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Due maestri in una scuola di teologia:
 Cordovani e Chenu
,

«Vita sociale» 40 (1983) 166-76.

1 M.-D. Chenu, Une école de théologie: Le Saulchoir (1937), all’Indice dei libri proibiti (1942) 5

Brani di Une école di Chenu sottolineati
o censurati da Cordovani:

Le Saulchoir | spirito e metodi | ??? |

2 Le 10 proposizioni sottoposte alla firma dell'autore (1938)
3 Mariano Cordovani, maestro del Sacro Palazzo 1936-1950, Per la vitalità della teologia cattolica (1940) 6 teologia | Contenson | "Definizione pericolosa"
filosofia | "S. Tomm. non filosofo" |
studi medievali
4 Bibl. San Domenico di Pistoía XXXIII-c-12: copia di Une école recante annotazioni autografe del Cordovani 7 1942: «petit père, tra vent’anni parleranno tutti come lei» | lettera 4.VI.1982
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Come fu condannata “Una scuola di teologia”

1. Nel 1937 usciva Une école de théologie: Le Saulchoir del domenicano Marie-Dominique Chenu (1895-1990). Vi si esponevano programmi e metodi che animavano l’équipe dei domenicani francesi alla ripresa d’un lavoro teologico interrotto prima dalla senescenza culturale della tarda scolastica e poi dalla bufera della rivoluzìone francese; ma che si riallacciava spiritualmente ai primi due secoli (XIII-XIV) di rigoglio intellettuale e religioso del convento e studium domenicano di Saint-Jacques di Parigi. Il Sant’Uffizio, con decreto del 4 febbraio 1942, mise all’Indice dei libri proibiti lo scritto di Chenu, insieme all’Essai sur le problème théologique di L. Charlier, anch’egli domenicano. L’«Acta Apostolicae Sedis» 34 (1942) p. 37 riporta il decreto di condanna e a p. 148 la dichiarazione di sottomissione del 26 marzo 1942: «P. Domenico Maria Chenu e P. Luigi Charlier hanno fatto lodevole atto di sottomissione al decreto del Sant’Uffizio del giorno 4 febbraio 1942 col quale venivano condannati e inseriti nell’Indice dei libri proibiti i libri Une école de théologie... e Essai sur le problème théologique...».

Esce ora in traduzione italiana il libro di Chenu: Le Saulchoir. Una scuola di teologia, Casale Monferrato (ed. Marietti) 1982, pp. 109: traduzione di N.F. Reviglio, revisione a cura di G. Pariani e G.L. Potestà. L’Introduzione del prof. G. Alberigo (pp. VII-XXX) ricostruisce le vicende del libro e della condanna, traccia l’itinerario teologico di Chenu. L’Autore arricchisce l’edizione italiana con una Premessa (XXXIII-XXXV) datata Parigi, febbraio 1981.

La biblioteca del convento San Domenico di Pistoia accoglie il fondo librario dello Studium della provincia Romana dei domenicani. Parte considerevole di esso è costituito dalla bíblioteca personale di p. Mariano Cordovani, della medesima provincia religiosa, maestro del Sacro Palazzo (oggi si dice Teologo della Casa Pontificia) dal 1936 a 1950, anno della sua morte. Sotto la segnatura XXXIII-c-12 è conservato l’esemplare di Une école de théologie appartenuto a p. Cordovani, e che - come molti altri libri del medesimo, trasferiti nella biblioteca del convento pistoiese - porta al margine frequenti note o sottolineature autografe del Cordovani. Quando il libro di Chenu fu condannato, maestro del Sacro Palazzo era appunto p. Cordovani. Ed è lecito supporre che il parere di costui avesse un peso non secondario sulla decisione del Sant’Uffizio. Tra la pubblicazione del libro (1937) e la condanna (1942) trascorsero cinque anni. Il decreto del 4 febbraio 1942 arrivò di sorpresa e a completa insaputa dell’Autore. Il fulmine risultò tanto più inatteso e doloroso in quanto nel 1938 p. Chenu, convocato a Roma, aveva sottoscritto dieci proposizioni sottopostegli dalla Congregazione del Sant’Uffizio. Riteneva, dunque, che il caso fosse chiuso. Dirigeva allora la Congregazione il cardinale D. Sbarretti, assessore ne era mons. A. Ottaviani. Tra i consultori figurava M. Cordovani. Rettore e vicerettore dell’Ateneo domenicano Angelicum erano rispettivamente M. Browne (poi maestro del Sacro Palazzo, generale dell’Ordine e cardinale) e R. Garrigou-Lagrange. Ma tra l’apparizione di Une école e la condanna s’inserisce un dato di qualche importanza nella vicenda: il 14 marzo 1940 p. Cordovani, commemorando la festa di san Tommaso d’Aquíno, tenne all’Angelicum un’impegnata conferenza dal titolo Per la vitalità della teologia cattolica che, tra l’altro, denunciava talune «tendenze moderne» in teologia. La conferenza ebbe ampia risonanza nei circoli teologici ed ecclesiastici (cf. R. Spiazzi, P. Mariano Cordovani dei Frati Predicatori, Roma 1954, I, 392-403); fu diffusa da «L’Osservatore Romano» del 22 marzo 1940, e riprodotta, per interessamento di Garrigou-Lagrange (cf. Spiazzi, op. cit. I, 402), nella rivista «Angelicum» 17 (1940) 133-46.

È possibile stabilire con più esattezza il ruolo del Cordovani nella condanna di Chenu e individuare tesi e brani di Une école che disturbavano la teologia del maestro del Sacro Palazzo? Non si tratta di mettere due uomini a confronto, meno ancora di spingerli sul ring per il nostro piacere. Si tratta piuttosto di riandare le vicende di una medesima fede contesa tra due teologie, di cui una detiene il potere di sindacare l’altra.

Mariano Cordovani (1883-1950), toscano di umile famiglia casentinese, dall’intelligenza vivace e aperta, d’ampia cultura, eccellente divulgatore di teologia (si ricordi la fortunata trilogia Il Rivelatore, Il Salvatore, Il Santificatore: 1945-46), polemista brillante, acuto critico della cultura crociana, del fascismo, del razzismo, dai vasti interessi - letteratura, sociologia, filosofia del diritto... - è senza dubbio il domenicano italiano più notevole della prima metà del nostro secolo. Franco di carattere, arguto di lingua, schietto di temperamento. Talvolta rustico, sempre informale. Nominato maestro del Sacro Palazzo e obbligato alla “forma” che si conveniva ad ufficio e luogo, si disse di lui che in Vaticano era «una magnifica stonatura» (cf. Spiazzi, op. cit. I, 321). L’aneddotica del temperamento e della quotidianità del teologo del Vaticano ci è pervenuta tramite fr. Lorenzo Luti O.P. († Pistoia, genn. 1980) che gli fu domestico durante i quattordici anni della carica magistrale.

Un teologo a formazione prevalentemente letteraria (la scrittura è pulita e sorprendentemente moderna, la frase diretta, l’aggettivazione sobria ed efficace, benché il lessico ospiti talvolta sonorità papiniane). Ma è a disagio con la storia. Certo la storia gli serve - al pari dei teologí della medesima formazione culturale - come avventizio repertorio da cui estrarre argomento apologetico; ma non gli è né struttura di pensiero né modo di conoscenza. Davanti al testo di Tommaso d’Aquíno si affranca coraggiosamente dai commentari «tomistíci». Interpreta Tommaso con Tommaso. Ma è imbarazzato a ricostruire contesti letterari e coesistenze storiche che fissano l’ermeneutica e il valore del testo tomasiano. È addirittura sprovveduto quando arrischia di stabilire le fonti filosofico-teologiche di Dante in rapporto al tomismo: le zampate d’un Bruno Nardi lo raggiungono passando per G. Salvadori e G. Busnelli. Curioso di mente e liberale di carattere, scrive nella ricordata conferenza sulla vitalità della teologia: «Non approvo affatto quella passione venatoria di chi va in cerca degli errori altrui per la magra soddisfazione di trovare in fallo il collega che lavora nella stessa cittadella teologica» («Angelicum» 1940, 145). È sincero. Ma di fronte a Une école de théologie - in cui la storia è stoffa dell’analisí dell’oggi e del programma del domani - Cordovani non ha antidoti, suo malgrado, alla passione venatoria degli errori altrui.

Il dossier a nostra disposizione non è ricchissimo, ma sufficiente: le dieci proposizioni sottoposte alla firma di Chenu nella primavera 1938; conferenza del Cordovani Per la vitalità della teologia cattolica del 1940; annotazioni dello stesso Cordovani nella copia personale di Une école de théologie. La biografia scritta da R. Spiazzi, già ricordata, è piuttosto una ricca compilazione di testi del Cordovani che potrebbero utilmente essere invocati a illustrazione di molte questioni connesse col caso Chenu (cf. vol. I, 308, 406, 413 ecc.; II, 138 ss., 155 ecc.). Non commenterò i testi. Il lettore stesso vi ritroverà sorprendenti coincidenze. Il filo conduce al decreto del Sant’Uffizio del 1942.

2. Le dieci proposizioni sottoposte a Chenu sono in latino nell’originale. Le trascrivo nella traduzione di Alberigo come riportate in nota all’Introduzione dell’edizione italiana di Une école.

l. Le formule dogmatiche enunciano una verità assoluta e immutabile.

2. Le proposizioni vere e certe, sia in filosofia che in teologia, sono stabili e per nulla caduche.

3. La sacra Tradizione non crea nuove verità, ma si deve fermamente ritenere che il deposito della rivelazione, cioè il complesso delle verità divinamente rivelate, sia stato chiuso con la morte dell’ultimo apostolo.

4. La sacra Teologia non è una (qualche) spiritualità che trova strumenti adeguati alla propria esperienza religiosa; ma è una vera scienza che, con la benedizione di Dío, si acquisisce con lo studio, i cui princìpi sono gli articoli della fede e anche tutte le verità rivelate alle quali il teologo per fede divina, almeno informe, aderisce.

5. I vari sistemi teologici non sono contemporaneamente veri in ciò in cui sono in contraddizione tra di loro.

6. È fonte di gloria per la Chiesa ritenere il sistema di san Tommaso molto ortodosso, cioè del tutto conforme alla verità della fede.

7. È necessario dimostrare le verità teologiche mediante la Sacra Scrittura e la Tradizione, nonché illustrarne la natura e l’interna ragione coi princìpi e la dottrina di san Tommaso.

8. San Tommaso, ancorché autentico teologo, fu anche autentico filosofo; pertanto l’intelligibilità e la verità della sua filosofia non dipendono dalla sua teologia né enuncia verità puramente relative ma assolute.

9. È particolarmente necessario al teologo nel suo procedere scientifico usare la metafisica di san Tommaso e osservare con diligenza le regole della dialettica.

10. È doveroso usare riverente moderazione nel modo di parlare e di scrivere degli altri scrittori e dottori “probati”, ancorché li si ritrovi manchevoli in qualcosa.

ASMN I.C.102 H 72r Felix Thomas (ant. ad vesp., s. Tommaso d' Aq.)3. Da Per la vitalità della teologia cattolica, «Angelicum » 17 (1940) 133-46.

«Ma non invano si può pensare come [lo stesso S. Tommaso] rímaneggerebbe [i suoi scritti], tesoreggiando i progressi della documentazione, le indagini nuove delle scienze, e le mutate condizioni degli animi. E si può credere tomísmo schietto anche questo di fare noi oggi quello che egli fece al tempo suo, e come oggi lo farebbe, cioè con un contenuto sostanzialmente identico, ma con un metodo parzialmente rinnovato » (138-39).

Sotto il paragrafo Di alcune tendenze moderne:

«Non è difficile trovare in alcune pubblicazioni una considerazione soggettiva del dogma in modo da presentarlo non più come verità rivelata, ma come espressione di esperienze religiose dei fedeli» (141-42).

«Ci sono alcuni studiosi che si fanno un vanto di denigrare il passato e si presentano come specializzati nella squalifica di chi ha lavorato prima di loro e meglio di loro. Come se la scienza fosse nata con questi critici, non rispettano nessuno, nemmeno S. Tommaso d’Aquino! La Chiesa ci richiama agli scolastici migliori: essi fanno il contrario. Il Codice di Diritto Canonico vuole un indirizzo tomistico agli studi filosofici e teologici: essi codificano il proprio soggettivismo e marciano per conto proprio. Un relatívismo psicologico e storico pervade certi libri che si presentano come programmi di riforma, e nei quali è ímpossíbile cogliere la verità ontologica rivelata.

C’è chi parla di una teologia che sorge da una contemplazione libera e audace, che ha l’esperienza attuale della vita religiosa come sorgente unica ed immediata, come criterio esclusivo per giudicare ogni progresso. Alcuni parlano di una tradizione creatrice, che costruisce e controlla quello che produce, quasi dottrina fluente e cangiante senza punti fermi.

In queste teorie vaporose abbiamo che la teologia è una spiritualità vaga, che ha trovato modi di espressione adeguati alle sue esperienze religiose» (142).

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