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Che strano. Su quella panchina non si siede mai nessuno, eccetto Nicu nel pomeriggio, ma a quest'ora nemmeno lui. Mi incuriosisco e cerco di avvicinarmi il più possibile.

Il riflesso intenso del lampione mi impedisce di mettere a fuoco.

"Nicu, che fai a quest'ora tutto solo?"

"Penso" risponde con la testa bassa e la voce di chi ha appena pianto.

"Basta pensare, andiamo a prenderci qualcosa, saliamo a casa e ci facciamo una camomilla o un latte caldo, ti va?"

"Ok".

"Sputa il rospo, cos'è che ti tormenta ti vedo tanto giù".

"Non so più cosa fare ho gli arretrati dell'affitto, le bollette, a momenti non posso nemmeno mangiare, ma ciò che è più importante è che non posso mandare i soldi alla mia famiglia. Mia madre deve subire un intervento, è molto malata, e ha bisogno di cure, di medicinali. Sono disperato ma non mi va di addossarti tutti i miei problemi, in qualche modo risolverò tutto. Ho provato a cercare un altro lavoro per guadagnare di più, ma nulla da fare, ho un diploma da geometra e qualcosa dovrebbe anche valere e invece niente, tutti mi dicono che per il momento non se ne parla, sono al completo e che mi faranno sapere.

"Eppure lavori tantissimo, come mai non hai neanche un soldo, li hai spediti tutti giù. Sono d'accordo, ma devi anche pensare un po’ a te, alla tua salute, altrimenti come farai a mandare altri soldi?"

"No, non è questo, è che il mio capo è da un po’ che non mi paga".

"Ma come, sgobbi dalla mattina alla sera e non ti paga nemmeno. Non capisco come si possa essere senza cuore fino a tal punto conoscendo per giunta la tua situazione. Domattina, andiamo insieme dal tuo titolare".

"No, non devi disturbarti così per me".

"Figurati, nessun disturbo, altrimenti non te l'avrei proposto affatto".

"Ora bevi la camomilla, stai tranquillo, che tutto si risolverà, non pensiamoci più".

A casa c'è anche Patrizia, abbiamo guardato la tv, abbiamo riso e scherzato, Nicu, sembra più sereno. Ma ogni tanto si assenta, fissa gli occhi nel vuoto e rimane immobile come se tutto ciò che gli accada intorno non lo riguardi affatto.

Poi all’improvviso, "Io vado, grazie di tutto".

"Nicu, ti ho detto già che le grazie le fanno solo i santi! Ci vediamo domani mattina".

"Ok, buonanotte".

Il sole è alto ma birichino. Si nasconde. Fa capolino, si spinge dietro un albero, spunta da un palazzo. Saliamo in silenzio nell’enorme scatola metallica. È un edificio molto alto, all'ultimo piano c'è l'ufficio del titolare. Arriva una segretaria e ci fa accomodare.

È una stanza enorme, spettacolare, piena di vetrate che danno direttamente su di una piazzetta. Di fronte c'è una scrivania marrone di legno massiccio credo in noce. Dietro di essa una poltrona di pelle nera dallo schienale largo, i braccioli anch'essi foderati in pelle. È vuota ma dalla sua maestosità immagino la statura della persona che la occupa. Sicuramente un uomo di mezza età, statura robusta, non molto alto, con tanta pancia che la camicia a mala pena la tiene, calvo e prepotente.

Dal lato opposto ci sono due sedie di velluto nero, il tutto su di un esteso tappeto persiano dai colori freddi. A destra, a parte l’ampia finestra, c'è una libreria con dei volumi e libri sistemati alla buona, a sinistra un grande tavolo sul quale c'è un modellino di qualche costruzione, forse è un lavoro che stanno progettando. A terra il marmo bianco risplende ad un unico raggio di sole che entra nella stanza dalla fessura della tenda i cui lembi non sono perfettamente accostati. Ci sono piante dappertutto, unico segno di vita della stanza. Tutto è pulito in modo meticoloso, neanche un granello di polvere sul computer e sui mobili. La scrivania è piena di carte ma tutte ordinatamente sistemate; addobbata da un servizio di pelle bordò completo di portapenne, taglia carte e agenda con ricami in argento. Una cosa mi sembra strana che non ci sia neanche una foto di famiglia sulla scrivania, soprattutto di bambini come in genere sono abituata a vedere nei film, dato che non mi capita tutti i giorni di entrare in un ufficio di tal genere. Forse non è sposato, sarà uno di quei scapoloni burberi, troppo preso dai suoi affari, l'unica cosa che lo interessi, non si vedono nemmeno oggettini particolari legati a questa o quell'occasione.

Anche se il tutto è spettacolare per la sontuosità mi dà un senso di freddo, accentuato dalla penombra che incombe sulla stanza.

"Ah, buongiorno, mi hanno detto che era lei Nicu, ma pensavo fosse solo".

Mi volto e, vedo un giovane uomo molto alto e magro. Ha i capelli di un nero intenso, reso lucido dal gel accuratamente distribuito su tutta la capigliatura ma questo simpatico giochino rende più visibile qualche capello bianco qua e là che stranamente non lo invecchia, anzi, gli da un’ aria di precoce e affascinante saggezza.

Si perderà dentro quella poltrona penso fra me e non riesco a trattenere un sorriso. È vestito in modo impeccabile: completo grigio, camicia azzurra perfettamente inamidata e cravatta larga, il cui nodo sostiene l’esile collo.

"Prego, accomodatevi".

Sprofonda nell'abbondante poltrona. Ora posso osservarlo meglio, è scarno in viso, e ciò rende più evidenti gli zigomi alti, gli occhi sono espressivi, quasi neri, vicinissimi all'attaccatura del naso, e, mi sembra di ricordare sia sintomo di intelligenza. Il naso perfettamente in sintonia col resto del volto. È molto scuro di carnagione, sembra appena tornato da una lunga e calda vacanza. Le labbra sono sottili, ha un viso lungo che quasi copre la parte superiore del collo, quella inferiore è rivestita dal collo abbondante della camicia.

Le mani mi colpiscono più d’ogni altra cosa: sono esili, delicate, appesantite dal Rolex visibile per metà, l’altra parte viene coperta dal rigido polso della camicia. Le dita affusolate sembrano danzare e moltiplicarsi ai riflessi della luce che colpisce la scrivania. Ogni suo gesto nasconde una raffinata eleganza.

La poltrona lo fa sembrare più alto di quanto in realtà sia e anche più imponente.

"Cos'è avevi bisogno di compagnia?" Afferma freddamente il signor capo con un falso sorriso ironico.

“Hai bisogno della scorta? Cos'è il tuo avvocato”.

Il suo fascino scompare di fronte a tanta superbia.

A queste parole sprezzanti non oso rispondere anche se ho il sangue in testa dal nervoso, ma mi conosco e so che in certi casi è meglio non reagire e passarci sopra, altrimenti non potrei rispondere delle mie azioni.

"Avanti, qual è il problema, sbrigatevi che ho da risolvere affari di  miliardi, non posso permettermi di perdere tempo e danaro con voi".

"Neanche noi vogliamo perdere tempo. Le chiedo solo di dare a Nicu ciò che gli spetta, in fondo è ciò che gli deve per il lavoro svolto, non la sta derubando, glielo deve".

"Io glielo devo? Cosa? Io non ho mai dovuto nulla a nessuno, sono gli altri che devono a me". Una pentola che bolle e ribolle sul fuoco alimentato ancora. Il coperchio si muove ma la minestra è più forte e lo solleva, lo fa cadere a terra fuoriuscendo e cospargendo ciò che la intralcia. Il fuoco viene spento dall’eccessivo risucchio.

"Beh, forse è vero che non ha mai dovuto nulla, ma questa volta le sfugge, è probabile con il lavoro che fa, sempre impegnatissimo, la capisco, diciamo che l'aveva dimenticato, e noi siamo qui a ricordarglielo, non è successo nulla, non si preoccupi".

"Signorina, non mi parli con quest'ironia, nessuno le dà il permesso. Lei è molto insolente, ma la scuso, forse non sa chi sono io…"

"Sbaglia, so perfettamente chi è, è solo un uomo senza scrupoli che si diverte a sfruttare la gente, i poveri uomini indifesi. Sono qui solo perché prevedevo tutto questo e perché è già troppo tempo che prende in giro il mio  amico con le parole. Voglio solo capire le sue intenzioni ed esporle il problema di questo povero ragazzo che oltre a mantenersi deve spedire ogni mese i soldi alla sua famiglia che vive grazie a lui. E in fondo è anche grazie a lei che i parenti di Nicu riescono a tirare avanti, dovrebbe esserne felice, io sono qui perché lui ha problemi con la lingua, lo sa bene e lei se ne approfitta, voglio solo aiutarlo".

"Sarà mica la ragazza?" Incredulo e guardando dal basso verso l'alto Nicu.

"Questi non sono affari suoi, ma visto che ci tiene a saperlo sono una sua amica e sono felice di essergli d'aiuto, quando ne ha bisogno. Lui qui è solo e mi fa piacere rendermi utile soprattutto con una persona così sensibile e buona. Non me lo ha chiesto lui, non lo farebbe mai è troppo orgoglioso, ho voluto io, e farebbe un grosso favore anche a me se volesse rendergli ciò che gli spetta, cosa che già avrebbe dovuto fare da tempo".

L'uomo fa un ammiccamento e si accende un sigaro, uno di quelli cubani lunghi e grossi che non finiscono più, a mala pena riesce a tenerlo in mano. Fa il primo tiro, trattiene per un pò il respiro, credo più del tempo generalmente necessario per riempirsi la bocca di quel sapore disgustoso, per poi liberarsene sputando fumo puzzolente verso il povero Nicu che inizia a tossire. A me invece si ottura il naso, le vie respiratorie non riescono più a scindere l'aria salubre da quella sputata dall'essere spregevole. Quasi non riesco a respirare e tantomeno a finire di parlare, strizzo gli occhi, mi alzo e scappo verso la finestra.

Continua imperterrito, senza preoccuparsi minimamente che può darci fastidio il cattivo odore del sigaro.

"Marisa, Marisa"  inizia a gridare, ma nessuno risponde. Alza il telefono e pigia un pulsante.

"Dov'è quando la cerchi non c'è mai, che la pago a fare, da oggi in poi sta bene come sta per me".

Chiama di nuovo. "Marisa, insomma dove sei finita, mi costringi a licenziarti se continui così, ti ho detto mille volte che la finestra deve essere chiusa, che pago a fare per l'aria condizionata? La prossima volta ti detraggo i soldi dallo stipendio, sai quanto costa ? Be, una cifra che non avrai sicuramente mai visto in vita tua".

È un ragazzo, avrà la mia stessa età o qualche anno in più e già si atteggia a voler essere il padrone del mondo senza essere nessuno in realtà.

Che persona spregevole e meschina, non ho mai conosciuto un farabutto così. Questa è cattiveria vera e propria, ma non posso offenderlo senza che abbia prima pagato Nicu.

"Per favore, la mamma è in pericolo di vita e ha possibilità di salvarsi solo prendendo delle medicine molto costose, solo lei la può aiutare". Sapevo che non era giusto ciò che stavo dicendo dal momento che Nicu si era sudato quei soldi, non glieli stava regalando. Ma l'unico modo per ottenere il denaro era umiliarsi e abbassarsi ad un individuo che non conosce nemmeno l'esistenza del termine umiltà. Mi chiedo come si possa essere così ipocriti e meschini verso chi chiede solo il giusto per il proprio lavoro, accettando di essere maltrattato e schernito da una persona senza cuore.

Mi fa schifo, lui e tutti i suoi maledetti soldi.

Alla fine ci dice di andare via senza mezzi termini. Lui ha da fare. Vedendo che io non ho intenzione di alzarmi senza ciò che chiedo, dopo aver fatto un sorriso ironico tira fuori dal cassetto dei soldi che fruscia verso Nicu con disprezzo, come se glieli stesse regalando.

"Sono cinque milioni, senza che leggi, tanto non sai leggere, sarai contento ora?"

Io mi alzo rossa dalla rabbia, non ce la faccio più a sopportare un simile affronto ma Nicu mi afferra la mano e mi fa un cenno col capo per intimarmi di lasciar perdere.

"Tanto non ne vale la pena".

"Non vale la pena di cosa, cosa farnetica?"

"Niente, niente".

"A proposito, conosce mica qualcuna che cerca lavoro?"

Non riesco a trattenere una smorfia: "perché ha bisogno di qualche altra vittima o facchino? Neanche se stessi morendo di fame verrei a lavorare da lei”.

Non gli do nemmeno il tempo di rispondere che già siamo fuori da quella stanza.

“Che insolente quell'uomo ma chi crede di essere? Comunque, l'importante che ti abbia dato ciò che ti doveva, andiamo subito alle poste a fare il bonifico per la tua famiglia, vuoi?"

"Emanuela, grazie di tutto, non so come sdebitarmi".

"Ma scherzi, è il minimo che possa fare per una persona straniera lontana dal proprio paese e dai suoi cari, e poi, scommetto che anche tu avresti fatto lo stesso per me o no?

Stasera sei invitato a casa, cosa preferisci mangiare? Anzi, non ti do scelta, ti faccio assaggiare il mio piatto preferito: cavatelli pesto e vongole, il piatto che mi riesce meglio, vedrai ti leccherai i baffi".

Mentre stiamo mangiando arriva una chiamata sul suo telefonino: "Sì, pronto".

Nicu cambia espressione del viso e tutto ad un tratto diventa serio.

"Sono a casa".

 Mi guarda lasciando parlare il suo interlocutore.

"No, non so dove abita Emanuela".

Guardo in modo interrogativo Nicu, perché non capisco chi possa chiedergli di me.

"Ti ho detto che non so, la incontro solo qualche volta nei giardinetti".

Chiunque sia non è un suo amico, anzi, considerando il tono delle risposte che dà. Muoio dalla curiosità, chi diavolo vuol sapere dove abito?

"Scusami ma sono stanco, e poi aspetto una chiamata da mia madre, devo lasciarti".

"Non immagini chi era. Era lui, il Signor Blasetti che voleva a tutti i costi avere tue informazioni e voleva sapere dove abitassi. Non mi stupisce, già lo avevo capito da come ti guardava nel suo ufficio, e poi solitamente è molto più freddo e indolente, oggi invece era stranamente ben disposto".

"Ah capisco, è stato anche gentile, immaginiamoci com'è di solito. Ma cosa vuole da me?

"Non ne ho idea, penso però che sia molto interessato a te".

“Non pensiamoci, non ho voglia di rovinarmi la serata per quell'individuo”.


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