Così ha parlato il Concilio |
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I laici. «Il Rosario» 1966, pp. 144-48. |
Fu chiesto ad un prete: Qual è la posizione del laico nella Chiesa? È duplice - rispose il buon prete -; il laico sta in ginocchio dinnanzi all'altare e sta seduto dinnanzi al pulpito. Il Card. Gasquet, ironizzando, suggeriva una terza «posizione»: la mano al portafoglio.
Si sa. È proprio della barzelletta spingere fino all'equivoco dell'anfibologia la distorsione di una parola per far scattare la molla del riso. Ma resta che la parola di base deve offrire la «possibilità d'allargamento» del significato.
Nel nostro caso c'è tutta una storia - dall'èra costantiniana ai nostri giorni - che pesa sulla natura e sull'esercizio delle funzioni proprie del laico in seno alla Chiesa del Cristo. Sorvolando le cause del fenomeno, possiamo solo costatare il fatto dell'accentramento progressivo ed esclusivo dei ministeri della Chiesa di Dio nelle mani della gerarchia. Il laico si è visto man mano limitare la sua presenza attiva nella missione della Chiesa nel mondo ed è passato ad elemento-massa, ad oggetto e materia su cui si esercitano le funzioni gerarchiche. I Pastori son definiti nelle loro funzioni circa i laici; questi son definiti nella loro sottomissione e disponibilità alle funzioni dei Pastori. E la Chiesa pare chiusa in se stessa. Perfino il linguaggio risente di questo impoverimento. Quando, fino a qualche anno addietro, si diceva «Chiesa» si evocava inconsciamente l'elemento gerarchico, nel suo esercizio magistrale e giurisdizionale, del Popolo di Dio.
Del resto i grandi movimenti di laicizzazione si sono qualificati più come anti-clericali che come anti-ecclesiali. E se si son prodotti fuori - e a volte contro - la Chiesa, bisogna pur riconoscere che storicamente hanno avuto a che fare con una Chiesa più o meno identificata con la gerarchia e, nella forma più decadentistica, con una Chiesa clericalizzata. Si pensi ai movimenti di defeodalizzazione col passaggio alle libertà comunali (sec. XIII-XIV); dell'umanesimo col passaggio dalla monopolizzazione clericale della cultura all'autonomia delle scienze (sec. XV-XVI); dell'anticlericalismo dell'occidente europeo nel periodo illuminisiico (sec. XVIII-XIX); del socialismo con la promozione delle classi operaie fuori - e spesso contro - la «Chiesa» (sec. XIX-XX).
La teologia aveva quasi ignorato la positività e l'autonomia del laico nella missione della Chiesa. Anche i Papi più illuminati non riescono a recuperare la comprensione piena del laico nella Chiesa come era avvertita e vissuta nel periodo patristico. Leone XIII, per esempio, stabilita l'esistenza di due ordini nella Chiesa (pastore e gregge, capi e popolo) e descritte le funzioni dei pastori (insegnare, governare, dirigere), passa a definire la posizione dei laici in questi termini: «l'altro (l'ordne dei laici) ha per dovere d'esser sottomesso al primo, di obbedirgli, d'eseguire i suoi ordini, e di rendergli onore» (lett. a Monsig. Meignon, arciv. di Tours, 17 dic. 1888).
Come si vede, la tensione dei due ordini è talmente esasperata da introdurre una terminologia che pone la Chiesa-gerarchia di fronte al Popolo-laici; dove parrebbe (ma ad una riflessione esplicita nessuno avrebbe detto ciò) che i laici non sono la Chiesa e che la gerarchia non è il Popolo di Dio.
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Il Concilio Vaticano Il segna un momento storico per i laici nella Chiesa. Basti dire che, per la prima volta nella storia dei Concili Ecumenici, è emanato un documento esclusivamente sui laici (Decr. «Apostolicam Actuositatem» sull'Apostolato dei Laici, 18 nov. 1965), e tutto un capitolo della Cost. dogm. sulla Chiesa (c. IV) traccia con ìmpegno e densità i principi per una soda teologia del laicato.
Definito l'Apostolato come la totalità dell'azione del Corpo mistico di Cristo nella costruzione del Regno di Dio nel niondo, si dice che la Chiesa mette in opera il suo apostolato per mezzo dì tutte le sue membra, nel modo proprio che a ciascuna compete (Decr. Apost. Laici, n. 2).
Unicità dunque della Missione e molteplicità di Ministeri (ibid.).
La Chiesa realizza la sua Missione nell'esercizio del ministero:
1) profetico: annuncio, predicazione e testimonianza della verità del Vangelo nel mondo;
2) sacerdotale: celebrazione della Liturgia (tutti i sacramenti e mezzi salvifici in atto) come riallaccio alla morte e resurrezione del Cristo per riceverne e parteciparne i frutti della redenzione;
3) regale: assunzione di tutte le funzioni e realtà temporali per lievitarle dall'interno con Vangelo, ricondurle alla libertà della santità e ricapitolarle in Cristo.
Questi ministeri vengono esercitati indistintamente, nella Chìesa, da tutte le membra del Corpo Mistico. Cosicchè i Pastori «sanno di non essere stati istituiti da Crsto quasi dovessero da soli espletare tutta la missione salvifica della Chiesa, ma di avere il compito di pascere i fedeli riconoscendo i ministeri ed i carismi di questi» nell'unità dell'apostolato della Chiesa (Cost. sulla Chiesa, n. 30). Nel modo però e nella misura che compete a ciascun membro nel tutto che è l'organismo vivente.
Il laico, come membro di Cristo e partecipante della funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo in forza - e nei limiti - del battesimo e della confermazione, è profeta in quanto è posto nel cuore del mondo come «testimone della resurrezione e della vita del Signore Gesù e segno di Dio vivente» (Cost. sulla Chiesa, nn. 35, 38).
È sacerdote perché - pur non consacrando il corpo di Gesù, funzione specifica del sacerdozio gerarchico - nella vita profana tutto abbracciando e consacrando con la presenza dello Spirito (dal lavoro al divertimento onesto, dall'impegno sociale alla famiglia, dalle gioie alle angustie del secolo presente) tutto trasforma in «ostie spirituali, gradite a Dio per Cristo Gesù» 1 Pt. 2, 5); realtà che il laico offre, nel sacrificio eucaristico, a Dio Padre insieme alla grande e perfetta Ostia che è il Signore Gesù (Cost. sulla Chiesa, n. 34).
È re perché, riconquistando la libertà dei figli di Dio dalla servitù al mondo ed al peccato, nel mondo ritorna per assumerlo a soggetto di grazia e cioè di trasformazione in «cieli nuovi e terra nuova» affinché nel mondo sia trasfuso lo Spirito di Cristo, ed il mondo stesso sia raccolto e riportato a Cristo, poiché tutto in Lui è stato fatto, tutto il Lui è ricapitolato, lo spirituale e il corporale, cosicché tutto sia di Cristo come Cristo è di Dio (1 C. 3, 23) (Cost. Chiesa, n. 36).
Nel mondo, nelle attività prettamente umani e temporali, il laico trova il suo posto specifico ed inalienabile. Là egli esercita la sua funzione di membro del Corpo Mistico come nel suo «luogo naturale» a cui lo destina la missione del mondo e la missione della Chiesa.
Il Concilio ne parla con chiarezza e con trasporto. Riconosce l'autonomia ed il valore delle realtà temporali, valore che ha origine da Dio stesso, facitore ed ordinatore di tutte le cose (Decr. Apost. dei Laici, n. 7). A queste la Chiesa si volge come a realtà da ricostituire e riordinare nel Cristo (Ibid.). Il compito è affidato ai laici.
«È necessario che i Laici assumano, come proprio compito, l'istaurazione dell'ordine temporale ed in esso... agiscono direttamente ed efficacemente; operino, cittadini tra cittadini, con specifica competenza e senso di responsabilità; cerchino in tutto la giustizia del regno di Dio. Instaurino l'ordine temporale in modo tale che, rispettando in tutto l'autonomia e la specificità delle sue leggi, sia reso conforme ai principi della vita cristiana... » (ibid.). Si passano in rassegna poi esplicitamente i settori di lavoro dove il laico è principalmente chiamato da Dio a testimoniare e vivere il Vangelo: collaborazione parrocchiale, famiglia e vita matrimoniale, educazione dei giovani, promozione della giustizia sociale e cristianizzazìone della società umana, vita nazionale e relazioni internazionali... (Decr. Apost. Laici, c. IIl).
È riconquistata così la positività e l'autonomia del laico nella missione del Popolo di Dio nel mondo. È riconquistata soprattutto la comprensione del posto dei laici nella Chiesa. Questa, definendosi sempre più chiaramente, ritrova a livello più profondo la sua fondamentale unità proprio accettando e riconoscendo la molteplicità delle sue membra e le diversità delle loro funzioni. È proprio qui la comprensione della composizione nella Chiesa dei Pastori e dei Laici: unità della Missione, molteplicità dei Ministeri.
Si capisce ora la profondità e la ricchezza della definizione che il Concilio dà del laico, dove insieme alle attività proprie del semplice fedele riscopriamo la profonda unità del Corpo Mistico di Cristo nella totalità e diversità delle sue Membra:
«Intendiamo per Laici tutti i cristiani - oltre i membri dell'ordine sacro e dello stato religioso - che, in quanto incorporati a Cristo nel battesimo, costituiti in Popolo di Dio, fatti partecipi dell'esercizio del ministero sacerdotale, profetico e regale di Cristo nel modo che a loro compete, esercitano per parte loro la missione di tutto il popolo cristiano nella Chiesa e nel mondo» (Cost. sulla Chiesa, n. 31).
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Così ha parlato il Concilio |
Le religioni non cristiane:
«Il Rosario» 1966, pp. 167-70.
ripubblicato per iniziativa di p. E. Zabatta OP in
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Le cose di casa nostra son sempre quelle che c'interessan di più. E a ragione. Per questo abbiamo diviso con i Padri Conciliari il nostro interesse per i grandi temi della Chiesa in Concilio: liturgia, Chiesa, laici, vita familiare... Ma quando si ritorna con calma sui documenti conciliari si resta colpiti da testi apparentemente di second'ordine. I testi sull'lslam, per esempio.
La Chiesa ha avuto a che fare con i Musulmani fin dal loro primo apparire. Non sono stati, per lo più, rapporti di buoni amici. È vero che dalla decadenza dell'impero ottomano e dalla soppressione del califfato c'è stata una schiarita. Ma ciò non ci dispensa dall'interessarci all'Islam.
Si tratta di un mondo in piena rinascita religiosa, sociale e politica. I Musulmani si aggirano attualmente intorno ai 450 milioni. Sono in continuo aumento. Nell'Africa nera è in atto un ampio movimento di conversione all'Islam. La Chiesa in missione incontra, come prima barriera, l'Islam. E con esso deve fare i conti.
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Il Concilio Ecumenico ha parlato due volte dell'Islam: nella Costituzione sulla Chiesa e nella Dichiarazione sulle Religioni non-cristiane.
Il primo testo - il più breve - ha il vantaggio di presentarci fa religione islamica inserita nella visione che il documento traccia della storia degli uomini orientati verso la rivelazione perfetta di Dio che si fa in Cristo. Di questo movimento verso la luce perfetta ogni religione rappresenta una tappa, con un patrimonio più o meno ricco di valori umani e religiosi capaci di porsi come soggetti di grazia, e dunque di salvezza. La Chiesa si rivolge a queste religioni non come a realtà da affrontare e da abbattere ma come a valori da assumere ad una significazione di predicazione pre-evangelica. Non è questione di una «tattica dell'apostolato della conversione», ma è il rispetto per la particella di luce - e cioè di verità - di cui pur beneficiano coloro che «sono nelle tenebre e nell'ombra della morte». Per questo «quanto di buono e di vero si trova presso di loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione al Vangelo» (Cost. sulla Chiesa, II, n. 16).
In questa prospettiva viene situato il fatto storico Islam.
«Il disegno della salvezza abbraccia anche quelli che riconoscono il Creatore, primi tra tutti i Musulmani i quali, dichiarando d'aver la fede d'Abramo, adorano con noi il Dio unico, misericordioso, giudice futuro dell'uomo all'ultimo giorno» (Cost. s. Chiesa, II, 16).
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Il secondo testo, alquanto più lungo, illustra con chiarezza e con lealtà i punti-cardine della dottrina dell'Islam e stabilisce i rapporti del cristiano con il musulmano.
«La Chiesa guarda inoltre con stima ai Musulmani che adorano il Dio Uno, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente. Creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto l'animo agli occulti decreti di Dio, come si sottomise a Dio Abramo al quale la lede islamica si riporta volentieri. Venerano come profeta Gesù, sebbene non lo riconoscano come Dio, onorano la sua verginale madre Maria e a volte la invocano anche con devozione. Aspettano inoltre il giorno del giudizio quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Hanno stima della vita morale e rendono il culto a Dio soprattuto nella preghiera, nell'elemosina e nel digiuno».
Seguiva qui una proposizione che, per le critiche fattele nell'ultima dscussione dello schema, fu soppressa: «Essi si sforzano di condurre, in obbedienza a Dio, una vita morale, sia individuale che familiare e sociale». Il testo poi conclude:
«Se nel corso dei secoli tra Cristiani e Musulmani sorsero non poche divergenze ed inimicizie, il Concilio li esorta tutti affinché, dimenticato il passato, realizzino sinceramente una mutua comprensione, difendano e promuovano per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali nonché la pace e la libertà» (Dichiar. sulle relaz. della Chiesa con le Relig. non-cristiane, n. 3; 28 ott. 1965).
Durante la discussione in Concilio si chiese la soppressione dell'appellativo «figli d’Ismaele» dato ai Musulmani. Ma ciò non nega la dipendenza della religione slamica dal patrimonio religioso della rivelazione ebraica. Sarebbe come voler chiudere gli occhi davanti la luce dell'evdenza. Il Concilio tratteggia il Dio predicato da Maometto usando gli stessi attributi coranici. Anche una superficiale curiosità comparativa rileverebbe l'identicità degli attributi divini nel Corano con quelli usati nella rivelazione vetero-testamentaria. Perfino la lingua araba, nei nomi divini, ricalca «tout court» i temi ebraici.
Così il Dio comune dei Musulmani e della rivelazione giudeo-cristiana è il Dio Uno, vivente e vivificante, avente in sé la pienezza dell'essere; da lui è l'essere di tutte le cose essendo il «creatore del cielo e della terra»; è onnipotente e nello stesso tempo misericordioso, guida il corso della storia e tutto abbraccia nella sua imperscrutabile provvidenza.
Si dice ancora che Egli «ha parlato agli uomini». Elemento importantissimo (Rivelazione) che caratterizza il Dio dei due gruppi religiosi e che potrebbe essere un punto capitale per l'approfondimento dell'origine storica dell'Islam.
Nella redazione definitiva è stato soppresso l'attributo «personale» mancante di un corrispondente nel linguaggio coranico e nella teologia islamica. Non si parla di unione tra Dio e uomo, elemento estraneo all'Islam e proprio della rivelazione cristiana. Gesù è onorato dai Musulmani come un grande profeta e uomo santissimo. Tutta la tradizione ascetico-mistica dell'Islam ne farà il modello di ogni perfezione e santità. È ritenuta la verginità di Maria madre di Gesù - una tradizione islamica ne afferma anche l'assoluta santità (immacolata concezione?) - e non di rado i devoti musulmani la pregano con devozione. Il giudizio finale dopo la risurrezione dei morti e Dio rimuneratore del bene e del male fondano un'autentica istanza di vita morale.
L'ultima proposizione del testo conciliare è di certo la più importante e d'immensa portata per il futuro. L'argomento era tutt'altro che facile da abbordare ma i Padri Concliari ne son venuti a capo con maestria. Brevità e chiarezza, insieme ad una grande onestà. Soprattutto una volontà ferma di stabilire per il futuro con l'Islam rapporti su tutt'altre basi che nel passato.
Tutti sappiamo questa triste e difficile storia. Un flusso e riflusso d'offensive e d'ostilità da ambo le parti, dove l'istanza religiosa fu, da ambo le parti, inficiata e tradita da interessi politici di potenza e di dominio. La sconcertante conquista araba dei secoli VII e VIII e la risposta delle crociate dei secoli XI-XIV; la spinta ottomana fino alle porte delle città europee e la controffensiva occidentale; la colonizzazione del secolo scorso e il nazionalismo indipendentistico dei paesi arabi di questo secolo. Tutto ciò ha lasciato tracce che non si cancellano con un colpo di spugna. Il nostro linguaggio raccoglie indiscriminatamente parole come maomettano, musulmano, saraceno, turco, tenute insieme solo da una buona dose d'imparziale disprezzo. Disprezzo - bisogna dirlo - che i nostri amici Musulmani ricambiano cordialmente e con sovrabbondanza. Così noi festeggiamo il trionfo della fede sulla flotta musulmana a Lepanto (1571) e i Musulmani ricordano con una festa religiosa la loro vittoria sulla flotta bizantina (655), così come da noi si benedicevano le spade dei crociati e i Musulmani scolpivano sulle bocche dei cannoni ottomani «Dio ci aiuti!»... Noi tagliamo corto e diciamo che siamo noi ad avere la verità. Ma siamo sicuri di essere nella verità quando appendiamo la nostra verità (la verità di Cristo!) alla punta delle spade?
Il Concilio c'invita a «dimenticare il passato» - un modo garbato per dirci di battere il «mea culpa» nella porzione che ci spetta - e a guardate al futuro. Sì, guardare al futuro. Ma con la necessaria condizione di riconoscerci nei nostri secolari avversari e di tener conto del patrimonio di fondo dell'Islam che, costituendo il cuore della religione islamica, è nello stesso tempo patrimonio comune della rivelazione giudeo-cristiana.
Da questa revisione del nostro rapporto con l'Islam può esser ricostruito un nuovo tipo di presenza e di missione della Chiesa in terre musulmane. L'apostolato missionario «della conversione e dell'abiura» incontra - è l'esperienza d'ogni giorno - una barriera insormontabile con l'Islam; ma soprattutto non ha, forse, una piena e soddisfacente giustificazione teologica; il che vuol dire che non è, forse, genuinamente e limpidamente evangelico.
I princìpi dell'Islam - Dio unico, provvidente, misericordioso, rimuneratore nel giorno del giudizio - sono capaci di generare un valido rapporto religioso tra l'uomo e Dio e un autentico inizio di vita morale, e cioè di salvezza. Assumendo questo valore di base è possibile, dall’interno stesso dell'anima musulmana, produrre un movimento direzionale cbe, se spinto con generosità e lealtà fino in fondo, terminerà a Cristo, l'unico mediatore tra l'uomo e Dio, l'unco per mezzo del quale si è salvi.
Non c'è dubbio che per la teologia missionaria molti passi restano ancora da fare in questo campo. Ma una esperienza missionaria di marca genuinamente «apostolica» in terra d'Islam può confermare forse - nella linea dei fatti - la validità di questa riconquistata e più evangelica attitudine missionaria.