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Così ha parlato il Concilio

VII

La Chiesa in stato di missione,

 «Il Rosario» 1966, pp. 200-03.

stesso testo anche in «Missioni domenicane» 40/8-9 (1966) 1-6, e lì lo leggi!


 

Così ha parlato il Concilio

VIII

La libertà religiosa,

 «Il Rosario» 1966, pp. 238-43.

Tra i documenti conciliari quello sulla Libertà Religiosa è stato di gran lunga il più dibattuto, il più travagliato e - bisogna dirlo - il più innovatore. Non perché la dottrina della libertà sia estranea alla Chiesa Cattolica ma per una istintiva e congenita antipatia verso atteggiamenti liberali che circola negli ambienti clericali e di cui è imbevuta una non molto antica tradizione giuridico-teologica. Antipatia che affonda le sue radici nella reazione alle dottrine illuministiche sviluppatesi nelle forme del liberalismo del secolo XIX. Questo propagandava un insieme di posizioni dove la confusione tra libertà religiosa, vera religione, indifferentismo, laicismo, separazionismo - nozioni tenute insieme solo da una buona dose di non dissimulato anticlericalismo - metteva a buon ragione le armi in mano alla reazione cattolica. Si accusava lo Stato Pontificio di teocrazia, e peggio di ierocrazia, definita essenzialmente assolutista e antiliberale. E invero appigli non mancavano. Si ricordava la posizione ed il trattamento degli ebrei nella Roma pontificia. Lo stesso Concilio Vaticano II confessa discretamente ma sinceramente che, nella questione della libertà religiosa, «di quando in quando si sono avuti nella Chiesa modi di agire meno conformi allo spirito evangelico» (Dichiar. sulla Libertà Religiosa, n. 12). Bisogna aggiungere che il potere temporale del Papa e la «questione romana» non eran lì di certo per facilitare la soluzione del problema delle «libertà moderne».

In questo clima storico-politico si possono leggere e interpretare proposizioni di Pontefici dell'ottocento che, messe a fronte della dottrina sulla libertà religiosa del Vaticano II, riescono molto dure alla nostra sensibilità moderna e tali da fare arricciare il naso anche al più volenteroso dei benintenzionati conciliatori dei contrari. Contro Lamennais Gregorio XVI ha parole molto forti riguardo «all'erronea opinione, o piuttosto pazzia, di ritenere e rivendicare per chiunque la libertà di coscienza» (Encicl. Mirari vos, 15 ag. 1832; Denz. 1613). Nel famoso Sillabo Pio IX condanna la seguente proposizione: «Ogni uomo è libero d'abbracciare e di professare la religione che egli alla luce della ragione ritiene vera» (Denz. 1715).

***

Gli echi delle polemiche dell'ottocento son arrivati nell'aula conciliare del Vaticano Il. Nessun testo è stato discusso con tanta passione come questo. Apparso come capitolo dello schema sull'Ecumenismo, passò poi come appendice al medesimo schema per finire schema indipendente. Fu presentato ai Padri nella Il sessione del Concilio (19 sett. 1963) e suscitò subito grande interesse ma rivelò altrettanto disaccordo tra i conciliari ed extraconciliari. Dopo infiniti rimaneggiamenti e correzioni, il tormentatissimo testo fu definitivamente approvato nella IX sessione pubblica (7 dic. I965) con 2.308 voti favorevoli e 70 negativi.

Nella fase preparatoria del Concilio il problema fu presentato col titolo «Sulla tolleranza religiosa». Fin dalle prime discussioni in Concilio la parola“tolleranza”scompare ed è sostituita con l'espressione «libertà religiosa». Nel testo definitivo il termine“tolleranza”non è presente neppure una volta.

Appare già da questo l'intenzione e la volontà dei Concilio, che è poi autoritativamente espressa nel documento: l'uomo ha il diritto di scegliere e di praticare liberamente la religione che egli ritiene vera. Non quindi semplice tolleranza, benigna acquiescenza di chi detiene il potere riguardo all'esercizio d'un diritto che il suddito realmente non ha; ma soggettivo ed inalienabile diritto del suddito all'eserczio della libertà nel campo delle sue scelte e pratiche religiose. Sorge di conseguenza per i detentori dei pubblici poteri il dovere di rispettare e salvaguardare la libertà religiosa dei sudditi e di astenersi da ogni forma di coercizione nel campo religioso.

Come si vede, la definizione della libertà religiosa include un diritto della persona umana considerata nella sua dimensione sociale; si potrebbe così presentarla:

il diritto della persona umana di aderire alla religione che essa ritiene vera, il dovere del potere civile d'astenersi da ogni pressione in campo religioso e anzi di garantire e di favorire il libero esercizio del diritto alla libertà religiosa del suddito stesso (Dichiar. sulla Liber. Relg., n. 1).

Il fondamento di tale dottrina è trovato dal Concilio nella dignità della persona umana (ibid., n. 2); nell'intima costituzione dell'uomo come essere essenzialmente libero, capace cioè di scoprire la verità ed il bene e di realizzarlo per una mozione di adesione interna. E questo indipendentemente dalla considerazione della verità o falsità oggettiva del contenuto dell'adesione della persona umana. La libertà religiosa cioè viene all'uomo non nella misura in cui crede e accetta ciò che è oggettivamente vero, ma nella misura in cui nel giudizio di verità e di falsità esercita la sua facoltà di libera scelta in sincera ricerca di verità. «Non si fonda quindi il diritto alla libertà religiosa su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura» (ibid., n. 2). Può perciò accadere che un uomo, al termine della sua indagine sulla verità, accetti in buona fede come vero un credo religioso che è oggettivamente falso, e continua nondimeno ad aver pieno diritto alla libertà religiosa.

A questo punto è necessario fare alcune osservazioni intese a chiarire possibili equivoci che han turbato l'animo di molti fedeli.

1 - La libertà religiosa è un diritto «sociale» della persona umana; cioè un diritto che regola l'individuo nell'ambito di una convivenza sociale; comporta il diritto del singolo di professare in seno alla società la religione ritenuta vera e l'obbligo della comunità di rispettare tale diritto.

2 - La libertà religiosa non significa capricciosa e irresponsabile scelta della religione che più piace. Resta per il singolo l'obbligo morale della ricerca sincera e spassionata della vera religione. Ogni disimpegno o superficialità in questo campo risulta grave deficienza morale dell'uomo. Ma tutto ciò rimane nell'ambito delle responsabilità etiche dell'individuo dove è assolutamente estraneo e incompetente l'intervento del pubblico potere. «La verità non s'impone cbe in virtù della stessa verità» (ibid., n. 1): è il principio fondamentale che, rspecchiando la legge della verità, rivendica all'umile e incondizionata ricerca dell'intelligenza umana la scoperta della verità e la sottrae a qualsiasi indebita pressione esterna.

Ne consegue che la libertà religiosa:

a) non è la legittimazione dello scapricciato andazzo d'oggi di sentirsi moralmente autorizzati ad abbracciare con superficialità il credo religioso che più aggrada;

b) non è indifferentismo o sincretismo, convincimento cioè che tutte le religioni sian buone, che dall'una all'altra poco ci corra, che ciascuno, a casa sua, si tenga in buona pace la religione che madre natura gli ha dato.

Contro tali infantilismi mentali il Concilio ricorda, proprio nel documento sulla libertà religiosa, che «unica vera religione crediamo sussista nella Chiesa cattolica e apostolica» (ibid., n. 1). Quel che la dottrina sulla libertà religiosa vuol rivendicare è l'impegno e la responsabilità della singola persona umana alla ricerca della verità e l'incompetenza in questo campo della pubblica autorità. Così «tutti gli esseri umani son tenuti a cercare la verità, specialmente in ordine a Do e alla sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a renderle omaggio» (ibid., n. 1).

***

L'esercizio della libertà religiosa non è licenza o libertinaggio. Ha i suoi limiti; i limiti del rispetto dei diritti altrui e dei principi-base che regolano il buon ordinamento sociale. La società ha il diritto di autodifendersi e quindi di reprimere ogni incontrollato abuso di libertà religiosa (ibid., n. 7). In tale prospettiva la società, oltre alla difesa del diritto alla libertà religiosa, fa anche opera di educazione all'esercizio di tale diritto (ibid., n. 8) con l'intento ultimo di condurre i membri della comunità alla «libertà più ampia possibile» (libertà = autodeterminazione al bene) riducendone i limiti solo «quando ed in quanto è necessario» (ibid., n. 7). Ecco una franca e simpatica lezione di sano umanesimo.

Lo stesso diritto che compete al singolo va riconosciuto alle religioni in quanto comunità, cosicché queste possano liberamente scegliere, nominare e trasferire i propri ministri, comunicare con le autorità religiose esistenti in altri paesi, costruire edifici religiosi, acquistare e godere di beni adeguati (ibid., n. 4).

Sempre i medesimi diritti spettano alla famiglia quanto alla scelta del tipo d'educazione religiosa da impartirsi ai figli secondo le proprie convinzioni religiose (ibid., n. 5).

Chi credesse che la Chiesa Cattolica perori «pro domo sua» in un momento storico in cui vede ridotta quasi a nulla la sua supremazia politica e in cui soffre persecuzione ed ostracismo in molti paesi, sbaglia di molto. Essa chiede generosamente libertà non solo per sé ma «per tutti gli esseri umani e per tutte le comunità» (ibid., n. 13).

Il documento conclude presentandoci la predicazione di Cristo come tipo di guida alla verità nel massirno rispetto della libera accettazione. «Andate e predicate ... ; insegnate a tutte le genti... ». È l'annuncio della verità. Ed è l'unico modo di condurre alla verità. La verità si presenta, non s'impone. La «parola di Dio» ha la sua potenza (10.2, 35) e la verità ha in se stessa l'evidenza; la possibilità cioè dello svelamento e del riconoscimento.

Solo la libertà della verità può garantire il raggiungimento della verità che libera. «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gov. 8, 32). E allora sarà la Verità-Persona; il Cristo che ci libera dalla Schiavitù dell'errore, della morte, del peccato. E «se il Figlio vi libera, sarete veramente liberi» (Giov. 8, 36).


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