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Così ha parlato il Concilio |
Chiesa, popolo di Dio nel mondo, «Il Rosario» 1966, pp. 82-84.
ripubblicato per iniziativa di p. E. Zabatta OP in
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La «Chiesa del Concilio», si è detto. Ma anche il «Concilio della Chiesa». Il Concilio cioè in cui la Chiesa si è come oggettivata a se stessa e si è chiesta che cosa fosse veramente, quale la sua natura, quale il suo posto nel mondo. La Chiesa ha interrogato se stessa. E ha risposto agli uomini svelando le sue meraviglie e le sue ricchezze. E il suo mistero. Perché la Chiesa è prima di tutto un mistero. «Il mistero della Chiesa», è il titolo del primo cap. della Costituzione Dogmatica sulla Chiesa - il documento di certo più prezioso ed il culmine del Vaticano II.
La Chiesa è un mistero perché è il «sacramento», il segno cioè e lo strumento realizzatore dell'unione di tutti gli uomini con Dio in Cristo (Cost. sulla Chiesa, c. I, 1). E tra questi due estremi - Dio che penetra nel mondo con la grazia di Cristo nello Spirito, e l’umanità che fa come la base comunitaria del Regno di Dio - giuoca la difficile comprensione di una realtà divina ed umana insieme, eterna e temporale, immutabile e storica, immacolata e peccatrice (c. I, 8).
All'origine della Chiesa c'è la volontà di Dio di raccogliere in una comunità i credenti in Cristo (c. I, 2), una volontà che si attua fin dagli inizi dell'umanità - «dal giusto Abele» -, fin dal primo uomo santificato per la fede in Cristo (c. I, 2).
Un inizio di vita che cresce e si sviluppa nel mondo (c. I, 3) fino a giungere all'età adulta, alla pienezza dei tempi, alla manifestazione completa di Dio nel mondo. E Cristo, il primo di molti fratelli, unisce a sé i credenti facendone una comunità di redenti, il nuovo popolo di Dio, il «corpo mistico» di cui Egli si pone come Capo (c. I, 2-3).
Il ritorno di Gesù al Padre inaugura il tempo dello Spirito. È lo Spirito di Cristo, diffuso nella Chiesa nascente il giorno della Pentecoste, che inabita nel cuori dei fedeli, li ammaestra e li guida vivificandoli dall'interno e costruendoli in pietre vive del Tempio di Dio, cioè in Chiesa (c. I, 4).
Così la Chiesa - secondo la stringata ricchissima espressione di S. Cipriano - è «il popolo costituito in unità dall'unità stessa del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Ma la natura della Chiesa non può esser colta nella sua pienezza con una sola, per quanto pregnante, formula. Dio ce la descrive con molteplici immagini per svelarci, volta per volta, un aspetto dell'inesauribile ricchezza della Chiesa.
La Chiesa è un ovile di cui porta unica e necessaria è Cristo (Gio. 10, 1-10); è un campo (1 C. 3, 9); una casa di Dio (1 C. 3, 9) di cui Cristo è pietra angolare (Matt. 21, 42); è una famiglia (Ef. 2, 19-22); è il tempio santo costruito con pietre vive che sono i fedeli (1 P. 2, 5); è la sposa immacolata dell'Agnello (Ap. 19, 7), amata da Cristo e da lui santificata (Ef. 5, 27). La Chiesa, infine, è il corpo mistico di Cristo.
E quest'ultima immagine esprime talmente la realtà della Chiesa da sorpassare, per così dire, se stessa e porsi non più come immagine ma come traduzione reale ed adeguata della Chiesa del Cristo. Nel corpo risuscitato di Gesù s'innesta l'umanità redenta. Il battesimo, ripetendo nel peccatore la morte e la resurrezione di Gesù, realizza l'unione dell'uomo nuovo con l'umanità risorta di Cristo (Rom. 6, 4-5). Ed in questa «incorporazione» si fa la comunità dei redenti, il corpo santo e santificato, Cristo-capo e i redenti-corpo; cioè la Chiesa-Corpo di Cristo (c. I, 7).
Nel «corpo mistico» di Cristo Dio realizza la volontà di stabilire un «suo popolo» sulla terra; il «nuovo Israele» succeduto all'Israele secondo la carne; l'Israele che si costituisce tale e si spinge nel tempo per una generazione secondo lo Spirito (c. I, 9).
È il «Popolo di Dio», il popolo messianico che ha Cristo per capo, la libertà dei figli di Dio per condizione, l'amore per legge, il regno di Dio per fine (c. I, 9). Il Regno di Dio - di cui la Chiesa è inizio e seme - attende la sua piena realizzazione alla fine dei tempi (c. II, 9). La Chiesa lo prepara prolungando nel tempo la missione di Cristo Sacerdote, Profeta e Re. Per questo ogni membro del popolo di Dio, partecipando della mediazione di Cristo, è sacerdote nel culto della vita cristiana, è profeta nella testimonianza dello Spirito agli uomini, è re nel possesso del creato intero riconquistato ormai alla sacralità e ricapitolato in Cristo Gesù (c. II, 10-13).
E tutto questo nel posto e nella funzione che ogni cristiano svolge nel tutto che è la Chiesa; proprio come le molteplici membra del corpo occupano diversi posti e svolgono diverse funzioni nell'unità dell'organismo vivente. Così la Chiesa sussiste, come nel suo Capo, in Cristo. E Cristo crea il suo corpo - il popolo di Dio - a cui appartengono i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi, i semplici Fedeli. Diverse mansioni nell'unica casa del Padre, ma uguale diritto d'appartenenza. Il semplice cristiano come il Vescovo «è» la Chiesa. Perché l'uno e l'altro è pietra vivente dell'unico edificio che è il Tempio di Dio (cc. III-IV). L'uno e l'altro è chiamato, ad uguale titolo, alla santità di figlio di Dio (c. V); l'uno e l'altro - è posto - a nome di Cristo - nel mondo come segno di testimonianza e di santificazione.
E la Chiesa, ereditando nel mondo l'unica mediazione di Cristo - «non esiste sotto il cielo altro nome nel quale possiamo esser salvi»: At. 4, 12 - si pone come mezzo necessario di salvezza (c. II, 14).
E realizza la salvezza riproducendo in sé l'immagine di Gesù, il quale volle salvarci assumendo forma di servo (Filip. 2, 6), nella povertà (2 C. 8, 9), per la croce. Così la Chiesa, al di là di ogni pomposo trionfalismo terreno e di ogni ambiguo appoggio ai potenti della terra, annuncia e trova la validità del suo messaggio nella debolezza, nella povertà, nell'umiltà (c. I, 8). Perché è «tra le angustie del mondo e le consolazioni di Dio» (S. Agostino) che la Chiesa annuncia «la croce e la morte del Signore» (1 C. I1-26).
È nella fedeltà allo stile del Maestro che la Chiesa - nella debolezza della sua povertà e nella disponibilità della sua carità - potrà rivelare al mondo l'abbagliante luminosità del «mistero del Cristo» (c. I, 8).
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Così ha parlato il Concilio |
La Chiesa e le Chiese. Il decreto sull'Ecumenismo, «Il Rosario» 1966, pp. 114-17.
ripubblicato per iniziativa di p. E. Zabatta OP in
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Oggi la Chiesa che annuncia se stessa e Cristo agli uomini - la Chiesa in missione - patisce una congenita incapacità ad offrire al mondo la validità delle sue credenziali. La Chiesa che deve annunciare «un solo corpo, un solo Spirito... un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef. 4, 4-5) si trova a non esser più una. L'unicità della mediazione salvifica di Cristo pare smentita dalle divisioni della sua Chiesa. «Prego anche per quelli che crederanno in me per la loro parola, affinchè siano tutti una sola cosa, come tu sei in me, o Padre, ed io in te, affinché anche loro siano una sola cosa in noi; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Giov. 17, 20-21).
Ecco ciò che il Signore Gesù voleva da noi: l'unione di tutti i credenti, immagine dell'unione nostra a Cristo e di Cristo al Padre, prova immediata agli uomini della missione divina di Gesù.
Agli uomini invece non possiamo offrire che le nostre divisioni. È lo «scandalo» della Chiesa - come si esprime il Conc. Vatic. II. L'unico grande scandalo - forse - della Chiesa; perché intacca ciò che della Chiesa è la ragione d'essere: la sua capacità di porsi nel mondo messaggera e testimone di Cristo Salvatore.
«E Cristo è stato forse tagliato a pezzi?» (1 Cor. 1, 13).
Il Movimento Ecumenico
Fu proprio dalle terre di missione che venne il grido di scandalo per le divisioni dei cristiani. La voce fu raccolta e portata alla Conferenza di Edimburgo del 1910 che radunava i rappresentanti di tutte le missioni protestanti. Di colpo si prese coscienza che ogni attività missionaria - annuncio dell'Unico per mezzo del quale si ha la salvezza - non aveva senso ed efficacia se non era accompagnata da una testimonianza di unità. Lo sforzo per la ricomposizione dell'unità è la considerazione della validità stessa della predicazione missionaria.
Si suol fissare, con la conferenza di Edimburgo del 1910, la nascita del Movimento Ecumenico in senso stretto.
Il movimento prese piede e si organizzò in «Consiglio Mondiale delle Chiese» col primo congresso tenuto ad Amsterdam nel 1948. Vi fanno parte tutte le confessioni protestanti e anglicane. Nel 1961 vi aderiscono gli Ortodossi. La Chiesa Cattolica non ne è membro ma vi invia dei rappresentanti a titolo di «auditori».
Sappiamo la storia della rottura all'interno della Chiesa.
Nel 1054 gli orientali reclamano l'autonomia religiosa e rompono con la Chiesa di Roma. Usano chiamarsi Ortodossi (quelli della vera fede). Oggi sono circa 170 milioni.
Cinque secoli dopo Lutero compie un'altra dolorosa lacerazione nel corpo mistico di Cristo. Nel 1520 si separa da Roma e dà origine alle Chiese Protestanti. I cristiani della Riforma - in tutte le loro molteplici sotto-denominazioni - sono 220 milioni.
Nel 1531 Enrico VIII si proclama capo della Chiesa d'Inghilterra. È la Chiesa Anglicana, che conta circa 50 milioni di cristiani.
I Cattolici e l'Ecumenismo
Verrebbe da chiedersi: di chi la colpa di queste divisioni?
Le responsabilità della rottura di relazioni umane - e la Chiesa è la comunione di uomini viventi la stessa vita - non si spartiscono come una torta, a taglio netto ed in parti uguali. Meglio attenersi all'espressione leggera e sapiente del Concilio: «non senza colpa di uomini dell'una e dell'altra parte» (Decr. sull'Ecumen., 3). E per parte nostra «chiediamo umilmente perdono a Dio e ai nostri fratelli separati» (ibid., 7).
E guardiamo piuttosto al futuro. Abbiamo il compito di riedificarci nell'unità del corpo del Signore (Ef. 4, 12). Per questo ci rivolgiamo ai fratelli separati non come a degli estranei o a dei rivali. Anch'essi credono in Cristo Gesù, unico Salvatore; a lui sono incorporati con la grazia del battesimo; gli Ortodossi celebrano validamente il mistero dell'eucaristia. Tutti partecipano alla realtà della grazia di Cristo che sta al cuore della Chiesa. Non siamo, quindi, completamente tagliati da loro. L'unica fede in Cristo, la grazia comune del battesimo costituiscono un largo campo di partecipazione alla medesima realtà di vita; e a questo livello partecipiamo, noi e loro, dell'unica Chiesa di Cristo.
«Coloro infatti che credono in Cristo e hanno ricevuto validamente il battesimo sono costituiti in una certa - sebbene non perfetta - comunione con la Chiesa Cattolica» (Decr. Ecum. 3).
Il Concilio ci propone una grande verità da rimeditare. La Chiesa non è un blocco monolitico a cui o si appartiene a pieno diritto o non si appartiene per niente. Essa è una comunione di vita a cui si partecipa per gradi diversi, dai più modesti ai più perfetti. E a seconda dei gradi di vita, costituiamo una comunione con gli altri in Cristo, cioè ci poniamo come Chiesa.
È certo comunque che la volontà di Gesù come non fu quella di stabilire una comunione dei fedeli al livello della comune iscrizione nei medesimi registri parrocchiali, così non la intese limitare alla partecipazione isolata e invisibile della grazia battesimale. Il principio di grazia che vivifica dall'interno la Chiesa si esprime all'esterno con la partecipazione dei credenti all'unità del culto e della successione apostolica. A questo livello si realizza la comunione perfetta e si costituisce l'unità della Chiesa come Gesù l'intese (Ecum. 3).
È la riconquista, a questo punto, dell'ntegrità della mediazione salvifica stabilita da Cristo nel mondo. Ora è appunto «per la sola Chiesa cattolica di Cristo, stabilita come mezzo universale di salvezza, che si raggiunge la pienezza dei mezzi di redenzione» (Ecum. 3).
La Chiesa Cattolica entra così di pieno diritto nel movimento ecumenico: partecipando e vivendo l'unità con i fratelli separati al grado di vita battesimale nel Cristo, spinge questa stessa comunione ad esprimers in tutta la sua vittualità fino ad affermarsi al livello della comunione nell'eucaristia e nella successione apostolica.
I cattolici sono invitati caldamente a quest'opera di ricomposizione della pienezza dell'unità. Il che è ben altro che l'impaziente ed insofferente proselitismo inteso a veder tutti registrati negli archivi parrocchiali cattolici. È la vita di grazia battesimale - in comune con i fratelli separati - che, vissuta in tutta la sua genuinità e pienezza, dovrà spingersi e terminare all'adempimento della volontà di Cristo - «che siano una sola cosa» - e cioè all'unità di comunione eucaristica e apostolica.
Per questo la prima azione d'ecumenismo è il rinnovamento e la purificazione all'interno della Chiesa, affinchè il volto di questa appaia più splendente ai nostri fratelli separati, più glorioso, senza «macchia né ruga» (Ef. 5, 27) (Decr. Ecum. 4).
Secondariamente stimare e riconoscere il deposito di grazia e di parola di Dio presente nelle altre confessioni cristiane; usare spirito di libertà nel rispetto «della molteplicità dei doni e dei ministeri» (1 Cor. 12, 4-11) che lo Spirito dispensa nella Chiesa; su tutto, la carità, principio e legame interno di ogni unità (Ecum. 4).
Nella conoscenza e nello scambio ci sarà un arricchimento reciproco. Noi cattolici potremo riportare a più viva coscienza, per il contatto con i Protestanti, punti di dottrina quali l'importanza e l'efficacia della Parola di Dio, la centralità di culto e l'unicità della mediazione salvifica di Cristo, la gratuità della grazia e della fede, le opere buone frutto e non causa della sua giustificazione, la realtà carismatica e l'aspetto escatologico della Chiesa... I Protestanti potranno riguadagnare, col nostro contatto, il senso dell'unità e continuità apostolica della Chiesa, della traditione in quanto intelligenza che del vangelo ha il corpo vivente della Chiesa, la sacramentalità della Cena, la mediazione dei segni sacramentali nel dono della grazia...
Nella preghiera in comune si realizza il massimo dell'azione ecumenica. Se nel colloquio affiorano divergenze insuperabili, per la preghiera ci ritroviamo nell'unico Signore. E dalla preghiera usciamo umili e poveri in spirito, in aperta disponibilità cioè ad accettare la verità dovunque si manifesti (Ecum. 8).
Agli studiosi e ai teologi di professione il lavoro di comparazione e, di scambio a livello scientifico (studio in comune della Bibba, Tradizione, SS. Padri, Teologia ... ) (Decr. Ecum. 9, 11).
Per tutti i cristiani, l'ecumenismo spirituale - come lo chiama il Concilio (Decr. Ecum. 8): la vita intensa di grazia che spinge dall'interno all'unità perfetta di tutti i credenti in Cristo; il rinnovamento e la purificazione della Chiesa affinché questa dimostri la sua verità attraverso la sua evangelicità (questa è la verità della Chiesa, di essere come Gesù l'ha voluta); stima e rispetto per i fratelli separati che condividono con noi la vita di grazia e la testimonianza di Cristo; preghiera in comune dove si fa l'unità della Chiesa al livello di profondità di vita - «Dove due o tre sono riuniti in mio nome, ci sono Io in mezzo a loro» (Mt. 18, 20).