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  c. 3 - La chiesa e la lotta per la giustizia e per il diritto dei poveri

Riferiti alcuni dati statistici di base sul dramma del sottosviluppo e situazione d’emarginazione di larghi strati popolari della società brasiliana, si analizzano i documenti più notevoli del magistero papale, dei sinodi dei vescovi e delle conferenze episcopali latinamericane sulla giustizia sociale, «dimensione costitutiva della predicazione del vangelo» (Sinodo dei vescovi 1971 n. 6) (37-46). Luogo proprio della lotta per la giustizia è il campo politico. La politica, «modo esigente, benché non unico, di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» (Octogesima adveniens n. 46), ha il compito di «precisare i valori fondamentali di tutta la comunità, la sua concordia interna e la sua sicurezza esterna, conciliando l’uguaglianza con la libertà, l’autorità pubblica con la legittima autonomia... Definisce pure i mezzi e l’etica delle relazioni sociali. In questo senso ampio, la politica interessa la chiesa e pertanto i suoi pastori, ministri dell’unità» (Puebla n. 51). Sotto questo aspetto la chiesa deve entrare nella politica: «la chiesa critica coloro che tendono a ridurre lo spazio della fede alla vita personale e familiare, escludendo l’ordine professionale, economico, sociale e politico; come se il peccato, l’amore, l’orazione e il perdono non avessero importanza in tali settori» (Puebla n. 515). In questo campo la neutralità di fatto non si dà: «c’è una strumentalizzazione della chiesa che può provenire dai suoi stessi cristiani, sacerdoti e religiosi, quando annunciano un vangelo senza connessioni economiche, sociali, culturali e politiche. In pratica, tale mutilazione equivale a una certa collusione, benché inconsapevole, con l’ordine costituito» (Puebla n. 558) (46-48). La politica invece quale «attività destinata all’amministrazione o alla trasformazione della società mediante la conquista e l’esercizio del potere statale» è estranea alla competenza della chiesa, ed è atto proprio del laico (49). Di qui le specifiche competenze all’interno dei ministeri della chiesa (51-53). La militanza in determinati partiti è di personale responsabilità dei laici, ma nella specifica situazione dell’America latina la fede guida e giudica la militanza partitica su due punti: a) opzione fondamentale per i poveri, già fatta propria dalla pastorale delle chiese locali; b) opzione della liberazione integrale mirante alla trasformazione dell’attuale situazione in un’altra più fraterna e più giusta (53-54).

c. 4 - La questione della vìolazione dei diritti umani nella chiesa

L’antica e nuova esaltazione della persona umana da parte della chiesa cattolica è talvolta contraddetta dalla sua stessa pratica; non tanto a motivo dell’ovvio scarto tra ideale e realtà, né tantomeno a motivo di «abusi personali», d’ordine accidentale e transitorio, ma per i modi «d’intendere e di organizzare la realtà ecclesiale e che a motivo di ciò [le violazioni dei diritti umani] hanno un carattere permanente» e dunque strutturale (57).

Il fatto è costatato a tre livelli. a) Piano istituzionale: la forte centralizzazione del potere decisionale nella chiesa, frutto di lungo processo storico, ha sottratto alle ístanze inferiori la corresponsabilità nell’elezíone dei ministri generando inevitabilmente emarginazione; a livello locale i vescovi esautorano i presbiteri riducendoli a «semplici appendici episcopali»; le attuali normative recusano o rendono estremamente difficile la riduzione allo stato laicale ai sacerdoti che ne facciano espressa richiesta; la discriminazione della donna in seno alla chiesa è più frutto storico di assetti sociali maschilisti che esplicita intenzione del legislatore divino. b) Piano della formazione dell’opinione: le informazioni circolano entro un ambito ecclesiale ristretto; le consultazioni sono preferibilmente coperte dal segreto; si dissuade dall’esprimere le proprie opinioni in organi di stampa. «La gerarchia è molto sensibile alla censura che lo stato impone alle informazioni e ai canali di espressione» (63). c) Piano della dottrina e della disciplina: la preminenza assegnata all’ortodossia (retta dottrina) a scapito dell’ortoprassi (retta condotta), mentre concede facili indulgenze allo scandalo eliminandolo con meccanismi di ríassorbimento, suscita ossessiva inquisizione di elaborazioni teologiche che non ricalchino il linguaggio del depositum fidei (deposito della fede); neppure il regolamento 1971 della Congregazione per la dottrina della fede, che sostituiva le pratiche del Sant’Uffizio, sembra salvaguardare a pieno i diritti umani (58-68).

Tentativo di spiegazione. «In termini decisionali il perno gira intorno al papa, al vescovo e al prete, con esclusione dei laici e dei religiosi. Sotto l’angolatura sociologica, la chiesa si regge sui quadri di un sistema autoritario. Per autoritario s’intende un sistema nel quale i gestori del potere non necessitano di un riconoscimento libero e spontaneo dei sudditi per costituirsi ed esercitarlo. L’autorità si contraddistingue dal potere e dal dominio per la libera e spontanea sottomissione di un gruppo di uomini ad un altro uomo o istituzione. Separata da queste condizioni naturali di supporto, l’autorità si trasforma in autoritarismo» (69). «È fuori discussione che ogni vera autorità umana soggiace all’autorità divina. Questo vale in modo eminente per la chiesa di Cristo. Ma il problema che si pone è se la struttura attuale di potere può invocare direttamente la propria origine divina nei vari meccanismi della sua diversificazione…» (70). In realtà alla formazione storica dell’attuale struttura di potere concorrono fortemente il modello del tardo impero romano e le forme medievali di potere (70 ss.).

Il superamento di tale coscienza ed esercizio di potere è operabile non per semplice ricorso a cambiamenti di coscienza individuali ma tramite una nuova prassi di chiesa, che in quest’ultimi anni si sta configurando nella pastorale di molte chiese locali. Alla base c’è la comprensione evangelica dell’autorità (servizio, fraternità, correzione fraterna) e la sua corresponsabilità debitamente distribuita secondo la diversità dei ministeri, anche di quelli laici, e i molteplici organismi intermedi (76-81).

c. 5 - Il potere e l’istituzione nella chiesa possono convertirsi?

Più specificamente incentrato sull’aspetto istituzionale e sulle forme storico-sociali della chiesa, il capitolo 5 riprende il tema del potere della chiesa illustrando più ampiamente l’evoluzione storica della sua formazione (82-99). Una chiesa prevalentemente organizzata sul potere gerarchico e centrale perde la carica profetica di contestazione della società ingiusta e relega al privato e all’intimo la conversione (99).

La ri-creazione di nuovi ministeri del potere-servizio ecclesiastico deve mirare: a recuperare la funzione escatologica (anticipazione e attivazione del Regno di Dio) nella società; a incarnare il giusto rapporto tra gli uomini nelle vie del potere quale pura funzione di servizio per il bene di tutti. Del resto l’autonomia di molte società secolari moderne, prammatistiche e industrializzate, non sollecita più (e dunque non “riproduce”) il fattore integrante e legittimante a suo tempo prestato dalla chiesa (100-01).

«Per una chiesa che cerca una presenza nuova nel mondo e che non vuole ripristinare forme ed errori del passato è imprenscindibile una rifondazione assai pura del messaggio centrale di Gesù Cristo, dell’intelligenza evangelica della struttura di potere e dell’importanza dello Spirito nella chiesa» (105). Gesù, che «non ha predicato la chiesa ma il Regno di Dio» (105), ha ricevuto dal Padre un’exousìa [= potere] d’amore, «un potere assolutamente sorprendente che è capacità infinita di sopportare e aver pazienza con gli uomini, potere di amare “gli ingrati e i cattivi” (Lc 6, 35)» (105). Tale natura dell’exousìa di Cristo si pone come costante critica evangelica a ogni potere-dominazione. «Gli apostoli sono i portatori della paràdosis [= tradizione di fede], cioè dell’essenza del messaggio e degli eventi salvifici di Cristo. Questo fatto conferisce loro una speciale autorità. Ma è un’autorità che non fonda nessun privilegio, nessun predominio sulla libertà degli altri. Devono essere i servi dei servi. La exousìa [= potere] fonda la diakonìa [= servizio]. Vivere il potere come servizio e come funzione díaconale costituisce la grande sfida della chiesa-istituzione» (107). La exousìa degli apostoli, oltreché diaconale e di predicazione, è anche «di costruzione e difesa della comunità» (107).

Si sta assistendo, specie in molte regioni dell’America latina, alla nascita di una chiesa nuova generata nel cuore della vecchia: una chiesa «della periferia», animatrice di ministeri nuovi consoni alla sua apertura e inserimento nel mondo del lavoro e dei poveri, né protetta né voluta dall’istituzione. Sarà forse guardata con sospetto, quasi chiesa parallela. «Dovrà cercare una profonda lealtà verso le esigenze del vangelo; dovrà ascoltare la voce del centro per interrogarsi sulla verità della propria interpretazione del vangelo; e nel caso che resti criticamente e profondamente convinta della sua strada, dovrà avere il coraggio di essere disubbidiente nel Signore e nel vangelo alle imposizioni del centro, senza rancori né lamentele, ma in una adesione profonda alla stessa volontà di essere fedele a quello Spirito che non può essere canalizzato secondo gli interessi umani. L’apertura alla comunione con il tutto, l’esclusione quanto meno della possibilità di una rottura che distrugga l’unità e la carità - anche se ciò significa isolamento, persecuzione e condanna da parte del centro - costituisce la garanzia dell’autenticità cristiana e il sigillo dell’ispirazione evangelica» (111). La chiesa-istituzíone, sperimentata e prudente come tutti gli anziani, forse sorriderà, come la vecchia Sara la sterile. E tuttavia Sara la sterile si è fatta feconda. Ha già concepito (113).

c. 6 - Il cattolicesimo romano: struttura, salute, patologie

L’antico dibattito sul rapporto tra cristianesimo e cattolicesimo e sulla nascita storica di quest’ultimo (Frühkatholizismus: cattolicesimo primitivo), promosso dall’erudizione protestante del XIX secolo e proseguito con più ricche e temperate analisi in questo secolo, sembra approdato a una formulazione di questo tipo: il cattolicesimo, inteso come complesso di mediazione storica (linguaggio, simboli sacramentali, pubbliche istituzioni) del messaggio di Gesù è contemporaneo e consustanziale allo stesso vangelo in forza della mediazione culturale e sociale già attiva nella predicazione evangelica, e in forza della stessa incarnazione del Verbo che assume la fisicità e temporalità della natura umana (114-24). «Cattolicesimo dice semplicemente “mediazione”. Il riferimento che questa mediazione mantiene con il Cristo vivente, accolto e vissuto come Salvatore, costituisce l’“evangelico”» (124). Se il protestante deve superare il «preconcetto» d’un cristianesimo come pura fede, disincarnato e astorico, il cattolico deve superare la «patologia» di trasferire al sistema di mediazione l’immediata autorevolezza evangelíco-divina, quando la mediazione istituzionale è il risultato storico dell’incontro vangelo-mondo. La chiesa, inaugurata dallo Spirito nel cenacolo della Pentecoste, raccoglie e porta in sé sia la realtà divina della grazia che salva sia le forme storico-sociali che servono la mediazione visibile (sacramentum salutis: segno visibile e produttivo di salvezza) (125-28). «La concretizzazione del cristianesimo nella storia si chiama cattolicesimo e chiesa» (129). «Chiesa e cattolicesimo risultano dalla storia dell’attuazione del vangelo in tutti i settori della vita umana» (130). Cattolicesimo non è pertanto il deterioramente posteriore d’un vangelo esistito a suo tempo allo stato «puro e cristallino»; è, fin dal principio, il principio dell’incarnazione del cristianesimo nella storia, la mediazione del cristianesimo (130).

Il rapporto tra i due elementi è di identità, perché il vangelo non sussiste senza la mediazione storica; di non-identità perché il vangelo non è la propria mediazione (131). Il cattolicesimo offre «sacramentalità» (forme storico-visibili) al vangelo; questo giudica e dirige il cattolicesimo. Quando la mediazione assolutizza le proprie forme storiche (istituzioni, governo, dottrine, teologie, culto, diritto canonico) genera patologie nel cattolicesimo romano. «Il cattolicistico[1] può così trasformarsi in un’ideologia totale, reazionaria, violenta, repressiva, oggi invocata da noti regimi totalitari installati in vari paesi dell’America latina. Niente di più lontano e alieno dallo spirito evangelico di questa pretesa del sistema cattolicistico d’infallibilità illimitata, di inquestionabilità, di certezze assolute... » (149).

In conclusione il cattolicesimo, col suo fondamentale ottimismo alle mediazioni e alle incarnazioni storiche, può dar luogo a diverse forme di porsi come «sacramento» dell’unica grazia che salva. Sorge, oggi, all’interno del cattolicesimo romano e in esso legittimato, anche un cattolicesimo popolare. «Popolare è ciò che non è ufficiale, né appartiene alle élites che hanno in mano la gestione del cattolico. Il cattolicesimo popolare rappresenta un’incarnazione diversa da quella ufficiale romana, dentro un universo simbolico, un linguaggio e una grammatica differenti» (150).


[1] «Il cattolicistico»: «Il cattolicesimo» porta la traduzione italiana (p. 149) e la citazione nella lettera del card. Ratzinger («Il Regno» 17, 1984. 538a). Nella risposta Boff asserisce che il suo testo (l’originale) parla di «cattolicistico» non di «cattolicesimo» (ivi 17, 1984, 550b).


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