Stefano viene a trovarmi tutti i giorni, mi porta libri e dolciumi vari per farmi sentire meglio, mi costringe ad uscire ed è una piacevole compagnia per me, ma non altrettanto io per lui. Che caro, cerca di farmi svagare, mi accontenta in tutto, mi porta nei posti che più mi piacciono e che un tempo mi divertivano. Ma più d’ogni altra cosa cerca di farmi ridere.
In questo stato di agonia passo ancora un mese.
Mi ripete che è tempo che riprenda a studiare perché è importante che mi laurei visto che manca poco. Sì perché questa è una cosa che lui rimpiange, visto che ha iniziato subito a lavorare dopo il diploma da geometra avendo un’attività propria già ben avviata e ora non ha il tempo e la testa per riprendere gli studi. Mi accorgo che nonostante la sua voglia di vivere e la sua grinta è sempre più debole e magro.
Siamo a cena e di fronte mi sembra di avere uno scheletro, ha il volto scavato e due occhiaie profonde.
Dice di essere stanco. Anche Stefano si è stancato di me, ora viene un paio di volte a settimana. A sentir lui verrebbe anche tutti i giorni, ma non può per problemi di lavoro “e poi ultimamente sono molto stanco”. Questo glielo sento ripetere sempre più spesso.
Quando lo vedo sono molto felice, soprattutto il giorno dell’attesa, prima che lui venga.
Se al mattino mi chiama e dice che nel pomeriggio sarà da me faccio i salti di gioia e la giornata mi passa in fretta. Mi diverto anche a preparargli qualche stuzzicante manicaretto per la cena. Purtroppo il tempo trascorre troppo velocemente ed è appena arrivato, che già deve ripartire.
Ultimamente lo vedo sempre più giù, spesso dice di non poter venire a trovarmi perché ha da fare. Sono solo scuse. So che è tanto impegnato, ma questo non lo giustifica. Prima avrebbe fatto di tutto, anche solo per vedermi cinque minuti. Forse anche per lui è troppo. Sono diventata un peso, un sacrificio, probabilmente mi sta ancora vicino perché gli faccio pena e aspetta che stia un po’ meglio per allontanarsi da me.
Ieri è venuto. È stato poco, neanche il tempo di mangiare, tant’è che non ha toccato cibo eppure le seppioline ripiene sono il suo piatto preferito. Era strano, neanche un sorriso, poche parole.
Non l’ ho mai visto così spento e passivo. Il suo comportamento mi fa stare ancora peggio, ma non ho il coraggio di chiedergli nulla. Ho paura, paura di quello che possa rispondermi.
“C’è qualcosa che non va, sei strano, ti comporti freddamente, e non dire bugie come sempre in questi ultimi tempi. Non sono una sciocca, se ti sei stancato di me e di venire a trovarmi ti capisco, non c’è nessun problema ma voglio che sia sincero. Non voglio che stia con me per pena o cos’altro, non ho bisogno né di te né di nessun altro”.
“Malgrado quello che ti è successo, sei sempre la solita egoista”. Pronuncia queste parole con una serietà tale da lasciarmi senza fiato, non ho la forza di rispondere, ma fanno tanto male.
“Come ti viene in mente una cosa simile, non è così, non ho nulla. Sono solo preoccupato, ma nulla che ti riguardi. Non voglio che entri in questa storia, il solo modo in cui puoi aiutarmi è stare tranquilla”.
Questo è tutto quello che mi ha risposto.
Io so che c’è dell’altro ma aspetterò che si convinca a dirmelo.
Da qualche giorno non lo vedo.
Poco fa arriva una telefonata. “Pronto, potrei parlare con Emanuela?”
“Sono io, chi è” cercando di riconoscere quella voce.
“Salve, mi scusi se la disturbo così, ma”
una voce soffocata dal pianto e dall’angoscia.
“Cosa c’è mi dica”.
“Sono il padre di....”
“Si, l’ho riconosciuta. E’ successo qualcosa a Stefano, dov’è, come sta”.
“Beh vede, non so se devo dirglielo, Stefano mi ha detto di non farlo”.
“Di non fare cosa, vuole spiegarmi, la prego”.
“Stefano è malato, molto malato”.
Queste parole mi rimbombano nella testa, ho paura, quasi non voglio sapere cosa sia successo.
Non ho la forza di parlare, di chiedere, di pensare.
“Sta morendo”.
La voce s’interrompe per riprendere dopo un istante.
“Sta morendo, non gli resta molto da vivere”.
Non riesco a parlare, vorrei gridare ma non mi esce il fiato.
“Mi rendo conto che per lei è uno shock, ma non c’è niente da fare”.
“Cos’ha?” Riesco a dire con un filo di voce.
“Un cancro ai polmoni ce lo sta portando via, ora siamo a Lione in una delle migliori cliniche per tentare l’impossibile”.
“Cosa a Lione, e io, come faccio? Mi dica lei, come faccio senza vederlo, lui potrebbe, potrebbe…anche, nooo, non è possibile, non l’ ho neanche salutato, e io che pensavo che non volesse più vedermi e l’ ho anche trattato male, ma lui lo sa?”
“Lo ha saputo circa un mese fa”.
Ora è tutto chiaro, la continua stanchezza, il pallore, e mi ci mettevo anche io a peggiorare la situazione.
“Ma perché non me lo ha mai detto, gli sarei stata vicina, lo avremmo superato insieme”.
“E con che coraggio avrebbe potuto dirti che erano gli ultimi giorni per lui. Ne abbiamo parlato, ma non ne ha voluto sapere, eri l’ultima persona che doveva saperlo, non vuole che tu soffra più di quanto stai già facendo”.
“Voglio parlargli, dov’è adesso?”
“È nella sua stanza. Un’equipe di medici lo sta visitando, domani dovrà fare delle analisi, e noi non possiamo far altro che aspettare, aspettare e pregare”.
Le lacrime scorrono a fiumi sulle mie gote, mi sembra di morire.
“Posso parlargli quando saranno usciti i medici, la prego, non mi importa se si arrabbierà che me lo ha detto, voglio sentire almeno la sua voce, la prego, per favore. Ho bisogno di sentirlo”.
“Facciamo così, chiami domani nel pomeriggio, almeno sapremo qualcosa di più e speriamo di positivo, lei preghi e stia tranquilla. Stefano la ama tanto e non vuole che soffra, lo faccia per lui, non dica che sa tutto”.
“Va bene, ma lei prometta che se ha qualche novità io sarò la prima a saperlo, me lo giuri”.
“Le do la mia parola”.
Non ho fatto altro che piangere per tutta la sera e la notte, non ho riposato affatto al pensiero tremendo di perdere Stefano. No, non può essere. Sicuramente c’è una soluzione, ci devono essere delle cure, qualche farmaco speciale, una terapia efficace, i suoi genitori hanno così tanti soldi che nulla è impossibile per loro. Cerco di farmi forza che andrà tutto bene.
Deve andare per forza tutto bene, non posso rischiare di perderlo proprio ora, ora che tutto è così bello fra noi.
Che storia buffa la nostra. Prima lo odiavo, non potevo sopportare il suo modo arrogante di comportarsi con gli altri, la sua superbia, ora quasi non si riconosce più tanto è cambiato, e non sono gli occhi dell’amore che lo fanno sembrare perfetto. Realmente non è più la stessa persona, così buono e gentile con tutti, premuroso. Non so cosa avrei fatto se non lo avessi avuto al mio fianco durante la mia tragedia, e ora non posso perderlo, no, non puoi farmi una cosa del genere, non puoi, non sarebbe giusto.
I miei occhi rossi e gonfi dalle lacrime hanno davanti solo il suo volto.
La notte non passa più, è così lenta. Il giorno non arriva mai. Mi sveglio all’improvviso, sono le nove del mattino, ho dormito appena tre ore, ma sono sembrate un’eternità.
Non ce la faccio ad aspettare. Chiamo.
Il telefono è spento o non prende.
Aspetto ancora. Riprovo, la stessa cosa.
Provo ancora ma niente.
È ora di pranzo, finalmente squilla. Penso a cosa dire, a come confortarlo e tirarlo su ma è il padre a rispondere dicendo che Stefano è ancora a fare gli esami e ci vorrà del tempo.
Il pomeriggio è il papà di Stefano a chiamarmi e dirmi che ripartiranno fra qualche giorno. Dovrà sottoporsi a delle cure particolari ma è tutto inutile,
“ormai tutto è inutile. Non c’è nessuna speranza per il mio bambino”.
“Ma come, in così poco tempo i medici già hanno fatto tutti gli esami? Non si possono consultare altri specialisti”.
“Tutti sono dello stesso parere, abbiamo fatto il possibile, dobbiamo solo rassegnarci e far sì che i suoi ultimi giorni siano i più felici”.
Non riesco a parlare, le lacrime sgorgano a fiumi, ho un nodo in gola.
“Emanuela, ora devo chiederti un favore, spero mi accontenterai”.
“Certo, mi dica, tutto quello che posso”.
“Quando senti Stefano mi raccomando, lui non deve sapere che ti ho detto tutto, altrimenti mi odierebbe. Mio figlio vuole per te tutto il bene del mondo perché ti ama e l’ultima cosa che vorrebbe è farti soffrire. So che è difficile, ma fallo per lui, cerca di comportarti in modo naturale per quanto sia possibile, ti imploro”.
“Farò il possibile”.
“Lui ti dirà che è stato fuori per lavoro, tu non fare domande”.
“Va bene, farò come ha detto lei, ma se ha qualche novità, la prego di mettermi subito al corrente”.
“Va bene, lo prometto”.
Nei giorni prima che tornasse ci siamo sentiti per telefono, e io ho cercato di camuffare la mia ansia, il mio dolore. Stasera finalmente lo vedrò. Non so se potrò resistere guardandolo negli occhi senza versare una lacrima e stringerlo a me, chissà forse per l’ultima volta.
Devo farcela, per lui innanzi tutto, voglio che i suoi ultimi giorni siano i più spensierati in assoluto.
Un abbraccio lunghissimo e affettuoso, come non ne avevo mai ricevuti. Mi stringe al petto, sento che inghiotte ripetutamente, ha un nodo in gola e non ce la fa a guardarmi negli occhi, prende tempo, mi stringe ancora più forte e nasconde il volto nei miei capelli.
“Hei, ti sarai mica dato alla pazza gioia in vacanza che ora mi stringi così forte per farti perdonare” cercando di non pensarci almeno in sua presenza.
“Vacanza, magari, ne avrei tanto bisogno, no, sono andato per lavoro”.
“Andiamo che si fa tardi c’è il ristorante prenotato, altrimenti restiamo senza mangiare ed io ho una fame!”
Rivedendolo e guardandolo capisco che lo sto perdendo. Sì, l’avrei perso. Della luce ardente non c’è più traccia nei suoi occhi. Il mio sogno sta pian piano affievolendosi e di lì a poco sarebbe scomparso del tutto. E il mio sogno più grande è rappresentato proprio da Stefano.
In auto, durante il tragitto continuo a ripetermi che devo essere il più naturale possibile, per lui, fino alla fine. Dovranno essere i nostri giorni più belli, indimenticabili.
Siamo seduti di fronte, è dimagrito, pallido, sta perdendo i capelli, effetto incontrastato della chemioterapia. È molto debole, mi guarda con affetto ma i suoi occhi sono assenti, del suo senso dell’ humor non c’è più traccia.
Quegli occhi il cui fuoco scintillava per alimentare la grinta e l’energia ora sono spenti, sbiaditi.
Cerco in tutti i modi di farlo ridere, di raccontare barzellette ma lui non si diverte, non ride. Finge, finge per me, ammiccando un sorriso.
Verso le 22,00 dice di essere stanco e di voler stare un po’ solo con me.
Sta per mettere in moto, ma d’un tratto si blocca.
Mi guarda.
“Cosa c’è tesoro”, facendomi forza per non piangere.
“Non posso andare avanti così, non volevo dirtelo, però mi rendo conto che sarei solo un egoista. Sono un malato terminale, ho un tumore che non mi lascerà vivo”.
Lo guardo.
Le lacrime ora non hanno più motivo per arrestarsi, sgorgano incontrastate. Non dico nulla. Ci guardiamo. Ci abbracciamo. In questi casi il silenzio è l’unica parola di conforto. A lungo stiamo senza parlare, il battito dei nostri cuori parla per noi sempre più forte, sempre più intenso.
“Scusami se non te l’ ho detto prima, forse per paura, per egoismo che mi lasciassi, ma sarei ancora più egoista tenendoti allo scuro di tutto”.
“Szz, non devi scusarti, hai fatto bene a dirmelo semplicemente perché piangeremo insieme, lotteremo insieme, ma alla fine rideremo insieme e ce la faremo”.
Sorride, il primo sorriso che mi regala durante la serata. “Sorrido perché tu sei sempre la stessa, non cambi mai, questa volta però è diverso, non ci sono speranze, non possiamo lottare contro qualcosa che mi ha già sconfitto. Ha vinto lui”.
“No, non ce la farà a sconfiggerci”.
“Emanuela, ho un cancro, contro di lui tutto diventa vano”.
“Tutto, tranne il nostro amore, sarà lui a tenerci vivi, sarà lui a proteggerci e ad aiutarci, fidati di me”.
È di fronte a me e piange come un bambino, è indifeso.
“Stefano, la tua voglia di fare, il tuo dinamismo non devono farsi battere da uno sciocco male. Il male è una questione psicologica, se ti lasci andare lui prende il sopravvento, perché sente di essere più forte di te, ed è proprio questo che devi evitare, anzi che dobbiamo evitare, perché io sarò sempre con te”.
“No, voglio che tu stia lontana da me. Non ho intenzione di farti soffrire, non voglio che mi accompagni in questo calvario, hai già tanti problemi, non mi va di complicarti la vita, ecco il motivo per il quale non volevo dirti nulla, ma non ce l’ ho fatta. Sono un debole, dovevo saperlo che non ti saresti tirata indietro e che per me avresti fatto qualsiasi cosa”.
“E farò di tutto, puoi scommetterci”.
“Tesoro, sei la cosa più bella che mi sia mai stata donata, avrei voluto che mi fossi sempre accanto, che passassi tutta la vita con me ma non in questo modo così crudele. Perché la vita vuole punirmi così proprio ora che ho trovato l’amore della mia vita?”
“Vedrai, troveremo insieme il modo, ti curerai e piano piano ce la faremo”.
“Alludi forse alla chemio? Non voglio più farla, mi rende debole, mi deruba anche delle mie ultime forze, e poi a che serve guadagnare un giorno, forse due ma reso moribondo dai farmaci. No, preferisco morire prima ma essere ancora vivo per te”.
“Ti prego, non pronunciare più quella parola, non voglio sentirla. Io ti sono accanto e continuo a farlo, smetterò solo nel caso in cui il nostro amore dovesse finire da parte tua. Ti chiedo solo una cosa, pensiamo solo a noi, a vivere attimo per attimo e ad essere felici”. I suoi occhi sembrano più luminosi. Mi abbraccia con tanta forza, forse per dimostrare che non è cambiato nulla. E’ il suo modo di chiedere aiuto e di stargli vicino.
“Notte e sogni d’oro piccola”.
Nel letto continuo a girarmi, non riesco a prendere sonno. Sono più serena, forse perché Stefano ha accettato il mio appoggio e perché ho sentito anche lui relativamente più tranquillo.
L’indomani mi chiama di buon ora.
“Ehi dormiglione, cos’è ti hanno tirato giù dal letto?”
“Devo dirti una cosa importante, sei impegnata la prossima settimana?”
“Perché, cosa….” Non mi dà il tempo di rispondere.
“Anche se lo fossi, disdici tutto perché sabato partiamo”.
“Partiamo e dove andiamo?”
“È una sorpresa. Porta vestiti leggeri, non ti serve sapere altro, vedrai ci divertiremo”.
“Che matto che sei”.
Non c’è verso tutti i giorni cerco di fargli sputare il rospo, ma vuole che sia una sorpresa il luogo nel quale andremo. Ciò rende il tutto molto più eccitante.
“Allora, domani abbiamo l’aereo alle dieci del mattino, passo a prenderti alle sette mi raccomando puntuale”.
“Non c’è problema, sai che per queste cose lo sono sempre”.
“Vuoi dirmi almeno ora dove mi stai portando?”
“Fidati di me”.
Arriviamo all’aeroporto, ci dirigiamo a fare il check in. C’è tanta gente in giro. Alcuni con bagagli pesanti che stanno partendo per lunghe vacanze, altri portano solo una ventiquattrore forse in serata rientreranno, hanno solo un meeting d’affari.
In cima al terminale c’è scritto Iberia.
Con un sorriso che mi prende tutto il volto “andiamo in Spagna vero, sei un angelo, sapevi che avevo tanta voglia di tornarci, grazie”.
Manca un po’ per il decollo. Accanto a noi c’è una giovane coppia che avevo notato anche prima di fare il check in pieni di bagagli e bagaglietti. Sono seduti e si tengono teneramente la mano fresca di matrimonio, si guardano innamorati come pochi.
Hanno negli occhi la voglia di stare insieme. Stanno iniziando una nuova vita, fatta d’amore. Sono in partenza per la luna di miele, con una valigia piena di bei sogni che presto si realizzeranno. Le nostre valige sono vuote, c’è solo aria all’interno e tanti bei sogni spezzati, che presto andranno in frantumi. Nella nostra vita non ci sarà nulla di dolce. Nella mia ci sarà solo la luna offuscata.
“Emanuela, non è il momento di commuoverti, l’aereo ci aspetta”. Così la lacrimuccia che si accingeva a scendere si è arrestata.
Atterriamo a Madrid, città a dir poco stupenda. Da plaza del Sol al Retiro, da plaza Mayor al museo Del Prado. Stefano già era stato qui, conosce ogni posto, quindi è lui a farmi da guida, io mi limito a guardare sulla cartina i posti più importanti da visitare.
La Spagna è come la ricordavo, ma ancora di più. È un paese solare e di un calore unico. Madrid è sempre piena di gente in qualsiasi ora del giorno e della notte, ci sono locali fantastici, piccoli e accoglienti, proprio come piace a me.
Sono uno dietro l’altro, l’entrata è libera e tu puoi tranquillamente entrare ed uscire quando vuoi, se ti stanchi di uno, vai nell’altro. Puoi ballare la musica che più ti piace, ce n’è per tutti i gusti. Tutti ballano, ti prendono, ti sorridono e ti coinvolgono col loro entusiasmo.
Una sera siamo stati a cena in un locale tipico madrileño, dove si balla il flamenco, è un ballo molto sensuale. È proprio vero che queste persone ti coinvolgono, mentre guardo i ballerini i piedi mi fremono, il cuore sussulta ad ogni passo di danza.
Mi sono innamorata di questa terra, della lingua e degli abitanti e anche della ’paella’, è ottima.
“Che te ne pare di questo bar, io sono stanco di camminare, mi hai fatto girare la città in lungo e in largo. Ci rifocilliamo e beviamo una buona sangria ci stai?”
“Perché no?”
In questa terra incantata ogni singolo istante è magico e voglio approfittare di ogni secondo di felicità. Nessuno dei due parla della malattia. Ci pensiamo, ma entrambi siamo perfetti attori.