Il giorno della partenza è arrivato prima di quanto pensassi, come al solito le cose belle finiscono sempre troppo presto. Tutti quanti ci siamo lasciati dispiaciuti, noi però, non saremmo rientrate in Italia. La nostra vacanza ancora non era terminata, dovevamo solo trasferirci in un'altra isola dove già avevamo prenotato.
Ci siamo comunque lasciati con la solenne promessa che ci saremmo senz'altro rivisti in Italia.
Fortunatamente non mi faccio prendere in modo eccessivo dalle situazioni e riesco subito a gettarmi tutto alle spalle senza pensarci troppo. Però il rientro dalle vacanze è sempre molto triste, e, dover riprendere la solita vita, il solito lavoro, gli orari, gli stessi amici di sempre è deprimente, soprattutto se in vacanza ci si è divertiti da matti.
Il viaggio di ritorno è stato lunghissimo e noioso, non c’è l’entusiasmo della partenza. Arriviamo finalmente a Pescara, penultima fermata per me. Scendiamo dal treno e ci salutiamo con le mie compagne di viaggio, ci abbracciamo con la promessa che ci saremmo riviste molto presto.
Scendo nell’atrio della stazione a comperare un tramezzino per il mio stomaco che brontola e un giornale che mi tenga compagnia durante il viaggio. Per il mio treno manca un’ora all’incirca. Mentre sono seduta a mangiare, assorta nei piacevoli ricordi poc’anzi trascorsi, mi incanto a guardare una coppia di ragazzi che si avvicina ad un barbone, dandogli una bottiglia d’acqua e un panino enorme.
Il barbone non mi è sembrato affatto sorpreso della cosa, anzi, dopo aver scambiato poche parole con i due ragazzi, li ha ringraziati con un sorriso, come se già li conoscesse e fosse una cosa abitudinaria.
I due si allontanano dall’uomo e, man mano che si avvicinano verso di me mi rendo conto che le loro figure non mi sono affatto sconosciute.
Sì, sono proprio loro!
Che ci fanno qui?
Cosa stanno facendo?
In mano hanno un altro panino, a chi lo stanno portando?
Si avvicinano ad un ragazzo in pessime condizioni, è accasciato per terra, sicuramente non ce la fa neanche a tenersi in piedi e porgono anche a lui il panino.
Mi sono vicini, però non mi hanno vista.
Si soffermano un attimo a guardare la vetrina della tabaccheria, sono abbracciati. Francesco si china leggermente verso il suo lato destro e bacia teneramente la nuca di Angela che sfiora il suo mento, poi si guardano e si sorridono dolcemente.
Sono delle persone splendide, vengono qui, credo abitualmente per aiutare quelli che non hanno una casa e non possono mangiare. Sono studenti, eppure riescono a trovare il tempo e la voglia per rendersi utili nel sociale.
Addirittura io neanche mi accorgo dei barboni che sono lì e mi guardano. Adesso, ad esempio, cosa mi costava prendere due panini anziché uno e far mangiare qualcuno che chissà da quanto tempo non mette nulla sotto i denti?
Pensandoci bene è un modo vero per aiutare queste persone, perché è possibile che con le elemosina si comprino sigarette o peggio, invece in questo modo è sicuro che anche un euro è speso bene.
Non è cattiveria, realmente non ci penso, sono sempre così presa dai miei pensieri che a mala pena mi rendo conto di ciò che mi accade attorno.
Questa volta è lei che energicamente gli cinge le braccia intorno la vita stringendolo forte a se, poi si staccano. Lui dice qualcosa e lei annuisce, si dirigono verso l’uscita tenendosi per mano.
Sono incantata, mi hanno ipnotizzata.
Ad un tratto realizzo che stanno per andar via.
“Aspettate, Angela, Francesco”.
Tutta la gente lì intorno si volta a guardarmi, mi sono messa a gridare come una matta, senza neanche rendermi conto, perché avevo paura che scomparissero così, senza che ci potessimo salutare, e io ne avevo così tanta voglia.
Loro si voltano e Angela, dopo aver realizzato un attimo, inizia a correre verso di me.
Io, ancora stordita dall’inattesa sorpresa, sono immobile vicino le valige, col resto del tramezzino in mano quando mi sento stringere da un abbraccio caldo, affettuoso, amichevole. Qualche minuto sarà durato il nostro abbraccio.
“Hey, ci sono anch’io, anch’io voglio partecipare”.
“Ciao Francesco, non vi chiedo come state perché si vede che ve la passate egregiamente, non è vero?”
“Sì, a noi va tutto bene”.
Angela mi confessa ridendo di non avermi vista bene da lontano, ma di aver riconosciuto la mia voce e di aver seguito l’eco, “figuriamoci sono peggio di te”.
“È vero, dimenticavo che anche tu sei una piccola talpetta”.
“Dicci di te invece, cosa ci fai qua. Dalle valige e dall’abbronzatura si direbbe che sei di ritorno da una lunga vacanza, eh?”
“Eggià, purtroppo è già finita! Mi ha fatto tanto piacere rivedervi, mi sembra passato un secolo, e invece sono solo un paio di mesi”.
“Ma non ti fermi a Pescara?”
“No, devo tornare ad Avezzano perché lunedì inizio a lavorare”.
“Hai già trovato un lavoro, sono proprio contenta. Ma questo significa che ci vedremo sempre meno, vero?”
“No, non preoccuparti, quando potrò verrò volentieri a trovarvi, lo sai che adoro Pescara e soprattutto non dimentico i miei amici più cari. Comunque potete anche venir voi a trovarmi pigroni, non vivo mica in America?”
“Hai ragione, qualche domenica ti facciamo una sorpresa”.
“Ok, ci conto”.
“Mi dispiace tanto, ma è ora, mi sarebbe piaciuto stare ancora con voi a chiacchierare, abbiamo tante cose da raccontarci, ma non mancherà occasione”.
“Ciao Emanuela, ci ha fatto tanto piacere rivederti, chiamaci quando vieni”.
“Senz’altro, a presto”.
Volevano aiutarmi a portare le valige al piano di sopra, dove sono i binari, ma non ho voluto, ho preferito fare da sola, perché non solo gli addii, ma anche i semplici arrivederci mi mettono tanta tristezza, e, la scena di me sul treno e loro giù che ci salutiamo mi fa uno strano effetto.
Con un po’ di fatica salgo sul treno coi bagagli. Apro il giornale, mentre scorro lo sguardo sulle immagini di una pagina aperta a caso, inizio a pensare ad Angela e Francesco, e come stiano bene insieme. Che bravi ragazzi, è difficile trovarne come loro, non ho mai avuto dubbi sulla bontà di Angela, la conosco troppo bene, e mi pento di tutto quello che pensavo di Francesco appena l’ ho conosciuto, di tutte le volte che l’ ho giudicato per motivi così futili, mi vergogno tanto, sono davvero dispiaciuta.
Danno da mangiare ai barboni che incontrano, senza voler il minimo riconoscimento per questo. Chissà da quanto tempo lo fanno e non hanno mai detto nulla a nessuno, questo sì che è spirito umanitario. Non ho mai conosciuto persone così altruiste. Questi sono i veri amici, da queste cose mi rendo conto che di loro potrò sempre fidarmi, mai mi faranno del male.
Sono felice, serena per il fatto di conoscerli e poter contare su di loro, sempre.
Siamo cresciuti, tutti siamo cambiati dall’anno dell’immatricolazione che ora sembra così lontano. Come passa il tempo e come le cose cambiano, senza rendercene conto. Per fortuna vengo distolta dal forte rumore delle rotaie, anche perché stavo iniziando a pensare come mia nonna: le rimprovero sempre di essere ossessionata dallo scorrere del tempo, e io stavo facendo lo stesso.
Intanto mi rendo conto che sono quasi arrivata a casa.
Due mesi dopo Cristian e Luca sono da noi a Pescara. Il momento in cui ci siamo rivisti è stato emozionante, sembrava che non ci fossimo mai allontanati, come se fossimo ancora nell’isola dei balocchi.
Sono molto felice di rivederli, soprattutto il mio amicone Cristian, siamo uniti da un profondo sentimento di amicizia, di fiducia e di stima reciproca, è la prima volta che mi capita di instaurare questo tipo di rapporto, così sincero e puro con una persona.
La settimana insieme trascorre veloce e superbamente.
Quando parliamo per telefono sembriamo due teneri fidanzatini e Luca ci prende in giro.
"Ei, guardate che sono geloso, voi due non me la cantate giusta". In realtà sa che fra noi c’è solo una grande Amicizia.
Tutt'ora quando mi capita qualcosa bello o brutto che sia prima ancora di dirlo a chiunque altro mi confido con Cri.
Anche i miei genitori lo hanno conosciuto perché una volta che sono venuti a trovarmi a Pescara, visto che da due mesi non tornavo a casa, si sono incontrati col gruppo dei pugliesi. Mio padre adora Cristian, sono entrati subito in sintonia.
Li stimo tanto, il mese scorso io e le mie amiche siamo state a trovarli a Milano. Qui Cristian è assistente di chimica alla Bocconi e Luca è studente universitario benché la voglia di studiare gli scivoli addosso.
Si sono sistemati benissimo, non vivono insieme ma in appartamenti misti, fanno il loro dovere e si divertono; ci hanno trattate come regine. Abbiamo deciso che quest'estate andremo in vacanza insieme, non sappiamo ancora dove, ma tutti insieme.
Mentre sono in ufficio, mi sembra di sentire alla radio un nome che non mi è nuovo.
Il notiziario parla di un colpo sventato di droga e di alcuni arresti, ma la notizia mi passa di mente, anche perché penso che Alessandro è un nome comune e non è detto che sia l’unico ad avere quel cognome, anche se dopo quello che è successo non mi sorprenderei di nulla.
Lo speaker ripete ancora nome e cognome di uno dei ragazzi arrestati. È lui, la foto sul giornale me ne dà la conferma. È stato arrestato a Genova dove avevano appena fatto un carico che proveniva dalla Colombia. Avevano un grosso giro e da molto li stavano pedinando e controllando.
Che brutta fine che ha fatto, mi spiace ma lo ha voluto lui, la sua famiglia è così per bene e sicuramente avrà fatto di tutto per aiutarlo, anzi non mi sorprenderebbe se i suoi sono all’oscuro di tutto. Comunque, tanto peggio per lui.
Nel frattempo mi squilla il telefono, è Debora che mi invita a passare il fine settimana a Francavilla. Non ci penso due volte e parto.
Mentre attraverso la piazza che porta all’appartamento della mia amica incontro Nicu con la moglie e una bella bimba. Mi abbracciano e mi presentano Sara.
“Complimenti è una bimba deliziosa e molto socievole”, infatti subito prendiamo confidenza e mi sorride.
Ci sediamo in un bar e Nicu mi mette al corrente di varie novità.
“Sono appena tornato dagli Emirati Arabi, anch’io ho partecipato alla costruzione della diga”. Poi mi guarda cambiando espressione e mortificato per aver preso il discorso.
“No, non ti preoccupare Nicu, anzi è piacevole parlare con te di queste cose. Solo tu puoi capirmi, perché hai vissuto tutto in prima persona, insieme a me e Stefano. Con te ho conosciuto Stefano e grazie a te ho scoperto la persona splendida che era.
Tu lo hai fatto cambiare. Non c’è giorno che non pensi a lui, sono felice di averlo conosciuto e di avere avuto la possibilità di amarlo. Ma ora dimmi, la diga a che punto è”.
“Quasi ultimata, manca poco, vedessi che spettacolo, in migliaia abbiamo lavorato per quest’opera, ho lavorato tanto, ma ne è valsa la pena”.
“Come sarebbe contento Stefano nel sentire queste parole, ci teneva tanto, beh comunque ne sarà orgoglioso il padre, pover’uomo, dopo quello che ha passato”.
“Certo, ne è soddisfatto, il mio futuro papà”.
Sto bevendo un’ aranciata ma non appena sento queste parole trasalgo e deglutisco in un attimo guardando sbalordita Nicu.
“Cosa?” gli chiedo incuriosita, anche se è impossibile che abbia capito male.
“Cosa significa?”
“Da quando hanno perso Stefano sono diventate delle persone diverse, non le riconosceresti, soprattutto la mamma, sempre premurosa e dolce”.
“Sì, ma cosa c’entra il modo in cui hai chiamato il papà di Stefano con quello che hai appena detto”.
“Beh, vedi, da quando Stefano ci ha lasciati si sono sentiti molto soli, il signor Massimo non aveva neanche più voglia di lavorare e di portare avanti la costruzione della diga, non aveva più una ragione per vivere, era diventato scontroso e burbero.
Un giorno l’ ho incontrato nell’impresa, gentilmente gli ho chiesto come stava e lui mi ha letteralmente aggredito con le parole.”
"Cosa ne vuoi sapere tu e gli altri come te che pretendono di capire solo per mettervi l’anima in pace?”
“Gli ho chiesto di scusarmi se mi ero permesso. La porta dell’ascensore si è aperta ed entrambi siamo entrati, lui era in silenzio con lo sguardo basso e mi ha chiesto di scusarlo. Poi ha sollevato il volto malinconico, mi ha fatto molta tenerezza”.
“Tu sei forse uno dei pochi che può capire cosa significhi la solitudine, cosa vuol dire mettersi al letto ogni sera senza una speranza per cui riaprire gli occhi al mattino perché non c’è nessuno che ti aspetta, non c’è niente per cui valga la pena affrontare un nuovo giorno, tanto quel figlio per cui avevi fatto tanto, ti eri privato del cibo per darlo a lui ora non c’è più. Per Stefano avevo costruito quest’impero, e ora non m’importa più nulla, io e mia moglie non ne abbiamo bisogno”.
“Ho dovuto farmi tanta forza per non commuovermi, lui è andato via solo coi suoi pensieri. Ho pensato a come tutto si era ribaltato, ora era lui a sentirsi solo, la differenza è che lui a me faceva tanta pena.
Il giorno seguente il signor Massino mi ha cercato e ha voluto parlarmi, ha voluto che gli raccontassi la mia storia, perché Stefano gli parlava bene di me. Dopo avergli raccontato tutto ed avergli espresso il mio cordoglio e il mio rispetto per la sua famiglia, col cuore in mano mi ha risposto”:
“queste parole mi riempiono di gioia. Sei una persona modesta ed onesta e se Stefano era tuo amico e aveva fiducia in te anch’io sento di fare lo stesso, da oggi in poi di qualsiasi cosa avrai bisogno non avrai che da chiedere, sarò lieto di accontentarti, se hai bisogno di soldi chiedi pure.
Mio figlio mi diceva che ti sarebbe piaciuto continuare a studiare ingegneria poiché già avevi cominciato prima di venire in Italia”.
“Sì, questo è uno dei pochi rimpianti che ho, comunque ho ottenuto molte cose belle e non mi lamento. Guadagno tanto da non far mancare niente alla mia famiglia, ma non posso permettermi spese extra pensando solo a me”.
“No, non sarà un rimpianto, puoi riprendere i tuoi studi, non dovrai più preoccuparti di nulla, chiedimi pure tutto ciò di cui hai bisogno senza crearti problemi, mi faresti molto felice accettando”.
“Grazie, lei è molto gentile ma non potrei mai”.
“Lo faccio volentieri, ho sempre fatto tutto per il mio Stefano e ora mi sento perso. Mi faresti rinascere accettando, è un favore che ti chiedo, per farmi perdonare”.
“Ma lei non ha nulla da farsi perdonare, comunque ci penserò, grazie”.
“Ora ho ripreso a studiare e ne sono felice, sai anche tu che lo volevo con tutto il cuore e che ne parlavo sempre. Il signor Massimo vuole perfino acquistare per me la casa in cui sono in affitto, anche la mamma di Stefano è sempre cordiale e gentile ed entrambi mi hanno espresso il loro desiderio più grande, quello di diventare loro figlio per adozione. E non solo verso di me sono così cordiali e disponibili, pensa, si prodigano in opere di beneficenza. La signora Lieta –sai, ancora non mi viene da chiamarla mamma- è sempre in chiesa e aiuta le persone della parrocchia meno fortunate. E’ a lei che ricorrono quando non hanno denaro per pagare le bollette. E’ la prima ad accorrere nelle speciali manifestazioni promosse dalle speciali associazioni umanitarie. Ultimamente avevano preso in casa per un mese una bambina russa, coprendola di affetto innanzitutto, e accontentandola in tutto: vestiti, scarpe, giocattoli. Addirittura, quando è ripartita le hanno fatto riportare anche ogni tipo di medicinale visto che là se ne trovano pochi e costano moltissimo, le hanno comperato un intero guardaroba e le hanno dato abbastanza denaro per farla vivere dignitosamente fino al prossimo anno, quando tornerà. La signora Lieta la chiama spesso e piange per telefono. Chi l’avrebbe detto è?”
Sono incredula, tutto quello che Nicu dice ha dell’incredibile, e sono sorpresa di come ci sia voluto un evento così tragico per far cambiare due persone.
Sono sicura, è stato Stefano da lassù. Sì, lui ci è vicino e veglia su tutti noi.
Eppure continuo a sentirmi sola, tanto sola. L’unica cosa che mi resta è il mio orologio, quest’orologio prezioso. Lo guardo. L’ ho perso, l’ ho ritrovato. Perché non può essere lo stesso con Stefano? Perché questi secondi che le lancette scandiscono non possono essere anche un tempo nuovo per Stefano? Una vita che continua per Margherita?
Ma forse è proprio questo che l’orologio vuol suggerirmi. Il suo ritmo incalzante annuncia la vita che è, che sta continuando per me e forse anche per le persone a me care. In posti diversi ma tutti noi viviamo, anche loro. Probabilmente ora si staranno prendendo gioco di me, perché non capisco queste cose, perché non ho abbastanza fiducia in me stessa e in tutto ciò che mi circonda.
I suoi interni congegni non si sono arrestati quando mi è stato rubato, è voluto tornare da me se pur con la mia sbadataggine e noncuranza perfino verso le cose a cui tengo più della mia stessa vita. È di nuovo con me a rimembrarmi che la vita è troppo breve per lasciarmela sfuggire così di mano pensando al passato, a quello che sarebbe potuto essere.
Ora le guardo le lancette. Sono così perfette nel mantenere il loro moto, anche loro sono stanche ma non si arrendono, continuano il ruolo che devono assolvere, continuano a scandire la felicità e le brutture della vita. Non possono fermarsi nel tempo non desiderato. Mi stanno scrutando, il loro imperturbabile ticchettio mi parla.
Non si stancheranno neanche fra qualche anno di ammonirmi di sbrigarmi, di muovermi. Non si annoieranno di essere attente testimoni delle mie scelte, dei miei successi e cadute, staranno ancora là, noncuranti, a scandire ruga dopo ruga sulla mia pelle vecchia. Guardano compassionevoli la mia pelle aggrinzita. Deridono noi mortali per essere così deboli da farci battere dal tempo, da lasciarci rincorrere e superare da quel tempo vigliacco che non abbiamo saputo apprezzare gustandone ogni preziosa sfumatura. Osservo il quadrante e mi sembra di vedere volti sconosciuti di ragazzi, forse saranno i miei figli, poi una giovane donna dallo sguardo dolcissimo, gli occhi neri e profondi che mi sorride. Ha una cicatrice sulla fronte e su una guancia, mi sussurra che ha subito uno sfortunato incidente ma è felice, è viva, è giovane. Io ho la pelle avvizzita e faccio fatica a guardare quelle immagini perché la mia vista è stanca, troppe brutte cose ha dovuto sopportare, i miei occhi sono contornati da rughe profonde, forse è lei, è Margherita che malgrado tutto vive.
Emanuela Del Signore
finis unius principium alterius