Tra 1971 e 1975 si registra un progressivo sfaldamento delle speranze conciliari in Italia. Se ne può seguire la cronaca sulle pagine di VS. Basta scorrerne gl’indici.
svuotamento della contestazione ecclesiale, delle comunità di base, dei gruppi spontanei, fallito collegamento delle riviste di rinnovamento eclesiale;
crisi della stampa cattolica: «L’Avvenire d’Italia», «Questitalia», dirottamento (a destra) di «Studi francescani»;
scissione delle ACLI, rallentamento del processo d’unificacione sindacale;
ripiegamento teologico (La festa dei folli, la pietà popolare; disciplina liturgico-sacramentale regressiva);
segnali d’allarme e «intimidazioni» da parte di «Civiltà Cattolica»;
sinodi dei vescovi e disillusioni conciliari;
scollamento dell’unità politica dei cattolici e recrudescenza dell’integrismo religioso: referendum per il divorzio, elezioni politiche del ’72 e amministrative del ’75 (il «15 giugno rosso»); rigoglio di Comunione e Liberazione;
violenza in Brasile (Marco Giammarino: 1970-71), compromissione cattolica in Cile e in Spagna;
violenza; teologia della rivoluzione (Aldo Tarquini);
recrudescenza del capitalismo mondiale in forma delle multinazionali;
ritorno all’attacco frontale col marxismo (e/o col PCI?) ancora tipo toro e muleta scarlatta;
crisi economica, crisi politica, crisi partitica (Al di là della DC e del PCI: Bertone), crisi petrolifera...
Dall’editoriale novembre-dicembre 1972:
quando il segretario del partito di maggioranza afferma, sulla propria responsabilità, che esistono gruppi organizzati con piani eversivi in senso reazionario; quando il partito «rivoluzionario» è costretto dalla delicatezza della situazione a controllare persino l’uso dei termini del proprio vocabolario...; quando l’ispirazione gramsciana di educazione delle masse è stata accaparrata dagli intellettuali desiderosi di carriera universitaria, quando da tempo si è spenta la speranza nella voce di alcuni «pastori» e il discorso di questi ha cessato di essere «dialogo» per diventare di nuovo apologia delle proprie istituzioni; quando si verificano tutte queste cose, si deve senz’altro dire che la situazione italiana è critica (Redaz.: 1972, p. 458).
La denuncia è spietata. Ma il ricorso letterario alla crisi ha un che di querimonioso, sa di remissione rispetto alla gran voglia di spuntarla e alle analisi robuste degli anni eroici.
«La crisi che sta attraversando la chiesa in Italia è grave... » (Redazione: 1974, p. 205). Il contenuto di fede non trova né volto né parola (ib.). È ben doloroso per VS dover dire tali cose. Si era messa, per l’appunto, al servizio d’una mediazione che desse alla fede un “volto riconoscibile” e una “parola intelligibile”.
La verità della denuncia non riscatta dallo scoramento. Né trattiene le emozioni, le quali reclamano, con perfetta scelta di tempo, la congrua parte di gratificazione. Il trasalimento lirico innesta qui il proprio diritto.
Questi concetti d’urto [diritto al dissenso, alla visione del mondo, alla libertà d’educazione, all’immagine, all’intimità] si presentano più come un processo storico di trasformazione della società; trasformazione che se autorizza, anche con i fatti, la speranza cristiana, non ci permette di precisare ancora i concetti che potranno essere codificati per la futura società. Se questa dovrà porsi in alternativa alla presente, dovrà essere fondata non sul calcolatore elettronico, ma sulla poesia e sull’amore... (Verde: 1973, p. 251).
Inermi e patetiche, poesia e amore fanno la loro comparsa su un proscenio irto, fin qui, solo di pungitopi.
E ci s’imbatte in altri bivi:
Verde.
Stabilire se una linea pastorale proposta si può ridurre in in termini evangelici è l’unico criterio per verificarne l’esattezza e la praticabilità...
I ragionamenti che, partiti dalla lettura del Vangelo, hanno portato, con la mediazione culturale marxista, alla formulazione della «scelta», vengono così posti come oggetto della pastorale, e perciò della evangelizzazione (Una doverosa questione di pastorale: 1975, p. 190).
Se lo sviluppo del processo storico della società industriale porta alla formazione di classi con opposti interessi, e se il raggiungimento di rapporti giusti implica che le classi entrino necessariamente in lotta tra loro, non ne consegue che la necessità della lotta di classe si ponga all’interno della pastorale sulla giustizia: se così si facesse, si darebbe una norma di vita politica, non la trasformazione della coscienza cristiana sulla giustizia.
(…) Ogni evangelizazione ha come suo contenuto il concetto dell’amore (p. 191).
La lotta per la emancipazione della classe operaia se viene assunta all’interno di un disegno pastorale, può mettere in risalto la caratteristica dell’agire e del comportamento per l’altro, ma lascia da parte la caratteristica più genuina del diventare l’altro (p. 192).
Se la scelta della difesa dell’oppresso come lotta non può essere il contenuto della pastorale odierna, la scelta della difesa dell’oppresso come dedizione e sacrificio dev’essere il contenuto della pastorale odierna (p. 193).
Camporeale, nel medesimo fascicolo:
Ogni cristiano percepisce più che mai che la sua Fede si concretizza nel «temporale»: che la Storia della Salvezza si dispiega nella Storia degli uomini, e che l’amore verso Dio - la carità - si realizza nell’amore del prossimo. Tutto questo implica che ogni qualvolta mutano le congiunture storiche, e la convivenza umana subisce trasformazioni radicali, e i rapporti socio-politici si ampliano o si modificano, anche la prassi di fede, l’operare nella carità, e la stessa speranza del credente, vengono messi in crisi (Chiesa, cristiani e movimento operaio: 1975, p. 222).
Gli strumenti di analisi più appropriati per comprendere la realtà in cui oggi noi viviamo, sono quelli offerti dal Movimento Operaio; o meglio, più esplicitamente, dalla presa di coscienza a livello pratico e teorico del proletariato...
La politica, quindi, non è altro che prassi di emancipazione per la socializzazione dei mezzi di produzione e dei poteri decisionali…(p. 223).
È la stessa prassi politica del Movimento Operaio il luogo per una ripresa di coscienza delle dimensioni della Parola di Dio, della misura della carità, del significato del peccato e della Redenzione...
È a questo punto che la fede diventa, o può diventare indirettamente o di riflesso, fonte di ispirazione per lo stesso agire politico. La fede cristiana nella Salvezza e nella Redenzione potrebbe assumere allora, come per via di effetto indotto, la funzione quasi di una «forza produttiva» che contribuisce, con le altre, a mutare radicalmente i vecchi e ingiusti rapporti di produzione (p. 224).
Il dialogo continua? Tra chi?
In questo medesimo fascicolo il lettore può leggere un ulteriore intervento di Simoni «in dialogo» con quanto riportato or ora di Camporeale. La lezione è ovvia di suo.
Per esser completi, a questo punto bisognerebbe allargare il discorso e dire come - vigile alla quotidiana novità della società e della chiesa - VS si apre altre strade: la rubrica Terzo Mondo e Vangelo iniziata col primo fascicolo 1971 (redattori il cattolico Corghi, il marxista Levrero, i domenicani Giammarino e Panella), il tema della scuola (Verde, Giammarino, Ales Bello), della famiglia, divorzio, aborto (Francesco Cubelli), della donna (Ales Bello, Roscioni)... Una parola a parte meriterebbe la riflessione condotta da Camporeale sugli sviluppi dei «cristiani per il socialismo» a partire dal convegno di Bologna (settembre 1973). In realtà si tratta più d’una ripresa che d’una continuazione, a motivo della diversa composizione sociale del movimento e dell’origine della riflessione teologica (teologia della liberazione del Sud-America). Ma è cronaca del giorno.
Una valutazione d’insieme di quel che è stata l’esperienza di VS nella chiesa italiana del dopo-concilio? Si rischierebbe, a partire dagli spunti critici introdotti con discrezione in queste pagine, di forzare VS su una tavola rotonda che essa ha aborrito fin dall’editoriale programmatico 1966. In più, le possibilità di dire e di fare nella società civile - come in quella ecclesiale - filano una trama ben più fitta dietro le pagine d’un periodico. E chi, come VS, fa buon uso dell’esiguo spazio concesso, talora dice ciò che intende, talaltra dissimula ciò che non può dire; spesso fa ciò che non può né dire né dissimulare. Come tirare un rendiconto in calce a fogli stampati?
Il lettore qui ha soltanto la scarna evocazione d’un’avventura di fede che esiste solo nei fatti. Ad essi è legata e la presenza e la riflessione teologica di VS. Ed è là che se ne potranno scovare audacie e perplessità, rischi e intuizioni, propositi e tentennamenti - mobili e cangianti come il flusso d’una vita (e d’una fede!) in crescita. Le vicende d’una teologia articolata tra chiesa e mondo non possono essere che vicende delle tentazioni della fede. E la storia ha i suoi modi di aprire e di chiudere i cicli di vita; di dilatare e di costringere i cerchi di sopravvivenza. Probabilmente solo parallele esperienze spirituali hanno funzione ermeneutica, e dunque valutativa.
Quella di Tommaso d’Aquino, ad esempio. Il concilio di Parigi (1210) e lo statuto (1215) del cardinale Roberto di Courçon per l’università parigina mettono al bando l’aristotelismo sovversivo dei libri naturales (fisica e metafisica) - che doveva sonare qualcosa come «materialismo, naturalismo» a confronto con la teologia agostiniana e neo-platonica allora dominante.
Nec libri Aristotelis de naturali philosophia nec commenta legantur Parisiis publice vel secreto, et hoc sub pena excommunicationis inhibemus. = proibiamo sotto pena di scomunica che i libri aristotelici sulla filosofia naturale o loro commentari siano assunti come testo d'insegnamento (nella facoltà delle arti) in Parigi, in forma pubblica o in segreto
Gregorio IX rinnova l’interdizione con i decreti 7 luglio 1228 e’13 aprile 1231 (denuncia un insegnamento teologico incline ad doctrinam philosophicam naturalium; cosicché i teologi appaiono più theophanti che theodidacti). Ma il medesimo papa istituisce contemporaneamente una commissione di tre membri perché indaghi se i libri naturalium contengano alcunché d’utile, ne utile per inutile vitietur.
Una denuncia dei magistri di Parigi e poi del vescovo (1241-44) condanna come error l’opinione che neghi che «un medesimo luogo, il cielo empireo, ospiti e angeli e anime dei redenti e corpi glorificati». La cosa non è ridevole. Contro l’immagine dell’universo e dell’uomo a sfondo neo-platonico, l’antropologia aristotelica stava recuperando la consistenza della temporalità dell’uomo in forza dell’unità sostanziale forma-materia; di qui la non omologabilità dell’uomo con le «sostanze pure». E il processo di sostituzione della mediazione aristotelica a quella neo-platonica e dionisiana nella teologia del XIII secolo è inarrestabile. Urbano IV (1261-64) promoverà le traduzioni dal greco e inciterà Alberto Magno e Tommaso d’Aquino a commentare Aristotele.
Il ruolo dei due frati domenicani in questo capitolo della storia della fede è ben noto. La consistenza della natura, e quindi della temporalità e storicità dell’uomo, veniva teologicamente restituita alla società mercantile-comunale del tempo. Per Alberto e Tommaso furono anni di formidabile fervore culturale ed evangelico. Prepararono per la chiesa e per l’intelligenza della fede la novità culturale - mediazione “fede e città dell’uomo” - che definì il cristianesimo europeo del tardo medioevo. Ma dovettero pagare lo scotto del proprio ardire. Tra gli stessi confratelli come nella più ampia comunità di fede. Le condanne del vescovo Tempier di Parigi del 7 marzo 1277 (vi erano colpite alcune tesi tomasiane) e il divieto a Oxford da parte di Robert Kilwardby o. p., arcivescovo di Canterbury, d’insegnare sedici proposizioni tomasiane (18 marzo 1277), confermato dal successore John Peckham o.f.m. (29 ottobre 1284), la condanna di otto proposizioni tomasiane da parte dello stesso Peckham (30 aprile 1286) hanno tutta l’aria di un’ultima impotente barriera. Pochi decenni, dalla morte di Tommaso (1274) alla sua canonizzazione (1323), dimostreranno che l’incontro fede-cultura in chiave aristotelica era stato, per il medioevo cristiano, storia della fede; le resistenze, strascico di sovrastruttura.
Ieri come oggi. Padre Chenu, ad esempio.
La vostra fiducia [p. Chenu si rivolge a confratelli domenicani in riferimento alla libertà di ricerca teologica nell’Ordine] dà pieno significato alla mia presenza, come test della libertà della ricerca teologica. La contestazione stessa che per un momento si è manifestata rivela la portata e la difficoltà di mettere in atto il principio affermato al nostro Capitolo di Chicago. Oserò aggiungere che è anche un segno della nostra fedeltà a S. Tommaso, il quale, nella novità del suo insegnamento e del suo metodo, fu - voi ben lo sapete - duramente contestato.
La libertà, qui come altrove, la libertà evangelica si paga a caro prezzo... (VS 1969, p. 413).
E la gerarchia cattolica? E i superiori degli Ordini religiosi?
La chiesa è assuefatta ai secoli; si concede, talvolta, di mancare gl’istanti.
■ Mi capita di leggere, quasi memoria di tempi andati, due interessanti contributi alla rievocazione di quegli anni:
S. FIORI, Il silenzio dei cattolici democratici, "La Repubblica" 12.VII.2006, pp. 40-41; Se il dialogo muore a sinistra, ib. 13.VII.2006, pp. 46-47.
■ 7.VI.2012: notizia del decesso di p. Marco Giammarino OP (n. 1933), vecchio amico e collaboratore nel periodo pistoiese.