I

 CRITICO ED OPERA D'ARTE

I.1  Il critico e la pluralità di approcci ad un’opera d'arte

             L'approccio di un'opera d'arte avviene nell'atto di percezione, che il critico compie quando si trova dinanzi ad una forma visiva. In questo primo momento il fruitore coglie con visione-aspectus (o semplice sguardo) le qualità manifeste dell'oggetto. Ma siffatto incontro ottico-contemplativo (con la ‘res visa’) non è che istantaneo; ad esso segue con immediatezza la intuizione, che è visione-obtutus (o intuizione diligente), che si svolge nel tempo e porta man mano alla comprensione della forma vera delle cose [1]: con l' obtutus ha infatti inizio il percorso giudicante e/o valutativo del critico.

          Il punto di partenza della ricerca critica è così anche l'avvio della riflessione sui princìpi e sulla metodologia, che devono portare alla ‘verità di visione’ [2].

          Tale processo è però problematico. La filologia figurativa (ad esempio) non gode della medesima concretezza della filologia letteraria, che ha nella recensio-collatio-interpretatio strumenti sufficientemente affinati (e determinati) per addivenire alla ricostruzione del testo [3].

          La descrizione-analisi-interpretazione di un'opera visiva implica di fatto orientamenti teoretici sulla natura dell'estetica (o gusto) - attualmente in piena crisi -, sul conoscimento (o ri-conoscimento) di poetiche non sempre omogenee, sulla costatazione del mondo culturale nella dimensione sincronica e diacronica insieme, e postula che il critico assuma atteggiamenti oggettivi-soggettivi (allo stesso tempo) e storici-storicistici, che rendono l'atto critico quanto mai incerto sul suo effettivo accordo con il cosmo dell'opera d'arte.

          Inoltre, ed a livello più profondo ed esteso, il critico è in difficoltà perchè, osserva Luigi Grassi, dalla "scepsi" che vige nell'ambito della storia dell'arte "discende il convincimento della inutilità ed impossibilità di un eventuale ricorso [...] ad una facoltà filosofica autonoma". Perciò il critico d'arte viene a trovarsi nella condizione di "giudicare" senza possedere una base epistemologica riconosciuta, e viene costretto a stabilire su un "piano esclusivamente empirico" procedimenti e metodi di ricerca [4].

            Questo dato culturale - difficilmente eliminabile in una visione-ricerca che non vuole chiudersi in se stessa - dev'essere tenuto presente nell'esercizio del dialogo critico, anche da chi non ne condivide il fondamento gnoseologico.

          Si pone pertanto il problema: come ridurre ad unità l'erudizione (cioè conoscenze e/o presupposti teorici e metodologie empiriche); come elevare ad aspetti unitari e a funzioni generali il molteplice e il personale, l'oggettivo e il soggettivo; in breve, come mettere insieme un ‘pluralismo-unificato’, non inficiato da eclettismo [5]

I.2  Unità dell'atto critico nell'intuizione dell'intento d'arte (o ‘Kunstwollen’) negli schemi formali-semantici-culturali

            Nel mio Saggio metodologico (cfr. n. 1) reputo d'aver raggiunto tale ‘pluralismo-unificato’ perché all'opposizione di critica contro critica (dei formalisti contro i contenutisti, dei tecnicisti contro gli espressionisti, degli psicologi contro i positivisti, e così via), fondata sull'assolutizzazione di un particolare punto di vista, che trascura l'insieme della ‘verità di visione’ e la ‘circolarità’ dei procedimenti - come avviene ad esempio in Conrad Fiedler, secondo una perspicace annotazione di G. Lukács [6] -, ho opposto una ‘intuizione sintetica’, cioè la ‘intuizione plastica operativa’ del critico.

            Siffatta intuizione diligente o obtutus - che prende l'abbrivo dalla descrizione della realtà formale o preiconografica, senza la quale non v'è (come ovvio) alcuna base oggettiva per un atto di critica che si ponga all'interno della storia dell'arte - offre al critico la possibilità di operare sull'applicazione degli schemi formali-schemi semantici con ‘plurimi riferimenti’ teorici (ad esempio al platonismo, aristotelismo, scolastica, retorica, fenomenologia, esistenzialismo, storicismo), e con varie metodologie (ad es. il formalismo, la linguistica, lo strutturalismo) e di trans-correre, quasi con sguardo prospettico, sia alla com-prensione del senso-significato (‘Sinn-Bedeutung’) della ‘opera-totum’ carpendone l'in-et-extra, cioè l'iconografia, sia l'ambito di riferimento culturale nel quale l'artista si muoveva per azione e/o per reazione (‘Weltanschauung-Gesamtkultur’), cioè la icono(teo)logia [7].

          In tal modo l'intuizione ‘plastico-operativa’ si storicizza [8], e conferisce alla già raggiunta ‘pluralità-unificata’ della molteplice erudizione ulteriore ‘unità’: quella che ‘informava’ la personalità dell'artista e costituiva.la sua ‘volontà d'arte’  o ‘intentio artis’ o  ‘Kunstwollen’.[9]

          Il 'Kunstwollen' quindi non è soltanto stile o formalità (o ‘wie-come’) - secondo il riduttivo insegnamento di A. Riegl [10] -, ma è anche soggetto-tema-contenuto (o 'was-che cosa'), divenuto 'determinata' espressione artistica: perciò esso è punto focale dell'intuizione plastico-operativa, fulcro dell'opera d'arte, voluta come totum.

          E il critico è in grado di conoscere-riconoscere il ‘Kunstwollen’, perché esso è impresso nello ‘opus-artis-artificis’, come  “il segno distintivo dell'artista / das auszeichnende Merkmal des Künstlers” - afferma il padre del visibilismo C. Fiedler [11] -, vale a dire come sua ‘mimèsi’.

            Ma se il tema-formato è mimesi dell'atto poietico dell'artista, il critico può prendere da esso provocazione ed avvio all'anamnési, cioè al riconoscimento dei suoi precedenti;  egli, cioè, può ascendere, quasi percorrendo una ‘via all'insù’: dalla forma-mimesi ('Gestaltbild') alla inventio del pittore ('Gestaltung', ove si opera la metamorfosi della fonte), e da questa risalire (sempre per anamnesi) allo stimolo originario ('Ursprung-Urbild'), che ha 'impressionato' l'artista, lo ha caricato di tensioni e lo ha messo in moto facendogli intraprendere quella ‘via all'ingiù’, che dalla fonte ('Gegestand-Urbild'), attraverso la formazione della genoinvenzione ('Gestaltung'), conduce mediante l'atto demiurgico all'esistenza-forma ('Gestalt'), che è mimesi della fonte ('Urbild').

            Viene così a concretizzarsi un metodo ‘gnoseologico-critico circolare’ che, correndo sul filo mimesi-anamnesi, congiunge il critico con l'artista e l'artista con il critico, il processo ri-creativo (quello del critico) con il processo creativo (quello dell'artista), la fine (‘Kunstwollen’ concretizzato nella forma) con l'inizio ('Urquelle'), e questo con il fine, sia 'operis’ che ‘operantis' [12].

        Il critico, dunque, mediante il procedimento della 'intuizione-plastica-operativa’, che unifica il pluralismo dei riferimenti estetici e delle metodologie, percorre l'opera ‘totum-Kunstwollen’,  la vaglia, e può quindi 'giudicarla' evitando arbitri ed astrattismi, soprattutto di quella ‘critique créatrice’, che ebbe autore Charles Baudelaire, ed ha oggi epigoni convinti [13].


[1] Uso la terminologia aspectus-obtutus secondo la nozione che da Tolomeo attraverso gli arabi è giunta a Witelo (e a san Tommaso). Cfr. E. Tea, Witelo, prospettico del secolo XIII, in "L'arte" 30 (1927). pp. 1-28. - Per un'interpretazione dei procedimenti percettivi consona alle contemporanee ricerche sulla "psicologia della forma", cfr. R. Arnheim, Toward a Psychology of Art, University of California, 1966.

[2] Mi servo  dell'espressione ‘verità di visione’ in analogia alla ‘verità della lettura’, di cui parlano i letterati. Cfr. A. Asor Rosa, Lettura, testo, società, in "Letteratura italiana", Einaudi Ed., Torino 1982, pp. 5 e ss.

[3] M. Barbi, La nuova filologia e l'edizione dei nostri scrittori da Dante al Manzoni, Sansoni Ed., Firenze 1973.

[4] L. Grassi, Teorici e storia della critica d'arte, Multigrafica Ed., Roma 1970, pp. 13 e ss. Sul rapporto ‘principio di indeterminazione e il principio di complementarietà’ con la "concezione discontinua della storia", anche di quella dell'arte, cfr. C. BrandI, Teoria generale della critica, Einaudi Ed., Torino 1974, pp. 9 e ss.

[5] Si ricordi che il ‘giudizio estetico’ appartiene, con terminologia kantiana, non ai ‘giudizi analitici (a priori), ma ai ‘giudizi sintetici’, che implicano ‘giudizio’ e ‘dato di esperienza’. Di fatti, il critico non può non assumere sia un parametro d'ordine generale (anche se non necessario), quale l'imitazione, il bello, l'artisticità, i Grundbegriffe, ecc., sia un'intuizione sensibile, e d'ordine individuale, qual'è il ‘fatto artistico‘, appunto. Si potrebbe anche far ricorso alla distinzione leibniziana di ‘verità di ragione’ universale, e di ‘verità di fatto’, che in quanto tale è contingente, e quindi non può essere dedotta a priori, ma solo induttivamente.- Cfr. VI, 2.

[6] G. Lukács, Estetica, Einaudi Ed., Torino 1975, voI. I, p. 38: "Identificato, infatti, il mezzo con l'oggettivazione (come, ad es., nella trattazione della visibilità di Konrad Fiedler, [...] un gruppo di oggettivazioni è stato messo in rapporto (nonostante i tentativi di modernizzazione) con una ‘facoltà psichica’ particolare e isolata, trascurando così, del tutto o in parte, la dinamica della totalità della vita psichica umana".

[7]  E. Marino, Saggio metodologico, cit., p. 183. L’iconologo nell’in dell’opera visiva, cioè nelo stile e nel tema, ‘intuisce: in(tus)-tuetur:’, cioè contempla dentro (e con cotraddizione solo apparente) l’extra; nella ‘forma espressa’, carpisce l’universo che il pittore vi ha inserito, “découvre ses au-dela, sa richesse, une multiplicité d’horizons”. Cfr. F. Dagognet, Écriture et iconigraphie, Libr. Philophique J Vrin, Paris 1973, p. 48.

[8] Sullo ‘storicizzare la propria sensibilità’, cfr. A. Parronchi, Studi su la dolce prospettiva, A. Martello Ed., Milano 1964, pp. 91 e ss. - Sul ‘pensare storicamente un'opera d'arte’, cfr. R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell'arte classica, Electa Ed., Firenze 1950: "Che cosa significa, per noi, giudizio storicamente formato ? Significa non tanto confrontare l'opera d'arte con altre dello stesso tempo, quanto comprendere e chiarire l'opera d'arte come tale, nel suo intimo processo, nel suo particolare linguaggio, in quello che essa ha di unico e di non repetibile. [...] La storia dell'arte è la storia interna della genesi dell'opera d'arte intesa quale estrinsecazione della personalità dell'artista: ma della integrale sua personalità, quale risulta condizionata dall'ambiente nel quale egli agisce. [...] Tradizione. intuizione ed espressione, però, così intimamente connesse, così una cosa sola, che contenuto e forma non sono più separabili là dove la piena classicità. in senso qualitativo, è raggiunta", p. 5 e ss.

[9] Primo ad introdurre il concetto di Kunstwollen nella critica d'arte (nell'anno 1893) è stato Alois Riegl, che lo ha proposto - riassume L. Grassi - come "criterio, non di valore teoretico"  per "riaffermare il valore autonomo delle forme e strutture artistiche", ma quale "principio unitario per mezzo del quale si manifesta e si articola la direzione storico-culturale di un'epoca e di un popolo": cfr. L. Grassi e M. Pepe, Dizionario della critica d'arte, Unione Tipografica Ed. Torinese, Torino 1978, pp. 271-272. Cfr. anche R. Salvini, La critica d'arte della pura visibilità e del formalismo, A. Garzanti Ed., Milano 1977, pp. 23 e ss. - Per la nozione di 'Kunstwollen' in Panofsky, cui spesso farò riferimento, cfr. E. Panofsky, Il significato nelle arti visive, Einaudi Ed., Torino 1962, pp. 61 e ss. - Nel mio Saggio metodologico riporto il Kunstwollen di Riegl sia alla 'parole' dell'artista, cioè all'atto d'intuizione e volontà, alla visione specifica del pittore, quasi 'impronta' della sua personalità; sia alla 'langue-stile' quale convenzione vigente in un determinato tempo; sia alla cultura sincronica del pittore ('Gesamtkultur- Grundprinzipien’'). Siffatta 'interpretazione' (estensiva) del ‘Kunstwollen’ viene a coincidere, di fatto, con la finalità perseguita (ad esempio) da Gombrich nel percorrere la storia dell'arte, vale a dire a mettere in risalto "perché gli artisti abbiano lavorato in un certo modo o perché abbiano mirato a determinati effetti";: cfr. E. H. Gombrich, La storia dell'arte raccontata da E. H. Gombrich, Einaudi Ed., Torino 1974, p. 22.

[10] A. Riegl, Industria artistica tardoromana, Sansoni Ed., Firenze 1981. "L'arte figurativa non ha a che fare con il was bensì con il wie della raffigurazione e si fa dare il was precisamente dalla poesia e dalla religione. L'iconografia ci svela perciò, non tanto la storia del Kunstwollen figurativo, quanto invece la storia della volontà poetica e religiosa" (p. 370). - La mia ricerca su "L 'affresco La Vergine dalla radice di Iesse . Saggio metodologico...", cit. - come del resto l'altro mio studio "Iconologia del ciclo Via paradisi di Giovanni di Bartolomeo Cristiani. Penitenza e Regno di Dio tra Medioevo e Umanesimo", in 'Memorie Domenicane' N.S. 8-9 (1977-78), pp. 249-339 - mi ha costretto ('hypoteses non fingo') a 'distinguire per unire' il wie-was. In altre parole ho dovuto riconoscere nel ‘come-che cosa: wie-was’ una relazione immanente, così che il was (l'intuizione dell'oggetto-tema) porta al wie ( o stile, in quanto ‘koinè’ ed in quanto ‘parola personale’ dell'artista); e che il wie è interpretazione artistica del was. Senza quel 'was': intuizione specifica dell'artista, non avremmo avuto quel 'wie', e senza quel 'wie' non avremmo avuto arte.

[11] C. Fiedler, Schriften über Kunst, DuMont Buchverlag, Köln 1977, p. 26.- La mia interpretazione del ‘Kunstwollen’, quale punto centripeto-centrifugo di tutta l'opera d'arte e della personalità dell'artista, che le dà esistenza, concorda con quanto scrive L. Pareyson: "Che cos'è che tiene unite insieme le diverse opere d'uno stesso autore se non la sua concreta personalità vivente, che ne é stata l'iniziativa e che vi si é via via affermata nel proprio valore? [...] Postasi sotto il segno dell'arte, la persona diventa volontà e iniziativa d'arte, assume interamente una direzione artistica, trae da sé una vocazione formale, diventa una carica d'energia formante. Nell'esercizio di tale attività, si cala interamente in questa, diventandone l'atto, anzi il gesto: l'intera persona diventa gesto del fare, modo di formare, stile": cfr. L. Pareyson, I problemi dell'estetica, Marzorati Ed., Milano 1966, pp. 101-102.

[12] Ho preso da L. Pareyson le nozioni metodologiche della duplice via: all'insù e all'ingiù: cfr. L. Pareyson, I problemi dell'estetica, cit., p. 11. - Sul processo circolare ‘critico-artista /artista-critico‘ faccio notare che uso la nozione di ‘mimèsi’ come filo conduttore di tutto il procedimento artistico, vale a dire non solo quanto al rapporto forma-natura (e/o storia), quasi 'mimesi-specchio', ma anche quanto al rapporto forma-immagine della 'inventio' - che ha sottoposto nella genoinvenzione a metamorfosi (e/o straniamento ed interpretazione) la ‘mimesi della fonte’ (e/o referente) -, dalla quale è ‘derivata-voluta' la ‘mimesi della forma’ dell'opera. In altre parole, il critico deve ritenere la mimesi dell'espressione dell'opera come mimesi dell'azione dell'artista, e questa come mimesi dell'invenzione fantastica, e questa come elaborata mimesi della immagine-fonte.

[13] Y. Florenne, Critique et création, in: C. Baudelaire, Écrits sur l'Art, Ed. Gallimard et Librairie, Paris 1971.

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