Arriva Ottobre. I miei amici decidono di andare alla biennale di Venezia e stare qui tre giorni. Sono nervosissima, perché ho un esame dopo due giorni dal rientro da Venezia, per giunta sono indietro col programma, quindi, mio malgrado devo rinunciare, e poi, io so che in vacanza non mi piace rinunciare a nulla, tantomeno al divertimento più sfrenato e sapevo che durante questi tre giorni avrei dormito ben poco. No, non posso rinunciare, d’altro canto se mi va male l’esame cosa dico ai miei che me ne sono andata a fare una mini vacanza invece di studiare. No, Manu, ci andrai dopo a farti una vacanza, dopo l’esame, questo è quanto mi consiglia la mia vocina. Ma non ne sono affatto convinta, a Venezia voglio davvero andarci, e poi, devo aspettare altri due anni prima di poterci andare di nuovo, no, non se ne parla.
Decido di mettermi sotto a studiare. Così faccio. Il giorno prima della partenza do la conferma anch’io, i miei amici cercano di dissuadermi, ma già sanno che è una causa persa in partenza, quando mi metto in testa una cosa non c’è verso.
Partiamo. In cuor mio non avevo mai dubitato che alla fine anch'io mi sarei aggregata. Un’avventura che rifarei all’istante. Non ero mai stata a Venezia, ne vale davvero la pena è una città splendida, incantevole e molto romantica, ricca di arte e di storia. La mostra spettacolare, gli architetti più innovativi e le loro tecniche all’avanguardia erano tutte là. Le enormi vetrate e ampi spazi di Mayer, le innovazioni di Fuksas, Le Corbusier con le sue prime architetture funzionali con i nuovi materiali in cemento armato, vetro, ferro. Cose inimmaginabili, giochi di luci, ombre e materiali.
Presenti gli architetti più famosi, nonché gli emergenti. Ogni padiglione destinato agli artisti di una determinata nazione. I finlandesi presentano dei progetti particolarissimi e materiali da costruzione mai usati prima, addirittura case create in lamiera.
Piazza S. Marco è proprio come appare in fotografia, spettacolare e sempre sorvegliata da piccioni che svolazzano sulla testa schiva dei turisti. Nonostante il loro benaugurale ricordino.
Il sole poi, secondo l’inclinazione dei raggi crea dei giochi particolari di luci e di colori riflettendosi alle mille sfumature dei rosoni, da rendere il tutto indimenticabile e poi quante risate coi miei amici, sono dei matti, colgono ogni occasione per fare battute, ridere e scherzare, sto davvero bene con loro.
Una volta tornata a Pescara ho due giorni che cerco di sfruttare al massimo, studiando come una matta.
Fortunatamente l’esame va bene, così racconto ai miei del ‘salto’ a Venezia, temendo che si possano incavolare non per il fatto di essere andata, ma per averglielo nascosto. Invece reagiscono molto bene, anzi sono felici che abbia fatto qualcosa di costruttivo e poi, l’esame è andato bene, quindi, perché lamentarsi?
Lo stesso anno, il week- end delle vacanze pasquali, visto che la compagnia era ormai collaudata siamo stati tutti insieme a Gardaland, un vero spasso e che divertimento. Adoro i parchi gioco, ritorno una bambina. Le mie preferite sono le montagne russe e tutto ciò che suscita brivido e in qualche modo paura. Mi piace il pericolo e essere sballottata in basso e il alto, a destra e a sinistra e vedere dall’alto piccolissimi puntini neri, sono tutte quelle persone, per timore rimaste a terra e che non hanno scelto di rischiare e di provare qualcosa di inimmaginabile, qualcosa che ti fa balzare e scuotere il cuore.
Tutti aspettiamo con ansia i fine settimana per recarci a Fano, a casa di un nostro amico, è una casina immersa nel verde, è carinissima, e quando siamo liberi dallo studio che non abbiamo esami imminenti…. Via, si parte! Solitamente partiamo il venerdì e torniamo la domenica. Il sabato andiamo a Riccione visto che a tutti noi piace tanto ballare.
Al viaggio di andata siamo elettrizzati, cantiamo, ridiamo, non la smettiamo un attimo di chiacchierare.
Al ritorno, in auto sembrano non esserci le stesse persone, nessuno parla. Siamo stanchissimi e non vediamo l’ora di essere a casa per dormire e riposare un po’ che l’indomani ricomincia una nuova settimana di studio.
Io li chiamo ‘break di ricarico’ questi brevi periodi lontano dai libri e dallo studio che mi ricaricano e servono per darmi nuova energia per ricominciare.
L’anno seguente siamo andati a Firenze, qui vive una mia amica francese che sta facendo il progetto Erasmus, così decidiamo di cogliere al volo il suo invito.
Non c’ero mai stata e da molto avevo questo desiderio. Firenze mi ha letteralmente incantata, la sua bellezza mi ha rapita.
Passeggiare sul Ponte Vecchio e ammirare come gli antichi palazzi si rispecchiano dentro l’Arno è stupefacente. Da S. Maria Novella fino ad arrivare a Piazza Signoria sembra che gli occhi non sostengano tali capolavori. S. Maria del Fiore, gli Uffizi stanno la per ubriacare l’animo e la vista dei turisti. Chissà se i fiorentini si rendono conto di quanto siano fortunati per il semplice fatto di vivere qui, di poter ammirare ogni giorno un tale spettacolo di arte dipanarsi sotto i loro occhi per arricchirne il cuore e la mente?
La data dell’esame sembra lontanissima quindi chi te lo fa fare di iniziare a secchiare ora? E invece quel giorno che sembra così remoto fa presto ad arrivare senza aver concluso nulla; questo temevo più d’ogni altra cosa, ma basta sapersi organizzare un po’. Non ho mai studiato tantissimo eccetto per qualche esame più duro, perché cerco di apprendere poco per volta e con questo sistema non mi è mai pesata più di tanto la vita da studente, anzi. Le cene poi, sono qualcosa di unico, da leccarsi i baffi.
Il secondo anno ho abitato con la dolcissima Patrizia. Una ragazza davvero incantevole, viviamo quasi in simbiosi tanto siamo uguali, la gente ci scambia addirittura per sorelle. L’affetto che ci lega è indissolubile.
Entrambe non vediamo l’ora che arrivi il mattino per fare insieme una lauta colazione. Chi di noi si alza per prima inizia a preparare e ad imbandire la tavola. Per lei quello della colazione è un vero rito e anch’io, che non ho mai avuto l’abitudine di mangiare al mattino, (non perché non mi piacesse, ma perché preferisco dormire dieci minuti in più) insieme a lei ho preso l’abitudine. Ci diamo il buongiorno cantando, e, se il buongiorno si vede dal mattino, ci aspetta un dì felice e pieno di luce.
Che bello aprire gli occhi con un sorriso, una voce amica che ti dà un bacino di buon risveglio, assumendo le veci di una mammina premurosa.
Inizio dal letto a sentire il cattivo odore della sigaretta, che si mescola al delizioso profumo del caffè latte e delle brioche che ancora non raggiungono il tipico colore dorato nel forno. E prima ancora di arrivare ad essere ben calde già sono addentate con tanto impeto da non riuscire nemmeno ad assaporare la fragranza della pasta frolla per la fretta di arrivare al dolcissimo ripieno di nutella. Per cinque minuti nessuna parla, solo gli occhi interloquiscono felici grazie all’espressione di chi per le lunghe ore notturne non ha fatto altro che aspettare quel momento.
E, con lo stomaco pieno, “ah, ora sì che si ragiona, ci voleva proprio”. Ci guardiamo un attimo e scoppiamo a ridere. Come ogni mattina, abbiamo i baffi che arrivano alle orecchie tant’è la nostra voracità di assaporare cose buone e dolci. “Che c’è di meglio di una buona colazione a base di tante calorie?” Non lo so Patty, dimmelo tu, “la pizza che ci aspetta stasera, siamo invitate da Massi”.
“Wao”, nessuno sa fare la pizza meglio di lui.
“Ok, ci troviamo stasera a casa per andare”.
Dopo aver passato una piacevolissima serata, Patty decide di restare a dormire dall’amica che abita al piano superiore, io torno a casa da sola, visto che il nostro appartamento è proprio nel palazzo di fronte.
Salgo le scale e mentre cerco di infilare la chiave nella serratura mi accorgo che la porta è aperta. Che sciocche io e Patty non abbiamo chiuso bene la porta e si è riaperta, penso fra me, ma mi accorgo subito che è scardinata, e, s’intravede tutto a soqquadro, non ho nemmeno il coraggio di gridare. Il cuore mi balza alla gola, e, prima ancora di poter pensare scendo le scale a quattro a quattro. Ho paura, tanta paura che possa esserci ancora il ladro. Prendo il telefono e provo a chiamare, ma nulla, ‘credito esaurito’.
Che faccio? E’ notte fonda e sono sola, in preda al panico.
Corro all’impazzata, finalmente arrivo da Patty. Inizio a suonare il campanello furiosamente. Patty è ancora sveglia e mi apre subito, io la guardo terrorizzata, non riesco a parlare.
“Che c’è, hai mica visto un fantasma?”
"Hei, che cosa è successo, Manu parla, mi stai facendo spaventare."
“Non puoi immaginare, è tutto sottosopra. A casa è venuto qualcuno, un ladro”.
Patty rimane esterrefatta, ancora non termino di parlare che Anna chiama la polizia.
Mi fanno sedere, mi danno da bere e, solo dopo il cuore smette di battere all’impazzata, ma lo spavento è tanto. Rimaniamo allibite soprattutto per il fatto che chiunque fosse entrato sapeva che era un appartamento abitato da studentesse, e cosa diavolo avremmo potuto avere, se non qualche centinaio di mila lire?
No, non poteva essere un ladro.
“Allora chi può essere stato?”
“Forse qualcuno che vuole intimorirci, forse un dispetto. Ma chi può volerci così male, cosa abbiamo fatto?”
Io e Patty siamo in preda al panico, ancor più spaventate da queste supposizioni.
Cadiamo nello sconforto perché non sappiamo cosa pensare. Iniziamo a farci mille domande.
“Chi può essere? Cosa vogliono da noi? Pensa se fossimo state in casa, lo avrebbero fatto lo stesso? Allora non possiamo più stare tranquille. E tutte le volte che una di noi scende a gettare l’immondizia lasciando la porta aperta e l’altra rimane da sola”. Patty scoppia a piangere.
Arriva la polizia e siamo costrette a seguirli nel nostro appartamento. Superato l’atrio e il portone del palazzo un brivido gelato mi percorre.
Dobbiamo varcare la porta ed entrare, io e Patty ci teniamo per mano, è uno spettacolo orrendo. Ogni cosa gettata per terra, cassetti aperti e il contenuto scaraventato in ogni dove, ma lo scenario più disgustoso è nelle camere. I nostri indumenti intimi, abiti e tutto ciò che avevamo sparso un po’ a terra e un po’ sui letti.
Schifo la prima cosa a cui penso, quelle sporche mani hanno toccato tutto, tutto. Non riesco a trattenere un pianto ininterrotto.
Provo una cosa strana, come se qualcuno mi avesse rubato l’anima, e non m’importa di ciò che abbiano preso, hanno rubato la nostra ingenuità, la nostra tranquillità, la nostra serenità, quei brutti schifosi.
Non ho il coraggio di toccare nulla, tutto mi sembra essere infetto. Vedere le mie cose, alle quali tengo toccate da un estraneo mi manda in bestia, soprattutto i capi di biancheria intima.
Getterò tutto, di certo non indosserò più i miei abiti.
Dopo essere state sottoposte a varie domande, io e Patty andiamo a dormire da Anna, anche perché la porta del nostro appartamento è scardinata.
Mentre siamo dalla nostra amica, sentiamo bussare alla porta. Ci spaventiamo, perché è strano che qualcuno bussi così all’improvviso senza aver prima suonato il citofono, ma immediatamente veniamo tranquillizzate dalla voce di Francesco.
“Francy ci hai fatto morire dalla paura”.
“Scusatemi ragazze, avevo già saputo tutto da Anna. Stanotte se per voi va bene posso dormire io nel vostro appartamento visto che è senza porta, se può farvi stare più tranquille, così sarete sicure che non entrerà nessuno”.
“Che caro, grazie mille Francy ma non devi preoccuparti, vuoi farci stare in pensiero anche per te. Grazie comunque per il pensiero”.
Intanto Patty mi guarda stupita, forse pensando alla dolcezza e premura di questo ragazzo sempre schernito e deriso da noi. Ho avuto anch’io un gran senso di colpa e mi sono sentita un verme.
La notte nessuna delle due riesce a chiudere occhio. Pensando all’accaduto siamo spaventate, ci spremiamo le meningi cercando di capire chi possa averci fatto una cosa del genere, ma non riusciamo a darci una spiegazione, forse perché realmente non ce ne sono.
Fra i nostri amici cresce l’idea che sia stato Nicu.
“Ragazze, mi sembra più che evidente, conosce l’appartamento, le vostre abitudini, sapeva probabilmente che dovevate uscire e ne ha approfittato. Sicuramente si è rivenduto l’oro e ne ha ricavato del denaro, come fate ad essere così ingenue”.
“No, Alessandro, non ci posso credere, è impossibile, mi sembra così onesto”.
“Voi vi fidate troppo di tutti”.
La polizia dice che si è trattato di un drogato, perché ha rubato solo un po’ d’oro, non ha portato via la mia nuova bici che era là, proprio in salotto, non ha portato via neanche il televisore, quindi sicuramente si è trattato di un ladruncolo da nulla.
“Patty, svegliati, guarda che bella giornata, dormigliona”, non mi rendo conto che lei è già sveglia e guarda il vuoto, è assente.
“Patty, andiamo a chiamare il fabbro, così ci sistema la porta in modo da poter tornare a casa al più presto”.
“Manu, che fretta c’è, oggi, domani, fa lo stesso”.
No, Patty, dobbiamo tornare a casa oggi stesso e vincere la paura.
“Ma sei matta, io là non ci torno”.
“Non è successo nulla a noi, fortunatamente, quello ci stava spiando, ha visto che eravamo uscite ed è entrato in casa, non tornerà più vedrai, è stato solo un caso che ci siamo capitate noi”.
Mentre il fabbro è a lavoro, entriamo, ancora è tutto sottosopra, sembra essere appena passata una bora con tale violenza da spazzare via qualsiasi cosa le intralciasse il cammino.
Patrizia continua a tartassarmi con le sue domande “ma se tornasse di nuovo, d’ora in poi dobbiamo serrare tutto. La sera prima di andare a letto dobbiamo chiudere tutte le tapparelle, chiudere bene la porta a chiave, e quando usciamo tenere gli occhi ben aperti a tipi sospetti. Quando suonano il campanello non dobbiamo fidarci di nessuno, apriamo solo ai nostri amici più stretti”.
“Patty, ora non esagerare, così non vivremo più, ormai è successo, dobbiamo solo essere più caute”. Cerco di tirarla su, ma anch’io ho molta paura e sono intimorita.
Arriva mezzanotte e siamo entrambe molto stanche, guardiamo la tv, ma nessuna di noi ce la fa ad andare a letto. “Che sciocche, andiamo cosa può succederci, e poi se proprio, tornerà fra un po’ di tempo, non il giorno dopo”.
“Scema, perché dici così, mi metti ancora più paura, invece di tranquillizzarmi”,
“scusa, volevo solo sdrammatizzare”.
“Notte Patty”,
“notte Manu”.
Io stavo a letto come una mummia, stretta nella morsa delle coperte come un ermellino che si mimetizza per evitare guardingo il cacciatore, senza nemmeno respirare per non essere sentito, ma nello stesso tempo aspetta la preda da attaccare.
Tutto silenzio intorno a noi, troppo silenzio per un quartiere abitato da tanti bambini che piangono fino a tarda sera, e dove sotto c’è una palestra che chiude tardissimo, e fra l’altro, è un luogo di ritrovo. Troppo silenzio, e tutt’intorno il buio, le tenebre.
Questo silenzio dà adito a molte fantasie, peccato stasera le più orribili.
“Tric, tric” all’improvviso uno strano rumore. Sto per un attimo immobile, trattengo il respiro, non so neanche io per quale ragione, come se al di fuori mi avessero sentita respirare.
Sembra qualcuno che tenta di aprire la porta, ma senza riuscirci. E poi ancora silenzio. Un grido. E poi un altro ancora.
“Patty, cosa succede?”
“Manu, aiuto, aiuto” con un filo di voce quasi soffocata.
“Ho tanta paura.”
Mi armo di una scopa, l’unico oggetto che trovo a portata di mano ed irrompo nella stanza. Patrizia è sommersa dalle coperte e continua a gridare anche quando mi avvicino per calmarla. Mi dà uno strattone, e mi fa cadere a terra.
“Manu aiuto”.
Io inizio a ridere, perché è una scena troppo comica. Patty come un canguro che esce allo scoperto dalla sacca della mamma che lo protegge e con gli occhietti inconsci si rende conto di ciò che era successo, anzi di ciò che fortunatamente non era successo.
Entrambe ci guardiamo per il fatto di essere state così fifone e sciocche, ci siamo fatte prendere dal panico, e invece era semplicemente la nostra vicina che cercava di aprire le porta di casa sua.
“Patty, hai mica visto la macchina fotografica, voglio portare a far sviluppare il rullino che c’è dentro e prenderne un altro, così stasera al compleanno di Giuseppe facciamo un po’ di foto”.
“No, è da un po’ che non la vedo in giro, tu sei la solita distratta forse l’hai conservata in qualche parte e non lo ricordi”.
“No Patty, lo ricordo bene era dentro il cassetto della mia scrivania.”
Ci guardiamo ed esclamiamo contemporaneamente: “hanno rubato anche la macchina fotografica”. L’avevo dal giorno della cresima, mi era stata regalata da un mio caro zio che ora non c’è più, era un ricordo a cui tenevo molto.
Chissà quante altre cose andate perse, o meglio rubate sarebbero saltate fuori col passare del tempo. Quella macchina fotografica la portavo con me ovunque, ha sempre immortalato i momenti e i luoghi più belli, era semplice da usare e rendeva eterni e colorati attimi splendidi e indimenticabili.
Mi dispiace tanto anche per le foto che c’erano dentro erano venute un capolavoro, ma più di tutto mi spiace per l’orologio. Non ho il coraggio di dirlo a mio padre anche lui ci teneva così tanto, me lo aveva regalato fiducioso che lo avrei custodito come il tesoro più prezioso, donatomi da una delle persone a me più care. E per anni l’ho conservato come nulla prima, e poi, un vigliacco, un delinquente qualunque me l’ha portato via, e con l’orologio anche una parte di me, dei miei sogni. Quell’orologio ha in se mille misteri e sprigionava un’atmosfera magica, inoltre mi ero messa in mente che avrei scoperto a tutti i costi la sua storia e a chi era appartenuto.
Dopo qualche giorno ho trovato il coraggio di dire a papà che il ladro aveva portato via anche l’orologio.
“Non ti preoccupare papà non fa niente che lo hanno rubato, l’importante è che non sia successo nulla a te e a Patrizia”. Ma la delusione e il malumore erano evidenti sul suo volto.