01. I luoghi comuni sono sempre petulanti, talvolta necessari: una sintesi di poche pagine è ben lungi dal render ragione alla ricchezza di contenuto e di linguaggio d’un volume quale Chiesa: carisma e potere. Documentazione e fonti, ad esempio, sono del tutto sacrificate. Eppure questo aspetto non sarebbe di poco conto per chi volesse saggiare il valore di un’opera di ricerca, sia essa in teologia che in qualsiasi altro ramo del sapere. Chi non sa che la teologia della liberazione è fenomeno peculiare della chiesa latinamericana? che non è comprensibile se staccata dal movimento di chiesa che anima sia la prassi pastorale sia l’incidenza della chiesa cattolica nelle trasformzioni in atto delle società e regimi latinamericani? Ma meno scontata potrà apparire l’affermazione che la costruzione argomentativa della teologia della liberazione è tenacemente ancorata alla recente produzione teologica europea più di quanto non si creda. Valeva per la Teologia della liberazione di Gustavo Gutiérrez (il quale studiò a Lovanio e Lione); e vale per Leonardo Boff. Se gli esiti specifici attingono e si commisurano con una pastorale in situazioni d’oppressione (e qui la teologia della liberazione stabilisce la propria assoluta originalità), le aperture iniziali e il tessuto discorsivo si alimentano costantemente dei contributi teologici che hanno preparato (e seguito) il concilio Vaticano II e che in esso si sono, in parte, riversati: le varie riflessioni sul rapporto chiesa‑mondo (teologia delle realtà terrestri, della speranza, teologia politica, della secolarizzazione, della cultura e religioni non cristiane), i contributi più maturi sulla rinnovata comprensione della chiesa, sua natura e suoi ministeri (ecclesiología). Nomi quali K. Rahner, H. de Lubac, J.B. Metz, P. Moltmann, W. Pannenberg. M.-D. Chenu, Y. Congar, H. Küng, lo stesso J. Ratzinger, E. Käsemann, G. Hasenhiittl ecc., non sono invocati per occasionali citazioni decorative ma spianano e sostengono costantemente il tragitto della teologia della liberazione. Se nel caso specifico di Boff, la pagina teologica sa trovare nuovi generi letterari in tratti d’immediatezza conviviale e di sintesi divulgativa (e il lessico piegherà a tagli netti e aggettivazioni aspre - «panfletarie» è apparso a taluni, «profetiche» rivendica l’autore), altrove la pagina è compatta, tesa, rigorosa; sa esser circospetta e sottile quando la materia lo richieda. La formazione di base di Boff è europea, anzi tedesca; la tesi di laurea fu discussa a Monaco di Baviera e pubblicata in tedesco a Paderborn nel 1972 (Die Kirche als Sakrament im Horizont der Welterfahrung: la chiesa come sacramento nell’orizzonte dell’esperienza del mondo). La familiarità con la letteratura europea, specie tedesca, è sorprendente. Il fatto sollecita una prima riflessíone: se le conclusioni specífiche della teologia della liberazione toccano direttamente la situazione ecclesiale latinamericana (due cardinali, Lorscheider e Arns, hanno voluto essere al fianco di Boff nel colloquio romano), i nuclei argomentativi che danno forza alla proposta della nuova teologia coinvolgono le acquisizioni più preziose della teologia prevalentemente europea pre e postconciliare. La sorte dell’una trascina inevitabilmente con sé la sorte dell’altra. È solo a titolo d’umana solidarietà che Karl Rahner poco prima di morire ha scritto (16 marzo 1984) una lettera in difesa della teologia della liberazione?
La sequela, nel caso Rahner, si scopre più palesemente proprio là dove Boff, replicando la teoria dei «cristiani anonimi» (175), si arresta sui medesimi incompiuti equilibri del Rahner, e della divulgazione di Rahner in I cristiani anonimi di A. Röper. Se la storia speciale della salvezza (quella espressa nella fede esplicita in Cristo e nella sacramentalità della chiesa visibile) si iscrive, senza parallelismi, all’interno dell’unica storia universale di salvezza (quella in cui Dio creatore e provvidente raggiunge tutto l’uomo e tutti gli uomini), allora qualsiasi fase di crescita autentica dell’uomo (dalla liberazione dalla povertà alla maturazione etica) e qualsiasi uomo giusto non-cristiano non sono di fatto e di diritto porzioni della costruzione del Regno di Dio? La copertura del «cristianesimo anonimo» denuncia che l’ordinazione delle realtà terrestri (nelle loro strutture secolari) e di tutti gli uomini al Regno (la potenzialità obbedienziale del Rahner) non ha percorso tutto il suo tragitto. Avalla anzi un’insidiosa prassi pastorale e missionaria: ritenere cristiano chi cristiano non è o non vuol essere; come dire che lo si fa cristiano a sua insaputa o suo malgrado. Così come attiva improbabili imprese concordistiche: leggere fatti e testi induisti quali «anonime» incarnazioni o presenze del Cristo; interpretare il corano in chiave cristiana. Le cose si son date. Le lotte di liberazione, quando siano veramente liberanti, han proprio bisogno d’essere «anonimamente cristianizzate» perché siano parte del Regno?
02. Sostrato sociale della svolta di chiesa nell’America latina degli anni ‘60 sono le classi subalterne compresenti e operanti simultaneamente - a quanto è dato capire - e nella società civile e nella chiesa (qui tramite le comunità ecclesiali di base). Il fenomeno è peculiare, e - in queste proporzioni - forse unico (in Europa a partire dal XIX secolo, le classi proletarie, almeno quelle urbane, esercitarono la loro azione sociale fuori della chiesa). E pone specifici problemi pastorali. Il discorso di Boff risulta qua e la alquanto semplificativo, e comunque debitore d’ulteriori chiarificazioni:
a) Dato pure per scontato che i rapporti di proprietà e di produzione generino classi sociali díssimetricamente beneficiarie della ricchezza della nazione, è così evidente che le medesime categorie rendano altrettanta ragione del peculiare «processo dissimetrico della produzione religiosa» all’interno della chiesa? Questa, in quanto tale, non possiede in proprio mezzi di produzione, e i suoi membri sussistono simultaneamente in differenti e talvolta opposti ceti sociali, come ricorda lo stesso Boff. Su che base interpretare le devianze del potere ecclesiastico alla stregua del potere delle classi egemoni nella società civile? Non ci si priva di cogliere e capire il dinamismo proprio e univoco d’una «società» come lo chiesa, sussistente socialmente in tutti gli strati sociali, sussidiaria rispetto alla società civile e, dal punto di vista puramente economico, parassitaria, eppure sovrana nella sua realtà giuridico-istituzionale? Non bisognava giustificare e controllare la conoscenza analogica derivabile da categorie atte a leggere società con proprie strutture di produzione e trasferite a leggere una società che tali strutture non possiede?
b) La descrizione che si dà delle comunità ecclesiali di base (c. 9) ritrae più modelli e funzioni ideali a cui queste aspirano che il dato di fatto; niente si dice delle pur sospettabili differenze di ceti, d’estrazione, di collegamenti politici; insomma della composizione sociale di tali comunità e d’eventuali spinte di segno opposto che potrebbero attivare. La solidarietà delle classi subalterne emergenti, capace di porre un’alternativa all’assetto sociale, si salda e si esprime nelle comunità ecclesiali o nei luoghi propri in cui nasce e si esercita la struttura d’ingiustizia? Le comunità ecclesiali di base si pongono esse stesse, senza ulteriori mediazioni, quale soggetto politico nella società civile? L’elaborazíone di una pastorale di chiesta in funzione liberatrice potrà avere contenuti, progetti e tempi d’inserimento ben diversi a seconda degli esiti di un’analisi più articolata delle forze sociali in campo, dei luoghi e delle direzioni delle loro spinte.
03. Una chiesa a forte strato popolare s’interroga su cultura e valori di cui il popolo è portatore e mira ad assumerli nel sistema simbolico di vita ecclesiale (liturgia, pietà, forme associative, linguaggio, teologia ecc.). È la legge dell’incarnazione e della partecipazione. Ma gli spunti di Boff sulla religiosità popolare del Brasile bruciano trapassi intermedi per rincorrere l’assunzione di tutto e a tutti i costi; eppure altrove (144-45) si era stati vigili a interrogarsi sull’eventuale azione «inquinante» della religiosità popolare romano-germanica nella sintesi a suo tempo operata dalla chiesa latina. Va dato per scontato che l’elemento popolare è sempre e in toto «progressivo», agente di «rinnovamento» delle istituzioni ufficiali (151-52)? Quanto del sistema religioso che il popolo si dà non è frutto d’alienazione, o di surroga di ben più radicali liberazioni mancate? Quante «domande» di religiosità popolare non perpetuano dipendenze e incultura, e non rinsaldano di conseguenza pratiche pastorali e sacramentarie compromissorie e istituzionalizzate, dunque funzionali all’assetto ecclesiastico costituito? O rincorreremo e perpetueremo la «medicina polare» (arrestata nel suo sviluppo) d’immense popolazioni afro-asiatiche cui lo sviluppo dissimetrico ha sottratto i benefici d’una medicina divenuta adulta perché disponibile di capitali (umani e finanziari) per la ricerca? L’analisi degli effetti della «produzione dissímetrica» non avrebbero dovuto esercitarsi anche all’incrocio tra strutture economiche e prodotti cultural-religiosi delle classi subalterne?
E poi: quali dati della cultura popolare (laica e religiosa) sarebbero celermente spazzati via da un processo d’industrializzazione (quello in atto in Brasile, come ci si dice), d’inurbanizzazione, o anche di trasformazione tecnologica della produzione agricola? (l’Italia del secondo dopoguerra ne è testimone). E su quali invece puntare per una pastorale d’inculturazione? Il discorso sulla religiosità popolare nella chiesa latinamericana quale elemento dinamico e liberatorio ci sembra insufficientemente articolato da Boff; eppure molte delle sue proposte ecclesiologiche a estensione pastorale lo danno per acquisito.
04. La teologia della liberazione riduce il peccato teologico a struttura d’ingiustizia, la salvezza cristiana a promozione sociale, il povero del vangelo a proletario del capitalismo, la milizia cristiana a lotta di classe? Non è il caso di Leonardo Boff. Il quale peraltro risulta, come teologo e come intellettuale, talmente rifinito che se per assurdo - o per divertissement - volesse far passare síffatte rozzezze teologiche saprebbe dissimularle in pensierini capaci d’uscire indenni dal più avaro setaccio dell’ortodossia. I problemi che la teologia della liberazione sta sollevando alla coscienza cristiana non sono in radice problemi della «teologia» della liberazione ma della «pastorale» della liberazíone. La chiesa del subcontinente americano raccoglie, interpreta e fa oggetto del proprio impegno l’aspirazione d’enormi masse d’oppressi a divenire protagonisti della propria storia e gestori della ricchezza sociale del lavoro. Ciò espone la chiesa latinamericana a due prove, una in rapporto alle istituzioni ecclesiali, l’altra in rapporto alla società civile:
a) quale trasformazione dei ministeri ecclesiali e del proprio assetto interno può operare, quale linea d’azione pastorale può sostenere senza prevaricare quel limite d’equilibrio in cui istituzioni ecclesiastiche (locali e centrali) possono ancora permettere e assorbire le innovazioni?
b) dato il considerevole peso laicale in una prassi pastorale inevitabilmente orientata allo sbocco socio‑politico, è prevedibile che le istanze supreme della chiesa lascino alla responsabilità della chiesa locale gestire direttamente un processo che per sua natura importa il sovvertimento dei rapporti tra chiesa e regimi sudamericani?
05. Per altro verso, il ruolo decisivo esercitato dalla pastorale e dalle istituzioni della chiesa nell’assetto socio-politíco dei paesi latinamericani allarma ambienti che d’abitudine coltivano scarsa curiosità per sottigliezze teologiche. Immediatamente prima dell’elezione di Reagan alla presidenza degli USA, un comitato di esperti preparò una relazione «segreta» che doveva ispirare la politica reaganiana nel continente americano (Comitato di Santa Fé). Criticata la politica di Carter, che troppo sensibile al problema dei diritti umani aveva permesso la cubanizzazione dell’America latina, e rilanciata la dottrina Monroe ai fini di ripristinare la posízione USA «in tutte le sfere d’influenza», il documento individuava tra l’altro le prevedibili resistenze alla nuova politica; tra queste la Sovversione interna (titolo di parte II del documento). La terza proposta della parte II recita letteralmente: «La politica estera americana deve cominciare a controbattere (non a reagire contro) la teologia della liberazione, come è utilizzata nell’America latina dal clero della “teologia della liberazione”. Il ruolo della chiesa in America latina è vitale per il concetto di libertà politica. Sfortunatamente le forze marxiste-leniniste hanno utilizzato la chiesa come arma politica contro la proprietà privata e il capitalismo produttivo, facendo sì che nelle comunità religiose si infiltrassero idee comuniste più che cristiane» («Il Regno» 9, 1982, 310a; tutto il documento a pp. 304-18). Nel capitolo Educazione si dice: «L’educazione è il mezzo mediante cui le culture conservano, trasmettono e oltrepassano anche il loro passato. Perciò chiunque controlla il sistema educativo determina il passato - o l’immagine di esso - allo stesso modo che il futuro... Dovremo, comunque, esportare idee e immagini che incoraggino la libertà individuale, la responsabilità politica e il rispetto per la proprietà privata. Occorre iniziare una campagna per catturare l’élite intellettuale ibero-americana mediante i mezzi d’informazione come la radio, la tv, libri, articoli e opuscoli... » (ivi p. 313b).
Nella risposta di Boff (29 agosto 1984) alla lettera del card. Ratzinger si legge: «In mezzo al popolo pullulano le sette, i movimenti pentecostali, le religioni afro-asiatiche e ultimamente le nuove chiese venute dagli Stati Uniti con l’appoggio del governo» («Il Regno» 17, 1984, 541a).
La valutazione d’una teologia e d’una pastorale di liberazione in America latina non potrà espungere dal proprio orizzonte tali implicanze.
06. La chiesa latinamericana ha davanti a sé una grande sfida, che è anche un’occasione evangelica per riasserire la propria fedeltà come la propria audacia. Lo sfaldamento dell’impero romano consegnò alla chiesa occidentale una società da rigenerare. La rigenerò, ma vi rimase invischiata per molti, troppi secoli. Gli umili e i poveri d’America latina maturano entro la matrice della chiesa la nascita a una comunità di uomini liberi. Saprà la chiesa secondare la liberazione degli uomini senza cedere a nuove lusinghe d’un potere antico? «La storia della salvezza - chiude il libro di Boff - ci mostra che dove il vangelo è in azione possiamo contare sull’insperato e sul nuovo non ancora avvenuto».
Noi, al di qua dell’oceano, la chiesa latinamericana la poniamo sulla punta della nostra fede. E della nostra preghiera.