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 ii - l’incontro: 1968-1970 

1. Laicato e politica

Dal dopoguerra la vita politica italiana è praticamente monopolizzata da due forze antagoniste, la Democrazia cristiana e il Partito comunista italiano. Ambedue i partiti, a loro modo ideologicamente caricati, rivendicano una globale interpretazione della società su motivi ideali profondamente diversi. Data l’estrazione sociale dell’elettorato DC e l’esclusione del PCI dalla gestione del potere, grandi strati popolari del paese restano in pratica fuori della responsabilità pubblica e dell’equa partecipazione al boom economico degli anni ’60. Fallito il tentativo della “base” democristiana di spingere il partito di maggioranza relativa a coprire politicamente lo spazio del proletariato, e riflutato il “dialogo” col PCI (nonostante la disponibilità di Togliatti dichiarata nel discorso di Bergamo 1957), si avviò il processo di smagliatura ideologica del partito dell’elettorato cattolico. VS registra i primi tentativi d’una “nuova sinistra” (Bologna, aprile 1968), dei gruppi spontanei, comunità di base, movimenti operai e sindacali d’ispirazione cristiana - precedentemente collaterali al “partito dei cattolici” - di crearsi un’autonomia politica tra le forze in conflitto nella società italiana.

S’innesta automaticamente il discorso della laicità della scelta politica e dell’autonomia del credente-cittadino in tale sfera. Wladimiro Dorigo (convegno «nuova sinistra» in Italia, Bologna 21 aprile 1968) sembra rivendicare, oltre alla incontroversa laicità della scelta politica e all’indipendenza dalla «sovrastruttura religioso-ideologica» depositatasi sulla militanza partitica in Italia, anche

l’indipendenza dal dettato interno della ispirazione religiosa (nella fattispecie: cristiana) (Camporeale-Verde: 1968, p. 286, a).

Ora

se il processo di demitizzazione richiesta al PCI, secondo quanto scrive il Pratesi, «non può non essere lento e estremamente tormentato», quello richiesto ai cristiani nel termini di scelte politiche dettate unicamente dalla ragione è addirittura impossibile e senz’altro da respingere (Id., p. 286, a).

E i motivi sarebbero: primo, perché ci sono «ben precisi ideali» evangelici circa il destino dell’uomo che devono essere attuati nell’aldiquà; secondo, perché l’attività politica - mezzo non fine - è soggetta al «dettato negativo» della fede. Questa giudica se «le scelte che compie la ragione scientifica si pongono nella loro [dei fini] direzione oppure se da essi distolgono» (ib., p. 286, a-b). Del resto una teologia della fede-politica è ancora in gestazione, si precisa; e non è ben definita la natura della eterogeneità dei due termini.

Ci sembra tuttavia di scorgere nei gruppi spontanei - e qui sta un aspetto della loro originalità - la ricerca di un nuovo rapporto tra fede ed azione politica dove si ha anzitutto una intensificazione operativa dei due termini e al medesimo tempo una mediazione che, lasciando i termini in piena libertà, approfondisca il loro reciproco influsso. Forse è dal lavoro congiunto della prassi civile e politica di questi gruppi cristiani (bisogna aggiungere: autenticamente conciliari) e da una paziente riflessione teologica che può venir fuori una nuova visuale del rapporto razionalità-fede (Camporeale-Verde: 1968, p. 286, b).

2. Associazione cattolica lavoratori italiani (ACLI)

Vallombrosa 1968: le ACLI e il movimento operaio. Il movimento operaio dei lavoratori italiani rompe la sudditanza politica alla Democrazia cristiana. Ma rifiuta di ripiegare al collateralismo col PCI perché ritenuto incapace d’interpretare l’esigenze della classe operaia, perché legato ancora allo schema della lotta di classe piuttosto che al «conflitto permanente» tra impresa e lavoro, per l’ideologia a cui s’ispira e per il particolare inserimento nello schieramento nazionale. Si auspica, nell’ambito di tutta la sinistra, l’affermazione d’una forza politica che sia l’espressione dell’intero movimento operaio (1968, p. 387 a-b). Nel frattempo le ACLI, in contrapposizione al concetto-strategia «conflitto di classe», adottano quello di «conflitto permanente nell’impresa». Inoltre:

Le ACLI proprio per essere un movimento da una parte operaio e dall’altra d’ispirazione cristiana, pur escludendo una inutile e dannosa appropriazione confessionale... vogliono differenziarsi nell’ambito di tutto il movimento operaio in forza della loro ispirazione cristiana. Dalla relazione tra le varie strategie che volta a volta assumono nel conflitto industriale e l’ispirazione cristiana, le ACLI sviluppano peculiari motivi, teorici e pratici, di contestazione, anche se forse per il passato tali motivi sono stati dettati un po’ troppo dalla così detta dottrina sociale della chiesa. Ma proprio nell’ambito di tali correlazioni tra strategia operaia ed ispirazione cristiana, si dovrebbe inserire accanto ad analisi sociologiche ed economiche un’analisi teologica che da una parte dovrebbe evitare di programmare una dottrina sociale, impegnandosi piuttosto a vedere come strutture umane siano capaci di evangelizzazione e, dall’altra, dovrebbe parimenti escludere una semplice moralizzazione di singoli atti e di singole situazioni. Ricerca e costruzione teologica che dovrebbe partire da quelle analisi sociologiche ed economiche della situazione operaia nell’impresa e nella società (Camporeale-Verde: 1968, p. 388, a-b).

Il documento della Conferenza episcopale italiana del 16 gennaio 1968 sulla presenza dei cristiani nella vita pubblica intende persuadere il credente ad un’esperienza di fede, nel cuore dei problemi e dei conflitti d’una società ingiusta. Il documento riflette, è vero, «recenti discussioni verificatesi nell’ambito cattolico italiano sugl’impegni e i doveri del. cristiani nell’attività pubblica» che «hanno favorito il sorgere di alcune perplessità ed incertezze». Ma esso termina esprimendo

la piena fiducia [dei vescovi] nella maturità e nel senso di responsabilità dei cattolici italiani di oggi e di domani.

Le valutazioni espresse da «L’Unità» e «Rinascita» circa il documento della CEI risultano fuori luogo (Verde: 1968, p. 82).

ACLI, XI congresso: Torino, giugno 1969. È «la svolta» delle ACLI e «la fine dell’unità politica dei cattolici» (Bertone: 1969, p. 221). Tra gli aderenti alle ACLI c’è chi chiede la cessazione dell’ufficio dell’assistente ecclesiastico. Si profila la tensione tra movimento e gerarchia ecclesiastica (Verde: 1969, pp. 283-86). Sugli altri fronti operai l’agitazione monta di giorno in giorno. È «l’autunno caldo» (Levrero: 1969, pp. 466-70).

ACLI, Vallombrosa agosto 1970. Il presidente Gabaglio proclama la scelta anticapitalistica e la lotta per il socialismo. Notate talune consonanze marcusiane, talune spinte radical-utopistiche, talune critiche al capitalismo in chiave etico-spiritualistica proprie della componente cattolica dell’estremismo di sinistra, il commentatore di VS pone il problema del valore della scelta anti-capitalistica delle ACLI (si poteva ancora sostenere un’autonomia politico-sociale dei «lavoratori cristiani»?) come realtà ecclesiale e teologica ad un tempo per la cattolicità italiana (Camporeale: 1970, p. 332). Una parte dei credenti, inserita per collocazione sociale nella classe operaia, fa propria l’analisi scientifica e socialista dell’ingiustizia insita nell’appropriazione dei mezzi di produzione e nella sottomissione del lavoro. Le ACLI si trovano così solidali col movimento operaio e prassi rivoluzionaria per il socialismo; dall’altra costituiscono coscienza critica della comunità dei credenti perché quest’ultima si faccia carico del medesimo progetto (ib., pp. 332-33). È appunto la funzione teologica delle ACLI. Quanto ai contenuti, perché la riflessione della fede è portata all’analisi di quell’alienazione dell’uomo indotta dalla logica capitalistica del lavoro; quanto all’aspetto formale della scienza teologica:

Se la teologia non vuole rimanere, come talvolta si è senza dubbio verificato, una «ideologia» (nel senso negativo e marxiano del termine), essa deve operare al suo interno un processo - come era stato già detto dagli inizi degli anni ’60 - che sia «rivoluzionario» per ricuperare la cultura e le richieste delle classi subalterne e cessi di essere una copertura sia teorica che pratica per le classi dominanti...  Il compito della teologia odierna dev’essere di dimostrare che l’economia della Salvezza si concretizza nelle strutture della più ampia socializzazione dei bisogni, delle fonti del potere, degli strumenti della cultura e di ogni fattore che sia determinante allo sviluppo collettivo e personale degli uomini.

Chenu, riprendendo la notissima frase di Engels, ma assumendola in altra prospettiva, ha scritto che il proletariato è oggi «l’erede del cristianesimo». Il movimento aclista sembra confermare col proprio contributo questa affermazione in rapporto all’attuale congiuntura della chiesa in Italia. Se cosi fosse, potremmo sottoscrivere a quanto è stato detto nell’editoriale di un periodico certamente non sospetto, e cioè che la «opzione socialista compiuta dalle ACLI a Vallombrosa è uno di quegli avvenimenti che, senza paura di usare parole troppo grosse, si possono definire di rilevanza storica» (Camporeale: 1970, pp. 333-34).

E nella piccola storia di VS, questo saggio di Camporeale (1970, pp. 317-34) testimonia il risultato più lucido e più coerente dell’evoluzione a cui ha approdato la densissima esperienza quinquennale della rivista domenicana.

In occasione della Nota preparata dal Segretariato per i non credenti (10 luglio 1970) come ausilio pedagogico e integrativo della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (6 gennaio 1970; «L’Osserv. Romano» 25 novembre 1970), si mette in risalto, oltre all’importanza dello studio dell’ateismo moderno e del marxismo, la natura storica da dare a uno studio siffatto. Verde e Camporeale annotano che l’assunzione della storia come modello di conoscenza implica necessariamente la storicizzazione quale criterio ermeneutico; e la storicizzazione - a voler essere coerenti –

non solo non permette un’uscita al di fuori di se stessa ma impedisce anche una concezione preliminare all’analisi dei fatti ed esclude un inserimento nel processo storico che non sia da questo stesso dettato (1970, p. 417).

Metodo proponibile per gli studi dei candidati al sacerdozio solo analogicamente: e cioè assunzione del dato e trattamento in chiave storicistica «per poi giudicarlo ed influenzarlo nelle future determinazioni…, nel senso di permearlo di idee capaci di svolgere un ruolo storico » (ib.). Ma «quando dall’analisi e dalla spiegazione storica si passa al giudizio e alla prassi "pastorale" non si fa più storia ma teologia: precisamente l’obiettivo inteso dall’adozione analogica del metodo storicistico» (Verde-Camporeale: 1970, pp. 417-18; cfr. Id., Il popolo di Dio segno di salvezza, cammina nella storia ed è storia, «Religioni oggi» 12 (1970) 36-65).

Ma una teologia siffatta non potrebbe eludere la componente del mondo moderno che è il marxismo. Quindi ci si domanda:

il «materialismo storico e dialettico» nell’accezione più vasta e comprensiva... può essere strumento e criterio d’analisi teologica sia pratica che operativa?

La stessa posizione del problema è senza dubbio sconcertante sia per un credente che per un marxista, perché per entrambi gli stessi termini sembrano essere in radicale opposizione... È necessario andare al di là di una metodologia che metta in risalto o vada in cerca di “parallelismi” tra cristianesimo e marxismo oppure che distingua accuratamente nel marxismo ciò che è recepibile dal credente da ciò che è incompossibile con la fede. Questa duplice metodologia di dialogo deve essere superata, perché, anche se per certi aspetti può risultare proficua, di fatto però comporta uno svilimento dei due termini del problema.

La ricerca teologica invece dovrebbe, da un lato, affrontare il materialismo storico e dialettico con la critica che le è propria, e dall’altro, considerare il marxismo nella globalità e nella sua peculiare problematicità. Solo cosi la fede cristiana può rendere il materialismo storico e dialettico criterio teorico e operativo per l’interpretazione dei fondamentali luoghi teologici.

Tutto ciò comporta che la ricerca teologica verta sul confronto tra contenuto di fede... e il materialismo storico e dialettico.

A questo scopo è necessario: 1) che le esigenze di vita di fede per il mondo contemporaneo siano considerate anteriormente ad una particolare elaborazione teologica storicamente data... ; 2) che i princìpi interpretativi e pratici della cultura contemporanea vengano assunti mediante una trasposizione e valutazione analogica in riferimento agli eventi della salvezza (Camporeale-Verde: 1970, pp. 419-20).

3.  Comunità dell’Isolotto.

Catechismo (ed. LEF, Firenze 1968). Se ne mettono in risalto gli aspetti positivi: a) il metodo pratico-storico della catechesi secondo lo schema vita-vangelo-vita; b) la catechesi comunitaria, che ha per soggetto la chiesa locale (parrocchia); questa ascolta, intende, annuncia e tramanda il messaggio di Cristo. Una lettura della parola di Dio fatta dalla comunità per la comunità; che rispecchia le esigenze e le caratteristiche della comunità locale.

Ma è a questo punto che la lettura comunitaria della parola di Dio potrebbe entrare in crisi, quando cioè gli schemi interpretativi si sostituiscono o alterano i contenuti di Fede (Verde-Camporeale: 1968, pp. 487-88).

Esplicitazione critica:

«il povero» della comunità dell’Isolotto è un tipico prodotto storico della presente società che viene identificato in modo univoco con la dimensione totale della povertà evangelica.

È cosa radicalmente diversa vedere il rapporto ricchezza-povertà, potenza-sfruttamento nella storia della salvezza, nel contesto cioè della Rivelazione, e considerarlo invece nella dialettica Capitale-Lavoro. La problematica che intende risolvere il Cristianesimo è più ampia di quella causata dai rapporti di produzione, pur dando a questi ultimi tutta l’ampiezza che hanno ricevuto dalla analisi marxiana (ib., p. 491 a).

Antecedentemente era stato fatto il tentativo di fissare l’istante mentale incorso nella contaminazione metodologica:

In realtà alla base del catechismo non ci sono soltanto convinzioni di fede ma anche convinzioni che non sono di fede...; vogliamo dire alcune categorie che vengono assunte dalla cultura e dalla mentalità contemporanea e usate indebitamente (pp. 489-90).

Trasferite che siano le categorie classe e lotta di classe nella società di Gesù e addirittura all’interno del messaggio evangelico, «esse [dette categorie marxiste] vengono moralizzate, e le categorie morali di bene e di male vengono invece socializzate» (p. 490, b).

Resta comunque che il Catechismo dell’Isolotto non è tale da lasciare in pace i teologi. Ripropone interrogativi non ancora risolti ma che non possono essere elusi:

1) quali categorie della cultura moderna possono essere usate come strumenti concettuali nell’ambito di un discorso di fede? 2) a quali condizioni può avvenire un tale uso? (p. 491, a-b).

1969-1970. Viene denunciato l’equivoco (nocivo all’ecumenismo stesso) della celebrazione della Cena del Signore tra gruppi di comunità di base fiorentine. La celebrazione è consumata (almeno a quanto si può ricavare dalla cronaca di VS 1969, pp. 77-85) nel piacere surreale che dà la cospirazione clandestina.

Altrove la degradazione è iscritta nei fatti prima che sia denunciata nelle parole. Affiora tra gli stessi movimenti d’avanguardia ecclesiale stanchezza e disorientamento: tipiche le divergenze sorte intorno al catechismo dell’Isolotto (1969, pp. 178-84). Si registra con amarezza la cessazione di Signes du Temps dei domenicani francesi («Nel passato per due volte abbiamo scelto il silenzio per essere fedeli al nostro programma. Oggi, il nostro mezzo d’espressione ci è stato tolto»: editoriale di congedo, luglio-agosto 1969). Si teme che il rinnovamento conciliare si bruci per strada (Contestazione. Ma quale?:  Di Agresti: 1970, pp. 37-46). I sinodi dei vescovi sembrano disilludere (1970, pp. 158-72). Teologi e vescovi spagnoli si scontrano circa il dovere di denunciare o di «essere neutrali» (posizione dei vescovi) nella Spagna franchista (De Giorgis: 1969, pp. 184-86). Disilludono le comunità di base (L’Isolotto “L’altra Chiesa”: 1970, pp. 451-58).

Anche i teologi conciliari cominciano a mollare. Dove va la crisi della chiesa attuale?: Chassegneux (1969, pp. 335-40). L’Addio ad una chiesa di A.Z. Serrand è un grido d’allarme (1969, pp. 439-46) tra rabbia e impotenza («strada per me senza uscita»: p. 445).

Bruno Alberto Simoni da una parte (Proposta per l’Isolotto: 1969, pp. 345-51), Verde-Camporeale dall’altra (Richiami all’essenza delta fede: conversione a Cristo o estraneazione dal mondo?: 1969, pp. 435-51) avvertono con scoramento che le speranze e i tentativi del movimento post-conciliare in Italia cominciano a sgretolarsi. I motivi di fondo sono ben aldilà degli scontati interventi autoritari della gerarchia. Entrambi (Simoni e il tandem Verde-Camporeale) denunciano la «mancanza della riflessione e maturazione teologica» nel gran brulichio dei movimenti ecclesiali; entrambi reclamano una «criteriologia di fede» («gli ultimi eventi dell’Isolotto pongono addirittura l’urgenza di questa criteriologia»: 1969, p. 451); entrambi appellano alla «prassi ecclesiale» come luogo di verifica dei modi con cui la parola di Dio assume quella dell’uomo, la salvezza integra la liberazione, la fede annoda la politica, il sacramento vivifica la struttura, il ministero gerarchico suscita l’autonomia del laicato, il primato romano si asserisce nella collegialità... Fluttuanti in entrambi - questa almento l’impressione ricavata - sia i termini di volta in volta in questione (anteriori o emergenti dalla sintesi? intra-teologali o intra-mondani? pre-esistenti alle opposizioni dialettiche?), sia le precedenze all’interno della criteriologia della fede, sia i gradi di normatività suggeriti all’ubbidienza della fede. Comunque sia, la prima divaricazione teologica è palese.

Simoni, Proposta per l’Isolotto: 1969, pp. 345-51.

Costatato il braccio di ferro a Firenze tra episcopio e Isolotto, e denunciato lo svuotamento dell’esperienza Isolotto, si suggerisce di «uscire da termini così ristretti, per ripensare e rivedere tutto in termini autenticamente ecclesiali; nel rispetto di quel sensus fidei e sensus Ecclesiae... che stanno oltre e al di sopra di qualunque struttura giuridica e di qualunque sistema teologico» (p. 346). Premesso lo stato d’imbarazzo, quasi di sospensione della funzione illuminativa della fede («Questo l’intento da perseguire. Ma dobbiamo confessare che non sappiamo come», p. 346), si suggeriscono indicazioni e condizioni:

a) non si può continuare ad ignorare, escludere e rifiutare una esperienza ecclesiale proprio in forza di quei principi e di quei sistemi messi in questione dalle nuove e lecite istanze di una più autentica vita di Chiesa;

b) ma - per l’inverso - si potrebbe rispondere alle istanze e alle sollecitazioni a cui la Chiesa è sottoposta da parte del mondo incorrendo poi nello stesso inconveniente (rimproverato alla Chiesa ufficiale), e cioè l’integrazione della Chiesa al mondo a discapito del suo carattere sacramentale; poco importa se questa integrazione non sia più il mondo borghese e capitalista ma col mondo del proletariato (p. 347);

c) infine si vuol sapere se ci sia una chiesa perché sussiste un legame giuridico ed una autorità o se ci debbono essere autorità e legami giuridici in forza di una effettiva comunione di vita vissuta nel Cristo (p. 349).

Camporeale-Verde, L’Isolotto “L’altra Chiesa”: 1970, pp. 451-56.

Da quella sera del mese d’agosto del 1968 in cui assistemmo con dolorosa trepidazione alla decisione presa dalla comunità dell’Isolotto di intraprendere un cammino fuori della comunione con il proprio Vescovo, l’Isolotto ha deviato ed ha cessato di suscitare reali problemi (p. 454).

Se «attraverso le parole» di Mauro e Gabriella [rifiutando di «sposarsi in chiesa» costoro chiamarono «la comunità» a testimone della loro unione] «ci parla Dio» e perciò «nasce con esse [le parole] una vera teologia», nasce cioè una riflessione o rielaborazione della fede, allora giustamente la comunità che si sente vivente nelle parole dei suoi membri può ritenersi luogo teologico.

Ma se «attraverso le parole» di Mauro e Gabriella «ci parla Dio» e con questo si spazza via non il ciarpame della «compra-vendita» ma il sacramento del matrimonio, allora «le parole» di Mauro e Gabriella diventano «fede» e la teologia viene identificata con la fede (p. 455).

Risulta anche [dal nuovo corso dell’Isolotto], e necessariamente, una concezione della Chiesa antitetica a quella della Lumen Gentium... A questo punto però il nostro discorso deve chiudersi per riaprirsi in altra occasione (p. 456).

Gli eventi precipitavano; e le parole con gli eventi.

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