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3. Educazione e secolarizzazione.

Un capitolo importante e trattato in dettaglio dall'autore. Qui, per motivi redazionali, saranno semplicemente accennati alcuni punti salienti.

a) Si nota una moderata tendenza secolarizzante nelle idee ispiratrici degli educatori e pianificatori dell'istruzione al livello nazionale; idee secolarizzanti che da una parte tendono a smorzare le tinte dommatiche e confessionali dell'Islàm a favore di una socializzazione della religione (Islàm a servizio del progresso sociale, economico e scientifico della società), dall'altra ad inculcare cautamente l'applicazione dello spirito delle scienze moderne e della libera critica anche al campo della religione. Ecco alcuni paragrafi tratti dal Report of the Commission on National Education, Karachi 1959:

«Il nostro paese emerse dalla lotta per la preservazione di uno stile di vita islamico. Quando diciamo stile di vita islamico intendiamo quei valori che emanano dal concetto di un universo retto dai principi della verità, giustizia e benevolenza, dove le relazioni umane sono basate sull'ideale della fratellanza universale e dove tutto è profondamente radicato nella fede religiosa. I valori morali e spirituali dell'Islàm integrati dalla libertà, compattezza e forza del Pakistàn, dovrebbero essere l'ideologia che ispira il nostro sistema educativo» (p. 10-11).

«L'educazione deve trarre profitto dall'influsso umanizzante della religione che allarga simpatie, inculca tolleranza, auto-sacrificio e servizio sociale, e rimuove discriminazioni artificiali tra uomo e uomo... » (ib. p. 209).

«Studiosi ed insegnanti di Islamyat (corsi di religione islamica) debbono sviluppare il senso dell'oggettività e comprendere lo spirito e i metodi della scienza moderna... che dovrebbero essere applicati con libertà nell'interpretazione dell'Islàm...» (ib., p. 210-211).

b) Abbiamo accennato alla piaga dell'analfabetismo. Se si considera che in Pakistàn occidentale il 77,5% della popolazione vive in zone rurali, mentre il 49% di chi sa leggere e scrivere, vive in città (il 22,5% è la popolazione urbana del Pakistàn occidentale), ci si rende conto come la gran massa della popolazione del Pakistàn viva in un contesto di mentalità rurale. Di qui l'osservazione di S. H. ZAIDI, studioso di psicologia sociale:

«I Pakistani sono essenzialmente un popolo retto dalla tradizione. Tutto ciò che esce dal tradizionale è sospettato ed opposto... anche cose materialmente vantaggiose. Il caso delle tecniche agricole e dell'uso delle attrezzature moderne conferma, per la maggioranza dei pakistani, quel che si diceva sopra. Certo, l'attitudine di resistenza si fa sempre piò debole col passar del tempo... ma come nazione noi non ci possiamo certo classificare primi tra coloro che adottano innovazioni... ».

E, interessantissima per la caratteristica mentale che rivela (la giustificazione del nuovo deve esser trovata nel vecchio!), l'ultima osservazione:

«Il nostro più forte stimolo all'azione può essere manipolato mettendo in relazione il nuovo col vecchio. Esempio ne è il nostro cercare nel Corano e nella Sunnah la legittimazione dei metodi anticoncezionali» (S. M. H. ZAIDI, Cultural Transmission Through Education, Karahi 1967, p. 19). (Si ricordi che la campagna per il controllo delle nascite condotta con molta baldanza dal governo ha dato risultati scoraggianti. La popolazione rurale - gli unici «proletari» - è ancora vittima della remora di credenze popolari e preconcetti d'ogni sorta contro qualsiasi interferenza nella vita coniugale: dalla credenza religiosa «più figli più benedizioni divine» all'insradicabile sospetto di una conseguente temutissima impotenza. - EP).

c) Risultati di una inchiesta condotta a Lahore sull'attitudine circa l'educazione secolare o religiosa:

- 85% dà più importanza all'educazione secolare che religiosa;

- 81 % pensa che il fine di un sistema educativo sia di condurre la persona umana ad una vita economicamente prospera;

- 80% preferisce l'uomo economicamente progredito a quello pio.

L'inchiesta onclude rilevando la lenta ma sicura regressione dell'importanza e presenza della religione, con tutte le sue manifestazioni tradizionali, tra la popolazione urbana. Cause: penetrazione della mentalità della scienza e della tecnica, mancanza di flessibilità nella religione così come insegnata dai mullah (capi religiosi di basso rango), gretto dommatismo degli 'ulema (dottori in diritto islamico), influsso di correnti materialistiche dell'occidente che allontanano dal senso religioso ecc.

4. Mobilità sociale e secolarizzazione.

Non c'è dubbio che il campo specificamente sociale offra il banco di prova per eccellenza sia per la verifica di un reale movimento di secolarizzazione che per le risposte o riadattamento che sistemi, religiosi o ideologici che siano, producono come condizione della loro sopravvivenza.

Il grande fenomeno che attualmente monopolizza, all'interno della struttura sociale del Pakistàn, il referenziale sociologico della «social mobility» è l'urbanizzazione. Data la relativa uniformità dell'economia pakistana, l'urbanizzazione viene praticamente a coincidere con la migrazione di masse da zone ad economia essenzialmente agricola a quelle ad economia industriale di città. I sociologi pakistani delle università di Karachi e Lahore si sono interessati al fenomeno e ne hanno analizzato la componente psico-religiosa soggetta a radicali combiamenti. Così, ad esempio, si esprime S. M. H. ZAIDI:

«... la più importante ragione dei cambiamenti sociali nella nostra società è il passaggio da una economia agricola e rurale ad una semi-industriale ed urbana... Il sistema tradizionale di valori... legami familiari, rispetto per gli anziani, relazioni genitori-figli, attitudine verso il lavoro e le autorità, rispetto per la vita e dignità... tutte queste caratteristiche fondamentali (della società rurale) sono in trasformazione» (Psychological Problems of Industrialization in Pakistan, Pakistan Philosophical Congress, Lahore 1964, p. 37).

Ed è facile comprendere l'attrattiva della città, l'unico ganglio sociale che rompe l'economia a binario unico delle zone agricole: infinite possibilità di lavoro, salario in denaro invece che in natura, attività ricreative e svaghi inesistenti nei villaggi; possibilità, nell'insieme, di salire nella scala sociale di contro alla monolitica omogeneità dell'economia agricola nei villaggi, alla inscalfibilità della fortezza delle stratificazioni sociali («zamindar», proprietari terrieri, da una parte, e la massa dei lavoratori manuali dall'altra), allo scoraggiante immobilismo della psicologia della popolazione rurale.

Ma il passaggio violento, pedagogicamente impreparato, da una struttura sociale all'altra è spesso causa di profondi shocks e di radicali capovolgimenti di valori ed attitudini. «La mobilità sociale implica la disintegrazione di valori ed attitudini tradizionali. Quando la cultura di un gruppo esterno diventa il contesto referenziale di un individuo o famiglia, le tradizioni ed il sistema dei valori di questi ultimi sono trascurati a preferenza dei valori della nuova cultura. La società pakistana sta appunto affrontando tale crisi di valori orien­tativi» (ib., p. 38). Il settore più bersagliato, nel contesto della nuova «cultura» di stampo urbano-industriale, è quello religioso, dove credenze e valori trasmessi in moduli semplicistici e primitivi sono spazzati via senza rimpianti.

Ma ci sono, nel giuoco ricco e insemplificabile della realtà sociale, dei riversi, delle reazioni, dei controagenti. Così nel quadro d'insieme del fenomeno dell'urbanizzazione in Pakistàn Occidentale ci sono forze sociali che operano in senso contrario; contrario cioè all'urbanizzazione e ai para-fenomeni ad essa connessi. Ma meglio sarebbe dire fattori sociali che operano per il mantenimento dello status quo, e cioè delle strutture economiche di marca tradizionale e feudale. Il sistema di casta, per esempio. L'Islàm condanna tale sistema sulla base della uguaglianza e fratellanza di tutti i muslimìn, i credenti. Ma la secolare convivenza con gli indù ha lasciato evidenti impronte di stratificazioni di casta sulla comunità musulmana del sub-continente. (Si ricordi che la migrazione in massa degli indù dall'attuale territorio pakistano ebbe luogo, non senza spargimento di sangue, al tempo della Partition, 1947. - EP). Secondo il parere del Dr. M. FAYYAZ, rettore della cattedra di sociologia di Lahore, le istituzioni economiche così come ancora esistono in Pakistàn occidentale mirano a perpetuare il sistema di casta. E non c'è bisogno di domandarsi il perché, quando il latifondismo vive e vegeta grazie proprio ad ataviche strutture ed idee di casta.

Ma ci sono anche altre forze, oltre al sistema di casta, che fanno da freno: religione predicata e praticata in forme cristallizzate, avulsa dalla realtà quotidiana dell'uomo di strada e chiosata da teologie manicheistiche, deterministiche e di spiritualismo disimpegnato; matrimonio scrupolosamente endogamico e perpetuante, così, con le sue mille ramificazioni di parentela, tessuti sociali a base di clan e semitribù, difficilmente attaccabili dalla tignola delle innovazioni; il bisogno della protezione sociale, inesistente nel contesto de-tribalizzato della città e assicurata invece nel contesto di vita rurale: qui se l'individuo difficilmente raggiunge la sua completa autonomia personale in rapporto alla famiglia-clan e alla parentela-tribù, trova per contrappeso sicuramente la protezione e l'aiuto dal suo parentado sempre e per ogni evenienza.

La donna e la sua emancipazione nella società islamica come tale e in Pakistàn in ispecie: un altro vasto campo in cui l'erba della secolarizzazione sta saldamente attecchendo. E nomino solo i settori: istruzione, libertà di scelta nel matrimonio, pubblici impieghi, abolizione della pardah (seclusione in genere della donna dalla società; prende il nome di burqah riferita al velo sul volto o cappa che le musulmane di stretta osservanza portano quando escono di casa. - EP); controllo delle nascite; divorzio e poligamia: settore legislativo che meriterebbe da solo uno studio a parte. Basti ricordare, qui, la Muslim Family Laws Ordinance del 1961 in cui il legislatore pakistano, pur non avendo abolita la poligamia, ha posto pesanti restrizioni ad esse producendo un coraggioso spostamento etico-legislativo di evidente superamento della tassativa legislazione coranica. (E' facile accorgersi delle conseguenze rivoluzionarie che potrebbero venirne fuori per l'Islàm se tale riassetto metodologico di esegesi coranica potesse avere libero corso in tutti i settori di vita all'interno della comunità musulmana. - EP).

Per concludere si potrebbe far menzione dei mezzi di comunicazione che, rompendo l'isolazionismo culturale, fanno da veicoli distributori e propagatori di idee, gusti, interessi innovatori. (Ma attenzione: tali mezzi in mano, per intrallazzo politico o per pressione economica, ai detentori dei mezzi di produzione possono diventare a loro volta veicoli della reazione. Le radioline a transistor, ad esempio, sono penetrate anche nei più remoti villaggi; ma nella mia triennale curiosità... radiofonica nel Panjab, non ricordo un solo caso di trasmissioni o programmi di contenuto straniero, fosse pure di musica non­pakistana. - EP).

Conclusione.

Pakistàn: popolazione legata, per via di ancestrale consuetudine mentale e per forzate strutture socio-economiche, ad una prospettiva di vita essenzialmente tradizionale, restia al cambiamento e all'avventura.

Eppure dal 1947 - anno della creazione del Pakistàn - ad oggi una grande ondata di secolarizzazione, in tutti i settori culturali e strati sociali, si è abbattuta sui 120 milioni di pakistani.

Facile comprendere la crisi - anche se ancora in germe in alcuni gruppi sociali - etica, religiosa, culturale. Come reagirà questa nuova nazione nel suo insieme? Come reagirà l'Islàm - la religione ufficiale ed ispiratrice del Pakistàn - alla sfida lanciatagli dall'uomo e mondo d'oggi a rendersi credibile una volta ancora?

Lascio al P. Butler d'esprimere con le sue stesse parole il giudizio, o meglio l'augurio finale:

«Non spetta a noi stabilire se l'Islàm si sia reso conto di cosa significhi preservare nel mondo di oggi i suoi credenti. Forse sì forse no. Ma di fronte alla presente crisi ci permettiamo d'avanzare un umile augurio: che i critici all'interno stesso dell'Islàm possano vedere realizzate le loro speranze di una riflessione dinamica e sensibile ai tempi nuovi su come trasmettere il messaggio (dell'Islàm) al nostro mondo secolarizzato. Se questa speranza sarà realizzata, l'Islàm avrà dato la prova che possiede la capacità di aprirsi alla comprensione della propria missione non solo attraverso l'obbedienza alla parola della Rivelazione scritta ma anche attraverso la lettura della parola di Dio nell'Evento del progresso umano».


La seconda parte, con alcune considerazioni conclusive, seguirà nel prossimo numero.

[così scritto nell'ed. a stampa; "seconda parte" di fatto mai redatta: drammatica situazione bellica in Pakistàn a fine '71 e mia espulsione dettero altro corso agli eventi]



finis

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