Conquistata l'indipendenza, non tutto è fatto per l'Islàm. Ognuno a casa propria, ma ognuno a riassettare le cose di casa propria. Ed i musulmani si trovano a dover riassettare una casa di cui non eran padroni da secoli. L'Islàm è ora direttamente, e senza scampo di sorta, di fronte a se stesso e di fronte al mondo: saprà riadattarsi, riscoprire e riconoscere se stesso da una parte, e dialogare intelligentemente - anche se dialetticamente - con un mondo dal quale sembrava essersi estraniato ormai da secoli? Saprà colmare il divario che lo separa dal mondo occidentale a cui guarda - in un giuoco contrastante di psicologia complessata: - ora con celata invidia ora con scoperta pungente critica? Saprà in altre parole - render credibile il messaggio del Profeta del deserto alle nuove generazioni di intellettuali musulmani e ai non-musulmani del mondo di oggi?
Della vastissima problematica in cui è ingaggiato il confronto IslàmMondo moderno presenterò solo alcuni punti, quasi a mò di specimen. Al di là del contenuto materiale di ogni singolo problema, mi pare più interessante scoprire la dinamica propria dell'Islàm come esperienza viva di fede, impegnata ad esprimersi nel mondo e, per ciò stesso, messa a confronto col mondo; scoprire cioè la modalità specifica dell'Islàm nel percepire i problemi, accettarli ed affrontarli, come pure i livelli di reazione (ideologico da una parte e progmatistico - il bisogno di vivere! - dall'altra, spesso con soluzioni divergenti), l'elasticità nel rispondere all'urgenza di revisione che i problemi stessi impongono alle strutture di vita o alle codificazioni dottrinali. Mi pare che in questa prospettiva formale di trattazione, risalterà meglio il modo in cui la fede islamica - impegnata ariscoprire la propria validità nel mondo di oggi - prova la sua capacità evolutiva nell'accettare la sfida del mondo moderno, nell'assumere ed interpretare le giuste istanze di un mondo nuovo; e tutto questo riconfermando da una parte la fedeltà a se stessa (la tentazione di un "modernismo" ad oltranza significherebbe la dissoluzione della fede islamica) e dall'altra !'impegno di non eludere la specificità del problema di fatto (e talune forme acritiche di ricorso all'«Islàm privitivo» come unico modello normativa e risolutivo hanno tutta l'aria di cercar soluzioni troppo facili per non esser qualificate come evasioni).
II.1 Alla riscoperta dell'Islàm primitivo e autentico
In quasi ogni problema dibattuto oggi dai musulmani riaffiora la domanda di base: cosa dice il Corano su questo o quel problema? La normatività del Corano non è certo messa in dubbio; ma in una criteriologia rigorosamente confinata al testo del Corano, il teologo, o il "modernista" che sia, in cerca di risposte è continuamente spinto a riprendere il discorso di fondo: qual è la normatività del Corano, o comunque qual è la retta interpretazione del Corano? E' un problema delicatissimo per la coscienza del musulmano, sia per la trepidazione che invade il musulmano quando si pone tali domande sia per la imprevedibilità della reazione della comunità musulmana, per lo più impreparata o pregiudizialmente contraria alla impostazione stessa del problema. Ma musulmani colti e circoli ristretti di studiosi hanno onestamente riconosciuto la validità e radicalità della questione. E' in fondo il problema della esegesi coranica da ricostituire secondo una metodologia critica ed assumendo tutti gli ausili e strumenti d'indagine moderna; ne segue il ripensamento di una storiografia islamica scientifica che si riproponga problemi come: riesame del messaggio di Muhammad e vaglio delle fonti della sua predicazione; origine e natura della dottrina coranica; sincerità soggettiva di Muhammad e ridimensionamento della sua figura storica; validità dell'apologetica coranica; rapporto Islàm nascente e ambiente culturale (ebraismo e cristianesimo); natura della relazione o dipendenza (e quindi eventuale direzionalità del movimento esegetico) tra Corano, Sunnah e Hadith...
In particolare:
a) come intendere o riformulare la nozione - e l'eventuale fatto di rivelazione coranica? Semplice dettatura dell'angelo Gabriele a Muhammad o presa di coscienza - e quindi partecipazione - di Muhammad col contesto dell'ambiente culturale del tempo? Ri-esegesi dell'angelo Gabriele, della famosa «ascensione» di Muhammad, della figura e dimensioni spirituali del Profeta...
b) Corano: libro divino con pretesa di legiferare su ogni settore ed aspetto dell'agire umano, di contenere tutto lo scibile divino ed umano, incluse le scoperte delle scienze moderne, oppure libro di messaggio religioso? E qui, di nuovo, il riaprirsi del dibattito sul modo di concepire il rapporto tra Islàm e cultura, storia, filosofia, scienza...
I tentativi di risposta si possono sommariamente ricondurre a due correnti (ma una trattazione specifica dovrebbe necessariamente tener conto delle molteplici sfumature di posizioni intermedie):
a) corrente fondamentalista: il Corano è il messaggio definitivo di Dio, e come tale perfetto ed inalterabile; nel suo testo attuale ed immediato, è capace di rispondere a tutti i problemi dell'uomo di tutti i tempi, d'offrire un «code of life» completo per ogni situazione ed espressione del vivere dell'essere umano...
b) corrente liberale: il Corano si esprime in termini comprensibili - e secondo la cultura - agli arabi del VII secolo (antropomorfismo e struttura metaforica del linguaggio coranico); necessità di una "demitizzazione" del linguaggio del Corano, con conseguente reinterpretazione di molti passi cristallizzati, dall'esegesi tradizionale e popolare, in moduli interpretativi che prestano facilmente il fianco al miracolistico e alla passione del mito. Introduzione - timida invero - del senso storico nella ricostruzione dell'Islàm primitivo, del contenuto del messaggio coranico, delle strutture della primitiva comunità di «credenti», dei quadri valutativi dell'etica coranica, dei fatti che sono all'origine del formarsi della comunità di Medina, del comportamento di Muhammad e dei personaggi del suo entourage immediato...
II.2 Etica coranica e mondo moderno
Campo immenso dell'"aggiornamento" che è in corso all'interno del mondo musulmano. Accenno solo ai settori dell'etica in cui si sta verificando una autentica rivoluzione: legislazione matrimoniale, famiglia, donna, ripudio, poligamia (si ricordi che in Tunisia la poligamia - permessa dal Corano - è stata abolita sfruttando il principio esegetico del processo evolutivo dell'etica coranica rispetto all'etica dell'Arabia preislamica; restrizioni alla poligamia sono state introdotte nei Codici familiari di altri Stati come il Marocco, Egitto, Pakistan...); morale pubblica: proibizione dell'interesse bancario, osservanza del digiuno nel mese di Ramadàn (eventuale conflitto con la concezione moderna del lavoro e strutture delle città moderne: fabbriche con turni completi, uffici, servizi pubblici...); riforma della legislazione penale coranica...
II.3 Secolarizzazione
Tutti sappiamo !'importanza e la vastità dei settori di vita e di strutture sociali che il fenomeno della secolarizzazione è venuto investendo, a partire dall'umanesimo fino alla teologia della "morte di Dio" e della "Secular City". Ma tutto questo in una geografia culturale confinata ai paesi occidentali e cristiani, e quindi in una prospettiva puramente cristiana del problema. Ma come intendere la secolarizzazione all'interno e nelle strutture proprie dell'Islàm?
Non certo "declericalizzazione" o "de-ieraticizzazione", non essendoci in Islàm l'istituto del sacerdozio; neppure "detemporalizzazione", esistendo in Islàm la perfetta fusione di diritto dello spirituale e del temporale; l'Islàm è religione e comunità sociopolitica nello stesso tempo; la fede è un fatto pubblico tanto che lo Stato Islamico non solo assicura l'osservanza dei precetti religiosi ma la urge pure con interventi punitivi o costrittivi (per questa particolare struttura della comunità islamica, il musulmano è istintivamente portato a rifiutare ogni forma di secolarizzazione perché gli appare, a primo colpo, come indifferentismo religioso o laicismo, quello insomma che noi usiamo chiamare "secolarismo").
Il fenomeno della secolarizzazione invece può aver luogo - e credo che di fatto stia già serpeggiando, anche se timidamente - nei nuovi Stati musulmani, ma in forme e settori di vita specifici all'Islàm. Può, ad esempio, prendere in volto di "de-coranizzazione" là dove la precettistica coranica o l'angolazione etica è riscontrata chiaramente anacronistica e superata; può diventare "de-ulemaizzazione", se così si può dire ('ulema sono i dottori in diritto islamico; il loro stato giuridico nella comunità islamica è solo una consuetudine storica risalente a tempi "postapostolici", ma enorme è la loro influenza sulle masse dei musulmani; gli 'ulema sono per lo più di educazione tradizionale e di tendenze fondamentaliste, e perpetuano le pastoie del corpus degli Hadìth; indocumentati ed anacronistici logia del Profeta e dei suoi primi compagni). Secolarizzazione può soprattutto significare riscoperta di una valida antropologia coranica da difendere contro la esorbitante ed omnidivorante nozione dell'unità, trascendenza e assolutezza del Dio coranico (teologia del tawhìd). E ciò sarebbe la base teologica per la giustificazione e rivalutazione dell'autonomia dell'agire umano nella sua propria specificità (diremmo, noi, la riscoperta del valore autonomo del "profano" o del "mondano"): scienze, arti, letteratura, sistema educativo, forme nuove di vita familiare e sociale... Un esempio: a Lahore (Pakistan) è stata recentemente costruita una moschea in elegante stile moderno; attacchi polemici sono stati rivolti contro l'architetto perché non ha rispettato i canoni della tradizionale "arte islamica".
II.4 Ummah e Stato moderno
Il problema è legato da una parte alla nozione islamica di secolarizzazione, dall'altra all'uso - e dosaggio dell'uso - che un musulmano moderno può fare dello strumento esegetico della "storicità" del messaggio coranico. Di fatti, è il problema che più angustia le popolazioni musulmane in un momento storico in cui sono state chiamate ad organizzarsi in molteplici autonome unità nazionali. Come concepire e realizzare una comunità politica islamica? Secondo il modello degli Stati occidentali (aconfessionali e secolarizzati) o secondo il modello della polis coranica? Monarchia o Democrazia? E una volta che si è optato per la forma democratica, come strutturare uno "Stato Democratico Islamico"? Può la "islamizzazione" di un sistema democratico di convivenza politica evitare lo slittamento verso la teocrazia? Maududi, ad esempio, ha recentemente ammesso in Pakistan che non si può parlare di perfetta democrazia (almeno come la intendono gli occidentali) in Islàm. Certo, egli non ha fatto il nome di teocrazia, ma ha onestamente riconosciuto che i canali democratici di legislazione non possono avere libero corso in una comunità islamica la quale dev'esser retta, anche nel settore socio-politico, dalla shari'at, cioè dalla «legge divina» consegnata nelle pagine del Corano. La comunità islamica non legifera autonomamente ma è legiferata. Ma la polemica va avanti e si ramifica in opposte direzioni. D'altronde, il ricorso all'esperienza storica dell'Islàm non pare possa aiutare a sciogliere il nodo: Muhammad è «scelto» da Allah a capo della comunità di Medina; i quatro Califfi Rashidùn sono eletti oligarchicamente; poi si susseguono le dinastie a monarchia assoluta: Ommeyyadi, Abbassidi, Ottomani...
Ma intanto bisogna vivere. E le diverse comunità nazionali trovano per via di fatto le loro strutture e forme di convivenza politica. Uno sguardo ai paesi musulmani ci convince della diversità, varietà - a volte contrastanti - delle forme politiche assunte per via di fatto. (Interessante il caso del Pakistan, sorto come volontà dei musulmani dell'India di costituire non solo un paese per i musulmani ma uno Stato Islamico. Diverse Costituzioni si sono già susseguite nella pur breve storia di questo paese; la "islamicità" della Costituzione è il puntum dolens delle traversie interne del Pakistan; i partiti vincenti delle recenti votazioni politiche - dicembre 1970 - dovranno preparare una ennesima Costituzione da sottoporre al capo supremo della Legge marziale, attualmente vigente in Pakistan).
II.5 Sottosviluppo e socialismo islamico
Si fa un gran discorrere sulle cause dell'estrema povertà dei paesi del Terzo Mondo e di quelli musulmani in particolare. Non rientra nei limiti del nostro tema la trattazione di tale problema; ma vorrei soltanto enumerare - contro la frettolosa accusa che si rivolge all'Islàm religione alcuni dei fattori che, secondo me, sono all'origine della povertà di tali paesi: povertà naturale del suolo e sottosuolo, siccità estrema, mancanza di precipitazioni, clima torrido con temperature a vette altissime; sopravvivenza di strutture feudali, del latifondismo agricolo...
Ma quel che a noi interessa, qui, è riconoscere onestamente l'impegno dei governi e paesi musulmani d'uscire una volta per sempre da questa prostrazione economica. E una scelta radicale s'impone: una economia politica di tipo capitalista o di tipo socialista?
Ma nella prospettiva islamica, all'interno del tutto che è l'Islàm, il dilemma non è poi così stringente, così irrimediabilmente bicornico. La natura agglutinante, direi a sabbie mobili, dell'Islàm assorbe quel che le vien da fuori, lo trangugia e lo fa, a suo modo, una cosa propria. E così il problema del socialismo diventa il problema del "socialismo islamico". Ma a scapito della concretezza del problema stesso. Questo era sul piano dell'immediata esperienza di vita, delle scelte d'azione per la soluzione pratica di problemi che angustiano la vita d'ogni giorno. E ci si aspettava che la ricerca della soluzione rimanesse al livello di un sano empirismo del "bisogna pur vivere". E invece le sabbie mobili dell'Islàm ci restituiscono il problema trasformato in discussione ideologica sulla sensatezza - o possibilità di sensatezza - della combinazione "socialismo islamico". E' la metamorfosi che la dinamica propria del sistema impone a "fatti" quando questi si presentano troppo inaspettatamente; una specie di alchimia di teoricizzazione che prende fatti di vita e li rigetta "al di là" e "al di sopra" - l'astrattezza della discussione teorica, appunto - per un inconscio bisogno di evasione. E così chi vive in paesi musulmani deve subirsi la colluvie di pubblicazioni di ogni sorta che fanno la polemica quotidiana - astratta e teoricizzante - della giustificabilità teologica di un "socialismo islamico" in Islàm.
Anche qui due schieramenti antitetici: a) per gli uni, "socialismo islamico" è una contradictio in terminis da rigettare; se l'Islàm è - come tutti i musulmani riconoscono - un sistema completo di vita che copre tutti i settori della società umana, esso possiede in sé i princìpi della soluzione del problema sociale e non ha bisogno di elemosinare alcunché dal socialismo; b) per gli altri, l'Islàm è di natura sua "socialista". E vien giustificata la posizione operando una frettolosa esegesi della zakàt (la decima che il Corano impone di dare ai poveri), dell'accento posto dal Corano sul dovere d'assistere vedove ed orfani, della fraternità ed uguaglianza di tutti i «credenti» (cioè musulmani), degli attacchi di Muhammad ai ricchi mercanti della Mecca... E così si pretende di giustificare il diritto d'esistenza - e la propaganda - del socialismo di diverse colorazioni. Ma è facile accorgersi come - a parte il semplicismo esegetico - il socialismo subisca un "trattamento" che lo riduce, velatamente, ad una forma elemosinistica e paternalistica di riforma sociale. E forse bisogna ammettere che un "annacquamento" è necessario se il socialismo vuole assicurarsi, al livello d'ideologia, le condizioni di sopravvivenza e di propaganda in paesi musulmani. Comunque stiano le cose, c'è un aspetto della situazione dei popoli musulmani che, secondo me, non viene sufficientemente considerato. E' un punto di vista di psicosociologia: sono le masse di tali paesi pronte culturalmente e socialmente ad avvertire e raccogliere gli stimoli per un rinnovamento radicale dell'assetto socio-economico? Il discorso sarebbe troppo lungo, ma mi permetto d'avanzare la personale opinione che la sopravvivenza di strutture sociali come il nomadismo e tribalismo, anche se spesso in forme ridotte, ilperpetuarsi di un analfabetismo congenito e l'isolamento culturale impediscono per ora agli strati bassi dei paesi musulmani (la "massa") di prender coscienza della povertà ed ingiustizia sociale di cui sono vittime.
Un tutt'altro punto di vista del problema del "socialismo islamico" sarebbe quello di passare in rassegna i paesi musulmani e vedere come per via di fatto la necessità di condurre la cosa pubblica abbia realizzato un socialismo empirico, una "socializzazione" delle strutture economiche dei singoli paesi; e allora anche certi confronti - escludendo la polemica ideologica - sarebbero di estremo interesse: Egitto, Iraq, Tunisia, Marocco... di contro al Pakistan, Arabia Saudita, Emirati della penisola arabica...
Risolverà - e come risolverà - l'Islàm questi problemi? Riuscirà l'Islàm, come religione e come comunità sociale, a rendersi credibile e quindi a farsi accettare dal mondo moderno? Accetterà e saprà trarre profitto dagli stimoli di un mondo nuovo appellanti ad un rinnovamento in radice, condizione addirittura di sopravvivenza? E se l'Islàm accetterà la via dell'"aggiornamento", quale volto dovrà darsi, quali tagli dovrà operare?
La risposta non può e non dev'esser data da noi. Spetterà ai nostri fratelli musulmani di mettere al banco di prova del mondo moderno la re-vivificabilità e l'inventività della loro fede; dovranno esser i musulmani a provare - a loro medesimi prima che a noi - se la loro fede viva ed impegnata nel mondo sarà capace d'assumere, interpretare e lievitare - con coerenza e credibilità - tutto ciò che l'uomo è venuto creandosi con sorprendente autonomia spirituale dall'umanesimo ad oggi.
A noi - penso - spetta guardare e seguire con simpatia, ma senza intrusione, il movimento di verifica della fede islamica e dell'immensa realtà storica che il fatto Islàm rappresenta. Spetta, a noi, collaborare nell'onesta ricerca scientifica e nello scambio disinteressato dei risultati dell'umano sforzo, rispettando l'autonomia e le specificità di questa "crisi di crescenza" dell'Islàm.
Solo in un settore - forse - non possiamo rimanere spettatori: la povertà e la fame. Il povero e l'affamato debbono essere "cosa nostra" perché in loro riscopriamo - prima ancora delle differenze di razza e di credo - l'uomo, l'uomo semplicemente, cioè un po' di noi stessi.
Luco dei Marsi (AQ), dicembre 1970
EMILIO PANELLA OP
Firenze, Santa Maria Novella 18.II.2012. Viene a trovarmi Jamshed Albert Gill, domenicano pakistano; originario di Chak no. 5/4-c Rangpur, Muzzaffargarh. Prepara tesi di laurea all'Angelicum di Roma, tema (originale in inglese) "Il perdono nella missione e testimonianza della chiesa" (in san Tommaso d'Aquino e papa Giovanni Paolo II). Ne discute a lungo con me, chiede valutazioni e suggerimenti. Grande piacere parlare con lui, e riandare a cose e tempi remoti! Mi racconta anche della situazione attuale del Pakistan, specie dei cristiani e loro problemi.
Jamshed era stato qua da noi dieci anni fa, per due/tre mesi, perché gli facessi un corso di lingua italiana. Se la cava ancora bene, in italiano!