I teologi e le loro tentazioni.
«Vita sociale» 32 (1975) 380-403. | |||||
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Introduzione |
Il dialogo: 1966-1967 marxismo | laicato |
L’incontro: 1968-1970 politica | ACLI | Isolotto | ||
Il groviglio operai | rivoluzione | () |
iv |
Il rientro: 1971-1975 bivi | dialogo tra chi? |
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conclusione ë | (tic linguistici!) |
«Vita sociale» 1966 somiglia a una rivista tutta nuova. Non tanto rispetto al suo passato, che conta ventidue anni d’onorevole testimonianza dal dopoguerra in poi. Piuttosto in considerazione del piglio risoluto con cui si commisura con la novità sociale ed ecclesiale degli anni ’60. E nella fitta realtà di quegli anni si getta, senza preliminari e senza convenevoli, col gusto dell’audacia.
Tre dati di fondo rendono ragione della nuova serie di «Vita sociale» (= VS d’ora in poi) dal 1966 in poi. Primo, i propositi del concilio Vaticano II (1962-65) di schiudere la cittadella della chiesa per farne un cittadino del mondo, col quale spartire «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce, dei poveri soprattutto...» (Gaudium et spes n. 1). Se ne erano fatti interpreti, in special modo, la Lumen gentium (21 novembre 1964) sulla chiesa, la Unitatis redintegratio (21 novembre 1964) sull’ecumenismo, la Nostra aetate (28 ottobre 1965) sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, la Dignitatis humanae (7 dicembre 1965) sulla libertà religiosa, la Gaudium et spes (7 dicembre 1965) sulla chiesa nel mondo contemporaneo; il magistero del vescovo di Roma con le encicliche Pacem in terris (1 aprile 1963), Ecclesiam suam (6 agosto 1964) e più tardi Populorum progressio (26 marzo 1967). Secondo, una redazione collegiale che replica nel suo interno la dialettica del confronto e della maturazione comunitaria. Terzo, la collaborazione estesa ai laici, credenti e non; aperta, in definitiva, a tutti coloro con cui il cristiano concorre consapevolmente a formare «un popolo fra tutti gli uomini» (Lumen gentium n. 13).
L’editorìale 1966 fascicolo 1 è il segnale d’avvio. Ricordate le trasformazioni in corso degli uomini, delle culture, delle istituzioni, si argomenta (dico «argomenta», perché il periodo piega più allo sforzo di trarre una conclusione controversa che all’agio di rammentare una verità posseduta):
Ora coloro che riconoscono un rapporto sempre valido tra azioni umane e Dio, considerano quegli avvenimenti e lo svolgersi ed il mutarsi della società come la materia su cui si plasma la pur sempre presente azione divina, oppure l’espressione molteplice, inadeguata ma verace, del linguaggio di Dio. Così che in loro diventa impegno di coscienza osservare quegli avvenimenti, analizzare quelle concezioni, studiare le nuove forme istituzionali, come è impegno di coscienza, per loro, andare verso Dio.
Fare questo non è esterna osservazione di spettatori sfaccendati, ma azione feconda, se la produzione di una cosa deve pur implicare l’intelligenza di essa; è fare «teologia», è portare la teologia all’interno del sempre costituentesi mondo umano (VS 1966, p. 1).
I ritmi e le urgenze sono, fin dai primi fascìcoli, come di chi nutra ansia di recuperare tempo perduto.
1966, fascicolo 1: L’ateismo marxista. Intervista con C. Luporini, G. della Volpe, L. Gruppi (autori Salvatore Ignazio Camporeale – Armando Felice Verde). Carattere e significato dell’ateismo contemporaneo (Raffaele Vela). Poteri della Chiesa e teologia storica (Domenico Guglielmo Di Agresti), Tra gli «Avvenimenti»: Il congresso del PSI e del PSDI (Reginaldo Santilli). Fascicolo 2: Ateismo esistenzialista (Vela), Marxismo e scienze naturali (Giuseppe Galli), Tempo e cristianesimo (Eugenio Marino). Fascicolo 3-4: FRMS: la sconfitta della fame, Teologia morale (Santilli), Scienza e religione (Galli), Umanità cristiana e umanesimo marxista (Camporeale-Verde).
E la prospettiva si allarga ancora (fascicolo 5-6) ad altre componenti della società moderna: Il cantiere (Michelucci) o la dimensione umana della città. Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici (Verde). Croce e l’autonomia dell’arte (Vela). Per una teologia del lavoro (Camporeale). Congresso teologico di Roma. La ricerca teologica di H. Küng (Ludovico Tovini). Per una riforma della struttura della proprietà privata (Palma). Le confessioni d’un clerico fascista: Crispolti (Isnardo Pio Grossi) eccetera eccetera.
Ricordiamolo. La rivista - organo della Provincia Romana dei fratì Predicatori - è affidata ad un collegio direttivo e redazionale di religiosi domenicani. Questi son ben lungi dal rinunciare alla funzione teologica della loro vocazione; che anzi si propongono dì portare il momento riflessivo della fede sui singoli (tutti, intenzionalmente) fatti socialì in cui si fa la crescita dell’uomo e della società. Se la comunità dei credenti è solidale, per collocazione storica e per logica del suo stesso sviluppo, alla comunità umana (se la chiesa, cioè, non si costruisce se non nel mondo), allora la riflessione sulla parola di Dio, la sua comprensione come la sua elucidazione, la sua contestazione come il suo ascolto, non possono non avvenire in simbiosi - ora dialettica ora incarnazionale - con tutta la comunità umana (a questa, in definitiva, la Parola è destinata); e in coesistenza con tutti i momenti, occasioni, luoghi, finanche i più apparentemente alieni, che concorrono di fatto alla storia della società umana. La teologia cambia di casa: dalla cittadella ecclesiastica alla tribuna sociale, dai semìnari ai cantieri, dalle processioni liturgiche ai cortei sindacali, dal non expedit alla mischia politica, dai “paesi di missione” ai paesi del “ Terzo mondo”...
Una sfida? una temerità? un’occasione di grazia?
Gettiamo uno sguardo su VS nuova serie per inseguire le piste d’una vicenda teologica e puntiamolo sui bersagli ora colpiti ora falliti. Uno sguardo, si dirà, da feritoia obliqua. Ma è un espediente per corroborare il proposito di verosimìle equanimità. Uno sguardo distaccato. Persino, apparentemente!, qualunquista. Come si conviene, insomma, a chi ha da spiare le tentazioni altrui.
Riprendiamo il primo saggio (VS 1966, pp. 3-23). Domanda: fatta la distinzione tra Marx e marxismo, si può dire che la filosofia di Marx sia atea?
Risposta di G. della Volpe:
Marx considera la polemica con il teismo e deismo in genere come superata, perché la ritiene propria dell’età illuministica... «La radice dell’uomo è l’uomo (in quanto essere sociale). La sua stessa alienazione non dipende né da un Dio né dalla natura, ma solo dal rapporto dell’uomo a un altro uomo» - dipende, cioè, dal tipo di società, ad esempio quello borghese, in cui l’uomo sfrutta l’uomo…
Il marxismo autentico su questo punto non ha mutato nulla: quello inautentico dei socialriformisti può conciliare pure il proprio socialismo con una concezione kantiana ed idealistica della persona…, ma è marxismo «riformato» o meglio deformato, non è materialismo storico.
Anche il rapporto alla spiegazione del fenomeno religioso il marxismo odierno non ha mutato nulla, poiché l’ateismo è la sua intima logica. L’ateismo di Marx dunque non è solo precisazione dell’oggetto della filosofia, ma è pura negazione (di principio) del problema di Dio (pp. 6-7).
Risposta di L. Lombardo-Radice:
[Premessa: distinzione tra materialismo storico e materialismo dialettico]. Il materialismo storico sembra a me essere, nella sua essenza, scienza laica, non scienza atea. Non mi pare che per far proprie le analisi del Capitale o le prospettive del Manifesto implichi una preliminare «confessione di ateismo»... Io sono perciò fermamente convinto del fatto che cristiani, e più in genere uomini che credono in un essere supremo, si abitueranno a far proprio il materialismo storico in molte sue parti, cosi come si sono abituati a far proprie le laiche scienze della natura.
Il marxismo è anche filosofia materialistica; per questo aspetto nessuna conciliazione è possibile tra marxismo e religione... Sono tra quei marxisti che, pur tenendo fermo il principio marxiano della origine dell’idea di Dio su questa terra, ritengono da un lato che il concetto di alienazione debba essere approfondito e allargato, considerando fenomeni più duraturi della divisione della società in classi antagonistiche, e che, dall’altro ritengono che in una forma religiosa (rinnovata, libera da scorie) riescono ancora ad esprimersi aspirazioni di progresso...
Non comprendo quindi perché «l’inserìmento della religione nella problematica marxista richieda una rinuncia ad una valutazione del fatto religioso... » (1966, pp. 318-19).
E altrove, una civiltà post-artigianale, dai Prometei tecnologici ed iconoclasti, lancia la sfida più radicale alla fede (A. Z. Serrand o.p., Evolution technique et Théologies, Paris (Cerf) 1965. Cfr. «Ephem. Theol. Lovan.» 41 (1965) 599-600). Una «teologia dialettica» confessa che, se in passato il cristianesimo ha assunto e fatto uso d’una civilizzazione a tecnica elementare, ora è impotente ad assimiliare la tecnica del nuovo Prometeo. Annotato che siffatto spunto critico della teologia dialettica «si riscontra in molte correnti spirituali che vogliono un rinnovamento della chiesa e che ci provengono da altri paesi», due redattori di VS fanno la loro scelta:
Noi riteniamo infondata questa affermazione. È vero che un mondo più avanzato nella civiltà e capace di risolvere umanamente problemi che un tempo appartenevano alla sfera religiosa, potrebbero far pensare ad una sua essenziale irreligiosità. Ma è anche vero che dedurne la sua non assimilabilità cristiana, fa cadere nell’assurdo che un mondo più completamente umano debba essere antitetico al divino. Dalla non assimilabilità ad un moderno manicheismo, il passo sarebbe sin troppo breve!... Noi invece crediamo all’assimilabilità della nostra civiltà, non solo perché ogni fatto umano è stato ed è oggetto della Redenzione cristiana, ma anche perché riteniamo che quanto più la ragione è evoluta tanto più è in grado di offrire alla Fede idonei mezzi espressivi...
È chiaro che rimane il problema del come avviene questa assimilazione. Questo problema va affrontato di proposito e richiede una conoscenza piena di tutte le componenti del mondo presente e una intelligenza di Fede delle categorie evangeliche. I due poli, qui, vanno studiati non per essere confrontati soltanto, ma per comprendere come le componenti mondane possono articolarsi e configurarsi secondo lo spirito evangelico. L’assimilazione è, qui, trasformazione (Camporeale-Verde: 1966, pp. 131-32).
Il dialogo è comunque avviato di fatto. VS ne assume il dato, quasi per spontanea sintonia di fede con la chiesa conciliare e con le sue speranze.
Il Congresso [teologico di Roma, sett.-ott. 1966], voluto espressamente da Paolo VI... si proponeva di avviare un discorso teologico sul Concilio Vaticano II ed iniziare la teologia potrà e dovrà emergere da quelle posizioni conciliari e che ancora dev’essere pensata, formulata, scritta...
VS è stata presente al Congresso con alcuni suoi redattori, e questi hanno potuto subito constatare con gioia che la mèta che la rivista si è prefissa: cogliere il senso teologico degli avvenimenti umani in ordine al cammino degli uomini verso Dio, si profila essere la mèta, lo scopo, la ragion d’essere di tutta la teologia post-conciliare (Redazione: 1966, pp. 311-12).
Ma una sorta di lucido realismo, avaro di slanci gioachimiti e tenace nell’ancoraggio ai fatti, distingue nettamente fin dagl’inizi VS dal radicalismo esasperato e utopistico di taluni movimenti contestatari (civili ed ecclesiali) e dall’empirismo corrivo al blocco con la forza politica egemone del giorno. Così fin dal primo anno di vita si ha cura di registrare «raffreddamenti» al dialogo marxismo-cristianesimo del comunismo italiano (1966, p. 315) e si riallaccia il fatto alle contingenze internazionali, quale la scissione cinese, e a episodi di vita nazionale, quale il problema dell’unificazione socialista (1966, p. 314). Ma si afferma altresì, e perentoriamente, che dialogare a distanza, fare ed esporre l’esegesi di «due sistemi» nelle loro convergenze come nelle loro discrepanze, è attìvità «dottrinale», perfino «ideologica». Nel migliore dei casi è solo una premessa o condizione di dialogo. Questo invece comporta un’azione comune» (1966, p. 328), tale da coinvolgere la trasformazione delle parti dialoganti. «La trasformazione avviene durante il "dialogo" come questo si fa nella trasformazione» (ib., p. 329). Più esattamente, non trasformazione-conversione delle parti diagolanti ma
trasformazione che le cose su cui avviene il dialogo subirebbero nel corso della operazione dialogica (p. 329).
In particolare:
Il marxismo si presenta al nostro sguardo come una componente (se dominante o se destinata ad una esclusiva affermazione, è un problema che qui non importa determinare) della presente società e civiltà umana, che è prodotta dal convergente ed autonomo sviluppo di tutte le dimensioni dell’uoino.
Il cristianesimo si trova dentro e fuori di questo complesso. Dentro, per la unione che già aveva operato con gli elementi umani componenti la civiltà che il marxismo contribuisce a mutare. Dentro ancora, per l’esigenza a unirsi con la civiltà che il marxismo vuole creare. Fuori, perché non ancora unito a tale iniziata civiltà. Fuori, perché pur unito alla precedente e pur tendente ad unirsi alla attuale, non intende identificarsi né con l’una né coll’altra, ma esige di unirsi con qualsiasi futura civiltà a cui darà luogo l’autonomo sviluppo delle dimensioni umane (pp. 329-30).
Azione comune? Sì, certamente; ma non per verificare (la «sfida della prassi»! p. 329; ma si legga la critica ad un’improponibile «verifica storica»: pp. 333-34) i contributi specifici delle due controparti, quasiché il cristianesimo avesse da offrire una «politica cristiana, un’economia cristiana, una filosofia cristiana»; quando invece
i costruttori della civiltà sono le attività umane, autonomamente operanti (p. 330).
Il cristianesimo non vuole essere costruttore di strutture di valori di cui è portatore. Tali strutture devono essere costruite dall’uomo perché esso [chi? l’uomo? il cristianesimo?] vuole che i suoi valori abbiano umana realizzazione.
Poiché quelle attività non sono, come si è detto, originariamente cristiane, e poiché sono anche autonome, sorge il «dialogo» tra cristianesimo e la civiltà che così si va costruendo. Questo «dialogo» consiste nella richiesta da parte del cristianesimo di appropriarsi le strutture della civiltà che sono state create dalle autonome attività dell’uomo...
Nell’effettuazione di tale richiesta, che nella realtà avviene a diversi piani delle diverse attività umane, il cristianesimo non può non trasformare le strutture che vuole appropriarsi, come non può non essere da esse condizionato (p. 331).
Il fatto che non esiste una forma di civiltà umana destinata a rimanere per sempre..., ed il fatto che nella sua trasformazione delle strutture umane il cristianesimo ne viene condizionato, fanno sì che esso, proprio nel momento in cui si realizza, tende a superare quella sua stessa realizzazione. In questo senso il cristianesimo può anche dirsi operante all’interno del processo della storia umana, perché si fa stimolo al superamento della stessa civiltà umana (pp. 331-32).
In questa esigenza di superamento delle proprie realizzazioni, il cristianesimo denunzia la sua natura trascendente, che consiste nel fatto che esso è sempre più ampio delle varie civiltà in cui esige di realizzarsi (pp. 332-33).
[In riferimento al marxismo]. Lo sforzo del cristianesimo di ridurre la civiltà marxista ad un elemento del suo linguaggio, espressivo e realizzatore della sua «idea», è il «dialogo» che, essendo proprio al cristianesimo, si qualifica come «teologico». Questo èil «dialogo» che noi intendiamo (Camporeale-Verde: 1966, p. 333).
E la riflessione si dispiega, puntuale e vigile, su tutti gli eventi civili ed ecclesiali più significativi dell’immediato post-concilio (1966-1970): la contestazione nella società e nella chiesa, la crisi della chiesa fiorentina, l’osmosi delle forze politiche italiane, la protesta a sinistra contro il riformismo degli schieramenti classici di sinistra, l’esplosione della violenza politica nera e rossa, le vicende delle ACLI tra solidarietà operaia e dirigismo della gerarchia cattolica, gruppi spontanei e carismi nella chiesa, teologia del laìcato e teologia dei poteri ministeriali, rigurgiti d’integrismo cattolico in teologia come in pastorale e in liturgia (vedi l’esagitazione del Casini, di cui a più riprese scrive Marino); dibattito sui testimoni del tempo: don Milani, don Mazzolari, don Rosadoni... ; la stampa cosiddetta cattolica e l’opinione pubblica (il sensus fidei?) del popolo di Dio. E ancora arte, architettura, sindacati, scuola, compromissione cattolica coi regimi fascisti, contestazione studentesca del ’68, economia, politica europea...
È giocoforza scegliere - e seguire - alcuni temi-chiave che ispirano in modo più qualificante gl’interventi intesi a illustrare i meccanismi della mediazione teologica eventualmente in atto.
Il laicato era di fatto il trait d’union fra chiesa che arrischia una sortita nel mondo e società italiana costruitasi culturalmente e socialmente, dall’unità politica in poi, sugli elementi del liberalismo a cavallo del secolo, del laicismo della cultura accademica, del grande movimento operaio confluito in canali politici tradizionalmente ostili alla chiesa ufficiale.
Va ricordato che l’isolamento della chiesa italiana era di lunga data e di vaste proporzioni storiche: rifiuto delle libertà dell’Ottocento liberale (Quanta cura e Sillabo, 8 dicembre 1864), opposizione dello stato pontificio all’unità d’Italia e questione romana, il non expedit di Pio IX (1874) rinnovato da Pio X, la legge delle guarentigie (13 maggio 1871), soppressione delle facoltà teologiche nelle università di stato (decreto regio 26 gennaio 1873),e conseguente processo di clericalizzazione della teologia. Nel nostro secolo, una fase assorbita dalla crisi modernista e dall’enciclica Pascendi (8 settembre 1907), quindi dalla compromissione col fascismo; una seconda fase dall’Humani generis (12 agosto 1950), dalla Munificentissinus Deus (1 novembre 1950) e dalla scomunica del «comunismo ateo» (1 luglio 1949). La teologia - e la pastorale - in terra d’Italia oscillò, dal secondo dopoguerra al Vaticano II, tra idiosincrasia per la «nouvelle théologie», compiacimento nei dogmi mariani e torneo col comunismo di casa (cfr. B. Ferrari, La soppressione delle Facoltà di Teologia nelle Università di Stato in Italia, Brescia 1968; AA. VV., La teologia italiana nel ventennio 1950-1970, Milano, La scuola Cattolica, 1975).
Questo rende ragione del tal quale disorìentamento della chiesa intaliana quando la repentina folata del concilio (1962-66) investì casa nostra; e parimenti dell’impazienza a forzare mediazioni sociali e culturali (nei ritmi e nei contenuti) quando verosimilmente le esigue scadenze di tempo permettevano - ed esigevano - una preliminare reciproca conoscenza tra i termini dialoganti, resi estranei l’uno all’altro da un secolo di spaesamento. Ricordate la pubblicistica laica dibattersi alla sprovvista col lessico teologico del Vaticano II? Come noialtri profani coi vibrioni e salmonellosi, diventati tropo subitamente illustri.
E torniamo a VS.
Ci si domanda della funzione civile e teologica del laico nella chiesa di Dio. Non è più questione, come si vede, d’una «teologia per laici», fatta dai chierici e propinata ai laici; ma d’una «teologia laicale» che stabilisce il laico soggetto di atti ecclesiali ed eventualmente di riflessione critica di fede sulla propria prassi sociale (Vela, Teologia per laici e teologia «laicale»: 1967, pp. 515-20). Il documento sul dialogo del Segretariato per i non credenti (1 ottobre 1968) mette alla prova e la maturità del laicato cattolico e le ritrosie della tradizione clericale della chiesa italiana. Contrastanti le reazioni della pubblica opinione.
Ad un certo e comprensibile compiacimento dell’estrema sinistra, si è unito il grido allo scandalo delle destre, come se il documento intendesse giustificare e favorire praticamente il dialogo tra cattolici e comunisti (Vela: 1968, p. 485).
La paura, si sa, fa precipitare nel pericolo anzitempo. Ma qui lo «scandalo delle destre» denuncia (suo malgrado) il presentimento che taluni prendessero sul serio la teologia conciliare del laicato e ne traessero le lecite conseguenze.
I punti salienti del documento suaccennato enucleano indicazioni del Vaticano II, ed in specie: passaggio da una chiesa in stato di difesa ad una aperta al dìalogo; da una chiesa autoritaria ad una che promuove la corresponsabilità di tutti i suoi membri; da una chiesa del rito ad una partecipe della promozione integrale dell’uomo (ib., pp. 485-86). Il dialogo promosso dal Segretariato ha di mira tutti i non credenti. Di fatto, nella specifica situazione italiana, l’interlocutore che fa blocco è il marxista. E il documento in questione fa parola esplicita del dialogo coi “marxisti”. Dialogo difficile - si dice - per l’intima unità posta dal marxismo tra teoria e prassi, che inclina irresistibilmente il «dialogo ideologico» al «dialogo pratico».
E che dire della possibilità d’un dialogo politico, di collaborazione nell’esercizio del potere pubblico tra cattolici e comunisti?
Per rispondere si deve ricorrere al principio metodologico generale dato dal documento quando parla del dialogo sul piano dell’azione: il giudizio sull’opportunità di tale tipo di collaborazione va desunto dalla situazione storica d’un dato paese; sarà l’esame della situazione concreta di tempo e di luogo... che dirà se esistono le condizioni reali... per un tale tipo di dialogo. Pronunziare un tale giudizio e la responsabilità di esso, spetta direttamente ai laici cattolici.
Vogliamo ricordare come uno dei motivi ispiratori che ci hanno guidato, nel rinnovamento di VS, è stato quello di stabilire un dialogo sia a carattere propriamente ecumenico, sia con i non credenti e in particolare con i marxisti... La nostra rivista in più di una occasione ha attuato questo dialogo e intende portarlo avanti, con obiettività e chiarezza, nello spirito della Gaudium et Spes e di questo Documento (Vela: 1968 p. 486, b).
Dicembre 1968: esce il quotidiano cattolico «Avvenire», dalla fusione di due testate preesistenti, «L’Avvenire d’Italia» di Bologna e «L’Italia» di Milano. Quali i motivi delle dimissioni di Raniero La Valle direttore del foglio bolognese e del successivo rimanaggiamento? I motivi ufficiali d’ordine economico-amministrativo?
Di fronte a dei fatti come la guerra del Vietnam il quotidiano bolognese non poteva non prendere posizione. L’aver presentato un determinato indirizzo che noi stimiamo autenticamente cristiano e in linea con il rinnovamento conciliare, non piacque a un certo numero di persone... Se alla guerra nel Vietnam aggiungiamo le questioni di politica interna (ci riferiamo in particolare alla posizione ufficiale dei cattolici nella vita politica), abbiamo un quadro... sufficiente a delineare ciò che è stato per il rinnovamento cattolico italiano un giornale come «L’Avvenire d’Italia». Si deve parlare quindi con più proprietà di soppressione e non di normale avvicendamento comune alla esistenza di tutti i quotidiani. Si è trattato di un tentativo tendente a bloccare un certo discorso politico che però non può terminare, e che non è certamente terminato (Mario Bartolomei: 1969, pp. 103-104; cfr. anche 1971, pp. 379-81).