precedente ] successiva ]

 7.  L’Admi-Namah (Poema dell’uomo) è il canto in cui Nazìr dà la somma della sua simpatia per l’uomo, della sua capacità di dettaglio, della sua ironia. Versi semplici, incolti. Le strofe, discontinue, sono altrettanti flash su tenui unità bozzettistiche: cronaca di strada, memorie contaminatorie, riduzioni fantasiose, enumerazione orizzontale dei dettagli (il conato, inesprimibile, all’universale astratto?): funzioni elementari della fantasia popolare con cui il volgo compone la sua visione del mondo. Eppure, a lettura finita, il quadro d’insíeme che ne salta fuori (si direbbe uno stile “macchíaiuoli”) è d’una compattezza di tessitura e d’un’urgenza di messaggio che lascia sconcertati (e bisogna sempre riportarsi ad un’epoca letteraria stilisticamente pre-realistica, al contesto dell’alienante poesia urdu del tempo, alla mentalità di casta e strutture sociali dell’India dell’800).

L’unità formale di composizione è affidata ad uno stilema che a prima vista potrebbe passare per ripetizione, espediente comunissimo nella stilistica orientale. Si tratta di so hai wo bhi àdmi (= è uomo anche lui), ripetuto, qua e là, persino due volte in un sol verso. In effetti il suo valore semantico è sapientemente distribuito, nel poemetto di Nazìr, tra funzioni diverse che vanno, in un continuo crescendo, da semplice ritmo d’assonanza o ritornello o commento, a contrapposizíone ironica, ad asserto beffardo, a proclamazione inappellabile. Lo stilema impone un martellamento mentale che segna il tempo al crollo degl’idoli eretti sulla miseria umana. E quando, dopo la scorribanda bizzosa e ostinata (l’elenco è un’altra peculiarità della poesia naziriana, una tecnica semplice, da stornellate... ), tutto è livellato, si erge dal cumulo di macerie l’unica cosa superstite allo scrutinio capriccioso di Nazìr: l’uomo, chiunque esso sia, di qualsivoglia rango, stoffa, destino. L’uomo di Nazìr la spunta persino con la morte, a suo modo; certamente col male: «E l’avanzo di forca... è uomo anche lui!».

Traduciamo il poemetto <dall’originale in lingua urdu> come è riportato dall'antologia naziriana in A.L.Siddiqi[1]. L’asintatticità e le arditezze d’apocopi del verso urdu di Nazìr non rendono facile il lavoro di traduzíone. Qua e là siamo ricorsi ad una traduzione leggermente perifrastica. Un qualche tentativo di ricreare il sapore popolano dell’originale è stato fatto con la preferenza ad un lessico intenzionalmente vulgaris.

Poema dell’uomo

ﺁﺩﻣﻲ ﻧﺎﻣﺔ

Chi è re sulla terra non è altro che uomo

e uomo è il pitocco, uomo il mendicante.

Riccone e miserabile, uomini sono.

Uomo è chi s’abbuffa d’ogni ben di Dio,

    e chi un tocco di pane mendica è uomo anche lui.

Santo santone e baciapile non è altro che uomo

uomo è il miscredente e chi pieno fino al gozzo è d’empietà;

e chi con miracoli e portenti

con ascesi e austerità

    se ne vola al Creatore, è uomo anche lui.

Si spacciò per Iddio Faraone,

Sciaddàd Dio si fece del proprio paradiso

e Dio si proclamò pubblicamente Nimród…[2].

E faccio punto. Son cose rísapute!

    Alla fin fine chi mise su tanta cresta era uomo anche lui.

Qui uomo è il tizzone d’inferno e la luce celeste

uomo il vicino, uomo il lontano.

Gloria e vergogna dell’uomo fan mostra sulla scena del mondo.

Satana, anch’egli, non è che un uomo più buggerone degl’altri.

    E chi è Guida e Profeta è uomo anche lui.

È uomo, mio caro, chi costruì la moschea

uomo chi l’uffizio vi fa e il sermone

uomini il Corano vi recitano e la Preghiera solenne[3].

Chi poi le babbucce vi sgraffigna non è altro che uomo[4]

    e chi il ladro acciuffa e bastona è uomo anche lui!

Uomo è chi dona la vita

e uomo chi infilza.

Chi il prossimo di fango ricopre è uomo anche lui.

Uomo è chi manda grida d’aiuto

    e chi accorre in aiuto è uomo anche lui.

Danza e strepita il buffone di corte,

i calzoni si slaccia e nudo piroetta sulla propria abiezione.

Chi lo spettacolo si gode

e si sbudella dalle risa non è altro che uomo;

    e lui, il buffone... è uomo anche lui!

Uomo è chi intraprende un viaggio

uomo chi assalta ed impicca.

Uomo è preda, uomo è trappola.

Ci scappa, amico mio, l’onest’uomo

    ma il ribaldo... è uomo anche lui!

Uomo è chi sposa, uomo chi è sposato,

giudice, avvocato e testimone non son altro che uomini;

uomini quei della banda

e uomini gli addetti alle torce.

    E chi va a nozze è uomo anche lui.

Uomo è l’araldo

uomini cavalieri e fantaccini.

Chi, scarpe sotto braccio, con huqqa[5] e fiasco frettoloso va

e quei che il palanchino s’incollano uomini sono;

    chi poi sul palanchino monta è uomo anche lui.

Chi mette bottega e siede al bancone è uomo anche lui.

Un gran vociare di «prendi» e «porta», al bazàr!

Brulicano, cesta sul capo, i venditori ambulanti;

mercanzie, chincaglie e rivenduglioli d’ogni risma e mestiere.

    L’acquirente, poi, è uomo anche lui.

Qui fan buriana e s’azzuffano gli uni,

e se la filano gli altri al solo vederli.

Schiavo e lacchè sono uomini, uomo il bracciante.

Uomo è chi vuota le latrine[6]

    e chi di merda le riempie... è uomo anche lui!

Chi è stracarico di gemme e rubini

e chi nel fango a sbrodolarsi è ridotto, è uomo anche lui.

Chi è più nero del rovescio d’una pentola

e chi risplende come una fetta di luna, è uomo anche lui.

    Bellimbusto e racchio, non son altro che uomini.

È uomo chi sfoggia ricchezze

bardato d’oro e zecchini

- un luccichio da levante a ponente! -

soffocato da scialli, broccati, velluti...

    E chi sbrendoli indossa è uomo anche lui.

Ti meraviglierai. Sta’ a sentire che sorta d’istrionica:

medesimo è l’uomo che ruba e che lascia le tracce

che scippa e che chiede elemosina.

L’uomo, che bel pezzo di bassa lega!

    E chi fosse forgiato di purissimo acciaio, sarebbe uomo anche lui.

Uomini sono che fanno la cassa da morto

che acconciano e portan la salma

che fan piagnistei e cantano il requiem[7]:

imprese funebri e funerali sono, insomma, mestieri da uomo.

    E chi crepa - povero diavolo! - è uomo anche lui.

Nobili e plebei, re e ministri

onorevoli e cafoni: tutti uomini sono.

Qui uomo è il discepolo uomo il Maestro[8].

Chi è buono, o Nazìr, qui gli dànno dell’uomo:

    e l’avanzo di forca... è uomo anche lui!


[1] A.L.Siddiqi, Nazir Akbarabadi: unka ‘ahad aur shà‘iri (N.A.: la sua epoca e la sua poesia), Lahore, II ed., 1967 (in urdu). L'autore, attuale preside della facoltà urdu all'università di Karachi, è il critico più autorevole di Nazir e l’artefice della sua rivalutazione.

[2] Tre re dell’antichità, accomunati, nella tradizione delle letterature islamiche, per la loro iattanza.

[3] Nell’originale: Imàm è colui che attende alla moschea e guida la preghiera ufficiale. Khutbah è il sermone di pragmatica in occasione della Preghiera solenne (namàz, preghiera ufficiale d’obbligo) del venerdì.

[4] I musulmani, scalzi durante la preghiera ufficiale, lasciano le scarpe fuori della moschea.

[5] Grande pipa ad acqua, diffusissima in oriente.

[6] Gli spazzini (scavangers) formano una classe-casta, l’infima e la più disprezzata.

[7] Rendo con Requiem l’originale Kalimah, la formula di fede islamica. Nella pratica religiosa essa svolge, più o meno, la medesima funzione del «segno di croce» presso i cristiani.

[8] Grandissima è la riverenza con cui in tutto l’oriente è circondato il Maestro (sia egli sheikh o murshid, ustàd, guru...); a lui il discepolo si rimette con incondizionata fiducia e acritico assenso.

finis

precedente ] successiva ]