti e memorie riguardanti Leonardo da Vinci a Bologna e in Emilia, Bologna, Editoriale Fiammenghi 1953, pp. 176-187, e soprattutto, A. Marinoni, De viribus quantitatis, in “Raccolta vinciana”, 22 (1987), pp. 115-136), mentre le altre due opere alle quali si allude nella richiesta di Pacioli, la traduzione volgare degli Elementi, e il De ludo scachorum, sono andati perduti.
Le opere a stampa di Luca Pacioli costituirono un punto di riferimento importante per matematici, tecnici, maestri d’abaco, architetti e artisti del Rinascimento. Per tale ragione in questo capitolo introduttivo pare opportuno delineare un quadro generale del loro contenuto e indicare quali furono gli argomenti che conobbero maggior fortuna nel corso del Cinquecento.
3. La Summa de arithmetica (1494), |
Stampata per la prima volta a Venezia nel 1494, per i tipi di Paganino Paganini, l’opera riveste un’importanza centrale nella storia della matematica poiché in essa convergono molte delle branche della disciplina coltivate nel Medioevo e a partire da essa si sviluppano le ricerche dei matematici rinascimentali. “La Summa – è stato scritto – è un’opera totale, che compendia e rende obsoleti tutti gli scritti d’abaco che l’avevano preceduta; un’opera con cui si misureranno i maggiori matematici del secolo successivo, non fosse altro che per rilevarne gli errori, e da cui prenderanno le mosse per superare per la prima volta le colonne d’Ercole delle scoperte degli antichi”. Nel corso del XVI secolo le citazioni della Summa nelle opere dei grandi matematici sono numerose e attestano l’importanza e la diffusione del libro. Girolamo Cardano riconobbe esplicitamente il suo debito verso Pacioli, meritevole di aver raccolto in un unico volume tutte le conoscenze matematiche che dal Fibonacci in poi erano state elaborate (G. Cardano, Opera omnia, Ludguni, 1663, vol. X, p. 118). La Summa appariva agli occhi di Cardano un’opera centrale della storia dell’algebra, paragonabile soltanto al Liber abaci di Leonardo Pisano. Con la Summa si confrontarono, infatti, sia Cardano, che nell’ultimo capitolo della Practica Arithmeticae (1539) individuò e corresse diciannove “errori di Frate Luca”, sia Tartaglia che ne approntò una correttione da dare alle stampe. Nonostante le ripetute invettive contro il frate di Sansepolcro, accusato di essersi indebitamente appropriato di meriti che spettavano di diritto a Leonardo Pisano, il matematico bresciano, che come Pacioli proveniva dalle scuole d’abaco, considerò il suo General Trattato di Numeri et Misure (Venezia 1556-1560) come una revisione più oridinata e sistematica del materiale contenuto nella Summa. Altri grandi matematici italiani del Cinquecento rilevarono l’importanza dell’opera: Francesco Maurolico la commentò in una sua lettera a Juan de Vega e Raffaele Bombelli, da parte sua (R. Bombelli, L’Algebra, Bologna 1572, 1579 c. 2v ), considerò Pacioli il “primo che la luce diede a quella scientia” e riconobbe nella Summa una delle fonti principali della sua Algebra. Se Federico Commandino, convinto della validità dell’opera di frate Luca ancora nella seconda metà del XVI secolo, era intenzionato a riscrivere la Summa in uno stile più confacente alle scienze matematiche, ciò significa che il libro di Pacioli costituiva un punto di riferimento imprenscindibile non soltanto per i tecnici e i mercanti del Rinascimento ma anche per i matematici teorici.
La Summa è composta di 308 carte in folio. Le prime otto non sono numerate e contengono, oltre all’epistola dedicatoria a Guidubaldo da Montefeltro, un sommario dell’opera e un dettagliato indice degli argomenti. Le carte numerate da 1 a 150 si occupano di aritmetica speculativa e pratica, operazioni con i radicali e algebra. Le ultime 158 carte contengono invece un trattato di matematica commerciale, una tariffa ed un trattato di geometria.
L’opera appare come un monumentale compendio di materiali appartenenti a quattro distinti campi della matematica: aritmetica, algebra, “ragioneria” e geometria. Per completare il quadro delle matematiche conosciute a quel tempo manca, oltre all’astronomia tolemaica, soltanto la trigonometria, nota sia a Georg Peurbach, autore del libro Theoricae novae planetarum, pubblicato nel 1472, sia soprattutto a Regiomontano che nel De triangulis omnimodis, risalente al 1464, presentava un’esposizione sistematica dei metodi per risolvere problemi relativi ai triangoli. Nella Summa compare una tavola delle corde tratta dalla Practica geometriae di Fibonacci ma non c’è una trattazione sistematica delle funzioni trigonometriche elementari (seno, coseno, tangente). L’opera di Regiomontano, del resto, rimase manoscritta fino alla prima edizione a stampa realizzata a Norimberga nel 1533. Se si escludono astronomia e trigonometria, quindi, la Summa si configura come un’enciclopedia delle conoscenze matematiche, pratiche e teoriche, del basso Medioevo e del primo Rinascimento.
Lo scopo del libro è, per esplicita dichiarazione dell’autore, prettamente didattico. Nel motivare il titolo dell’opera Pacioli afferma di aver raccolto “molte varie e diverse parti necessarissime de Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proportionalità”, con un duplice fine: offrire al lettore una “summa” delle regole di matematica pratica conosciute; e illustrare “de ciascun atto operativo suoi fondamenti secondo li antichi e ancor moderni philosophi”. Dal momento che, alla fine del Quattrocento, soltanto poche persone dotte sono in grado di comprendere il latino Pacioli sceglie di scrivere la Summa nella “materna e vernacula lengua”: “In modo che litterati e vulgari oltra l’utile ne haranno grandissimo piacere in essa exercitandose. E sienno dati a che arti, mistieri e facultà si voglia. Per l’ampla generalità che in essa si contene, da poterse a tutte cose applicare”.
L’opera, quindi, è destinata sia ai “litterati”, che padroneggiano il latino e coltivano le “facultà” liberali, sia ai “vulgari” che svolgono un’arte o un mestiere e conoscono soltanto il volgare. Ciò che accomuna la cultura latina dei dotti e quella volgare dei tecnici è, secondo l’autore, la necessità dell’uso della matematica sia nelle arti meccaniche che in quelle liberali. Qualunque sia l’arte, il mestiere o la “facultà” del lettore l’opera – dice Pacioli - risulterà comunque utile, dato che la matematica è tale “da poterse a tutte cose applicare”.
La Summa, pertanto, si differenzia dagli altri trattati d’abaco in quanto pretende di rivolgersi ad un pubblico più vasto di quello che frequenta le botteghe di matematica pratica. L’opera si colloca in uno spazio intermedio tra il sapere pratico dei tecnici e dei mercanti e quello teorico coltivato nelle università: da una parte costituisce il compendio più completo delle conoscenze elaborate dalla tradizione delle scuole d’abaco; dall’altra si pone sulla scia delle opere di autori come Euclide, Boezio, Leonardo Pisano, Giordano Nemorario, Biagio Pelacani da Parma e Prosdocimo Beldomandi, poiché inserisce elementi di matematica teorica e “speculativa” all’interno della tradizione abachistica.
Pacioli, nella presentazione della Summa, chiarisce a Guidubaldo da Montefeltro che la sua trattazione della “quantità” si riferisce a “quanto che alla pratica e operare sia mestiero”; ma – aggiunge subito dopo – “mescolandoci secondo li luoghi oportuni anchora la theorica, e causa de tale operare, si de numeri commo de geometria”.
Nella Summa si profila pertanto un incontro fra la matematica teorica dell’università e la matematica pratica della bottega d’abaco; ma questo incontro non avviene – per così dire - a metà strada. Si tratta piuttosto del tentativo di un frate francescano, che fa il maestro d’abaco ma che è anche magister theologiae, di colmare il fossato linguistico, culturale e sociale, tra la “bottega” e l’università. Questo difficile incontro della cultura dei tecnici con quella dei dotti sembra rispecchiarsi anche nella lingua usata da Pacioli, che appare come un infelice ibrido tra un volgare toscano spurio, infarcito di vocaboli veneti, e un latino scolastico che si intreccia con la trama volgare in occasione delle citazioni dai classici. Se a queste caratteristiche linguistiche si aggiungono le difficoltà di interpretazione connesse ai caratteri a stampa semigotici e alle numerose abbreviazioni e contrazioni delle parole, si comprendono le critiche degli umanisti al linguaggio “rozzo e barbaro” di Pacioli e appare anche plausibile il progetto di Commandino di riscrivere la Summa con uno stile più comprensibile.
4. La “Divina proportione” (1498) |
“Grandamente eccitato” dalle “auree e melliflue parole” del Duca di Milano, Ludovico Sforza, pronunciate in occasione dello “scientifico duello”, organizzato alla corte del Moro nel 1498 per elogiare coloro che si impegnavano a divulgare le scienze, Luca dal Borgo dice di essere tornato alla “plagia diserta” delle matematiche per comporre, dopo le fatiche della Summa, il “breve compendio e utilissimo tractato” sulla divina proportione. L’opera, pensata come “perfecto ornamento” della “dignissima biblioteca” sforzesca, si rivolge a “tutti gl’ingegni perspicaci e curiosi”, interessati alla filosofia, alla pittura, scultura, architettura, musica e alle altre discipline matematiche. Essa, infatti, oltre a risultare “utilissima” nelle applicazioni pratiche, presenta “varie questione de secretissima scientia” che invitano l’intelletto a percorrere i sentieri nascosti di una “suavissima, sottile e admirabile dottrina”, che è quella dei 13 “mirabili effetti” della “proportione havente el mezzo e doi extremi”. Il libro, infine, è degno di “non minore admiratione” per il fatto che contiene la trattazione dei cinque corpi regolari, le cui “forme ali viventi fin hora ascoste”, acquistano per la prima volta una loro “visibile” configurazione spaziale proprio nelle tavole disegnate da Leonardo da Vinci.
Dell’opera furono compilate tre copie manoscritte: la prima, dedicata al Duca di Milano Ludovico il Moro, è conservata presso la Bibliothèque Publique et Universitaire di Ginevra (ms. Langues Etrangères n. 210); la seconda, donata da Pacioli a Giangaleazzo Sanseverino, è custodita presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano (ms. 170 sup.); la terza, offerta a Pietro Soderini, è andata perduta. Nel 1509 il Compendium de divina proportione fu stampato a Venezia, per i tipi di Paganino de’ Paganini, come prima parte della Divina proportione.
Il Compendium del 1498 può essere diviso in quattro sezioni, abbastanza distinte per il contenuto, lo stile matematico e per i disegni geometrici che accompagnano il testo. Nella prima, di contenuto filosofico e teologico, dopo aver celebrato l’utilità, la certezza e la necessità delle matematiche per tutte le arti e le scienze (cap. 2), Pacioli propone di inserire la prospettiva tra le discipline matematiche in virtù dell’uso che in essa si fa delle proporzioni (cap. 3). Ad un capitolo propedeutico in cui Luca dal Borgo appronta un dizionario essenziale termini matematici più ricorrenti (cap. 4) segue poi un discorso a metà strada tra matematica e metafisica inerente alla “divina proportione” e alle ragioni che legittimano l’uso dell’aggettivo divina (cap. 5-7).
Nella seconda parte frate Luca volgarizza, mediante un linguaggio aritmetico ed algebrico, il libro XIII degli Elementi di Euclide, attribuendo prima 13 “mirabili effetti” alle proposizioni euclidee concernenti la divina proporzione (cap. 8-23), e mostrando poi come queste proprietà concorrano nella genesi dei 5 corpi regolari a partire dal diametro della sfera che li contiene (cap. 24-31). Questa seconda parte, nella quale il testo di Euclide viene aritmetizzato e colorato di tinte metafisiche, si conclude con un compendio dei libri spuri degli Elementi, il XIV e il XV, nei quali si mostrano le proporzioni tra volumi e superfici dei poliedri regolari (cap. 32-33) e le loro reciproche inscrizioni (cap. 34-47). Dell’opera di Euclide vengono riportate soltanto poche dimostrazioni di teoremi, accompagnate comunque da disegni di geometria ricalcati sull’edizione del Campano.
Nella terza parte lo stile matematico cambia radicalmente (cap. 48-62). Pacioli si limita alla descrizione dei corpi “regulari e dependenti”, indicando il numero degli spigoli e degli angoli solidi che concorrono a formare ciascun poliedro. La traccia degli Elementi di Euclide scompare del tutto e il significato del testo si evince soprattutto dalle 60 tavole, disegnate da Leonardo, che raffigurano i poledri sia nella forma “solida” sia in quella “vacua”. É questa la sezione in cui si trovano anche i solidi cosiddetti “archimedei” e i poliedri stellati derivanti dai cinque corpi regolari. In questa parte dell’opera le dimostrazioni geometriche lasciano spazio alle considerazioni filosofiche e cosmologiche derivanti dal Timeo di Paltone e ai metodi empirici che consentono ad uno scalpellino di ricavare i poliedri da sfere di pietra.
La quarta parte del Compendium de divina proportione ha in comune con la terza il registro grafico (cap. 63-69). Le tavole relative ai “corpi oblonghi” cioè a piramidi, coni e parallelepipedi, si collocano, infatti, sulla scia di quelle riguardanti i poliedri. Ciò nondimeno Pacioli adotta per questi capitoli uno stile abachistico anziché euclideo e pertanto fornisce sempre per ogni tipo di solido la regola pratica per calcolare la superficie e il volume, esemplificandola talvolta con un caso numerico.
L’opera, pertanto, si presenta come un coacervo di tradizioni e stili matematici diversi. Più che nel mondo dei matematici veri e propri essa sarà accolta e recepita dagli ambienti artistici e tecnici. Il suo successo nel Cinquecento è testimoniato da opere d’arte, come le tarsie geometriche di Fra’ Giovanni da Verona, da trattati di teoria artistica come quelli di Albrecht Dürer e Daniele Barbaro, e da prodotti di alto artigianato ispirati ai poliedri, come accade fra gli orafi di Norimberga, fra i costruttori di orologi poliedrici e fra i tipografi.
Nell’edizione a stampa, realizzata a Venezia nel 1509, il Compendium de divina proporzione è seguito da uno scritto di Luca Pacioli sull’architettura.
Il trattatello pacioliano può essere diviso in tre sezioni tematiche: la prima (cap. I-III), di tipo teorico, descrive “la humana proportione respetto al suo corpo e membri, peroché dal corpo humano ogni mesura con sue denominationi deriva e in esso tutte sorti de proportioni e proportionalità se ritrova”; la seconda (cap. IV-IX) illustra i diversi tipi di colonne in funzione delle proporzioni del corpo umano; la terza, infine (cap. X-XIX), descrive l’architrave, e riassume tutti gli elementi architettonici in una “porta qual fia a similitudine di quella del tempio de Salamone in Ierusalem”.
Il filo conduttore del trattato è costituito dalle proporzioni, cioè dai rapporti che presiedono alla creazione del corpo umano da parte di Dio, e alla costruzione degli edifici per opera dell’uomo. La proporzione è, del resto, il nucleo intorno al quale viene organizzato anche il restante materiale che compone il volume del 1509. La seconda parte dell’edizione a stampa infatti contiene la versione volgare del Libellus de quinque corporibus regularibus di Piero della Francesca. Di primo achito i quattro trattatelli geometrici, che presentano una matematica a metà strada tra lo stile abachistico e quello euclideo, sembrerebbero completamente disomogenei rispetto alla prima parte dell’opera. Ciò nonostante, come avremo modo di mostrare nel corso di questo studio, il nesso tra proporzioni e poliedri regolari costituisce il nucleo fondamentale dell’immagine geometrica del mondo che viene delineata nelle opere di Pacioli.
Conclude l’edizione a stampa del 1509 la costruzione delle lettere maiuscole dell’alfabeto mediante l’uso di riga e compasso. Le tavole sulle lettere “antique” inserite nel volume della Divina proportione da una parte rimandano direttamente all’umanesimo epigrafico di Felice Feliciano e della cerchia di Andrea Mantegna, dall’altro costituirono un punto di riferimento imprenscindibile per la diffusione della scrittura maiuscola antica sia in ambito artistico, sia nella calligrafia e nella tecnica tipografica del primo Cinquecento.