II

 CRITICO ED ICONOLOGIA

II.1  Pregi e carenze della metodologia di E. Panofsky 

            Il critico, s'è visto, può dare una certa validità e concretezza teorica e metodologica al proprio intervento sull'opera d'arte. Ma è egli anche in grado - ed ecco il secondo problema, proprio dell'iconologia - di superare “la costante dualità di aspetti in cui si presenta e, dunque, si giudica l'opera d'arte, nel suo dato originale-formale, e in quello culturale-contenutistico”?[1].

        Erwin Panofsky ha risposto affermativamente a tale quesito. Egli ha guardato all'opera d'arte come a un totum (“das Kunstwerk als Ganzes”), in cui ha distinto tre strati: 1. il preiconografico, cioè il mondo dei motivi o delle pure forme; 2. l'iconografico, vale adire la sfera del soggetto (temi o concetti), che si manifesta in immagini, narrazioni ed allegorie; 3. e l'iconologico, che è il livello del contenuto (o 'significato intriseco'), cioè di "quei principi interni che evidenziano l'atteggiamento fondamentale di una nazione, di un'epoca, di una classe, di una convinzione religiosa o filosofica" [2].

            Panofsky, però, non ha dato fondamento o argomentazione teorica alle sue distinzioni e al rapporto che intercorre tra ‘forma-soggetto-contenuto’. Egli si è limitato a 'descrivere' un fatto d'intuizione, comunemente osservabile nella realtà quotidiana, e ad applicarne analogicamente le conclusioni nell'ambito dell'arte.

            Si ricordi il famoso passo: "Quando un conoscente mi saluta per strada togliendosi il cappello, ciò che vedo da un punto di vista formale non è che il mutare di certi particolari all’interno di una configurazione che rientra in quella generale struttura di colore, linee e volumi che  costituisce il mio mondo visivo. Quando io identifico, come automaticamente mi viene fatto, questa configurazione come un oggetto ben preciso (un signore) e il mutamento di particolari come un evento (il togliersi il cappello) io ho già superato i limiti di una percezione puramente formale e sono già entrato in una prima sfera di soggetto o significato. Il significato percepito in questo modo è di natura elementare e facilmente comprensibile, e lo chiamerei significato formale [...]. Ora gli oggetti e gli eventi così identificati produrranno naturalmente una certa reazione in me. Dal modo in cui il mio conoscente compie la sua azione sono in grado di accorgermi se è di buono o cattivo umore [...]. Queste sfumature psicologiche conferiranno ai gesti del mio conoscente un ulteriore significato che io dirò espressivo. Il significato espressivo differisce da quello formale in quanto viene appreso non per semplice identificazione ma per ‘empatia’ [...]. La mia costatazione che l’atto di togliersi il cappello è un saluto appartiene ad un campo del tutto diverso di interpretazione. Questa forma di saluto è particolare del momdo occidentale [...]. Per intendere questo significato del gesto del mio conoscente devo avere familiare non solo il mondo pratico degli oggetti e degli eventi, ma ache quello, già più che pratico, dei costumi e delle tradizioni culturali proprie a una certa civiltà [...]. Perciò quando  interpreto il suo atto di togliersi il cappello come un gestto di cortesia riconosco in esso un significato che [...] differisce da quello primario e naturale in quanto è intelligibile anziché sensibile. [...] Inoltre [...] l’atto del mio conoscente può rivelare, a un osservatore esperto, tutto quello che concorre a formare la sua ‘personalità’. Questa personalità è condizionata dal suo essere un uomo del scolo XX, dal suo strato nazionale, sociale e culturale [...]. Questi fattori non si manifestano in forma esplicita, ma solo sintomaticamente. [...] Il significato così scoperto può essere chiamato significato intrinseco o contenuto; ed è un significato essenziale [...]. Lo si può anche definire un principio unificante che sta dietro e spiega tanto l’evento visibile che il suo significato intelligibile e determina perfino la forma in cui l’evento visibile si configura. [...] Trasferendo i risultati di quest'analisi della vita quotidiana ad un'opera d'arte, possiamo distinguere nel soggetto o sgnificato  i medesimi tre strati [...] [3].

            Nelle analisi di Panofsky rimane, pertanto, 'affermato' più che 'spiegato', il perché ed il come l'opera d'arte è un 'tutto-Ganzes'; perché e come le parti si 'trasformino' nel totum, così che stile: 'preiconografìa', tipi (o 'forma-tema'): ‘iconografia’ e cultura, che pervade sia la Stil-geschichte che la Typen-geschichte, cioè la  ‘iconologia’', formino l'opera visiva.

         Anzi, la terminologia cui Panofsky ricorre per indicare come avviene il ‘circulus methodologicus’ tra preiconografia-iconografia-iconologia non sembra abbastanza pertinente ad indicare la intrinsecità di uno strato nell'altro. Infatti gli schemi formali (o pure forme), gli schemi semantici (o temi-allegorie) e gli schemi simbolici (o tendenze culturali di fondo) sono qualificati come 'portatori / Traeger' e/o come 'mezzi-per/durch' e/o come 'rami/Zweige che sono 'contrapposti / im Gegensatz': espressioni che hanno dato (e danno) adito ad anticonologi ad interpretare le tre sfere panofskiane come tre domini separati (o separabili) di ricerca, quasi 'serie di libere associazioni' - direbbe Carlo Ginzburg -, e non nessi soltanto discernibili-distinguibili [4]

II.2  Esplicitazione dell'iconolgia di E. Panofsky

            Le obiezioni rivolte a Panofsky dagli anticonografi-anticonologi, soprattutto da parte di formalisti-visibilisti, sono apparse nel corso della mia progressiva ricerca metodologica sull'affresco "La Vergine dalla radice di Iesse" del tutto infondate; e tuttavia esse sono state stimolo perché addivenissi, con un certo 'esprit systematique' a dare ragione della iconologia del Maestro warburghiano.

         Anzitutto, mi è stato possibile chiarire la corrispondenza, e quindi l'unità, tra la ‘intuizione plastico-operativa’ del critico, la ‘intuizione-genoinvenzione-opera’ visiva dell'artista, e la 'opera figurativa’ dal facitore posta in esistenza quale ‘totum-partes / partes-totum’ intenzionato anch'esso dal Kunstwollen, come (e l'ho accennato) lo era l'iter dell'artista ('via all'ingiù') e il suo manifestarsi allo sguardo penetrante del critico ('via all'insù').

         Siffatta considerazione dell'opera quale ‘insieme unitario’ è storicamente consueta. Essa è presente in teorici dell'arte, come (ad esempio) nella concezione della 'euritmia-simmetria' di Vitruvio nell'antichità [5], ed in quella di 'pulchritudo-concinnitas' (cioè l’armonia di tutte le membra nell’unità di cui fa parte) di L. B. Alberti agli inizi dell'età nuova [6]; come pure è presente nelle estetiche filosofiche (-teologiche) di Agostino, che pone la 'convenientia' a fondamento d'ogni bellezza [7], e di Tommaso, che qualifica la ‘forma’ del bello come 'integritas-consonantia-claritas' [8].

         Panofsky, ottimo conoscitore di tali teorie, le ha assunte ed applicate nelle sue ricerche [9], ma non ha  dato  loro  funzione  ‘regolatrice-interpretativa’ all'interno delle ricerche di iconologia.

          Le analisi dell'affresco pistoiese di Andrea di Bonaiuto mi hanno, al contrario, quasi costretto a far ricorso alla ‘teoria-metodo’ di Jean Piaget, vale a dire allo 'strutturalismo', inteso quale "ideale d'intelligibiltà". Con siffatto 'organon-strumento' critico ho potuto, nel. rispetto dell’autosufficienza  ed autonomia dell'opera d'arte, pervenire alla sua 'formulazione' di 'totalità: formale-semantica-simbolica', che, perché tale, esclude ogni associazionismo o accostamento, e spiega come gli 'strati-partes' di Panofsky: ‘preiconografìa-iconografia-iconologia’, sono inscindibili gli uni dagli altri, in quanto 'articolazioni strutturanti-strutturate’, che 'si trasformano' in reciproco rapporto ed organizzano la Gestalt, che è 'tutto-forma / Formganzes', secondo un lessema di Wölfflin [10].

         La metodologia di ricerca via inventionis dell'affresco 'La Vergine dalla radice di Iesse' mi ha ancora condotto alla chiarificazione della ‘preiconografia-iconografia-iconologia’ in rapporto al formalismo, ed a concludere che sono in realtà i formalisti a rinchiudersi in una sfera astratta, quando esercitano l'atto critico sulla così detta 'pura forma' che, in quanto tale, non esiste [11]..L'opera d'arte, infatti, che non sarebbe senza schemi formali, non si esaurisce in essi: difatti si presenta all'intuizione come 'forma-tematizzata / tema-formalizzato / forma-simbolizzata / simbolo-formalizzato'.

         In realtà non è affatto vero che il contenuto iconografico sia del tutto diverso da quello artistico, come ritiene A. Riegl. O meglio, quando in concreto l'intuizione del critico vaglia che forma-soggetto-contenuto sono 'accostamenti' e non 'totalità di parti e parti di totalità', allora non si ha neppure 'opera d'arte', e quindi nemmeno ricerca iconografìca-iconologica.  Nei casi però in cui - e Riegl lo ammette senza sorprendersi in contraddizione - il critico può dimostrare che negli schemi formali-semantici-simbolici "è completamente attuata quella volontà creatrice che ha raffigurato così, e non altrimenti, l'elemento artistico figurativo proprio all'opera d'arte", allora essi posseggono (conclude Riegl) "reale valore storico e artistico" [12].

         Infine, la critica-interpretativa dell'affresco pistoiese, da cui ha preso inizio la mia ricerca iconologica, mi ha posto di fronte all'annosa questione del rapporto che intercorre tra la forma artistica e la eventuale fonte letteraria, che ha mosso l'intuizione dell'artista.

        Quale strumento per affrontare in modo pertinente siffatta problematica ho scelto la linguistica strutturale. Con siffatto ausilio ho potuto determinare il sistema di relazioni, simile (cioè analogico) al 'circuito delle parole' che si stabilisce tra significante-significato letterario e significante-significato pittorico.

         L'artista, ad esempio, intuendo 'per auditum' e/ o 'per visum' il messaggio linguistico ne coglie ed accoglie l'immagine acustica, la 'decifra' e 'cifra' suo modo, vale a dire la meta-morfosa con  il proprio atto 'fantastico-significativo', la 'intenziona' di peculiare Kunstwollen e la imprime-esprime, e come 'senso-referente / Sinn-Bedeutung', nella forma-cosa / forma-mimesi.

         Il critico, che prende l'avvio dall'intuizione della forma, conosce-riconosce l'invenzione dell'artista, perché questa aveva comandata e diretta la produzione degli schemi formali-semantici-simbolici. Nella 'invenzione', poi, quando la fantasia-idea denota e/o connota relazione a testi scritti, il critico trova lo stimolo all'anamnesi o ricordo - in forza della 'familiarità-Vertrautheit' con la cultura letteraria - del referente linguistico, che l'ha generata.

         In tal modo l'immagine-acustica: quella che è fonte d'immagini-narrazioni-allegorie, e l'immagine-fantastica: quella che è creazione-voluta dell'artista, si risolvono nell'unità-figurativa o forma, che - adattando al cosmo visivo la terminologia di A. Martinet - potrei definire 'moneiconema' (monema-icona), cioè 'unità-immagine', a due facce: significante-significato, forma-tema, forma-contenuto [13] .

            Preiconografia-iconografia-iconologia sono dunque tre strati, che tuttavia 'formano' un ‘tutto’; sono un ‘tutto-Formganzes’, che però consta di tre parti inscindibili; sono la forma nella sua pienezza; sono l'intento-Kunstwollen dell'artista; sono l'opera-d'arte: dunque, sono l'oggetto adeguato e proprio di ogni critica, di ogni approccio di storia dell'arte.

            Con troppa fretta si è proclamato il 'dopo Panofsky' [14].


[1] L. Grassi, Teorici e storia della critica d'arte, cit., p. 9. La problematica ‘forma-contenuto’ è da riportare a quella più ampia, che viene sotto la qualificazione di '‘antinomia classica', cioè il rapporto ‘tutto-parti / parti-tutto’. Cfr. L. Grassi, Teorici e storia della critica d'arte, cit., p. 17: "Già nd 1858 il Droysen avvertiva la difficoltà insita nel metodo storico, nel senso che “ the particular is to be understood through the whole, and the whole through the particulars". E nel 1910, poco dopo il Saussure, il Croce definiva acutamente la antinomia classica della critica d'arte: ”comprendere un'opera d'arte è comprendere il tutto nelle parti e le parti nel tutto. Ora se il tutto non si conosce se non attraverso le parti (e qui è la verità della prima proposizione), le parti non si conoscono se non attraverso il tutto (e questa è la verità della seconda proposizione)”. - Faccio osservare che l'antinomia, tale in sede teorica, perde siffatta contrarietà quando il critico è in atto con il suo esercizio ‘analitico-giudicante’; in questo caso, infatti, egli è nella stessa situazione di colui che ‘percepisce-intuisce’, cioè ha davanti a sé l'oggetto nella sua realtà di ‘totum: partes-totum’, vale a dire come 'unità' discernibile dall' obtutus.

[2] E. Panofsky, Il significato nelle arti visive, cit., pp. 31-33. - La medesima trattazione generale su iconografia e iconologia di Panofsky è pubblicata anche in: E. Panofsky, Studi di iconologia. I temi umanistici nell'arte del Rinascimento, Einaudi Ed., 1975, pp. 3 e ss., ed in: "Ikonographie und Ikonologie. Theorien-Entwicklung-Probleme", a cura di E. Kaemmerling, DuMont Buchverlag, Köln 1979, Ikonographie und Ikonologie, pp. 207 e ss. 

[3] E. Panofsky, Il significato nelle arti visive, cit., p. 35 e ss. -  Fonte di Panofsky nella determinazione del significato di 'contenuto' é il filosofo Ch. S. Peirce; fonte per stabilire il senso di 'iconologia' è il filosofo E. Cassirer. Cfr. E. Marino, Saggio metodologico, cit., p. 182. - Eugenio Garin, nella “Introduzione“ al libro Fritz Saxl, La storia delle immagini, Ed. Laterza, Roma-Bari 1982, coglie e puntualizza i vari rapporti che A. Warburg, F. Saxl ed E. Panofsky ebbero non solo con S. Peirce ed E. Cassirer, ma anche con la cultura di J. Burckhardt, F. W. Nietzsche, H. Usener, ecc. - Recentemente E. Battisti ha accennato allo  "impatto del Cassirer" sul Panofsky come "non del tutto positivo". Infatti, se è vero che il pensiero di Cassirer, consentì al Panofsky "di passare da una concezione dell'arte impostata prevalentemente sul fare, o su motivazioni psicologiche di gruppo [...], ad una teoria - quella simbolica - dell'arte come segno, come mito, come metafora", tuttavia l'influsso cassireriano non gli impedì (per quanto riguarda "la costruzione prospettica", cui si riferisce Battisti) di spostarsi "in un certo modo fuori della storia", né di regredire "paradossalmente" sul piano antropologico. Cfr. E. Battisti, Una rilettura dopo 40 anni, in: Piero Della Francesca, De prospectiva piagendi, Casa Ed. Le Lettere, Firenze 1984, pp. XI-XV.

[4]  Sul 'circulus methodologicus' cfr. E. Panofsky, Studi di iconologia, cit., pp. 12-13. - Tra i critici 'degli strati di significato' di Panofsky, ricordo soltanto (quasi a modo d'esempio): C. Brandi, Teoria generale della critica, cit., pp. 118-120; P. Francastel, Studi di sociologia d'arte, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1976, p. 19; C.L. Ragghianti, Arti della visione. III. Il linguaggio artistico, Einaudi Ed., Torino 1979, pp. 5 e ss.; C. Ginzburg, Indagini su Piero, Einaudi Ed., Torino 1981, p. XIX.

[5] Vitruvius Pollio, De architectura, In aedibus 'Giardini ed. e stampatori in Pisa' 1975, liber I, c. II, pp, 22 e ss. - Panofsky annota correttamente che la 'symmetria', intesa quale 'armoniosa' relazione, "è quel che può chiamarsi il principio estetico" di Vitruvio: cfr.  E. Panofsky, Il significato nelle arti visive, cit., p. 73.

[6] L. B. Alberti, De re aedificatoria, Ed. il Polifilo, Milano 1966, lib, VI, cap, II, pp. 446-447.

[7]  Agostino, De vera religione, ed. K.. D. Daur, Brepols Publisher, Turnholti 1962, cap. 30, p. 223.  - AIois Riegl cita di s. Agostino: "Omnis pulchritudinis forma unitas”, e commenta: "La forma chiusa individuale vale anche per Agostino come per tutti i suoi predecessori antichi, sia come prima condizione di tutto l'essere, sia come sede e forma di espressione del bello in tutte le cose della natura creata";:cfr. A. Riegl, Industria artistica tardoromana, cit., p. 370

[8] Tomnaso D'aq., Summa theologiae, Ia p., q. 39. art. 8 .- Faccio notare che nel concetto di 'integritas' di  s. Tommaso  - 'integritas' che egli richiede perché si abbia 'il bello' -, è incluso il concetto di ‘totum’, su cui si basa la Gestalttheorie moderna.

[9] Non è possibile dare un elenco delle principali referenze di Panofsky a questo proposito. Rimando, solo a titolo di esempio, al suo scritto: Idea. Contributo alla storia dell'estetica, La Nuova Italia Ed., Firenze 1973.

[10] J. Piaget, Lo strutturalismo, Mondadori Ed., Milano 1969. Cfr. E. Marino, Saggio metodologico, cit., pp. 11, 12, 28, 131, 132, 163. - Faccio notare che lo strutturalismo, come la linguistica o altra teoria-metodo - compresa la iconologia di Warburg-Panofsky -, sono da me assunti come 'strumenti', e come tali ricondotti ed interpretati secondo un mio particolare 'principio di unità', che di volta in volta manifesto chiaramente. Ad esempio, e per rimanere nell'ambito dello strutturalismo, il concetto di totalità, che guida le mie analisi nel Saggio metodologico, è quello aristotelico-tomasiano di 'sinolo' cioè 'unità-individua'. Cfr. H. Woelfflin, Kunstgeschichtliche Grundbegriffe. Das Problem der Stilentwicklung in der neueren Kunst, Schwabe et Co. AG Verlag, Basel-Stuttgart 1979.

[11]  Ho 'criticato' in modo esplicito, cioè prendendo in esame concrete opere d'arte, l'astrattismo dei formalisti (come dei contenutisti) nel mio saggio: Beato Angelico.  Umanesimo e Teologia, Ed. Atena, Roma 1984 (estratto da "Beato Angelico. Miscellanea di studi", a cura della Postulazione gen. dei domenicani, Roma 1984, pp. 465-533).

[12] A. Riegl, Industria artistica tardoromana, cit., p. 212.

[13] A. Martinet, Elementi di linguistica generale, Ed. Laterza, Bari 1971. Cfr. anche: F. De Saussure, Corso di linguistica generale, Ed. Laterza, Bari 1970; E. Marino, Saggio metodologico, cit., pp. 23, 76, 78, 89, 96, 97, 102, 105, 141, ecc. - Non è stato  sufficientemente  notato  che  Alois Riegl,  prima  ancora  di Panofsky,  fa ricorso alla cultura sincronica letteraria (e come Korreptivprinzip) per comprendere il Kunstwollen generale (o stile) di un’opera d’arte.  Cfr. A. Riegl, Industria artistica tardo romana, cit., p. 368: “Voglio richiamare qui l’attenzione degli studiosi su di una fonte della conoscenza storico-artistica fiino ad ora considerata con quel disprezzo con cui si guarda a quelle fonti letterarie che contengono soltanto dati esteriori di località e di tempo. [...] Il giudizio di pensatori e scrittori sull’opera d'arte del loro tempo merita pieno apprezzamento da chi svolge un’indagone storica e artistica. Si presenta infatti qui un mezzo convincente e sicuro per riconoscere se le idee in base alla nostra osservazione soggettiva delle  intenzioni d'arte predominanti di un determinato periodo siano state in realtà anche le idee dei contemporanei all'opera d'arte stessa”.

[14] Daniel Arasse, Après Panofsky: Piero di Cosimo, ‘peintre’, in  “Cahiers pour un temps”. Centre G. Pompidou, Pandora Ed., Paris 1983, pp. 135.150. D. Arasse, fondandosi sulla conclusione di Panofsky sullo studio di Piero di Cosimo, cioè: “I'irreductibilité de I'image au texte, de la peinture au discours qui prétend la  ‘traduire”, crede di poter stabilire determinati 'limiti’ alla “iconographie panofskienne”. Arasse non pone rettamente (a mio avviso) la questione del rapporto iconografia-testo. La fonte-letteraria,  infatti, non dev'essere intesa come testo-preciso ('ad litteram'). di cui la 'forma-pittorica' è traduzione, ma solo come Urquelle-stimolo, che ha 'mosso' la genoinvenzione e la techne dell'artista. Pertanto la ‘fonte-letteraria' si ri-trova nella 'forma-iconografìca' come 'espressione' mediata dalla 'intentio-phantasia’ della 'persona-artista / artista-persona'. In altre parole. La fonte letteraria - ed aggiungo, la committenza - sta all’artista nel rapporto di ‘visione' (o 'intuizione'); quindi non influisce se non come 'ispirazione' sull'opera d'arte, il cui costitutivo sta nella 'espressione; la fonte letteraria (e/o ‘committenza) dà indicazione per la ‘costituzione d'oggetto’, ma non per la ‘formulazione’ d'immagine’, che è dell'artista e di lui soltanto. - La distinzione tra 'costituzione d'oggetto' e 'formulazione d'immagine' è di Cesare Brandi; sul suo valore critico cfr.  L. Grassi, Teorici e storia della critica d'arte, cit., pp. 27 e ss.

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