Ultimamente vedo spesso un giovane uomo sulla ventina, sempre solo, poverino, ma poi riflettendo penso che anch’io sono sola, perché ho bisogno di stare tranquilla, visto che in casa sembra sempre di essere ad un mercato. Però a lui si legge in faccia che è solo completamente.
Non è qui per evadere dal caos, non è qui a leggere o cos’altro. Pensa, è assorto nelle sue cose a volte gli passano vicino i bambini correndo coi pattini, fanno un gran frastuono ma i suoi occhi rimangono fissi, non fanno alcun movimento, è come se tutto ciò che gli giri intorno non lo toccasse minimamente, non se ne accorge.
Si siede sempre sulla stessa panchina, la quale è vuota quando lui non c'è, non vi si siede mai nessuno, sembra essersene impossessato. Non è una vera panchina, o almeno come le altre che sono qui, in marmo e lo schienale, no, questa è costituita da un unico masso in pietra grezza, tutta rovinata. Non ci sono aiuole di fiori colorati vicino. È isolata, a ridosso della pietra ci sono delle rientranze dovute all’erosione dell’acqua dove trovano riparo terriccio e sporcizia. Rimane un po’ fuori dalla piazzetta, è nascosta e nessuno ama sedersi qui perché dà una brutta impressione, è molto scomoda, addirittura sui lati vi è cresciuto del muschio al posto dei fiori. Eppure è la sua panchina. Un re sul suo trono, una perla nella sua ostrica, così Nicu e la sua panchina si appartengono.
La cosa che mi colpisce è il fatto che si sieda di spalle alla piazzetta e alla gente, ai bambini, al movimento, alla vita insomma. Inoltre di fronte a lui non c'è nulla, solo la facciata posteriore di un negozio. È strano che un ragazzo cerchi di isolarsi e fugga lo sguardo dalla vita, come volesse evitare le coppie che passeggiano abbracciate, i bambini pieni di vita che si divertono e giocano, addirittura la domenica non si vede proprio. L'unica spiegazione è che soffra vedendo suoi coetanei che stanno bene, che hanno la ragazza, gli amici.
Lui è sempre solo, le rare volte che qualcuno gli rivolge la parola è freddo e sembra gli dispiaccia.
È un ragazzo e come tale dovrebbe apprezzare la compagnia e il fatto che la gente cerchi di avvicinarlo. Sembra così triste, i suoi occhi lo dicono, la sua espressione lo rende certo.
Chissà a cosa pensa, da dove viene. Certo è che non è italiano, la sua pelle è leggermente scura, ha lineamenti non perfettamente decisi, ma sembra essere uno zingaro. Forse non entrambi i genitori saranno zingari, perché i tratti non sono così marcati, addirittura ha il nasino un po’ all’insù. Sembra essergli appiccicato così, nel bel mezzo del viso tant’è perfetto e non c’entra niente con il resto della fisionomia. Gli occhi sono grandi e profondi, di un colore nocciola scuro tendente al nero. La fronte alta, di bell’aspetto riflettendolo bene, ma appesantito dal modo trasandato di vestire, come se non tenesse affatto alla sua persona.
Lo incontro sempre solo, a volte assorto nei suoi pensieri quasi non volesse essere disturbato o distratto. Altre volte i suoi occhi assenti si tramutano in mani tese vogliose di fermare qualcuno, chiacchierare, conoscere un amico che lo capisca e lo consoli. Si guarda intorno, voglioso di incontrare gli occhi di un cane che possa guardarlo senza umiliarlo perché è un disgraziato come lui, un randagio ansimante.
Mentre leggo, voltando pagina il mio sguardo si ferma su di lui, là di fronte. Scorro riga dopo riga, ma non rifletto su ciò che leggo, penso alla storia di quel ragazzo. Chissà come mai si trova qui, cosa fa, dove abita, se è con la sua famiglia, sicuramente no, gli abiti sono troppo malridotti, se avesse avuto almeno la mamma, sarebbe senz’altro più curato, più pulito, più felice.
Riconosco gli occhi carenti d’affetto che si guardano intorno smarriti cercando non sanno nemmeno loro cosa o chi, occhi tristi, senza affetto, occhi spasimanti comprensione e amore. Occhi di un pezzente scacciato dal mondo, ma non da quella panchina.
“Bela giornata.”
“Cosa scusami?”
Assorta da questi pensieri non mi ero resa conto che stesse parlando con me.
“Dico che fa caldo ed è una bela giornata”. Non riesco a definire la cadenza.
“Sì, è vero. Finalmente, ci vuole un po’ di caldo, era ora che arrivasse. Io vado, ciao”. Ho ripreso il libro che mi era scivolato dal grembo e sono andata via. Tornando a casa, mi sono resa conto di com’ero stata sciocca, sarei voluta restare ancora un po’, adagiata su quella panchina col tepore del sole che mi scaldava, ma sono scappata via, non so nemmeno io il perché, o forse inconsciamente non avevo voglia di parlare con quel ragazzo.
Ho avuto paura condizionata anche dalle cose che si sentono su queste persone: non hanno una casa, un lavoro, vivono un po’ qua e un po’ là, non hanno di che tirare avanti, ma in qualche modo devono pur farlo. Ne sento di tutti i colori su di loro, la gente cerca di stargli lontano, e anch’io per non avere problemi. Anch’io l’avevo scacciato.
Però probabilmente lui non è come gli altri, ha uno sguardo dolcissimo e tenero. E poi anche molti italiani sono dei buoni a nulla. In ogni paese ci sono persone degne di nota e altre che si perdono per strada.
Inoltre, il popolo zingaro è un popolo di grande cultura, checché se ne dica. Oggi è vero, alcuni di loro si sono dati al furto, ma siamo stati noi a far scomparire i loro mestieri, i recipienti di rame venivano fatti da loro. Li abbiamo sempre perseguitati.
Non c’è nessuna razza inferiore o superiore.
Ma cosa avrebbe potuto succedermi? C’era tanta gente intorno, voleva solo qualcuno con cui scambiare due chiacchiere.
Vabbè, ormai è andata così.
“Patty, che dici, ti va di mangiare il polletto già pronto allo spiedo? Non ho molta voglia di cucinare”. Detto fatto, scendiamo al super mercato sotto casa- che è più che altro un luogo d’incontro per noi ragazzi che all’ultimo momento ci rendiamo conto di non avere nulla di pronto da mangiare o addirittura di aver terminato già tutte le provviste.
Mentre faccio la fila e aspetto il mio turno al bancone dei salumi, poco distante vedo il ragazzo dei giardinetti che controlla le scadenze di ogni prodotto in scatola. Mi avvicino, chiedendo se ha bisogno di una mano, pensando che non sappia leggere benissimo l’italiano. Il ragazzo grufolante mi guarda quasi con le lacrime agli occhi dicendomi: “tutto molto caro qui”.
Non so cosa dirgli, e gli faccio un sorriso di compassione, mi distoglie la voce del salumiere che annuncia il mio turno.
Non stava guardando le scadenze, stava controllando il prezzo più economico per poter comprare qualcosa. Mi volto nuovamente, e, mio malgrado lo vedo camminare di spalle e andare verso l’uscita senza avere niente in mano.
Non sapevo cosa fare, avrei voluto corrergli dietro e invitarlo a mangiare a casa con noi, ma sinceramente ho avuto paura, perché chi lo conosceva? No, non era il caso.
Tutta la sera ho pensato a quel ragazzo. Mentre mangiavo il polletto mi sentivo in colpa, pensavo a lui che non aveva neanche i soldi per comperare un barattolo di fagioli.
Il sole affonda nel cielo, i suoi raggi sprofondano incontrastati.
“Ciao”, ho iniziato io, pensando che forse non mi avrebbe rivolto la parola visto che il giorno precedente ero letteralmente scappata via in quel modo.
“Ciao, vieni sempre qui a studiare?”
“No, a studiare proprio no, perché ho bisogno di silenzio, ma vengo a rilassarmi e a leggere un po', sarebbe impossibile studiare con tutto questo chiasso che fanno i bambini mentre giocano”.
Mentre parliamo accavalla le gambe, la scarpa del piede rivolto verso l’alto è rovinata, ha dei buchi sotto, è completamente lacera, per fortuna non piove. I piedi saranno doloranti, toccano sull’asfalto.
Nicu, questo è il suo nome, è un clandestino ed è venuto da lontano per cercare, almeno da ciò che mi ha detto: “non fortuna, solo lavoro, per mandare soldi alla mia famiglia e per poter sfamarmi ogni tanto, almeno una volta al giorno”.
Per mandare qualcosa alla famiglia lontana si priva di tutto anche delle cose basilari per sopravvivere quali il cibo e il riscaldamento. Addirittura mi ha detto che nella casa, che di casa ha solo il nome, non ha mai acceso il riscaldamento per non spendere soldi extra, e pensare che a Pescara, benché sia un posto di mare in inverno fa veramente freddo. Non so come abbia fatto a superare l’intero inverno con un tale gelo, ecco perché sta sempre seduto sotto il sole a riscaldarsi, le sue ossa sono sature di freddo e quindi cerca di incamerare un po’ di calore.
Fa impressione a vedersi tanto è magro, il volto è talmente scarno che solo gli occhi e il naso sono evidenti e risaltano da due fosse scure e incavate. È così magro che quando cammina o si alza dalla panchina sembra perdere l’equilibrio, temo che se tira vento se ne possa volare. Mi chiedo se mangi almeno una volta al giorno, quanto basta per tenere quel po’ di pelle attaccata alle ossa. Mi fa pensare al ‘Vecchio Marinaio’, tutto pelle e ossa, la pelle aggrinzita dal sole cocente, invece quella di Nicu dalla denutrizione e dal pesante lavoro. La fronte tutta un’unica ruga non determinata dall’età avanzata ma dalla carenza di cibo, dalla denutrizione, dalla stanchezza, dai pensieri della famiglia lontana.
Quegli occhi spenti ma a volte illuminati da una luce quasi accecante, un brillore di chi sa esattamente cosa vuole come se avesse il mondo in tasca.
“Faccio il muratore qui, però è dura, è tutto molto costoso, devo pagare l’affitto anche se ho un buco di casa. Pensa, in una stanza siamo in sette per cercare di pagare meno, mando quello che mi resta a casa, ma spesso non ce la faccio neppure a mangiare”.
Mi si stringe il cuore. Non mi va di commiserarlo, perché lui è soddisfatto di quello che fa, e non gli importa di non potersi permettere una bella vita, perché presto tornerà a casa, ha una ragazza che lo aspetta che diventerà sua moglie. Mentre parla è orgoglioso, ha uno sguardo fiero per quello che sta facendo, la sofferenza sembra non sentirla proprio, tanto è felice dei suoi sacrifici. E’ sereno, nonostante quello che passa qui.
Addirittura dà coraggio anche a me.
Nicu è di un paesino della Romania, ogni giorno mi racconta un pezzetto della sua vita, è come se avessi davanti agli occhi un puzzle che, man mano si costruisce da solo, casomai manca qualche pezzetto, ma quando poi racconta la sua vita, pian piano il quadro è completo, un quadro dai colori freddi, tratti intensi senza luce.
Il padre non c’è più, lo ha perso da bambino, quando all’improvviso è dovuto diventare grande per forza, quando ancora i suoi amici giocavano senza problemi, quando ancora aveva bisogno di affetto e cure, doveva invece proteggere i suoi numerosi fratellini più piccoli. Un bambino già padre, già grande con i problemi di un uomo maturo, gli occhi segnati dalle rughe dei sacrifici, le mani segnate dalle dure fatiche di chi pur non conoscendo nulla del mondo deve rimboccarsi le maniche e affrontare tragedie di cui non conosce neppure l’esistenza.
Ha numerose sorelle e loro, insieme alla madre e agli altri tre fratelli, sono la sua unica ricchezza e da ciò si capisce anche la sua protettività nei miei confronti o di altre mie amiche che conosce e il suo senso del dovere in generale.
Un giorno mi ha raccontato che una delle sue sorelle aveva avuto una proposta da un uomo italiano per lavorare in un ristorante in nord Italia, ma lui glielo aveva impedito. Sa bene che la maggior parte di queste ragazze, invogliate a trasferirsi per lavorare e avere una vita migliore, alla fine si ritrovano in squallidi giri dai quali è difficile uscire.
“Mia sorella deve restare a casa, anche se non trova lavoro, è troppo piccola e deve studiare, le passerò io i soldi di cui ha bisogno, a costo di morire di fame. Adoro le mie sorelle e farei qualsiasi cosa per loro”.
Mi commuovo sentendolo parlare così, ma nello stesso tempo cerco di non farmi prendere troppo dalla cosa, perché vai a sapere se ciò che dice è vero o vuole soltanto intenerirmi.
Mi fa pena vedendolo solo, senza amici, lì seduto a pensare e a rimuginare chissà a chi e a che cosa.
Un giorno, io e Patty lo abbiamo incontrato sull’autobus mentre tornavamo a casa. Ci ha fatto tanta tenerezza che lo abbiamo invitato a pranzo da noi approfittando del fatto che sarebbero venuti anche altri nostri amici. Non è per cattiveria, soltanto che oggi non ci si può fidare di nessuno, a maggior ragione di una persona che non si conosce abbastanza.
Durante il pranzo abbiamo riso e scherzato, cercando di non parlare della sua vita per non metterlo in imbarazzo e non farlo intristire, ho notato che si divertiva e mangiava con tanto gusto, come se fosse da molto che non faceva un buon pasto.
Arriva l’ora del caffè e si presentano a casa tutti i nostri amici come al solito, Nicu molto cortesemente si offre di preparare il caffè per sdebitarsi, io accetto anche per renderlo più partecipe e fargli capire che apprezzo la sua gentilezza.
“Posso almeno lavare i piatti come segno di riconoscenza per quello che avete fatto per me?”
“Ma sei matto, figurati, per così poco, per noi è stato un piacere”. A queste parole ha fatto un sorriso dolcissimo ma tanto triste.
“Grazie di cuore, nessuno, da quando sono qui mi aveva trattato così, nessuno mi aveva invitato. Negli occhi delle persone traspare disprezzo per quelli che come me sono qui per lavorare e mantenere anche le famiglie lontane. Anche voi se vi trovaste nelle nostre stesse condizioni fareste di tutto per vivere meglio di quanto ci possa offrire il nostro mondo, la nostra realtà”.
Sentirlo parlare così mi fa stringere il cuore e mi fa immedesimare nella sua situazione. Oltre a sentirsi solo perché lontano da tutti i suoi affetti deve anche sentirsi emarginato, scrutato in malo modo dalla gente ignorante che non ha la minima idea di cosa Nicu passi, come molti altri ragazzi.
Pian piano conosce anche tutti i miei amici con i quali mi incontro nei giardinetti. Spesso lo vedo parlare con qualcuno di loro, sono felice che socializzi e abbia qualcuno con cui chiacchierare ogni tanto, anche solo per distrarsi un po'. Lo vedo sorridere con mio grande piacere cosa che non aveva mai fatto e poi, sarebbe strano non ridere a crepapelle con quei mattacchioni dei miei amici. Loro studiano quasi tutti architettura, così spesso li aiuto a fare progetti o modellini, perché mi affascina molto ogni forma d’arte. Ma soprattutto perché con loro mi diverto molto, le nottate passano in un batter d’occhio, sono spiacente di dover andare a letto tanto sto bene a ridere e scherzare con loro.