Mia madre sa bene che mi riduco all'ultimo istante nel fare le cose. Anche se ho del tempo a disposizione finisco sempre per rimandare ‘tanto c'è tempo!’ Ma ogni volta immancabilmente rimango fregata, perché c'è qualcosa che non riesco a fare per mancanza di tempo. E poi, si sa, quando si ha fretta ci deve essere un inconveniente a rovinarti tutti i piani, lo so bene, a me capita fin troppo spesso; appunto per questo, dovrei aver imparato la lezione…ma va neanche per sogno.
Per preparare le valige impiego tantissimo tempo, perché dal momento che dimentico sempre qualcosa, ogni volta mi riprometto di pensare bene a ciò che metto dentro.
In qualsiasi posto vada, non importa il tempo di permanenza, porto dietro la casa, sebbene ogni volta mi riprometta di essere meno carica e portare il minimo indispensabile.
Ma, come non detto sono carica come un asinello e poi ho anche il coraggio di lamentarmi che la valigia pesa, e non riesco a portarla, ma non posso prendermela con nessuno tranne con me e la mia testardaggine.
Anche questa volta ho chiuso la valigia il mattino presto, pochi secondi prima di uscire di casa. Come al solito ho dovuto forzare un po’ e sedermici su prima di chiuderla e ho dovuto togliere un paio di scarpe perché proprio non ci stanno.
Salgo sul treno diretto a Pescara dove mi aspettano le mie amiche. Staremo qui un paio di giorni per una pre- vacanza, preparandoci per quella reale: due settimane in Grecia, di cui una a Mykonos, l'altra un po' in giro per le altre isole.
Arrivata alla stazione di Pescara prendo l'autobus che mi porta direttamente a Francavilla dove ci sono le mie amiche ad aspettarmi.
Sull'auto fa un caldo pazzesco, è pieno di gente, io sono circondata dai bagagli, finalmente si libera un posto a sedere. Mentre l’auto va, mi fanno capolino luoghi a me ben conosciuti. In questa sorridente cittadina ho vissuto per cinque anni.
Tornando indietro i ricordi mi affollano la mente tanto da non riuscire a menzionare i più belli, perché tutti indimenticabili da rivivere non soltanto una volta, se per magia fosse possibile.
Sono due anni che non vivo più a Pescara, mi sono laureata e, se da una parte ne sono felicissima, avendo raggiunto uno dei tanti traguardi importanti, dall’altra ho nostalgia di quel periodo così spensierato e sbarazzino.
Ma bando ai rimpianti, "che bello", penso tra me, finalmente si parte. Sono arrivate le tanto attese vacanze, non vedo l'ora di rilassarmi sulla spiaggia e non pensare a nulla, solo al riposo e al divertimento.
Vengo distolta dai miei pensieri da qualcosa che non avrei mai voluto vedere.
Non ci posso credere. Inizio ad agitarmi, il sangue mi sale al cervello e non mi permette più di ragionare, no, non è possibile.
Alessandro, il mio amico è in piedi, poco distante da me, non mi vede perché è pieno di gente tra noi.
È lei, inconfondibile, è la catena del mio orologio, come potrei non riconoscerla. Nel frattempo, come si dice 'capita a ciccio' che un'anziana signora gli chieda l'ora. Alessandro infila la mano in tasca e, accortamente prende l'orologio.
È lui, senza alcun dubbio.
Cerco di focalizzare bene ma è proprio ciò che vedo, il mio orologio, il dono di mio padre al quale tenevo più di qualunque altra cosa. È lui.
Io intanto non so che fare, sarei tentata di andare lì e, di forza riprendermi ciò che è mio, ma sento che non è il momento, scatenerei una piazzata. Devo riflettere sul da farsi.
Lui indossa un vestito grigio, elegante come al solito, sicuramente sta andando in facoltà per qualche esame. Già, oggi c'è l'appello di economia aziendale che ha anche una mia amica.
Temo che possa vedermi, e, in questo caso non so cosa potrei fare, ho bisogno di tempo per pensare, per chiarirmi un po’ le idee, così cerco di nascondermi fra la gente, tenendo la testa verso il basso e voltata verso il finestrino.
Infatti non mi vede, e scende in facoltà.
Non posso scendere ora dall'autobus piena di valige pesanti. Andrò prima a Francavilla e di nuovo tornerò in facoltà.
Detto fatto. Entro nell'aula dove si sostiene l'esame ma di lui nessuna traccia.
Lo cerco inutilmente.
Eccolo, lo vedo non molto distante mentre chiacchiera con alcuni ragazzi che tra l'altro conosco.
Mi avvicino.
Intanto lui sfila l'orologio per guardare l'ora. Io sono là a pochi metri e ho una voglia matta di riprendermelo, di riprendere con la forza ciò che è mio e che mi è stato rubato con tanta sconsideratezza. Faccio un sospiro e cerco di calmarmi, così facendo complicherei solo le cose.
"Hey, ragazzi, come va?"
Alessandro, nel sentire la mia voce alle sue spalle, infila subito le mani in tasca, facendo scivolare dentro la catena dell'orologio.
"Non ci posso credere, ciao Emanuela, ti rivedi finalmente, a momenti non ricordavo nemmeno come eri fatta".
"Dài che esagerato, non è passato poi molto tempo".
"Ciao Alessandro, anche tu ci sei" esclamo con la massima naturalezza per metterlo a proprio agio.
"Ssì, ciao" risponde agitato. È impacciato, non sa cosa dire. È pallido e ha delle goccioline di sudore sulla fronte, scommetto che sta sudando a freddo perché ha paura, ma è troppo poco, deve farsela addosso, allora sì che sarei felice.
"Non avrei mai immaginato di rincontrarti, che ci fai da queste parti?"
"La prossima settimana partiamo per le vacanze io e le altre. Sono appena arrivata, abbiamo fatto il viaggio insieme sull'auto e tu non mi hai neanche vista, ma sono così cambiata da non riconoscermi?"
Il pallore aumenta sempre di più. “Mmm, aaa, no, non ti ho proprio vista”.
"Ma cosa c'è, mi sembri agitato", guardandolo negli occhi ed esprimendogli tutto il mio disprezzo.
"Sai è l'esame, poi con questo caldo"
"capisco. A proposito ragazzi che ora si è fatta, ho delle cose da sbrigare".
Per combinazione nessuno ha l'orologio, eccetto Alessandro, il quale scappa via dicendo che ha sentito il suo nome dal professore.
Tutti rimangono senza parole per lo strano comportamento di Alessandro, tranne io.
Me lo riprenderò, costi quel che costi, devo solo pensare a come fare.
Il pomeriggio decido di andare a trovarlo, non posso però suonare dal citofono, altrimenti non mi aprirebbe inventando qualche scusa.
Riesco a farmi aprire il portone e salgo fino al suo pianerottolo.
È difficile, soprattutto se penso al nostro vecchio rapporto e a come mi fidavo di lui.
Suono, viene subito ad aprire la porta perché pensa che siano i ragazzi dell'appartamento di fronte.
"Che c'è Alessandro, somiglio proprio ad un fantasma?"
“No, non è questo è che sto per uscire e devo sbrigarmi”.
Strano che un vanitoso come lui esca in tuta. È senz’altro una scusa.
“Ah, e così non mi fai nemmeno entrare, non vorrai mica lasciarmi sulla porta?”
Devo essere il più naturale possibile per non destargli nessun sospetto, altrimenti non mi farà entrare, questa è l’unica possibilità che ho per riprendermi ciò che è mio.
“Il tempo di un caffè e di una chiacchierata”
“Ok, entra”.
Il pallore e l’imbarazzo sono sempre più evidenti. Non parla per niente, mi dà solo risposte monosillabiche.
Devo assolutamente trovare l’orologio, ma come faccio?
“Drin”.
“Il campanello Alessandro, non vai ad aprire?”
Lui mi guarda, è titubante.
Mi chiedo se è nervoso perché ha capito che ho scoperto la verità o perché ha paura che lo venga a sapere.
“Cosa c’è, mi sembri così strano”.
“Drin, drin, drin”.
Decide di alzarsi. Sono dei suoi amici ed entrano anche loro in soggiorno.
Alessandro ha una faccia, non vede l’ora che ce ne andiamo tutti.
“Hey che modi, cosa aspetti a farci un caffè?”
“Subito, vado prima un secondo in bagno”.
Siamo tutti accomodati sul divano e discorriamo del più e del meno. Io dialogo con questi ragazzi conosciuti per la prima volta, ma non mi frega un fico secco di quello che stanno dicendo, penso solo a come poter fare per svignarmela di là.
Intanto, fortunatamente per me, suona di nuovo il campanello. Alessandro sembra tranquillizzarsi, non siamo soli ci sono altre persone. È salvo.
Attraversa il corridoio e va ad aprire, si sente un gran frastuono, sono delle sue amiche.
Ecco il momento che aspettavo. Mi alzo con la scusa di andare in bagno prima che lui torni in soggiorno. Posso entrare nella sua camera da letto, adiacente al bagno senza essere vista. La porta è socchiusa, l’orologio sicuramente sarà qui, da qualche parte.
Il cuore mi batte forte. Ho paura di essere scoperta, in questo caso passerei dalla ragione al torto. Non si vede traccia dell’orologio, né sul comodino, né sulla scrivania, neanche sul comò.
Do ancora un’occhiata in giro, vicino i suoi libri. Sicuramente è là, sulla scrivania c’è un carillon. Mi viene d’istinto andare verso la scatola per aprirla, ma realizzo, no, non posso mi farei scoprire all’istante. Sto per uscire dalla stanza ma torno indietro e sollevo il coperchio del carillon: non è detto che si senta la musica, di là c’è confusione, e poi che ho da perdere?
La melodia è più intensa di quello che immaginassi. Man mano che sollevo il coperchio diventa sempre più forte.
"È Perelisa".
Dietro di me stento dei passi.
Mi volto e sulla porta c'è Alessandro. Sicuro di se, quasi spavaldo.
"Potevi dirmelo che volevi curiosare nella mia stanza e sentire che melodia s'innalzava dal mio carillon".
“Sai che ho un debole per i carillon. Andando in bagno ho visto la porta della camera aperta e il carillon in bella vista e non ho resistito”.
L'atmosfera è glaciale.
Lui cerca di distogliermi dal carillon non ancora aperto completamente ma io con un gesto repentino apro la scatola musicale.
"Cosa credevi di trovare, qualche tesoro segreto?" Esclama accorgendosi della mia delusione nel guardare dentro. Che delusione, non c’è nulla.
Mentre lo guardo e nella mia mente offuscata cerco di trovare un escamotage, 'clic', seguito dal rumore di un oggetto che cade. Prima ancora di voltarmi e vedere cosa sia, Alessandro cambia espressione e mi intima di andare di là, in maniera aggressiva, quasi in tono minaccioso.
Mi volto verso la melodia, "lo sapevo, è il mio adorato orologio". Nel frattempo lui lo afferra dandomi uno strattone per togliermi di mezzo ma riesco a prendere la catena con tutta la forza come un cane famelico a cui viene tolto il cibo dalla bocca che, da docile bestiolina, si trasforma in un leone assassino. Nell'afferrarlo la catena si spezza.
“È il mio orologio, che ci fa qui, perché lo hai tu?"
"Ma che dici, sei mica impazzita, questo è il mio".
Intanto, sentendoci gridare i ragazzi accorrono da noi. Quando l’infame grida che gli ho rubato l'orologio non ci vedo più dalla rabbia.
"Alessandro non dire stupidaggini, ti dico anche cosa c'è scritto dentro e quali sono le iniziali incise sul coperchio: K. M., conosco ogni minimo particolare. Ora pretendo di sapere come fai ad averlo tu, dimmelo. Credevo che fossi un mio amico, ma sbagliavo, sei un bugiardo, un traditore, un ladro, un poco di buono. E adesso dimmi, lo scorso anno sei venuto tu a derubarmi nel mio appartamento, o hai pagato qualcuno per farlo?"
Alessandro è rosso in volto ma non dice nulla, resta pietrificato.
Uno dei ragazzi presenti dice di ricordarsi bene che anch'io avevo un orologio simile che portavo sempre con me, e, suggerisce di aprirlo, per verificare quello che avevo detto.
"Tutto esatto".
"Mi riprendo il mio orologio, non voglio sapere nulla, non mi interessa più ormai, rivoglio solo ciò che è mio, sei una carogna e un balordo, spero di non doverti più vedere". Sono più dispiaciuta che felice. Sono vuota e delusa. Arrabbiata con me stessa per essere stata così sciocca a fidarmi.
"Ciao Debby".
"Manu, sei tornata, che fine avevi fatto, ho provato a chiamarti ma il telefono non prendeva".
"Guarda".
"Non ci posso credere, il tuo orologio o sbaglio. Se non è lui, è identico".
“È proprio lui, l' ho ritrovato, ma non ho voglia neanche di dirti come, l'importante che ora sia di nuovo in mio possesso".
“Non ci si può fidare più di nessuno”.
“Che vuoi dire?”
“Niente, niente. Pensavo.”