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c. 7 - In favore del sincretismo: la produzione della cattolicità del cattolicesímo

Passate in rassegna le diverse nozioni di sincretismo, ricalcate sui diversi modi in cui due culture o religioni entrano in contatto e reagiscono (addizione, accomodamento, mescolanza, concordismo, traduzione), lo si prende come fenomeno di rifusione: «una religione si apre alle differenti espressioni religiose, le assimila, le reinterpreta, le rifonde a partire dai criteri della sua propria identità» (158). In sintonia col saggio precedente, s’illustra la straordinaria attitudine del cristianesimo al “sincretico”, all’assunzione cioè e alla rifusione delle culture religiose: da quella ebraica a quella greco-latina, a quella germanica ecc. L’analisi porta ad asserire l’universalità della salvezza nelle molteplicità delle sue realizzazioni storiche e geografiche, la distinzione tra fede e religione (la prima s’incarna, assume, purifica e giudica la seconda), la cattolicità come identità nella pluralità. «Appartiene alla cattolicità della chiesa di potersi incarnare, senza perdere la sua identità, nelle differenti culture. Essere cattolico non significa espandere il sistema ecclesiastico, ma poter vivere e testimoniare la stessa fede in Gesù Cristo salvatore e liberatore dall’interno di una cultura determinata» (169).

Sopraffatte dal cattolicesimo coloniale, in Brasile vivono tradizioni religiose indigene e africane che reclamano il proprio diritto di offrire mediazione alla fede cristiana in un arricchimento della cattolicità nel cattolicesimo (171, 175, 180). Due criteri per discernere la legittímità cristiana del «sincretismo»: a) il culto dello Spirito non del rito (superamento dell’idolatria); b) la conversione etica e l’apertura verso il prossimo: «la violazione del diritto sacro dell’uomo include la violazione del diritto sacrosanto di Dio» (181). «Da qui si comprende come il futuro del cristianesimo in Brasile si trovi subordinato alla sua capacità più o meno grande di formulare un nuovo sincretísmo. La sua attuale espressione culturale, nei quadri della cultura greco-romano-germaníca, appartiene alla gloria del passato. E tutto sta a indicare che essa sarà definievamente superata dalla nuova cultura che sta affiorando tra noi» (182).

c. 8 - Caratteristiche della chiesa in una società classista

c. 9 - La comunità ecclesiale di base: il minimo del minimo

c. 10 - Le ecclesiologie soggíacenti alle comunità di base

A partire da un’esperienza di chiesa latinamericana fortemente vitalizzata da spessi strati popolari, da intensa partecipazione laicale e da numerosissime comunità di base (70 mila nel solo Brasile) - quest’ultnne descritte nel c. 9, pp. 211-19 - ci si domanda quali siano le caratterístiche della chiesa (note o proprietà: unità, santità, cattolicità, apostolicità, romanità) inserita in una società classista; o come intendere la chiesa situata all’interno di una società classista.

Data la peculiare articolazione tra chiesa in quanto campo religioso-ecclesiastico (sistema di mediazione culturale) e chiesa in quanto campo ecclesiale-sacramentale (segno e strumento di salvezza) - il primo supporto e veicolo del secondo - il campo religioso-ecclesiastico non è un insieme già dato e strutturato ma è «il risultato di un processo di produzione, cioè il prodotto di un lavoro di strutturazione che ha due forze produttive: a) la società, con il suo modo determinato di produzione, e b) l’esperienza cristiana, con il suo contenuto di rivelazione » (188).

Sebbene le attività religíoso-ecclesiastiche non siano meri prodotti sociali, tuttavia il loro configurarsi storico è limitato e orientato dal modo di produzione d’una data società, perno organizzatore della società medesima. «Per modo di produzione intendiamo la forma secondo la quale una determinata popolazione si organizza in rapporto alle risorse materiali accessibili, al fine di elaborare quei beni che ne permettono la sussistenza e la riproduzione, sia biologica sia culturale» (189). «Nel nostro caso, dell’Occidente e dell’America latina, abbiamo una società organizzata secondo un modo di produzione dissimmetrico, quello capitalistico, che si caratterizza per l’appropriazione privata dei mezzi di produzione da parte di una minoranza stabile, la distribuzione disuguale delle capacità di lavoro..., e la distribuzione disuguale dei prodotti finali del lavoro» (190). Tale struttura, oltreché dividere la società in classi, «limita e orienta» anche l’attività religioso‑ecclesiastica. Poiché i membri della chiesa si distribuiscono nella società secondo varie collocazioni sociali, la chiesa è inevitabilmente attraversata dai conflitti di classe; può anche, sotto la pressione della società classista, replicare nel suo seno il medesimo modo dissimetrico di produzione religiosa (191-93). Dall’altra parte l’esperienza cristiana, col suo contenuto di rivelazione (fraternità, uguaglianza, amore, servizio), risulta irriducibile all’aggregazione di parte, cosicché alimenta un’interna contraddizione nel campo religioso-ecclesiastico (193-94).

In America latina, a partire dal decennio 1960 e specie dopo la conferenza episcopale di Medellín (1968), la chiesa sembra uscire da una posizione di solidarietà e legittimazione delle classi egemoni ed elaborare dal suo seno nuove «caratteristiche» (note, proprietà) della chiesa. Il fenomeno suppone una strategia in atto delle classi subalterne nella socíetà civile. «Qui prende rilievo il campo religioso-ecclesiastico. Se esso aiuta ad elaborare una visione religiosa del mondo, appropriata agli interessi liberanti delle classi oppresse e in contrapposizione con quelli delle classi dominanti, assumerà una funzione rivoluzionaria» (197). Se il concorso della chiesa in paesi secolarizzati potrà risultare di poco conto, «nel caso dell’America latina, a causa della visione religiosa del mondo predominante nel popolo, la chiesa svolge una funzione rilevante riproduttrice o contestatrice» (197). «Noi crediamo che con le comunità ecclesiali di base si stia verificando, appunto, un simile fenomeno: si tratta di una vera ecclesiogenesi (nascita di una nuova chiesa, non però diversa da quella degli apostoli e della tradizione), che si realizza alla base della chiesa e alla base della società, ossia nelle classi subalterne, senza potere né religioso né sociale» (198).

Si descrivono poi 15 caratteristiche (parallele alla 15 proprietà della chiesa elencate dal san Roberto Bellarmino) di tale chiesa di base: chiesa popolo di Dio, degli spogliati (disumanizzati), dei laci, koinonìa di potere, tutta ministeriale, della diaspora, liberatrice, che sacramentalizza le liberazioni concrete, prolungamento della grande tradizione, in comunione con la grande chiesa, costruttríce di unità a partire dalla missione liberatrice, tutta apostolica, generatrice di nuovi modelli di santità, tra cui quello militante (196-209).

Andrea di Buonaiuto da Firenze, capitolo SMN_est, s. Tomm. d'Aquino (1365-67): Veritatem meditabitur guttur meum (Prov. 8,7)c. 11 - Si giustifica la distinzione tra chiesa docente e chiesa discente?

- Tutta la chiesa (communitas fidelium, comunità dei credenti) costituísce la chiesa discente. La fede, frutto della rivelazione di Dio nel Figlio e nello Spirito, fonda e nutre costantemente di sé la chiesa intera, discepola dello «Spirito di verità che insegnerà tutta la verità» (Gv 16,13).

- Tutta la chiesa costituisce la chiesa docente. Tutta la chiesa infatti, e tutti i suoi membri, annunciano agli uomini la buona novella di Gesù (tutta la chiesa è missionaria).

- Docente e discente sono due funzioni non due frazioni di chiesa. Ogni discepolo di Gesù e membro della chiesa è simultaneamente e reciprocamente docente e discente.

- Esiste nella chiesa il potere d’insegnare in modo ufficiale e autentico, di cui papa e vescovi sono particolarmente investití (233). Benché tale potere risalga in radice a Gesù, i modi della sua strutturazione entro la comunità si sono chiariti tramite molteplici mediazioni storico-sociali. La distinzione tra ecclesia docens e discens «si giustifica per il fatto che conserva la sua funzionalità verso la comunità dei fratelli», un’instanza di servizio all’interno della comunità, non fuori o sopra di essa (235). «San Matteo esprime bene tale dialettica: da un lato il potere di legare e sciogliere appartiene a tutta la comunità (Mt 18,18 in contesto missionario, cioè rivolto al mondo); dall’altro risiede particolarmente nel suo principio di unità che è Pietro (Mt 16,16)» (235).

- Ma si può dare una concezione e un esercizio patologico del ministero della chiesa docens quando alla costituzione in corpo di esperti, sottratto alla comunità, si accompagnasse «un processo di espropriazione oggettiva del potere religioso degli altri membri» (235).

- L’interazione dialettica come stato di buona salute della distinzione ministeriale tra chiesa docente e chiesa discente si articola in un: a) dialogo franco tra le parti; b) atteggiamento di mutua critica; c) polo di riferimento fuori la chiesa, il mondo, termine dell’atto missionario di tutta la comunità dei credenti (236-37).

c. 12 - Una visione alternativa: la chiesa sacramento dello Spirito Santo

c. 13 - Una strutturazione alternativa: il carisma come principio di organizzazione

L’equazione, prevalente nella tradizione cristiana latina, di «chiesa = corpo di Cristo» porta a una precomprensione statistica e circoscritta della chiesa sulla metafora della strutturazione organica del corpo umano. Di fatto la prima comunità prende forma nei testi neotestamentari sotto la spinta di due fatti salvifici fondamentali: la resurrezione di Gesù (la cui predicazione era incentrata nel Regno) e l’invio dello Spirito Santo. È lo Spirito, diffuso nella comunità dei discepoli, che presiede alla nascita della chiesa sugli elementi introdotti da Gesù: scelta dei dodici, battesimo e cena eucarìstìca. La chiesa così è strutturata e animata da due elementi fondanti: quello cristologico (elementi propri alla persona del Verbo incarnato) e quello pneumatologico, azione cioè dello Spirito Sancto (pneuma), dono del Cristo risorto (238-47). Essa va pertanto pensata non tanto a partire dal Gesù terrestre ma dal Cristo risorto, che ora persiste nell’azione dello Spirito. Lo Spirito anima la chiesa dopo la risurrezione di Gesù; le dimensioni della chiesa sono quelle del Cristo risorto, operante salvezza in tutti gli uomini e in tutta la creazione (dimensione cosmica); lo Spirito non è evento occasionale ma struttura istituzionale della chiesa (247-53).

Intendere la chiesa come sacramento dello Spirito implica che si pongano la risurrezione, gli elementi di creatività, di sintonia con la storia come prioritari, rispetto a quelli istituzionali, nella comprensione della natura e della missione propria della chiesa (254). Tutta la chiesa, e in quanto chiesa, è erede delle promesse e dei doni del Cristo risorto; tutto il popolo di Dio è nazione eletta, comunità sacerdotale, nazione santa (1 Pt 2,5-10), tutta la chiesa è inviata ad annunciare e testimoniare la buona novella. Lo Spirito attiva nella chiesa i suoi doni-di-servizio (carismi): taluni sono congiunturali, quali il servizio della misericordia, l’esortazione, la cura dei malati ecc.; altri sono strutturali alla chiesa, quali il servizio d’insegnare, dirigere, discernere gli spiriti. Tali carismi-servizi non si distribuiscono nella chiesa sul discrimine laícato-gerarchia ma investono il corpo intero della comunità in polarità e circolarità multiple.

Carisma (dono-di-servizio) per san Paolo non è un fatto occasionale, transeunte, straordinario, ma «costituisce la struttura strutturante della comunità» ecclesiale (258-59). L’evoluzione storica della chiesa, più recettiva dei modelli statuali dell’organizzazione della società, ha inasprito la forma di gerarcbia-potere impossessandosi di tutto il potere sacro, e ha sottratto al laicato il suo ruolo attivo (21) relegando il carisma ai margini ecclesiali dell’occasionale e dell’ínusitato (259-60).

Che cos’è più esattamente un carisma? «È una manifestazione della presenza dello Spirito nei membri della comunità, che fa sì che tutto ciò che essi sono e fanno sia fatto e ordinato a beneficio di tutti» (261). «Carisma è la chiamata concreta, ricevuta per mezzo dell’evento di salvezza ed esercitata nella comunità, che fa questa comunità, costruendola incessantemente e facendola servire gli uomini nell’amore» (G. Hasenhüttl) (261). Ogni membro della chiesa, secondo il proprio ruolo o ministero, è portatore di uno o più carísmi a beneficio di tutti; ricchezza e unità della chiesa sono frutto della specificità, molteplicità e complementarità dei carismí; attentare al carisma altrui equivale ad attentare all’unità della chiesa (261-62).

Il carisma - tutti i carismi - sono costitutivi della chiesa costruita dallo Spirito Santo. «Se il carisma significa il modo concreto in cui lo Spirito e il Risorto si fanno presenti al mondo, dobbiamo concludere che il carisma appartiene alla struttura stessa della chiesa. Senza di esso la chiesa non si pone come realtà religiosa e teologica. Il carisma non è stato un privilegio dei primi tempi della chiesa. È la situazione permanente della chiesa come comunità con diverse funzioni e servizi. Il carisma non esclude l’elemento gerarchico..., anzi lo include. Il carisma è più fondamentale alla chiesa dell’elemento istituzionale. Esso è la forza pneumatica [= dello Spirito Santo]... che fa le istituzioni e le tiene vive. In esse si articola. Per questo il principio di strutturazione nella chiesa non sono le istituzioni, né la gerarchia, bensì il carisma che sta alla radice di ogni istituzione e di ogni gerarchizzazione. Non c’è nella chiesa una classe di governanti e una di governati» (263). Tra i carismi ci sono anche quelli legati al sacramento dell’ordine, che abilitano ad atti specífici di presidenza della comunità. «Il fatto che nella chiesa ci siano strutture di potere non significa che se ne violi la struttura carismatica essenziale. Il potere può essere un carisma, se si fa servizio dei fratelli e strumento di costruzione della giustizia nella comunità» (265). Del resto i ministeri gerarchici sono inseriti tra i carismi da san Paolo nel fondamentale testo de I Cor 12.

Come discernere il vero carisma frutto e dono dello Spirito? Il criterio «fondamentale, semplice, naturale è quello del servizio, del decentramento del proprio io, del disinteresse personale in funzione degli altri. Non abbiamo bisogno di grande sottigliezza teologica, né di argomentazioni sofisticate, né di ricorrere a molte autorità per sapere se un dono, un servizio o un lavoro viene da Dío. Basta che ne vediamo la funzionalità e utilità per la comunità. Dev’essercí profitto ed edificazione, e non solo purezza e bontà di intenzioni» (267-68).

«C’è un carisma - uno tra gli altri ma di importanza capitale - che è quello responsabile dell’armonia tra i vari e molteplici carismi. Questo carisma è proprio di chi occupa l’istanza di direzione della comunità. Comunemente lo chiamiamo gerarchia» (269). Il termine “gerarchia” è tardivo e non biblico. Nelle lettere paoline e negli Atti degli Apostoli si parla di volta in volta di carisma di direzione, presidenza, assistenza, governo, soprintendenti (episkopoi = vescovi), diaconi... Il senso dominante non è legato al potere sacro ma al servizio di vigilanza, di conduzione e animazione della comunità (269-70). Tale carisma presiede alle celebrazioni eucaristiche, all’ortodossia della dottrina, all’ordínamento della carità, al discernimento degli spiriti; vigila altresì a che i carismi conservino la loro natura di doni commisurati al bene della comunità (270).

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