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  Così ha parlato il Concilio

 

1966-67: serie d'articoli divulgativi (ero nel convento della Minerva di Roma negli  anni 1964-67) sul Concilio Vaticano II (1962-1965) nel periodico «Il Rosario» (Firenze SMN), dietro richiesta dell'allora direttore Enrico Tanganelli OP († 31.I.1968).

Firenze SMN, maggio 2012. P. Eugenio Zabatta [† 22.VII.2017], attuale responsabile del periodico «Il Rosario», mi propone di ripubblicare i titoli III e X, ed eventualmente di "aggiornarli". Ne ritocco le citazioni, per facilitarne riconoscimento e riscontro. Invariato il contenuto. In calce aggiungo rinvio a luogo ed anno della pubblicazione originale (utile informazione per il lettori!).

Firenze SMN, ottobre 2012. Cinquant'anni dall'apertura del Concilio Vaticano II: sono le notizie dei media, in questi giorni!

I II III IV V VI VII VIII IX X ë

(I) La costituzione sulla Sacra Lirurgia,

 «Il Rosario» 1966, pp. 20-23.

 

ASMN I.C.102 E 149: Gaude felix parens Hyspania (ant. vespri s. Domenico)Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha dato il via ai suoi lavori con lo schema sulla Liturgia. Ed il primo documento conciliare approvato e promulgato è stato la «Costituzione sulla Sacra Liturgia» (4 dic. 1963).

Chi si aspettava che la Chiesa irrompesse - finalmente - nel mondo d'oggi senza ancoraggi e pentimenti s'è sentito deluso. E ha la sua parte di ragione. La Chiesa-cittadella, la Chiesa fortezza intesa a salvare il suo patrimonio divino con la separazione dagli elementi corrosivi del mondo o con l'appoggio dei potenti di questa terra, intesa a difendere la purezza della sua dottrina con la denuncia e la proscrizione degli errori degli altri, intesa a testimoniare l'Incarnazione dall'alto d’una rocca alla folla distratta della piana, ci era ben nota. Avevamo bisogno di ben altro. E la Chiesa è ben altro. Avevamo nutrito audaci, impossibili speranze. Ma Papa Giovanni ci aveva fatto sperare contro ogni speranza. Ed ora la Chiesa rivolge la sua prima solenne parola agli uomini d'oggi parlando di «liturgia»! Non ha forse giocato maldestramente la sua ultima carta? non ha forse mollato definitivamente la sua presa con gli uomini sollecitandone la nausea con una parola che sa di sego e d’incenso?

Eppure con la Costituzione sulla Sacra Liturgia la Chiesa del Concilio è stata più radicale di tutti i radicali. Ha portato la riflessione - e la critica - all'interno di se stessa. Non ha cominciato a trattare i suoi rapporti col mondo, ma la sua stessa natura. E qui, all’interno di se stessa, ha scoperto che la sua “natura in sé” è d'esser necessariamente per gli altri, per il mondo e per gli uomini.

La Costituzione c'introduce alla visione dell'opera della Redenzione. Le molteplici e antecedenti locuzioni di Dio agli uomini si raccolgono, si concludono in Cristo, l'ultima Parola di Dio agli uomini; ultima, perché in Essa Dio realizza la sua più intima presenza nel mondo: Cristo, Uomo-Dio, Umanità e Divinità nella sussistenza di un'unica Persona (Costit. Sacra Liturgia, c. I, n. 5). E l'Incarnazione di Cristo tende a realizzarsi nella Redenzione degli uomini attraverso il Mistero Pasquale - passione, morte, resurrezione, ascensione (ibid. c. I, n. 5).

Ma ciò che è avvenuto, una volta per sempre, nell'umanità di Cristo deve ripetersi negli uomini - dall'incarnazione all'ascensione - perché la Redenzione diventi nostra. Il tempo che corre tra l'Ascensione di Cristo ed il suo ultimo Ritorno (la Parusia) è il tempo della Chiesa. Il tempo cioè in cui la Redenzione è trasmessa e partecipata agli uomini e al mondo. L'annunzío della salvezza è affidato agli Apostoli. La messa in opera della salvezza, in quanto i frutti della Redenzione sono partecipati agli uomini, è compito di Cristo stesso presente ed operante nella Chiesa, nei suoi sacramenti, nelle parole, gesti e azioni santificanti. E questo reale esercizio di redenzione applicato agli uomini di ogni tempo è appunto la Liturgia (c. I, n. 6).

E così la Liturgia diventa l'anello che, nel tempo, continua la congíunzione di Dio e degli uomini, dell'Incarnazione di Cristo e della storia, della Chiesa e del mondo, nel senso che dall'intemo stesso del mondo essa riversa negli uomini i frutti della Redenzione di Cristo.

Ed ecco come lo stesso documento conciliare, raccogliendo i diversi elexnenti, definisce la Liturgia:

La Liturgia è l'esercizio in atto del Sacerdozio di Cristo, nel quale - attraverso segni sensibili - è realizzata la santificazione dell'uomo, ed è reso il culto pubblico a Dio dal Corpo Mistico di Cristo, dal suo Capo cioè e dalle sue membra (c. I, n. 7).

Un brevissinio commento.

La Liturgia presenta due momenti:

a) il primo che si svolge secondo un movimento dall'alto in basso (si comprenda - e si perdoni questo linguaggio spaziale!): la Chiesa-Istituzione (Sacerdozio di Cristo, Sacerdozio gerarchico, Sacramenti, parole e segni in genere produttori di grazia) porta verso la comunità dei fedeli la salvezza di Cristo e opera la santificazione degli uomini;

b) il secondo, dal basso in alto: la Chiesa-Comunità (l'insieme dei credenti in Cristo, Sacertoti e Popolo di Dio) offre di nuovo a Dio il sacrificio di Gesù, il suo sacrificio, se stessa e tutto il mondo in un atto di culto ecclesiale.

Così la Liturgia abbraccia tutto l'esercizio attuale dei mezzi di santificazione di Cristo (Sacramenti, sacramentali, benedizioni, consacrazioni...) e il culto di tutta la comunità della Chiesa a Dio (parole, gesti, azioni liturgiche, preghiere comunitarie, ufficio divino, vita nel mondo e consacrazione dell'uníverso...).

C'interessa che il fedele afferri e ritenga quest'idea centrale. Potrà poi da solo trarre tutta la comprensione del resto del documento conciliare (la «Liturgia è il culmine a cui tende la Chiesa e la fonte da cui scaturisce ogni sua capacità salvifica» I, 10) e di tutto il rinnovamento nel campo liturgico: partecipazione piena, cosciente, attiva dei fedeli alle celebrazioni liturgiche (I, 14); preeminenza della Scienza Liturgica tra le materie teologiche (I, 16) e della preghiera liturgica tra le pratiche di preghiera privata (I, 27); introduzione della lingua volgare nella Liturgia (I, 36) e in ispecie nell'amministrazione dei Sacramenti (cc. Il-III); riforma della musica sacra (c. VI), arte sacra e suppellettili sacre (C. VII).

Così, con la Costituzione sulla Sacra Liturgia la Chiesa del Concilio fa la sua entrata di diritto nel vivo del mondo e della nostra vita, tutto abbracciando e tutto trasfigurando in atto di culto. È appunto questa la Liturgia: continuazione in noi della Incarnazione di Cristo che, lievitando nel mondo e nella storia, tutto trasforma in «nuova creazione», in essa operando e risolvendosi in Redenzione.


 

 

Così ha parlato il Concilio

II

L'Eucaristia: transustanziazione e transignificazione,

 «Il Rosario» 1966, pp. 49-53.

ASMN I.C.102 F 11r Peto Domine (resp., dom. III sett., Tobia senior)Il Concilio non ha discusso uno schema sull'Eucaristia e non ne ha stilato un documento. Ma ne ha parlato nella Costit. sulla Chiesa e, più ampiamente, in quella sulla S. Liturgia (c. Il). Ma fuori dell'aula con,ciliare ed in occasione del Concilio si è molto detto e molto scritto sull'Eucaristia, e in particolare sulla questione della presenza reale (presenza del corpo e sangue di Gesù nella loro più vera realtà nelle specie sacramentali - pane e vino consacrati). La questione tocca molto da vicino anche il semplice fedele; per questo crediamo di rendergli un buon servizio mettendolo al corrente del problema mosso recentemente da teologi e pubblicisti. La Chiesa in Concilio, del resto, la Chiesa nella sua pienezza - sacerdoti e laici - vive la sua grande esperienza ed esprime la sua realtà anche al di là del recinto - per quanto grande - della basilica di S. Pietro.

Il problema della presenza reale, dibattuto recentemente in Italia (C. Colombo e F. Selvaggi), passò ben presto nei Paesi Bassi dove, superata la cerchia accademica degli specialisti in Teologia, divenne di pubblico dominio. Scrissero sull'argomento i teologi Vanneste, Moeller, Davies, Schoonenberg, Smits, Schillebeeckx. Problematica nuova, nuova terminologia, atteggiamento polemico verso l'interpretazione teologica "tradizíonale”(= teologia post-tridentina), intemperanze e imprudenze verbali di alcuni teologi fecero scattare la reazione degli allarmisti che gridarono all'eresia e allo scisma. Scoppiò allora il“boom”della polemica eucaristica, degenerata in attacchi passionali, infiorettata di leggende caIunniose quanto ridicole (alcuni sacerdoti olandesi avrebbero gettato ai polli le ostie consacrate avanzate dalla comunione!).

A questo punto intervennero i Vescovi olandesi con una Lettera Pastorale (27 aprile 1965) in cui si rassicuravano i fedeli da ogni slittamento dottrinale e da ogni scisma. Poi, la parola del Papa: il discorso a Pisa in occasione del Congr. Eucar. Naz. (11 giugno 1965), e l'enciclica «Mysterium Fidei» (3 sett. 1965). 

Ed ecco ora - evídentemente schematizzato e semplificato - il contenuto della polemica.

Ci si rifà ad una tradizionale distinzione nel sacramento dell'Eucaristia:

1) i segni sacramentali: il pane e il vino, elementi sensibili del sacramento;

2) i segni sacramentali e la realtà del sacramento: la presenza reale di Cristo - vero corpo e vero sangue di Gesù nei segni sacramentali;

3) la realtà del sacramento: la virtù salutifera del sacramento eucaristico in quanto generatrice della Chiesa (la «communio ecclesiastica» di S. Tommaso) e in quanto nutrimento spirituale dell'anima del fedele.

Ora la S. Scrittura, i Padri e i grandi Dottori della Scolastica medievale hanno messo l'accento sul terzo punto: l'Eucar. vista nel dono che Cristo fa di sé agli Apostoli («prendete e mangiate...»), Cristo presente nelle specie consacrate in quanto cibo spirituale del fedele, l'Eucar. ordinata essenzialmente a produrre la vita della Chiesa e del credente.

La Riforma protestante attacca la dottrina cattolica e, con diverse sfumature, rigetta la presenza reale. Il Concilio di Trento definisce categoricamente la presenza «vera, reale e sostanziale» di Cristo nelle specie consacrate (Sess. XII, 11 ottobre 1551).

Cosi, i teologi cattolici post-tridentini sono comprensibilmente portati,  in reazione alla negazione protestantica, a incentrare la dottrina eucaristica sulla nuova realtà - il corpo e il sangue di Cristo - che si sostituisce al pane e al vino: sul momento cioè in cui la realtà del pane e del vino si muta nella realtà del corpo di Gesù. Tutto questo espresso col termine di transustanziazione (la sostanza del pane si converte nella sostanza del corpo di Cristo).

Come si vede, la prospettiva è mutata. Non più l'Eucaristia vista nel suo ordinamento alla vita spirituale del fedele ma nella sua realtà in sé, come sostituzione di una sostanza ad un'altra sostanza (attenzione concentrata al n. 2 della distinzione sopra riportata).

Di qui le conseguenze nel campo del culto e della vita cristiana. L'Eucaristia non è più cibo ma termine d'adorazione; non il gesto amicale di Gesù che si offre al suo discepolo ma l'ostensorio che si eleva distante sulla testa dei fedeli; non più il caloroso frequente banchetto conviviale in cui Cristo si la pane e bevanda del commensale, ma il sacramento da onorare in solenni processioni sotto baldacchini sfarzosi e luccicanti.

 A questa - nient'affatto errata ma parziale - comprensione e valorizzazione del sacr. dell'Eucar., i teologi della recente polemica hanno voluto apportare un'integrazione riguadagnando alla teologia e al culto dei fedeli l'elemento della dottrina patristico-medievale messo allo scuro dalle preoccupazioni della Controriforma. Ripensare cioè l'Eucar. non unicamente nella sua realtà in sé (questione della transustanziazione come mterpretazione della presenza reale di Cristo nelle specie consacrate) ma nel suo momento dinamico, nel suo farsi dono e cibo ai fedeli. L'Eucar. è essenzialmente e prima di tutto Cristo-Cibo («Prendete e mangiate... Bevetene tutti»: Mt. 26, 26-27). Nell'Eucar. Cristo non viene per troneggiare sull'altare ma «ut sumatur», come dice il Tridentino; cioè, per porsi come cibo. In tal senso il sacr. dell'Eucar. non si dà in primo luogo come oggetto d'adorazione – è anche oggetto d'adorazione - ma come comunione con Cristo; non come ostensorio ma come pane e bevanda di cui si nutre il fedele e con cui si edifica la Chiesa di Dio nel mondo.

Per esprimere questa realtà e renderla operante nella vita liturgica della Chiesa, i teologi moderni hanno parlato di transfinalizzazione e di transignificazione. Il pane e il vino, dopo la consacrazione, non significano più il nutrimento corporale, ma acquistano un nuovo fine ed un nuovo significato. Essi passano a significare (= transigníficazione) il cibo spirituale del corpo e del sangue di Cristo.

Il termine “transignificazione" ha suscitato molti malintesi e molti equivoci. Per ben intenderlo bisogna dire che esso - e i teologi che l'hano usato - non intende escludere la realtà espressa dal termine“transustanziazione" (conversione del pane e del vino nel vero corpo e sangue di Gesù). Ma, ritenendo questo punto di dottrina, si vuol dire che la nuova realtà eucarística (la «sostanza» del corpo di Gesù) è tutta e immediatamente ordinata a significare e a produrre la vita ed il nutrimento del cristiano.

Non quindi un solo cambiamento di significazione realizzato dalla consacrazione - ciò non toccherebbe la realtà profonda del pane e del vino -; ma transignificazione sostanziale: tutta la nuova realtà dell'Eucaristia - corpo e sangue di Cristo - colta nella sua necessaria tendenza a significare e a fare la santità del popolo di Dio.

Così inteso, il termine transignificazione potrebbe esser ritenuto senza alcun timore. (Lo si è detto alieno ed astruso alle orecchie dei fedeli; l'accusa non è men vera per il termine“transustanziazione"). Potrebbe servire anzi - se ben inteso - a riconquistare e ad esprimere con più pienezza la nostra comprensione della realtà integrale dell'Eucaristia.

Questo completamento di dottrina è accettato da Paolo VI e integrato al patrimonio teologico tradizionale. L'enciclica «Mysterium Fidei», scongiurati i pericoli di troppo incauti tentativi e troppo frettolose innovazioni, ci offre una limpida e sostanziosa sintesi dell'interpretazione della realtà eucaristica colta nella sua riconquistata pienezza:

«Avvenuta la transustanziazione, le specie del pane e del vino acquistano un nuovo sígnifícato ed un nuovo fine, non essendo più l'usuale pane e l'usuale bevanda ma il segno di una cosa sacra e il segno d'un alimento spirituale; ma in tanto acquistano un nuovo significato ed un nuovo fine in quanto contengono una nuova realtà, che giustamente denominiamo ontologica» (Mysterium Fidei).

Emilio Panella OP


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