La camera da letto è molto accogliente, non è grande, ma c’è ogni comfort. Si sente un gradevole profumo di pulito. Mi sono subito addormentata e ho poltrito come un sasso fino alle 9 quando la signora Wüttemberg è venuta a bussare alla porta della mia stanza.
“Sono costernata, come al solito sono in ritardo, scusatemi, ma potevate anche iniziare senza di me”.
“Sbrighiamoci a mangiare, così guadagneremo del tempo che già siamo in ritardo”.
All’ora pattuita siamo all’ hotel nel quale abbiamo appuntamento e già ci stanno aspettando l’avvocato e il commercialista di Stefano.
È grandioso, mai visto un’ hotel così lussuoso. Un uomo ci accompagna alla suite degli arabi.
Entriamo in salone e ci troviamo quattro uomini che ci aspettano schierati due di fronte gli altri, poco dopo la porta d’ingresso. S’inchinano verso di me tutti col sorriso sulle labbra, dopodiché mi danno la mano per presentarsi, solo dopo salutano Stefano. Dal modo di parlare, capisco che già si conoscono.
Ci accomodiamo sul sofà di fronte al quale c’è un tavolo il cui vetro di cristallo è completamente coperto da carte su alcune delle quali ci sono degli schizzi, su altre schemi, altre ancora sono scritte in arabo.
Ci sono anche dei fogli da disegno con vari progetti.
Su una mensola proprio di fronte a me c’è un progetto molto grande che, da lontano, sembra essere una diga, probabilmente quella in questione.
Le trattative per l’appalto della diga iniziano. Stefano accetta di fare l’intero lavoro per centoventitre milioni di dollari ma gli arabi fanno una contro offerta di centoventuno milioni. Stefano difende la sua posizione facendo leva sul modo impeccabile di lavorare della sua impresa, sull’onestà e serietà.
Gli arabi intimano di accettare, anche perché hanno avuto un’altra offerta da alcuni spagnoli, e, senza dirlo sono vani i miei tentativi di appurare la somma proposta da questi ultimi. Stefano non ne vuol sapere ma appare preoccupato e dice di volerci pensare su, anche perché le trattative si sarebbero ultimate il pomeriggio alle sedici.
Gli arabi molto gentilmente ci invitano a restare a pranzo con loro, ma Stefano è troppo agitato e declina l’invito, concordando l’appuntamento per il pomeriggio.
Appena usciamo dall’albergo la prima cosa che fa è telefonare al padre.
“Allora ne sei convinto pa, accettiamo anche per centoventidue milioni di dollari? No, non ho la più pallida idea di quale sia la contro offerta. Va bene allora è andata per centoventidue, comunque appena concluso tutto ti faccio sapere”.
Rifiuto la proposta di Stefano di andare a pranzo, dicendo che non ho fame, e poi ho voglia di visitare la città e stare un po’ per fatti miei.
“Tanto l’avvocato e il commercialista ti faranno una buona compagnia, ci ritroviamo qui sotto l’hotel qualche minuto prima delle sedici”.
Stefano anche se dispiaciuto è costretto ad accettare vista la mia determinazione.
Compero la mappa di Ginevra e prendo la metro. Non conoscendo affatto al città mi fermo dopo circa un quarto d’ora ad una fermata qualsiasi. Inizio a camminare e incontro un paio di musei interessanti ed una cattedrale ma vengo assalita da un bruciore di stomaco - anche lui ogni tanto si lamenta per la fame.
Mi addentro in un parco enorme e mi siedo in un chiosco a mangiare un panino dopo aver cercato un posticino assolato. Adoro essere massaggiata dal caldo tepore.
Sono tranquilla, mi sto rilassando, e penso che in fin dei conti ne è valsa la pena, anche perché Stefano si sta comportando molto bene, da vero gentiluomo, senza essere troppo insistente.
Intanto sento dietro di me delle persone che parlano in spagnolo, allora mi metto ad ascoltare, non per impicciarmi dei fatti loro, ma perché cerco sempre di mettermi alla prova e rendermi conto se capisco perfettamente o se ho qualche lacuna. Per un po’ sono distratta e non faccio caso a quello che dicono, ma dopo sento pronunciare “cientoveintidós y quiniento millones de dolares” allora cerco di ascoltare attentamente e mi rendo conto che sono proprio questi gli spagnoli in trattativa con gli arabi, loro hanno proposto centoventidue e cinquecento milioni di dollari.
Resto ancora là ma poco dopo i quattro uomini vanno via ignari della mia presenza.
Chiamo subito Stefano, dicendo di volergli parlare.
“Cosa ti è successo, che cosa c’è, stai bene?”
“Sì, non ti preoccupare per me, ma dobbiamo vederci subito, devo parlarti”.
“Ah, e così l’offerta è di centoventidue e cinquecento ok, in tal caso saprò come comportarmi, non so come ringraziarti”.
Alle sedici come d’accordo ci ritroviamo tutti.
Anche Stefano propone l’ultimo prezzo, centoventidue e cinquecento.
Gli arabi si guardano e sono subito d’accordo nell’accettare l’offerta di Stefano senza pensarci due volte. Ovviamente a parità di prezzo preferiscono lavorare con una ditta affidabile e che non li ha mai delusi in passato.
“Affare fatto, state pur certi che non ve ne pentirete, farò del tutto per far iniziare i lavori già dal prossimo mese”.
Ci salutiamo tutti con una stretta di mano, io sono felice di essere stata d’aiuto a Stefano. Cinquecento milioni di dollari non sono mica bruscolini!
“Grazie, è tutto merito tuo, non sai quanto ti sono debitore, so che è poca cosa, ma intanto stasera ti porto a cena in un ristorantino in cui cucinano il pesce divinamente, non accetto nessun no”.
“Va bene volentieri”.
A queste mie parole gli leggo negli occhi un bagliore di gioia espressa anche da un bel sorriso di vittoria per l’affare appena concluso.
“Che posto incantevole”.
“È il minimo, e poi aspetta di mangiare, allora sì che elogerai questo ristorantino”.
“Grazie ancora, mi hai dato sostegno e coraggio, e, più d’ogni altra cosa sei stata determinante per il contratto. Come vorrei che questa fosse una della tante cene insieme, ma so che hai bisogno di tempo e ti renderai conto di come sei importante per me e di come mi stai facendo cambiare”.
Mi sento arrossire e continuo a mangiare abbassando lo sguardo per evitare il suo.
“Grazie Stefano, è stata una serata piacevole, a che ora domani?”
“Domani credo che potremo anche approfittarne per dormire e, in tarda mattinata se ti fa piacere andiamo in giro per Ginevra a fare dello shopping, e dopo vediamo cosa fare nel pomeriggio prima di ripartire, se per te va bene”.
“Certo, per me è perfetto”.
La villa è avvolta nel buio. I signori Wüttemberg sono ancora svegli, seduti in giardino a chiacchierare alla luce fioca di un lampione e curiosi di sapere com’è andata visto che nel pomeriggio non c’è stato tempo.
“Allora ragazzi, domani a pranzo stiamo tutti insieme e non si discute”.
“Per me va benissimo.”
“Anche per me cara Olga, ma non voglio disturbare più di quanto non stia già facendo.”
“Stefano, ti prego non essere sciocco, sai che siamo sempre soli e ci fa piacere quando abbiamo un po’ di compagnia, meglio ancora se piacevole”.
Sono persone molto simpatiche, che nonostante il loro tenore di vita mi mettono perfettamente a mio agio, è come se li conoscessi da una vita.
Il pomeriggio prima di partire Stefano va col signor Giorgio a vedere un’auto antica ferma da molto in garage e per la quale ha un debole, io faccio una lunga passeggiata in giardino con la signora Olga.
Le si legge in volto che è felice di poter chiacchierare un po’ con qualcuno che non sia il suo amato Giorgio, benché lo adori.
Il giardino è curato in ogni minuzioso particolare. Si ergono alberi secolari dal fusto saldo e robusto. Ai piedi della scalinata che permette di accedere al portone principale vi è una fontana in marmo circolare dove sguizzano indisturbati dei pesciolini rossi con la coda a ventaglio. Da qui partono due venature di ciottoli ai lati delle quali s’innalzano splendide le rose, protette alle spalle da giovani alberi potati alla perfezione.
Mi fermo a godere del profumo straordinario di una rosa appena sbocciata in una grande siepe.
“Sono splendide, le più belle direi che ho visto nel vostro giardino. Sono meravigliose, ma queste, non so, hanno qualcosa di speciale”.
Presa a parlare non mi rendo conto che la signora Olga ha le lacrime agli occhi e non parla più. Guarda fissa le rose con amorevole affetto ma è assente, mi sembra improvvisamente molto più anziana, la pelle aggrinzita dalla sofferenza. Curva sul suo dolore.
Per un attimo non so cosa dire e cosa pensare e rimango in silenzio.
“Le ha piantate Giorgio il giorno, il giorno….. il 21 Marzo”.
“Per dare il benvenuto alla primavera, signora Olga”. Asserisco ingenuamente, cercando di rompere il ghiaccio.
“No, per dare il benvenuto alla nostra Virginia”.
Un brivido mi percorre il corpo. Forse ora tutto è chiaro. Comprendo il dolore dei suoi occhi, la tristezza dei gesti, la rassegnazione di una mamma per aver perso la sua creatura.
“Sì, è proprio come pensi, aveva sei anni, era il suo primo giorno di scuola e lei era tanto felice, poi un malore improvviso ce l ’ha portata via, ancora non sappiamo cosa sia stato con esattezza”.
Non riesco a dire una parola e ancora rimango in silenzio, un silenzio loquace, ci guardiamo e ci abbracciamo forte.
Questa donna mi ha lasciato il segno, così composta nel suo dolore. Pacati i suoi sentimenti.
Atterriamo a Pescara. Solo due giorni via, e a me sono sembrati un’eternità perché molto intensi.
“Manu, passiamo un attimo a casa, il tempo di salutare i miei, e poi ti accompagno”.
All’idea di rivedere quella presuntuosa della mamma e ascoltarla criticare tutti mi sento male, “preferirei che mi accompagnassi a casa, sono un po’ stanca”.
“Come vuoi, a patto che ci vediamo domani sera a cena”.
Felice di non dover rivedere la madre, accetto.
Si presenta a casa alle 20.30.
“Sempre puntualissimo”.
“Sono puntuale perché ogni volta non vedo l’ora di rivederti”.
“Non esageriamo adesso, è solo da ieri che non ci vediamo.”
“Per me è un’eternità”.
Andiamo a cena in uno dei ristoranti più in di Pescara nonostante la mia insistenza per andare a mangiare una pizza al volo senza troppe pretese, ma figuriamoci.
Mentre stiamo iniziando a cenare dal tavolo a fianco al nostro arriva un uomo di mezza età, distinto e ben vestito, saluta cordialmente Stefano e si presenta a me in modo simpatico e gentile. Scusandosi per averci interrotto si congratula con Stefano per aver vinto l’appalto.
“Hai visto come corrono le notizie?”
Inizia a vantare il suo lavoro e i suoi operai, dopodiché chiede a Stefano di pensare a dargli il sub appalto di un lotto del progetto. “Sai come lavoro, pensaci, comunque ne riparleremo con calma in altra sede, non voglio disturbarti”.
Mentre Stefano si sta lamentando per il fatto che non si può neppure mangiare in pace vedo arrivare verso di me, fissandomi in modo non molto benevolo due ragazze tutte acchittate ancora puzzolenti di lacca, segno evidente che sono appena uscite dal parrucchiere. Salutano Stefano e anche loro si congratulano, intanto cercano di scrutarmi dalla testa ai piedi (forse perché non mi hanno mai vista nei loro circoli) e con sguardo d’interrogazione. Stefano si accorge dell’atmosfera pesante e cerca di far declinare ogni tipo di discorso.
“Che insolenti, non farci caso Emanuela”.
“Figurati”.
“A proposito, voglio farti una proposta, sempre che non arrivi qualcun altro a disturbarci, ti andrebbe di dare qualche lezione di italiano a Nicu?”
“Scusa ma credo di non aver capito bene”.
“Invece hai capito perfettamente, si troverebbe molto meglio e apprenderebbe velocemente insieme a te, puoi iniziare dalla grammatica e poi con la conversazione, che ne dici? In tal modo posso vedere di trovargli qualche altro tipo di lavoro, ad esempio potrebbe stare in ufficio, però c’è bisogno che parli bene l’italiano”.
Io mi sento al settimo cielo per Nicu perché penso alla faccia che farà lui quando lo saprà.
Mi assento con la mente, e penso che sto bene, sono a mio agio, rilassata, non più sulla difensiva. E poi mi fa ridere, mi fa divertire.
“Allora?”
“Allora cosa?”
Non mi rendo conto che stavo viaggiando con la mente come spesso mi succede.
“Non mi hai dato ancora una risposta”.
“Certo che sono d’accordo, non potrei chiedere di meglio, inizierò da domani stesso, un po’ ogni giorno e vedrai, parlerà l’italiano meglio di me, contaci”.
Abbiamo finito di cenare e il tempo è trascorso piacevolmente e velocemente al contrario delle altre volte, innanzitutto perché sono felice per Nicu.
“Eccoti a casa, sicura che non vuoi andare da nessun’altra parte, lo sai basta che lo dici”.
“No, ti ringrazio, grazie ancora per la cena e buonanotte”.
“Grazie a te per essere stata una piacevole compagnia, ti chiamo domani per sapere com’è andata”.