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Improvvisamente Stefano, come se mi avesse letto nel pensiero, si alza e si dirige dietro di me, apre le tende e...che spettacolo, il mare è splendidamente dorato, le piccole onde brillano mentre vibrano.

Un gabbiano cade a picco sulla cresta dell’unica onda a mare aperto per poi repentinamente svettare  verso il cielo quasi bianco. Altri gabbiani sostano su questo o quello scoglio ma solo momentaneamente.

"Desidera qualcosa signorina?"

Vengo destata dai pensieri generati dalla spettacolare visione dalla voce della cameriera.

"Grazie, aspettiamo i miei genitori, Lidia".

"Bene, con permesso".

“Mamma, Papà lei è Emanuela e mi accompagnerà a Ginevra”.

Ero talmente estasiata che non mi ero accorta dei genitori di Stefano appena entrati nel salone.

Che strani signori, sono sicuramente delle persone di umili origini a vedersi, non hanno certo sangue blu che scorre loro nelle vene, come sono goffi.

"Perché ti deve accompagnare lei, chi è?" Chiede con uno strano accento la madre, dandomi conferma di ciò che avevo pensato. Che insolente.

La mamma è priva di classe e raffinatezza.

È alta, una bella donna tutto sommato, ma rovinata dai gioielli pesanti e dal modo stravagante di vestire. È scura di carnagione, ha i capelli che le cadono sulle spalle la cui tinta nera sta pian piano lasciando posto ai canuti, gli splendidi occhi verdi sono appesantiti dal trucco blu e color smeraldo. Il corpo mi sembra tutto un pezzo con le gambe affusolate e magre che nascondono la robustezza delle cosce e del bacino.

Lo smalto rende ancora più evidenti le dita grossolane e tozze, sono mani che non so quanto tempo fa avevano lavorato duro, ma anche lei lo aveva ormai dimenticato, i pesanti anelli impreziosiscono quelle mani tutt’altro che delicate.

Indossa un top in pizzo grigio che le fascia tutti i fianchi e gli addominali non più tiratissimi, si vede che è molto elegante ma perde sotto quella casacca colorata di stoffa scadente che manda fra le altre cose un cattivo odore, un odore conosciuto, di naftalina che usava la mia bisnonna per conservare il suo prezioso corredo nei cassettoni di un vecchio comò.

Le collane di vario tipo le cingono il collo. Ha appeso un po’ di tutto, gioielli di vario genere, oro, argento, perle, rubini. Molto probabilmente è una donna che ha sofferto molto e non ha avuto questo ben di Dio da giovane ecco perché si appende di tutto e cerca di voler sembrare una vera signora.

Scommetto che queste persone sono i classici cafoni arricchiti che non hanno mai avuto nulla dalla vita e che pensano che con i soldi si può tutto.

La signora ride in un modo sguaiato ma dopo un po’, chissà ci pensa su e si ricompone. Forse si rende conto che quello non è il modo in cui si comporterebbe una del suo rango. Mi spiace dirlo, è sciocca e insipida; non una parola di quello che dice è coerente o ha un significato logico. Non c’è niente di male in questo, ma il suo modo di ostentare ciò che ha anziché ciò che è, mi disgusta.

Il papà ha le sembianze di un armadio. È buffo, ha un faccione simpatico, sproporzionato rispetto al resto del corpo, benché sia tutto enorme. Ha i capelli quasi completamente bianchi e mossi, un nasone gigante, a brocca che copre quasi tutto il viso e che è un tutt’uno col collo. Almeno lui non è acchittato, è vestito in modo garbato, un jeans e un camicione a quadri. È molto simpatico, ha sempre il sorriso sulle labbra e questo è sintomo di bontà. Traspare da ciò che dice una certa cultura di base, non eccellente ma sufficiente, nonostante le mani grosse e rovinate, gonfie sicuramente dal duro lavoro al quale è stato costretto in passato. In volto ha molte rughe segno forse di sofferenza.

Inizia a raccontare che deve alla fortuna e alla fatica stremante tutto ciò che ha. Si è fatto da solo, da muratore squattrinato pian piano e con tanti sacrifici ha raggiunto un tenore di vita altissimo. In famiglia erano undici figli e spesso non riuscivano a mangiare tutti. Dai suoi occhi traspaiono lacrime di dolore.

Mentre racconta queste cose, la moglie gli lancia delle occhiatacce, sicuramente non vuole che lui metta a nudo la loro storia e faccia capire le loro basse origini, figuriamoci come se non fosse più che evidente.

“Gradisce dell’altro te signorina, non faccia complimenti”.

“Volentieri, grazie”.

Siamo stati a chiacchierare un po’ di tutto, conversazione piacevole con lui se non fosse stato per la moglie.

Si vede che è un brav’uomo, nonostante stia sempre a parlare dei suoi soldi, delle proprietà che ha.

“Sai, andrete a Ginevra con il nostro aereo privato. Che cosa fuori dal comune vero? Ti era mai capitato prima? Scommetto di no. Sono cose che capitano una sola volta nella vita...e...bisogna approfittarne”.

Non oso immaginare a cosa si riferisca. Non mi sono mai sentita così umiliata per i discorsi che fa questa gente sulle persone comuni che devono continuamente fare i conti per andare in vacanza, stare lì a decidere un posto economico; fare la spesa in vari supermercati per risparmiare mille lire.

Anch’io faccio di queste cose per risparmiare e non mi vergogno a dirlo.

Ed ora, con questa nuova moneta si è tutto moltiplicato, altro che moltiplicazione dei pani e dei pesci!! Cambio cinquanta, cento euro e dopo un paio di giorni non ho più un centesimo, per giunta senza aver comperato nulla. Per non parlare delle fastidiose monetine, chiamiamole pure così, casomai hai in tasca pochi spiccioli che vorresti gettar via che ingombrano solo le tasche e invece ci paghi addirittura una cena.

D’altro canto quando si va all’estero non c’è la rottura di dover cercare di continuo l’ufficio del cambio che ci fa pagare la commissione, e non possiamo lamentarci perché la lira perde sempre di più.

Mi stupisce il fatto che queste persone siano di umili origini e quindi anche loro hanno provato cosa significhi la sofferenza, a maggior ragione dovrebbero capire e non deridere chi non ha mezzi sufficienti a condurre una bella vita.

Hanno sempre in bocca la parola ‘denaro’, ‘soldi’, ‘benessere’.

“Al ritorno da Ginevra potreste anche fermarvi in qualche posto suggestivo oppure andare in una delle nostre case. Stefano portala a vedere la nostra tenuta sull’Argentario, oppure l’appartamento sul Garda”.

“No, già è tanto che ho accettato di recarmi a Ginevra, non posso proprio, devo rientrare subito”.

“Che peccato, non sai cosa ti perdi, vabbé, sarà per un’altra volta”.

“Caro non insistere, se avrebbe avuto tempo, sarebbe andata, non credi?”

Sono rimasta senza parole, non sa neanche le nozioni fondamentali della grammatica italiana e si dà anche le arie da vamp, è assurdo.

Stefano si accorge della gaffe della madre e diventa un po’ rosso, forse si vergogna per lei. Vogliono sembrare tanto per bene, istruiti e superiori ma sono, come tutti del resto, nient’altro che poveri uomini.

“Avete un giardino e dei fiori splendidi”.

“Belli vero, un giorno sì e uno no viene un uomo e ci cura il giardino, non è un giardiniere vero e proprio. Lavora all’impresa di costruzioni con mio figlio e mio marito, ma sai, per elemosina gli facciamo il piacere di mettere in tasca qualche soldo in più, è un extra- comunitario e dice di dover mandare i soldi alla famiglia lontana, ma sicuramente sarà un altro di quegli sfaticati che vengono nel nostro paese per derubarci”.

Inizio a diventare rossa dalla rabbia perché capisco subito che si tratta di Nicu, ma prima che possa calmarmi: “Dài, andiamo, si è fatto tardi”.

Arriviamo all’aeroporto e saliamo sul piccolo aereo che guida un pilota, amico di Stefano.

Visto che non ho alcuna intenzione di passare il tempo ad annoiarmi e a sentirlo parlare di yacht e di ville mi dirigo verso la cabina di pilotaggio, chiedendo al pilota di poter restare con lui che sono molto interessata ai motori, inoltre da là si vede il tutto molto meglio. Purtroppo non posso restare lì dato che il velivolo è molto piccolo e sono costretta a farmi l’intero viaggio con Stefano.

Mi sembrava di essere una condannata al patibolo, e invece, contrariamente a ciò che avevo immaginato è stato un viaggio piacevole e trascorso in fretta.

Abbiamo parlato del più e del meno, certo nei suoi discorsi c’è sempre quella vena satirica verso le persone meno fortunate di lui, ma non è cattivo; è stato da sempre abituato così, non si rende neanche conto di quello che dice, lo fa naturalmente. È molto intelligente, ha svariati interessi e sa tutto, o quasi di tutto.

“Si vede che non puoi sopportarmi, mi chiedo il perché di tanta indifferenza  verso di me, eppure cerco di fare qualsiasi cosa per farti piacere”.

“È proprio questo che non devi fare, mi spiace ma non sopporto il tuo modo di fare, metterti in mostra per i tuoi soldi, non è giusto nei confronti di quelle persone che vivono con dignità ma con poco, e io sono una di quelle. Non capisco come tu possa sentirti superiore a noi altri solo perché puoi spendere quando e come vuoi. La vita è fatta così, chi è più fortunato, chi meno, ma non per questo devi sentirti libero di prenderci in giro e canzonarci; e poi bisogna valutare il significato che ognuno attribuisce alla fortuna.

“Ti ho mai presa in giro?”

“Non a me direttamente, ma è come se l’avessi fatto, quello che dici riguardo gli altri vale anche per me”.

“Mi scuso, se hai potuto pensare che abbia voluto prenderti in giro, non volevo. E’ forse questo uno dei motivi per cui mi respingi?”

“Certo, e ti sembra poco, non perché hai un aereo privato, case sparse per l’Italia puoi permetterti di deridere gli altri che non hanno le tue comodità, in particolare non puoi prendertela con il povero Nicu. Pensa ai sacrifici che fa, lavora tutto il giorno, deve elemosinare quello che gli spetta non tanto per lui, quanto per mandare qualcosa per far sopravvivere la famiglia lontana, per di più la mamma è molto malata. Tu, figlio unico di un grande costruttore cosa ne vuoi sapere di queste cose. Sono felice per te che non devi preoccuparti di lavorare per mangiare, ma almeno cerca di capire e avere rispetto per gli altri, non si stima solo chi è benestante, anzi, soprattutto chi ha bisogno, e Nicu ne ha tanto, ce la mette tutta per vivere dignitosamente, non importa se con poco”.

“Capisco, ti chiedo scusa ancora, anche da parte dei miei genitori, purtroppo spesso non mi rendo conto di quello che dico e di poter offendere altre persone, sono stato abituato così. Comunque saprò farmi perdonare e cercherò di cambiare se è questo quello che vuoi e se avrò qualche speranza con te, perché credimi sono innamorato di te e vorrei che fossi per sempre mia”.

Non credevo alle mie orecchie. Sapevo che aveva un debole per me, ma non pensavo fino a tal punto. Questa confessione mi ha letteralmente spiazzata.

“Mi spiace, rispetto i tuoi sentimenti ma sai bene anche tu che fra noi non può esserci niente, siamo troppo diversi e poi ti ho già detto che non mi piace il tuo modo di comportarti e la tua arroganza verso il mondo intero. Pensavo l’avessi capito, anche perché non ti ho mai dato modo di illuderti, anzi”.

Per la prima volta mi fa tanta tenerezza. Sembra un bimbo che, a testa bassa guarda mortificato il pavimento dopo essere stato sgridato per qualcosa che non doveva fare.

“Ti prometto che d’ora in poi sarà tutto diverso”.

“A me non interessa nulla, ti sto chiedendo di cambiare per te stesso, per vivere meglio e in armonia con il resto del mondo, non in previsione di un qualcosa di estremamente improbabile. Comunque, ora non parliamone più e pensiamo solo alla ragione per la quale siamo partiti”.

Non faccio nemmeno in tempo a poggiare la testa sullo schienale per riposare un po’ che il pilota, ci comunica che stiamo atterrando a Ginevra. Il tempo non è dei migliori, ci sono nuvole a pecorella sparse ovunque.

Appena scendiamo all’aeroporto c’è una macchina ad aspettarci che ci conduce in una villa antichissima appartenente ad amici della famiglia di Stefano.

Sono le 17.00 e solo l’indomani avremo il famoso incontro.

“Ok, entriamo e salutiamo tutti, dopodiché andremo ad affittare una macchina e ti porto in giro ad ammirare le bellezze di quest’incantevole città, vuoi?”

“Per me va bene, però voglio prima darmi una rinfrescata”.

Un altro castello incantato, è troppo per la mia vista in un giorno solo.

I padroni di casa sono due persone squisite, dei veri signori, molto semplici e modesti. Mentre prendiamo il te ci invitano subito a stare a cena con loro.

Stefano prontamente declina l’invito, io, nel frattempo accetto molto volentieri, dicendo che preferisco stare in casa dato che sono un po’ stanca.

La signora Wüttemberg capisce all’istante la situazione e mi fa un sorriso d’intesa. Parla perfettamente l’italiano ma ha la classica cadenza tedesca.

È una donna piena di classe, trascorro l’intera serata con lei. prima in giardino ad ammirare le opere d’arte eseguite dal ‘suo’ speciale giardiniere, poi nella serra, dove mi mostra rarità eccezionali di piante e fiori d’ogni tipo ma la sua attenzione è in particolare per una rosa. L’accarezza senza che le spine la pungano, come una madre affettuosa tocca la sua creatura che per magia abbandona i brutti pensieri e una timida lacrima le brilla sul volto. E’ davvero piacevole la sua compagnia, in poco mi racconta la sua storia e le avversità che ha dovuto affrontare per sposare un italiano, suo marito, nonché ex giardiniere di suo padre. Sono sposati da più di quarant’anni e l’amore che provano l’uno per l’altra non è difficile da notare.

Lei addirittura viene da una famiglia di nobili e voler sposare un giardiniere era considerato un gesto da ribelle, come era sempre stata, per di più più piccolo di lei di nove anni, “ma vuoi sapere una cosa, non ho ascoltato nessuno, solo il mio cuore”.

La signora Wüttemberg è serena, tranquilla, ma ha degli occhi molto tristi e, nonostante tenti di camuffare, si vede che nasconde qualcosa in fondo all’anima.

Arriva l’ora di cena, sono affamata ma su di un candido manto intarsiato anziché cibo sono schierati calici dal bordo dorato, varie posate d’argento in ordine di grandezza e piatti di porcellana. Queste sono le cose che non sopporto, perché non ho voglia di fare figuracce e sbagliare posate o, distrattamente utilizzare un bicchiere anziché l’altro. Da che mondo e mondo il bicchiere più piccolo è per il vino, io vi ho sempre bevuto l’acqua, è più pratico, tranne in queste occasioni particolari, non ci  vedi dalla fame e intanto devi pensare e ricordarti quali posate utilizzare e in che ordine.

Il signor Giorgio è il primo a rispettare le buone regole del galateo, è un perfetto gentiluomo, paradossalmente la signora Wüttemberg sembra essere insofferente a queste cose. Tant’è vero che prima mi guarda, forse cerca di mettermi a mio agio e poi afferrando le prime posate: “al diavolo, non ho mai sopportato le convenzioni, figuriamoci se si può badare a tali sciocchezze fra di noi.” Queste parole sciolgono il ghiaccio e mi fanno tirare un sospiro di sollievo, anche perché quando mangio devo stare tranquilla e godermi i deliziosi manicaretti.

Dopo aver gustato ogni portata ci spostiamo per il dolce e il caffè su di un terrazzo dove la tiepida brezza ci accarezza dolcemente mentre chiacchieriamo ancora fino al momento del dolce. Al morbido sapore del pan di spagna si unisce quello vellutato del delizioso ripieno di crema shantilly, si scioglie dolcemente il forte sapore del limone mitigato e nello stesso tempo rinforzato dal deciso aroma dei frutti di bosco.

“Io, grazie. Come si fa a dire di no ad una seconda fetta?” Beh, fosse per me farei anche il tris, ma per educazione è meglio lasciar andare.

Fuori inizia a far freschetto, così decidiamo di entrare. Il signor Giorgio avvolge con un soffice e caldo mantello le spalle della sua compagna di vita.

Nel salone adiacente c’è un maestoso piano forte a coda impreziosito da una scritta in oro massiccio che occupa metà dell’enorme stanza. Non faccio in tempo a voltarmi che sento un pronto ‘do’ sulla tastiera, seguito da una raffica composta di note. La signora è seduta là, tutto il suo corpo suona una melodia carica di energia ma al tempo stesso di tristezza. Non so perché, ma quelle note mi lasciano un senso di  amarezza. Suona, ma il suo sembra uno sfogo doloroso –come un pianto liberatorio- avvolto da un qualche mistero.

“Cena eccellente, davvero, sono lusingata di essere vostra ospite e aver trascorso la sera con voi”.

“Ma scherzi, siamo sempre soli, e ci fa tanto piacere quando ci viene a trovare qualcuno, questa casa è troppo grande per noi e ci fa sentire ancora più soli.” Afferma la signora Wüttemberg con un sorriso benevolo.

“Scusate ragazzi, ma non siamo abituati a fare così tardi, andiamo a dormire, ci vediamo domani mattina, buonanotte”.

“Buonanotte”.

Stranamente Stefano non è stato molto loquace, e ponderando bene ogni cosa che diceva, niente di ciò che ha detto o fatto mi è sembrata fuori posto.

“Sono stanchissima”.

“Si, anch’io forse è meglio se andiamo a letto, ci vediamo domattina alle 9 per la colazione, ricorda che l’appuntamento con gli arabi è per le 10”.

“Non ti preoccupare sarò puntuale, buonanotte”.

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