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Come fu condannata
“Una scuola di teologia” di Chenu
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«Vita sociale» 42 (1985) 268-81.

1 da contesa di scuola a giudizio d’ortodossia
2 ricostruzioni storiche
3 umori teologici tra scuola romana e scuola di Le Saulchoir
  É. Fouilloux, Le Saulchoir en procès (1937-1942)
  A. Riccardi, Une école de théologie fra la Francia e Roma  |  ë

Due maestri in una scuola di teologia

1. Come fu condannata. Il perché non fa problema. Une école de théologie: Le Saulchoir (1937), sebbene orientata a tracciare in positivo le linee maestre di metodi e funzioni della teologia a confronto con la cultura e società contemporanee, implicava una netta critica del metodo teologico prevalente nelle università e istituti ecclesiastici. I teologi delle università romane, colpiti nel vivo, fecero valere le loro ragioni trasferendo una contesa di scuola in un giudizio d’ortodossia cattolica. La sentenza fu la messa all’Indice dei libri proibiti in febbraio 1942. Difficile contestare questa insidiosa (e inquietante) manovra dei teologi romani - del cui servizio e consulenza si avvaleva il Sant’Uffizio - quale ragione decisiva della sanzione del 1942. Come difficile appare, fin’anche al teologo classico, individuare in Une école, di là da posizioni di legittimo dibattito in scuole di teologia, tesi che compromettano la fede cristiana. «Tra vent’anni tutti parleranno come lei», disse il card. Suhard a p. Chenu in occasione della condanna. Il contributo di Chenu al concilio Vaticano II fu notevolissimo. E oggi ogni cattolico può leggersi con buona pace la riedizione di Une école de théologie (Les Éditions du Cerf, Paris 1985; traduz. italiana ed. Marietti 1982); semmai senza il piacere della clandestinità, come furono le mie prime letture di Yves Congar e Marie-Dominique Chenu (deceduti nel frattempo, rispettivamente 1995 e 1990) tra 1958 e 1961 quand’ancora studente di filosofia nello studium domenicano di Pistoia: li ebbi sottobanco con la complicità d’un professore “atipico”, di nascosto dai superiori accademici e religiosi (peccato per il quale non ho ancora trovato pentimento). Si tratta allora di capire come si pervenne alla condanna del 1942; come una scuola di teologia poté tirare dalla sua il supremo organo della chiesa cattolica preposto alla custodia dell’ortodossia e attivarne la sentenza di condanna.

2. Due storici del cattolicesimo francese, Étienne Fouilloux dell’Università di Caen (Le Saulchoir en procès (1937-1942), in M.-D. Chenu, Une école de théologie: Le Saulchoir, Paris 1985, 37-59) e Andrea Riccardi dell’Università di Bari (Une école de théologie fra la Francia e Roma, «Cristianesimo nella storia» 5 (1984) 11-28), illustrano il clima della chiesa francese tra le due guerre mondiali, tracciano le relazioni tra Santa Sede, movimenti pastorali e nuove proposte teologiche in terra di Francia tra la crisi del modernismo e l’enciclica Humani generis (1950), individuano le conflittualità all’interno del cattolicesimo francese di fronte alla guerra di Spagna, all’esperienza dei preti operai, alla decristianizzazione, alla nuova cultura laica, al rinnovamento teologico degli anni ’30-40. Entro tali estremi ricostruiscono le vicende che portarono alla condanna di Une école. Abbiamo estratto (e tradotto dall’originale francese nel caso di Fouilloux) per i lettori di VS i brani più pertinenti al caso Chenu. I due autori (più sistematicamente il Fouilloux) utilizzano fonti di prima mano: carte personali, lettere e testimonianze degli attori della vicenda, archivio della Provincia domenicana di Francia (specie «Pièces du p. Garrigou-Lagrange», il dossier cioè del visitatore apostolico incaricato del caso), cronaca di Le Saulchoir, corrispondenza tra Santa Sede e arcivescovo di Parigi (Archivio Arcivescovile di Parigi) ecc. Le note, che per lo più rinviano alle fonti archivistiche, non sono riprodotte nei brani qui riportati (talune sono state inserite nel testo).

La ricostruzione risulta nel suo insieme attendibile e ben documentata; né la predilezione per un lessico qua e là “pregiudizíale” nel contributo di Fouilloux compromette la solidità della ricerca e la flessibilità di fronte a possibili interpretazioni alternative. C’è da dire semmai che la documentazione non raggiunge gli attori del versante romano e la versione che costoro dettero della controversia. Manca soprattutto il contributo dell’Archivio del Sant’Uffizio (ancora inaccessibile per quegli anni) che potrebbe dar risposte definitive a molti interrogativi residui. Tra la rosa dei nomi indiziati, chi di fatto presentò denuncia al Sant’Uffizio contro Une école? Chi mise in moto il meccanismo di procedura della Congregazione? Chi istruì il caso e formulò tesi e dottrine ritenute sospette? Sappiamo che in febbraio 1938 furono sottoposte alla firma di Chenu dieci proposizioni. Il foglio non porta intestazione del Sant’Uffizio né firma d’alcun ufficiale della Congregazione (riproduzione fotografica del foglio in Une école, Paris 1985, 35). Il che solleva delicate questioni: quale valore giuridico attribuire al documento? quale procedura fu di fatto seguita? chi redasse il testo delle dieci proposizioni? Il buon Chenu firmò. Ma che assenso gli si chiese? a un testo della suprema Congregazione della S. Sede? a un testo di privati teologi?

3. Ma se - come di fatto risulta - la sanzione maturò sotto la spinta dei teologi romani, non bisognerà ignorare, oltre alle inconciliabili tendenze di scuola, irritazione e risentimento per le piccanti critiche bibliografiche che l’équipe di Le Saulchoir riservava alle pubblicazioni dei colleghi d’oltralpe. Il p. Gillet, generale dell’Ordine domenicano, esprime più volte la convinzione che Le Saulchoir sia stato vittima della propria sufficienza e del tono polemico usato con teologi di diversa tendenza (cf. Fouilloux p. 56). La decima proposizione sottoposta a Chenu diceva:

«È doveroso usare riverente moderazione nel modo di parlare e di scrivere degli altri dottori “probati”, ancorché li si ritrovi manchevoli in qualcosa».

Non che i teologi romani fossero più teneri nei loro apprezzamentí; ma l’erudizione storica e la ricchezza intellettuale delle analisi dei maestri di Le Saulchoir spuntavano gli artigli alle zampate romane e ne respingevano la passione polemica negli anfratti della rivalsa istituzíonale. Ecco qualche spunto dal Bulletin thomiste (organo di Le Saulchoir) negli anni di Une école.

J. Tonneau aveva già fugacemente annotato le «generalità filosofiche» di quanto p. Mariano Cordovani scriveva sulla dottrina politica di san Tommaso (Bull. thomiste 1935, pp. 523-24; 1935, 538); vi ritornava più estesamente qualche anno dopo: «Secondo p. Cordovani la filosofia del diritto ha per caratteristica d’evitare sia le astrazioni di cui talvolta si compiace la filosofia pura che il positivismo terra-terra dei giuristi pratici; la natura di questa scienza è d’essere architettonica, capace di costruire e dirigere, con la profondità dell’ontologia e la chiarezza delle scienze esatte. L’A. confessa con santa semplicità che, senz’essere un vero specialista, ha sempre nutrito simpatia per la filosofia del diritto ed esprime la propria gratitudine, in termini ferventi, al Governo Nazionale [siamo nel 1938!] che gli ha conferito la libera docenza di questa disciplina all’Università di Firenze. Il p. Cordovani qualifica la propria dottrina di realismo razionale e tradizionale. Non ci si potrebbe augurare miglior garanzia; suo punto d’onore è meno (il se pique moins de) la novità e l’originalità che la fedeltà e la solidità (...). Chi non nutrirebbe ammirazione per un tal programma e non invidierebbe gli uditori di p. Cordovani» (Bull. thomiste 1938, 482-83). Cordovani era maestro del Sacro Palazzo (teologo ufficiale della S. Sede) già da due anni.

Chenu recensisce con controllata ammirazione il De Deo uno di Garrigou-Lagrange, senza esimersi però dal vedervi «il più tradizionale tomismo marcato da un vigorosissimo tratto personale» (Bull. thomiste 1938, 535-38); ma nell’affettuosa necrologia per Thomas Pègues OP (professore all’Angelicum 1909-21, a Saint-Maximin 1921-27, implicato nell’Action française, reggente degli studi a Pistoia 1927-35, † 28.V.1936) non rinuncia a definire con lucidità caratteri e limiti dell’esegesi tomista di Pègues, nonché i suoi esiti. Temi e stilemi rinviano inequivocabilmente a Une école, che apparirà l’anno successivo.

«Poco attento al mistero delle cose e all’ínfinita finezza dello spirito, non fu affatto sensibile in teologia al rinnovamento mistico che segnò la cristianità del dopoguerra, e si ancorò al consueto dommatismo di chi percepisce la chiarezza razionale delle conclusioni anziché la luce segreta dei princìpi. Cosícché il suo fervore per il Dottore Angelíco lo conduceva a concepire la fedeltà a san Tommaso come una “ortodossia” attaccata a delle proposizioni definite. Fu pertanto uno dei campioni più tenaci della formulazione in “24 tesi” della filosofia di san Tommaso promulgate dalla Congregazione degli Studi come norma d’insegnamento, campione non solo di quelle tesi ma della loro incondizionata obbligatorietà. La sua ammirazione per san Tommaso s’esprimeva in propositi estremi dove si perdevano quel senso e quella delicata discrezione del teologo che, di fronte alla Rivelazione, considera con relativismo le più sicure costruzioni della ragione teologica. “Poiché la dottrina della Summa [di san Tommaso] è la dottrina stessa della Chiesa, come è evidente che mai cambierà la dottrina della Chiesa, così di conseguenza non potrà cambiare la dottrina della Summa” (t. I, p. xxviii)... In assenza di debite distinzioni, eresse il suo tomismo a un’ortodossia poco propizia all’analisi dei problemi più legittimi, rendendo così san Tommaso apparentemente solidale con l’integrismo d’un clan, dove il tomismo serviva da paravento a ogni sorta d’istanze e d’alleanze. Nelle medesime congiunture si disse - e p. Pègues lo credeva - che il razionalismo di Maurras era il miglior testimone di questa “ortodossia tomista”. Il senso cristiano e l’autorità della Chiesa spezzarono queste false solidarietà restituendo al tomismo la propria libertà - e la propria oggettività - contro siffatti utilitarismi» (Bull. thomiste 1936, 894).

Il lettore s’imbatterà, nel contributo di Fouilloux, nell’accenno alla necrologia di Chenu per il card. Lépicier, che avrebbe indignato Gabriele Roschini. Ecco il brano incriminato:

«Se esser tomisti consiste nell’ammettere tutte le conclusioni di san Tommaso a partire dalla distinzione reale dell’essenza e dell’esistenza fino alla composizione del cielo cristallino, dalla causalità fisica dei sacramenti fino alla teoria dei quattro elementi, p. Lépicier fu un fedele tomista. Ma se il vero discepolo penetra i princìpi e lo spirito del maestro per stabilire in permanente apertura e necessario progresso i fondamentali problemi del pensiero, filosofico e teologico, bisogna confessare che p. Lépicier, proprio sulle nozioni metodologiche prime della teologia  -  rivelazione, ispirazione, fede, domma ecc.  -  mai sperimentò le esigenze spirituali che furono d’un Alberto Magno e d’un Tommaso d’Aquino» (Bull. tbomiste 1936, 895).

Nel contesto della critica a un’attività teologica più incline a formulare tesi che ad alimentarsi nel nucleo vivo che origina e sostiene la riflessione sulla fede in permanente apertura, Chenu aveva scritto: «Ce fut le péché de plusières générations de théologiens “spéculatifs”, depuis le XIIIe siècle surtout, et le péché de l’enseignement qui en dépend encore, de céder au prestige de cette clarté rationnelle, installée au coeur de la foi, pour en organiser systématíquement le “donné”» («Revue des sciences philosophiques et théologiques» 1935, 245). Gabriele Roschini commentava nel 1945: «Il p. Chenu poi è arrivato a dire che l’organizzazione sistematica del dato rivelato è un peccato. Se fosse un peccato, bisognerebbe concludere che tutti i grandi Scolastici l’han commesso, e che san Tommaso sia stato in ciò il più grande fra i peccatori. O felix culpa!» (Acta Pont. Acad. Romanae S. Tomae Aquinatis X, 1945, 92-93).

A condanna avvenuta, dislocati ormai confronto intellettuale e ricerca di fede nell’aula della pubblica censura, anche le finezze del pensiero storico si disciolgono nella dissipazione totale del linguaggio.

I

Da É. Fouilloux, Le Saulchoir en procès (1937-1942), in M.-D. Chenu, Une école de théologie: Le Saulchoir, Les Éditions du Cerf, Paris 1985, 48-55; tutto il saggio pp. 37-59.

Sotto l’ondata dell’emozione [per la condanna del 1942], la maggior parte dei testimoni o attori - a partire dallo stesso Chenu - manifestano la loro sorpresa. Questa è basata su ragioni concernenti e la congiuntura e le modalità della sanzione.

Tra la prima serie, si fa valere l’esiguità e la breve durata della diffusione [di Une école de théologie]; il ruolo di paravento che avrebbe dovuto svolgere il formulario in dieci proposizioni di febbraio 1938, infine e soprattutto l’assenza d’un qualsiasi nuovo allarme tra 1938 e 1942, cosi come la presa d’una tale misura in un momento in cui il mondo è a ferro e fuoco.

Tra la seconda serie, si fanno notare errori e amalgami dei termini della condanna. Un primo insieme verte sull’abbinamento, giudicato indebito, di Chenu con Charlier. Il consueto articolo esplicativo de L’Osservatore Romano [9-10.II.1942], firmato dal professore romano e membro del S. Uffizio Pietro Parente, fa del domenicano belga [L. Charlier] un membro dell’équipe di Le Saulchoir, il che è falso; il visitatore p. Thomas Philippe [delegato dal visitatore ufficiale p. Garrigou-Lagrange] sente il bisogno di dar chiarimenti. Non soltanto Charlier non insegna in questo convento di studi, ma tutti i documenti e testimonianze accessibili sottolineano la fragilità dei legami tra i due uomini e il loro pensiero, come tra Le Saulchoir e Lovanio. I due scritti censurati vertono certamente sul metodo in teologia; ma i luoghi d’ancoraggio, i percorsi e le conclusioni non hanno che un sol punto in comune: la critica alla teologia regnante, speculativa e deduttiva. A differenza di Chenu e sulla scia del proprio maestro di Lovanio, il prete della diocesi di Tournai René Draguet, Charlier fa della «positive du magistère», vale a dire dell’autorità suprema esercitante i propri poteri teologici e dommatici, la soluzione dell’avvenire. A Le Saulchoir si fa notare che un professore di casa, p. Congar, ha criticato Charlier in Bull. thomiste [1938, pp. 490-505]; moderatamente peraltro, perché, «meritava veramente un tal colpo?» s’interroga Chenu.

Un secondo insieme mette in evidenza grossolani controsensi circa il libro Une école che tradiscono soltanto ignoranza delle sottigliezze del francese presso taluni censori stranieri. Chenu ricorda che in febbraio 1938 gli era stato chiesto di attestare l’ortodossia cattolica di san Tommaso, quand’egli aveva semplicemente lamentato lo svuotamento del pensiero del maestro in una «ortodossia» munita di virgolette; ma l’accusa ritorna quattr’anni dopo negli interventi di p. GarrigouLagrange.

Tra gli altri esempi, prendiamo il più caricaturale. Si rimprovera a Chenu di svendere, con san Tommaso, l’uso teologico della ragione e l’oggettività della fede. Ora il suo testo abbonda d’affermazioni contrarie: «Noi dunque crediamo insieme a san Tommaso alla ragione teologica, alla scienza teologica» (Une école, p. 145, ed. 1985). «Noi crediamo alla scienza teologica. Noi crediamo perfino ai sistemi teologici» (p. 147). «Noi siamo tomisti. In forza della ragione. Diremmo, anzi, in forza della natura, nati come siamo in san Tommaso per vocazione domenicana» (p. 148). Non basta? E che fa l’imputato quando la sanzione lo colpisce? Mette a punto la rifusione di La teologia come scienza nel XIII secolo che apparirà, in mancanza di meglio, pro manuscripto nel 1943, accresciuta - per gli intimi - con un annesso dattiloscritto, quasi a rivalsa.

Da tale fastello d’indizi, Le Saulchoir e il suo animatore concludono che si tratti d’un processo alle tendenze d’una scuola teologica contro un’altra; nell’opuscolo si vuol colpire il reggente degli studi e il convento intero.

Ma essi non sospettano fino a che punto, per un certo verso, colgano nel segno. Ignorano un altro fastello d’indizi che rendono la sanzione meno sorprendente di quanto possa apparire. Per rendercene conto è necessario fare un passo indietro. Dopo la relativa apertura romana seguita alla condanna dell’«Action française», la ripresa dei pericoli esterni produce un movimento inverso, intorno al 1936. Avamposti del new deal di Pio XI, le pubblicazioni della provincia domenicana di Francia incassano in prima fila i contraccolpi di siffatto ripiegamento. Il 27 agosto 1937 il settimanale Sept annuncia la cessazione, vittima della sua critica ai regimi autoritari, italiano o spagnolo, e delle sue simpatie (limitate!) per la sinistra. Il 10 settembre 1937, in un momento quanto mai inopportuno, La Vie intellectuelle pubblica, dopo il trafiletto di Christianus «Chiesa corpo di peccato», l’articolo vigoroso d’Henri Guillemin intitolato «Per colpa nostra»; ambedue i testi sottolineano le responsabilità cattoliche nella diffusione dell’ateismo. Negli ambienti romani la cosa suscita una pubblica reazione di medio livello: un avvertimento del teologo domenicano titolato al caso, il maestro del Sacro Palazzo Mariano Cordovani. La rampogna, che in Francia non suscita che dei timori, chiude con le parole: «questi due articoli che il censore avrebbe dovuto censurare» [L’Osserv. Romano 14.XI.1937]. Ora il censore non è altri che Marie-Dominique Chenu il quale si affretta, non senza ingenuità, a farlo sapere a Cordovani. Quando il libro di Chenu appare poche settimane più tardi, il nome dell’autore non è sconosciuto a Roma, è anzi un sospetto potenziale al quale si chiedono immediate spiegazioni. Subito dopo Une école de théologie, è Chrétiens désunis di p. Congar a tener agitate le acque da aprile 1938. La burrasca è appena passata che l’arcivescovo di Parigi comunica alle Edizioni du Cerf l’ordine, deciso dal S. Uffizio, di ritirare dal commercio la riedizione [curata da p. Congar] del capolavoro di Möhler L’Unité dans l’Eglise. La sanzione è aggirata con tempismo su intervento di p. Bernadot [responsabile delle edizioni du Cerf] presso il governo Daladier e di costui sul Vaticano. Siamo a maggio 1939 e l’offensiva non demorde: per ragioni e religiose e politiche la provincia domenicana di Francia si trova esposta al mirino dei procuratori romani.

L’impressione, pertanto, che Une école de théologie non fosse stata oggetto d’alcun allarme tra 1938 e 1942 risulta alquanto curiosa. Molti segni provano al contrario che a Roma il dossier Chenu fa il suo iter senza che la guerra ne freni la corsa. (...).

Il 17 gennaio 1939 p. Gillet [maestro generale dell’Ordine domenicano] invia a Chenu una lista di cinque proposizioni erronee allora in circolazione; se la quinta mira verosimilmente all’ecumenismo di p. Congar, le prime quattro e specie la quarta (le formule dommatiche sono «una concettualìzzazione dell’esperienza religiosa») toccano implicitamente Une école a prezzo d’un amalgama che avrà lunga vita. Del resto l’istruzione del documento la dice lunga sui metodi della curia: «In più opere o articoli recenti si trova l’equivalente delle proposizioni seguenti»; «voi immaginate quale processo di tendenza si nasconde sotto tale equivalente», commenta Chenu in una lettera [28.II.1939] al nipote di p. Ambroise Gardeil.

Poco dopo  (l’imprimatur del fascicolo data 15 marzo) René Draguet recensisce il libro di Charlier in Ephemerides theologicae Lovanienses. Sebbene puntualizzi quanto di propria spettanza e quanto del suo discepolo domenicano autore del libro, Draguet redige una recensione favorevole, ma non manca di rammaricarsi che Charlier non abbia spinto «più a fondo la critica» alla teologia dominante. Ma questo rincaro di dose è meno importante per la nostra questione d’un incidente forse pieno di conseguenze: «il libro del R. P. Charlier ben si colloca accanto a una serie di lavori apparsi recentemente che, ispirati da preoccupazioni analoghe, si orientano in gradi diversi nella medesima direzione. Pensiamo in particolare ai lavori dei domenicani di Le Saulchoir, che hanno recentemente esposto i loro princìpi in un libro che meriterebbe larga diffusione»; seguono referenze a Une école de théologie...

A nostra conoscenza, questo brano [di Draguet] è l’unico a legare pubblicamente Chenu a Charlier prima della loro comune condanna; e sappiamo d’altra parte che non passò inosservato. Di qui l’ipotesi seguente, plausibile ma inverificabile allo stato attuale della documentazione: come la nota critica di p. Congar [Bull. thomiste 1938, pp. 490-505]  potrebbe aver attirato l’attenzione su articoli poco conosciuti di Draguet, così costui potrebbe avere involontariamente esposto Chenu agli avversari nel desiderio di farlo salite sul medesimo carro di Charlier, ben più compromesso a motivo degli echi controversi del suo libro.

Il 4 marzo 1940, in occasione della festa di san Tommaso, Cordovani pronuncia all’Angelicum [ateneo teologico domenicano in Roma] una conferenza dal titolo «Per la vitalità della teologia cattolica»; subito pubblicata ne L’Osservatore Romano [22.III.1942] e nella rivista [Angelicum 1940, pp. 133-46] del collegio, essa costituisce una risposta, autorizzata ma indiretta, al libro del reggente di Le Saulchoir. La prima parte, sulle «esigenze fondamentali» in teologia, richiama la validità e perennità del metodo scolastico; nella seconda parte disapprova «talune tendenze moderne» che, quasi a caso, saranno poco dopo oggetto d’un biasimo pubblico o privato: il «relativismo psicologico e storico» è la prima d’una serie di contestazioni che comprende la chiesa corpo mistico del Cristo, l’unione dei dissidenti alla chiesa madre e le finalità del matrimonio cristiano. Benché l’autore concluda esprimendo la propria avversione alla caccia d’errori altrui, la conferenza costituisce un nuovo e serio intervento ammonitivo. Così del resto l’interpreta Garrigou-Lagrange nell’atto d’ospitare il testo in Angelicum: «Spero che le conclusioni, ferme e moderate al tempo stesso, saranno capite. Se necessario saranno richiamate alla mente, qualora le si volesse dimenticare». La distensione nelle comunicazionì tra Roma e la Francia impedisce sfortunatamente a Le Saulchoir d’accordare ai nuovi fatti il peso che meritano.

Al contrario si dà peso, forse a torto, all’intervento nel dibattito di due «teologi di valore» indicati a esempio da Pietro Parente nel corso del commento ufficiale alla sanzione [L’Osserv. Romano 9-10.II.1942]. Il primo, Rosaire Gagnebet della provincia di Tolosa, è anch’egli professore all’Angelicum; già nel 1939 in Revue thomiste [1939, pp. 108-45], i cui nuovi responsabili non nutrono simpatia alcuna per lo «storicismo» di Le Saulchoir, attacca acremente Charlier e il suo compatriota francescano Jean-François Bonnefoy, altro discepolo di Draguet, ma non fa parola di Chenu. Quanto al gesuita della Gregoriana Charles Boyer, le voci pervenute a Le Saulchoir danno indubbiamente importanza esagerata alla sua messa a punto del 1940 [Gregorianum 1940, pp. 255-66]. Nella cronaca di Le Saulchoir p. Féret data l’articolo al 1941 e annota «che nessuno l’ha ancora potuto leggere in Francia». Seguendo p. Congar [Bull. thomiste 1938, pp. 490-505] - a cui rimprovera troppa mansuetudine - Boyer riallaccia Bonnefoy e Charlier a Draguet, si dichiara in pieno accordo con Gagnebet, ma non evoca «diversi studi di p. Chenu o.p.» che in nota e senza soffermarvisi.

In quest’ottica che raccoglie molteplici segnali tanto inquietanti quanto mal intravisti - per inveterato ottimismo o per frutto di circostanze - in Le Saulchoir, la messa all’Indice di Une école de théologie appare meno sorprendente; diventa al contrario la logica conclusione d’una guerriglia dottrinale ininterrotta da quattro anni, dalla pubblicazione discreta del libro.

La procedura ordinaria comportava cinque tempi: denuncia al S. Uffizio, formulazione delle imputazioni, decisione dei consultori e poi dei cardinali membri della Suprema Congregazione, infine avallo del papa per la pubblica notificazione. Resta da determinare chi abbia messo in moto il meccanismo e chi l’abbia portato a termine. I gesuiti della Gregoriana, ben contenti di rimbalzare a dei domenicani il crimine di leso-tomismo che talvolta vien loro rimproverato? (Nelle carte Garrigou si annota: «Un professore della Gregoriana ha detto: Non possono dire che siamo noi a distruggere la dottrina di san Tommaso, sono essi stessi a distruggerla»). Niente ci permette attualmente di sostenere tale ipotesi, meno ancora la nota di Charles Boyer, nettamente sopravvalutata in Francia da chi non ne aveva preso visione. Draguet sottolinea a buon diritto come la contesa sia un affare di famiglia... I teologi romani dell’Ordine [domenicano], dunque? Serie presunzioni in effetti pesano su costoro. Cinque di loro hanno esaminato l’opuscolo fin dalla sua pubblicazione; tra di essi Cordovani e Garrigou, dei quali conosciamo le annotazioni marginali [alle loro copie personali di Une école]; ma anche Michael Browne rettore dell’Angelicum, che appare in prima linea fin dal 1938 prima di rientrare nell’ombra (è lui che trasmette a p. Louis le dieci proposizioni da sottoporre alla firma di Chenu). E’ ancora uno di loro, Cordovani, che pronuncia il solenne avvertimento di marzo 1940. Ed è a uno di loro, Garrigou-Lagrange, che S. Uffizio e Ordine affidano la visita apostolica dei conventi francesi sospetti di deviazione. Tutte le carte del visitatore pervenuteci mettono in evidenza sia il suo disaccordo con Chenu che il suo ruolo nell’istruzione del caso; ma esse non permettono di contestare la ripetuta affermazione secondo cui egli non sarebbe responsabile d’una sanzione che pure approva e fa applicare. «La missione è particolarmente delicata per la mia persona, visto che uno dei due libri condannati è stato scritto da un mio antico discepolo, ora professore nella mia provincia», confidava a Le Saulchoir prima di farsi sostituire da p. Thomas Philippe, allora residente a Parigi, col pretesto di non poter passare la linea di demarcazione (argomento che cade in novembre 1942).

Altre voci, azzardate ma persistenti, evocano la possibilità d’una piccola vendetta personale. Il Bull. thomiste [1936, p. 895] aveva consacrato al cardinale servita Lépicier († 20.V.1936), prefetto della Congregazione dei religiosi e teologo tomista ultraclassico, una piccante necrologia; benché non firmata, essa porta tracce dell’artiglio di Chenu. Gabriele Roschini, servita romano che a torto o a ragione si ritiene erede spirituale del defunto, avrebbe approfittato del processo contro Charlier per aggiungervi Chenu. Questa è almeno l’impressione che p. Antonin Motte, provinciale di Francia, ricava dal suo viaggio ad limina nella primavera 1943. E questa è l’opinione di René Draguet che fa valere a posteriori le misure di ritorsione domenicana - a suo giudizio - prese contro il suo discepolo servita V. Buffon in primavera 1942, misure che avrebbero comportato la caduta dello stesso Draguet in luglio del medesimo anno: privato della cattedra ed estromesso da Lovanio, Draguet riuscì tuttavia a conservare un insegnamento secondario d’orientalismo nella grande università cattolica belga, senza cessare di battersi energicamente per la propria riabilitazione. (In una lettera del 22 maggio 1942 intercettata dalla censura italiana, Draguet appare ottimista; a torto, com’egli stesso spiega lungamente a p. Congar in una conversazione del 23 gennaio 1948). L’incidente Buffon in verità non era che la goccia che fa traboccare il vaso, anche per lo stesso Draguet: sia la nota di Boyer che le carte di Garrigou («E’ negli articoli di Draguet che sembrano ritrovarsi le deviazioni più gravi di quest’ultimi anni») lo dipingono punta di ferro nell’offensiva antiscolastica; ma la sua conferenza pubblicata da La Revue catholique des idées et des faits [10.I.1936, pp. 1-7; 7.II, pp. 4-7; 14.II, pp. 13-17] costituiva un dossier troppo esiguo per una messa all’Indice: per ridurlo al silenzio bisognava battere altre vie. Almeno a due riprese Roschini si segnalerà con la sua vendetta contro la gogna del 1942, ma avrà cura di nascondersi dietro formulazioni autorizzate. Comunque sia, in storia il dopo non spiega mai il prima.

Lo stato attuale della documentazione non autorizza dunque a scegliere tra queste ipotesi per una conclusione sicura. La lunga ricerca nei dedali del caso avrà comunque illuminato a chiara luce mentalità e procedure curiali. Avrà soprattutto sottolineato l’importanza del contenzioso tra molti eminenti teologi romani e taluni dei loro confratelli cisalpini.

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