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Secolarizzazione nel cuore dellIslàm,

«Vita sociale» 29 (1971) 388-96.

 

Premessa - Robert BÜTLER S. J.

1

Ideologia del Pakistan e secolarizzazione

2

Letteratura pakistana e secolarizzazione

3

Educazione e secolarizzazione

4

Mobilità sociale e secolarizzazione

 

Conclusione

ë

 

Per richiesta di Sophia University in Tokyo, che organizzò nell'estate 1969 un simposio sul tema «Secolarizzazione nel sud-est asiatico», il Padre Robert BUTLER S. J. ha condotto una inchiesta sul fenomeno della secolarizzazione in Pakistàn occidentale. Il risultato del lavoro, distribuito in un primo tempo in ciclostile, è recentemente apparso sulla rivista teologica curata dai Protestanti del Christian Study Centre di Rawalpindi, W. Pakistan (Al-Mushir, XIII, Jan­Feb. 1971, pp. 1-31).

Il tema è d'estremo interesse perché permette di cogliere, nello stesso tempo, due settori d'osmosi culturale che sono all'origine della presente rivoluzione (pacifica?) socio-culturale che il mondo asiatico sta vivendo: da una parte il fenomeno della reazione della religione (in questo caso l'Islàm) di fronte ai fermenti secolarizzatori del mondo moderno; dall'altra la più vasta problematica di come un mondo orientale accetti, selezioni, accomodi, respinga stimoli di mentalità prettamente occidentali. E questo in un momento storico in cui la completa sottrazione di un gruppo umano dalla pressione stimolante di altri non pare più possibile, o per la forma sempre più socializzata che la comunità umana come tale va assumendo o per la dipendenza economica - dal bisogno dell'assistenza tecnica allo sfruttamento capitalista ­ che i paesi dell'Asia subiscono dall'Occidente.

Il lavoro del P. Butler si muove sul binario di una metodologia tipo inchiesta oggettiva, anche se il materiale raccolto è intelligentemente organizzato secondo una linea discretamente interpretativa, quanto sufficiente per offrire al lettore i quadri valutativi dei reportages nel loro insieme. In definitiva, chi parla sono gli stessi pakistani, per lo più del ceto colto, posti di fronte alla presa di coscienza di fatti e fenomeni fin'ora ignorati dall'Islàm tradizionale. Ed è estremamente interessante sapere che cosa loro - più che noi - pensino del fenomeno della secolarizzazione che oggi è riuscito ad attaccare perfino la massiccia isolata fortezza dell'Islàm.

Presenterò qui un sommario delle trentuno fittissime pagine del lavoro del P. Butler, al quale farò seguire alcune considerazioni conclusive. L'intento di non perdere nessuno dei punti chiave del lavoro originale mi ha fatto scegliere una forma letteraria di sommario dove introduzioni ed inquadrature di massima potrebbero sembrare, al P. Butler, troppo libere rispetto al testo originale. Ma mi auguro che l'autore possa riconoscerne la fedeltà di fondo. Degli inserti in parentesi con sigla «EP» il solo sottoscritto è responsabile.


TENDENZE DI SECOLARIZZAZIONE
NEL PAKISTAN OCCIDENTALE

(Secularizing Trends in West Pakistan, by Dr R. A. BUTLER S. J.)

Comunque si definisca la nozione di secolarizzazione, bisogna sempre guardarsi dalla facile tentazione d'interpretare tale fenomeno storico cosi come si mostra in Oriente con i quadri referenziali del mondo occidentale, dove la secolarizzazione si è venuta operando in un contesto culturale proprio e in confrontazione col Cristianesimo. Solo a scopo orientativo e con valore operazionale si potrebbe partire dalla definizione di secolarizzazione proposta da R. MEHL:

«Processo in forza del quale la società si sgancia dagli ideali, credenze e istituzioni religiose che hanno forgiato la sua esistenza, per costituirsi in realtà autonoma, per trovare in se stessa il principio del proprio organizzarsi e per ricondurre la religione al settore privato della vita» (E. P. NACPIL, The secular and secularization, Tokyo 1968).

1. Ideologia del Pakistàn e secolarizzazione.

Il Pakistàn è nato come istanza, ideologica e religiosa, dei musulmani del sub-continente indiano: un paese sovrano e indipendente dove i musulmani dell'allora India «potessero, individualmente e collettivamente, ordinare la propria vita secondo gli insegnamenti e le esigenze dellIslam, così come stabilito nel Libro Santo del Corano e nella Sunnah» (tradizione del Profeta e dei suoi primi compagni. - EP). (Costituzione della Repubblica Islamica del Pakistan, 1956).

Ma non c'è dubbio che interessi extra-religiosi (desiderio, per es., della classe media di trovare una apertura socio-economica di contro la preponderante forza economica degli indù) abbiano avuto altrettanto peso nella politica della All India Muslim League. Si aggiunga il fatto che l'ispiratore del partito islamico e il fondatore del Pakistàn, Muhammad Ali Jinnah, era tutt'altro tipo del musulmano rigido e conservatore. La sua educazione occidentale e sensibilità sociale erano più che sufficienti per infondere una discreta dose d'idee secolarizzanti nella politica e legislazione del giovane stato. All'assemblea Costituente dell'8 agosto 1947, Jinnah ebbe a dire:

«Io penso che noi dovremmo considerare la comune intesa e la reciproca fiducia come un nostro ideale. A lungo andare gli indù non saranno più indù, i musulmani non saranno più musulmani, non in senso religioso perché questa è la fede personale di ciascun individuo, ma in senso politico come cittadini dello Stato» (K. CALLARD, Pakistan, a Political Study, London 1958, p. 233).

Così le due costituzioni del Pakistàn che si sono succedute fino a questo momento (quelle del 1956 e del 1962, ambedue abolite dalla legge marziale in seguito a colpi militari) potrebbero, per uno di quegli strani riversi della storia, soddisfare - eccetto per alcuni dettagli specificamente islamici - i bisogni e le tendenze di qualsiasi stato occidentale. Tutto questo nel generico contesto dell'affermazione della fede monoteistica, dell'universale sovranità di Allah (Costit. 1962, preambolo), dei principi della fratellanza islamica. (Significativo il cambiamento nel nome ufficiale dello Stato: da «Repubblica Islamica del Pakistan» nella costituzione del '56 a «Repubblica del Pakistan» in quella del '62 - EP).

Ma al livello della realtà quotidiana gli equivoci, o per lo meno le non-clarificazioni, all'origine dell'ideologia e costituzione del Pakistàn, riaffiorano più acuti. Dr I. H. QURESHI, rettore dell'università di Karachi, parla di un split-mentality: un radicale dualismo tra un Islàm ridotto a forme di rituale sociale e di osservanze esterne e la realtà di vita che scorre indisturbata per il suo verso.

A Karachi un'inchiesta condotta dall'università tra il ceto colto rivela che solo il 47% considera la religione l'istituzione più forte in Pakistàn; per il 17% è invece la cultura, per 1'8% la famiglia; il 19% non indica nessuna istituzione. E notare che a detta di un capo comunista, in una popolazione di Karachi di due milioni e mezzo solo duecento persone scarse si dichiarerebbero atee. E se si tiene in considerazione il fatto che Karachi è, socialmente e culturalmente, l'unico agglomerato urbano che possa favorire il fenomeno dell'ateismo, si capisce come l'ateismo, per i 120 milioni di pakistani, è ancora un problema avvenire.

Tra la conclamata teorica validità dell'Islàm a guarire tutti i mali della società e l'esperienza quotidiana cozzante contro i duri fatti della realtà, c'è un largo campo di contrasti psicologici sufficienti a creare nelle coscienze islamiche un senso di frustrazione (ma, dato il carattere moderatamente secolare della presente legislazione pakistana, c'è sempre sufficiente... spazio logico per la validità di ciò che vanno ripetendo da anni i politici della destra islamica: «Se fosse stato realizzato uno Stato Islamico al cento per cento ora non staremmo a soffrire tutti questi mali sociali ed economici!». EP). B. H. SIDDIQI scrive:

«Creato il Pakistan, ci siamo dimenticati dei nostri impegni col popolo, col risultato che l'Islàm oggi è più seriamente minacciato dall'interno che dall'esterno. L'impatto di concetti occidentali come secolarismo, naturalismo, determinismo economico è praticamente meno pericoloso dell'indebolimento interiore della coscienza religiosa... L'Islàm oggi ha perso la sua tenace vitalità di ispirare e forgiare la vita dei suoi adepti...» (Philosophy and Community, Pakistan Philosophical Congress, Lahore 1965, p. 137).

E frustrazione ed ira scoppiarono violentemente in tutto il Pakistàn all'inizio del '69 e dettero vita a mesi di turbolenza e d'anarchia che condussero alla caduta del presidente Ayub Khan. Si arrivò persino - inaudito in un paese islamico! - a gridare slogans contro l'Islàm e a popolarizzare argomenti contro l'esistenza di Dio. Ma quel che emerse di sociologicamente interessante da questo tafferuglio fu il fatto che la massa degli operai - e in parte anche dei contadini [non cittadini di ed.] - sembrò arrivare a prender coscienza di sè e del ruolo che finalmente potrebbe svolgere nella politica del paese, condotta fin' ora da una ristretta cerchia aristocratica di latifondisti ed industriali. (E di nuovo, l'istanza economico-sociale, prima ancora o al posto di quella ideologica e religiosa, sembra guadagni terreno di giorno in giorno. - EP).

Nel frattempo il partito d'estrema destra e di tendenze fondamentaliste, il Jama'at-Islami, sfrutta la religiosità popolare conclamando i valori eterni dell'Islàm capace di risolvere tutti i problemi umani a patto che siano uomini e società ad adattarsi all'Islàm e non viceversa. (Inaspettata e sintomatica la schiacciante sconfitta di questo partito nelle elezioni generali del dicembre '70. - EP).

Dall'altra parte correnti liberali - per lo più poco organizzate - dichiarano d'adattare l'Islàm all'uomo e al mondo d'oggi. Sfortunatamente, ogni tentativo in tale direzione, se pur riesce a sopravvivere, rimane dentro la stretta cerchia degli intellettuali.

2. Letteratura pakistana e secolarizzazione.

Tutt'altro tono prende il discorso del confronto Pakistàn-secolarizzazione nel campo letterario e tra gli uomini di cultura. Il discorso è meno chiassoso, meno socializzato, ma anche meno politicizzato e demagogico. Soprattutto tende a ricostruire le basi culturali su cui impostare il problema individualità culturale-religiosa del Pakistàn e mondo moderno. E si ha tutta l'impressione, qui, di ricuperare finalmente quegli... addendi che nel manipolato e ridotto giuoco politico son lasciati cadere. E allora i conti potrebbero tornare, forse.

Lo scrittore M. N. RASHID, per esempio, tenta una intelligente ricostruzione degli elementi storici e culturali che fanno la spina della comunità musulmana vivente oggi in Pakistàn e che condizionano ogni tipo di osmosi, da quella ideologico-religiosa a quella socio-politica, di tale comunità. Rashid riconosce quattro costituenti fondamentali dello sfondo culturale dei musulmani del Pakistàn (e dell'allora India):

a) il suolo: la somma delle tradizioni locali, costumi, leggende, canti popolari, superstizioni in cui il musulmano pakistano nasce e cresce. L'80% della popolazione vive e muore in questo milieu socio-culturale.

b) il costituente religioso: l'Islàm, che rappresenta il contributo arabo alla comunità dei musulmani del sub-continente indiano.

c) valori estetici (dalle forme di poesia all'architettura): è la grande ombra culturale della Persia sui correligionari dell'India.

d) senso dell'organizzazione e conoscenza tecnica: recente contributo dell'influsso dei paesi occidentali.

E' evidente che questi quattro contribuenti base possono trovarsi in combinazioni diverse, sia di dosaggio che di direzionalità, creando un giuoco complesso di sfaccettature culturali - a volte contrastanti perché male assimilate ed integrate - e di ricche colorature di fenomeni culturali.

Se poi si fa attenzione a contrasti interni del Pakistàn, si può rilevare un altro fattore importante che attualmente mette in questione una pretesa unità che partendo dall'unica religione vorrebbe livellare diversità pre-religiose e pre-islamiche. E' in corso attualmente in Pakistàn una riscoperta e una presa di coscienza di unità etnico-culturali a livello regionale (gruppi etnici e linguistici autonomi, gelosamente attaccati alla loro individualità; problema, recentemente sollevato, della preferenza da dare alle lingue regionali invece che alla lingua ufficiale urdu). Il che muove verso la direzione di ritrovare la propria individualità in valori etnico-culturali appartenenti o risalenti alla fase pre-islamica della storia della civilizzazione della valle dell'Indo. Ed è evidente la presenza d'implicita istanza secolarizzante in questa ondata di sentimenti regionalistici che riscoprono la loro individualità in prodotti culturali pre­islamici e profani. (Cf. Report of the Standing Committee on Art and Culture promosso dal Ministero centrale dell'Educazione, Islamabad 1968, e a cui ha lavorato il prestigioso poeta urdu FAIZ A. FAIZ).

Un'angolazione psico-sociologica del problema è offerta dal Dr M. AJMAL, stimato psicologo ed educatore. Egli si riferisce ad una somma di «valori matriarcali» d'origine indù, che i musulmani pakistani hanno messo alla porta per via di un rigido puritanismo religioso. Valga come esempio il ruolo della donna nella società, come controbilanciante, o integrante, la psicologia masco­linizzata della società musulmana; virtù e valori femminili connessi con un'etica ed una poetica, diciamo, da «stil nuovo». Ecco come Dr Ajmal vede
la cosa:

«E' una sfida che noi dobbiamo accettare oggettivamente e di buon grado... poiché l'Induismo è ora una parte integrante della nostra storia. La nostra letteratura, folklore, miti e fiabe, superstizioni e feste provano un influsso profondo dell'Induismo sulla nostra cultura... Per noi, sia l'Induismo che il Cristianesimo simbolizzano valori pagani e istintivi, tutto ciò che riteniamo inferiore, rozzo, primitivo ecc. Secondo noi tutto questo rappresenta i valori matriarcali... Il nostro sviluppo, secondo me, dipende in gran parte dall'assimilazione di tali valori nella nostra cultura, un'assimilazione che non fa violenza alle nostre individualità come nazione» (The problem of National Character, Lahore 1961, p. 81).

Un'espressione acutizzata della rivolta contro la religione e quadri socio­culturali di marca tradizionale è il cosiddetto Progressive Writers Movement. Iniziò in India nel 1930 circa e raccolse un folto gruppo di scrittori e letterati scontenti della presente società ed aperti ad avventure di riforme radicali. Sebbene inizialmente fosse una sorta di ribellione contro feticci letterari consacrati da una tradizione senza anima, assunse in seguito chiare note marxiste. Nel manifesto del 1936 è detto:

«Dovere degli scrittori è sviluppare un'attitudine alla critica letteraria che scoraggi tendenze reazionarie e rivivaliste in questioni di famiglia, religione, sesso, guerra, società, e combattere tendenze letterarie riflettenti comunalismo, antagonismo razziale, libertinismo letterario, sfruttamento dell'uomo sull'uomo..., riscattare la letteratura dalle classi conservatrici (si ricordi che la letteratura urdu era fiorita nelle corti. - EP). ... Noi accettiamo come progressivo tutto ciò che fa sorgere in noi uno spirito critico capace d'esaminare costumi ed istituzioni alla luce di ragione, la quale ci aiuta ad agire, ad organizzarsi, a trasformare» (M. SADIQ, A Key to Modern Urdu Literature, in Iqbal XVII, I, July 1968, p. 53).

Non per niente c'è il richiamo, come a unico criterio valutativo, alla «luce di ragione». E nel campo letterario e filosofico il principio della ragione, unico arbitro dei valori e dell'agire, ha fatto la sua prepotente comparsa nella scena tradizionale e religiosa dei musulmani dell'India attraverso la valanga di traduzioni in Urdu della letteratura - e in minor proporzione della filosofia - dell'Europa durante i primi decenni di questo secolo. E non c'è dubbio che la ventata culturale fortemente secolarizzante abbia invaso la cerchia della intelligentsia pakistana. Ma ricordiamo che è una cerchia estremamente ristretta (l'analfabetismo raggiunge vette dell'85%) e non sempre coraggiosa abbastanza ad affrontare le eventuali reazioni della massa ancora manovrata da capi religiosi rigidamente tradizionali.

Il medesimo discorso si potrebbe fare riguardo a forme di vita moderna che cominciano a far capolino nelle grandi metropoli sotto l'influsso di films, riviste e mode occidentali (e la massa, in mano agli estremisti di destra, reagisce a suo modo: in caso di tafferuglio i bersagli più colpiti sono le autovetture con targhe non-urdu e sale cinematografiche che proiettano di preferenza films «inglesi », cioè non-pakistani. - EP). Ma questo non va molto al di là dello scimmiottare 1'«American style» e, a detta di Faiz A. Faiz, non intacca che lo sparuto gruppo dei giovinastri «figli di papà» e tipo «play-boys».

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