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 III - Filosofia in terra d’islâm: orientamenti storiografici

H. Sérouya, La pensée arabe, Paris 1960. Elementare. La trattazione dei mutakallimûn è raccolta sotto il titolo «Sectes philosophiques» (c. 3). Parte II, «Filosofi arabi», introduce vita e dottrine dei più celebri filosofi musulmani [s. n.].

Osman Amin (Univ. del Cairo), The originality of the message of Moslem Philosophy. Atti Congr. Intern. Filos. (1958), Firenze (Sansoni) 1960, 1-18. «By moslem Philosophy I mean such general doctrines on God, man and the Universe as were held by purely classical Moslem philosophers of the tenth to the twelfth centuries... » (1). Nel corso dell’articolo Moslem e Islamic sono usati sinonimamente.

W. Montgomery Watt, Islamic Philosophy and Theology (Islamic Surveys 1), Edinburgh 1962. In stile chiaro e sintetico offre una panoramica sulle diverse componenti del pensiero filosofico e religioso in islâm. Indirizzo integratívo-comprensivo, senza nette preferenze per l’una o l’altra espressione del pensiero islamico.

AA.VV., A History of Muslim Philosophy with short accounts of others disciplines and the modern Renaissance in Muslim Lands, ed. M.M. Sharif, Wiesbaden, 2 voll. 1963, 1966. Autori per lo più musulmani (Sharif, pakistano). Risulta più una piccola enciclopedia dell’islâm che una storia della filosofia. Molti saggi eccellenti. Manca una visione d’insieme. Non è affrontato ex professo il problema della natura e interpretazione della Muslim Philosophy del titolo.

R. Walzer, Greek into Arabic. Essays on Islamic Philosophy, Oxford (1962) 1963. Islamic Philosophy, pp. 1-28 (già pubblicato in The History of Philosophy, Eastern and Western II, London 1953, 120-48). Mette in evidenza la varietà geografica e dottrinale del pensiero filosofico in islâm, l’uso delle fonti greche, ebraiche e cristiane; e nello stesso tempo l’originalità dei filosofi di lingua araba, la frammentarietà dei testi finora conosciuti. «In the present state of our knowledge it would be premature to attempt a definitive history of Islamic philosophy» (1). Id., The achievement of the falasila and their eventual failure, in AA.VV., Colloque Sociologie Musulmane (1961), Bruxelles [s.d.], 347-79; L’éveil de la Philosophie islamique, «Rev. Et. Islam.» 38 (1970) 7-42, 207-42.

R. Arnaldez, art. Falâsifa, «Encycl. of Islam», 2a ed., II (1965) 764b-767b. Terminologia: falâsifat al-islâm (al-Shahrastânî), successori in islâm dei filosofi greci; ma sta anche per hukmâ, ‘ulamâ (saggi); abbraccia anche i mutakallimûn che fecero uso della filosofia ellenistica (specie la logica); in senso stretto, pensatori in terra d’islâm ispiratisi a Platone, neoplatonici e Aristotele. Id., art. Falsafa, ib. coll. 769b-775a.

N. Rescher, Studies in Arabic Philosophy, Pittsburgh 1966, c. 10: The impact of Arabic philosophy on the West, pp. 147-57. «The very notion of an Arabic Philosophy is without tenable credentials. In so far as a very concise summary of a very complex matter can ever be correct it is a warranted thesis that there is no such thing as an Arabic philosopby (just as it would be true to say that there is no such thing as an Arabic geometry» (147). «The work of the Arabic-using philosophers of the Middle Ages deserves the title of “Arabic philosophy” in about the same sense that the work of the German Shakespeare scholars of the 19th century deserves the title of “German literature”. Arabic philosophy has nothing to do with “oriental wisdom” -  it is Greek philosophy carried forward in an Arabic language setting» (148).

E.E. Peters, Aristotle and the Arabs, New York - London 1968. «Islamic Studies, and especially the study of Islamic philosophy, are still in their infancy» (p. VII). Cap. 6: Philosophical movements in Islam, 135-220. Include: mu‘tazilismo (136-46), kalâm (147-56), falsafa (156-79). L’analisi è ovviamente incentrata sulla trasmissione dell’aristotelismo. Talune affermazioni di massima non troverebbero consenzienti islamologi che prendon le mosse da altra prospettiva. «Hellenism created philosophy in Islam... And falsafah in its turn created Muslím theology» (135). Nota sulla storiografia della falsafa, 181-83. Vi è segnalato M. Cruz Hernandez, Historia de la Filosofia Española: Filosofia Hispano-Musulmano, 2 voll., Madrid 1957, come «the most comprehensive and, in many ways, the best treatment of falsafah» (182).

S. Pines, Philosophy, in The Cambridge History of Islam, Cambridge 1970, II, 780-823. Vi include falâsifa, «philosophical theologians», mutakallimûn e pensatorí da questi dipendenti o collegati.

M. Fakhry (American Univ. of Beirut), A History of Islamic Philosophy, New York - London 1970, pp. 427. Tra le nette e opposte scelte storiografiche di Corbin e Badawi (infra), quest’opera di sintesi interpreta la tendenza “comprensiva” (Pref. p. IX) e conciliante, sensibile a rilevare e includere le ricche sfaccettature della filosofia in islâm; le differenze linguistico-razziali (1), culturali; sebbene orientata verso il «primary concern» della «Hellenístic current of ideas, wich we shall designate as the Islamic philosophical school» (7). Piano dell’opera: eredità greca e orientale (c. 1), vita politica e nascita dello «scolasticismo islamico» (c. 2); gl’inizi (al-Kîndî) e i liberi pensatori (al-Rawandî, al-Râzî) (c. 3), corrente neoplatonica e neopitagorica (cc. 4-5), intreccio filosofia-kalâm (cc. 6-7), sufismo (c. 8), la ripresa peripatetica in al-Andalus (c. 9), sviluppi post-avicenniani in oriente (c. 10), reazione del kalâm ortodosso e restaurazione (da Ibn Hazm a Ibn Khaldûn) (c. 11). Il volume termina (c. 12) con «Modern and Contemporary Trends» (da al-Afghânî a oggi), inclusi gli «esistenzialistí arabi» Badawi e Habachi. Ci si attendeva, invero, una chiarificazione su “filosofia islamica” del periodo post‑risorgimentale che segna la fine dell’unità dell’islâm medievale. Se in aree più ideologizzate (v. infra) si teorizza una filosofia neo-islamica, per il resto degli Stati moderni a maggioranza musulmana gli studiosi del congresso di Louvain convengono nel lasciar cadere una inafferrabile “filosofia islamica contemporanea”, a favore di movimenti filosofici nazionali, spesso d’ispirazione europea o anglo‑americana, secondo le aree d’influenza occidentale. La periodizzazione, in ogni caso, non può ricalcare i ritmi della storia della filosofia occidentale.

M. Mahdi, Islamic Philosophy in contemporary islamic thought, in AA.VV., God and Man in contemporary islamic thought, Beirut 1972, 99-111. [Islamic philosophy] «implies that some Muslims have in the past engaged in the activity of philosophy, that they were aware of the fundamental problem of philosophy... Islamic philosophy in this sense has almost ceased to exist today, and what remains of it is in a state af shock and confusion» (100). Due tendenze principali della «filosofia islamica» dopo al-Afghânî (1838-1897): a) riformista sul versante dell’ispirazione religiosa dei musulmani contemporanei; b) modernista sul versante della precedenza delle scienze e della ragione sulla religione (106). Ci si rammarica che una mentalità storicista abbia portato a frantumare l’unità della filosofia islamica a favore del «relativismo» delle nazioni, razze, lingue (106-109). L’A. auspica il ritorno alla funzione di theoria della «filosofia islamica» contemporanea (109-111).

H. Corbin, Histoire de la philosophie islamique I (dalle origini ad Averroè), Paris 1964; collaboratori S. Hossein Nasr, Osman Yahya. Ne abbiamo riferito sopra. Con la recente summa sull’islâm persiano Corbin testimonia ad evidenza della propria prospettiva e quella della sua scuola: En Islam Iranien. Aspects spirituels et philosophiques, Paris 1971-72, t. I: Le shi‘isme doudécimain, pp. 332; II: Sohrawardî et les Platoniciens de Perse, pp. 384 III: Les Fidèles d’amour. Shi‘isme et soufisme, pp. 358; IV: L’Ecole d’Ispahan. L’Ecole shaykhie. Le douzième Imâm, pp. 570. Il Prologue (I, pp. IX-XXIII) ribadisce il punto di partenza dell’A. e illustra i motivi d’un recupero dell’islâm shi‘ita-íraniano nella geografia spirituale e filosofica dell’islâm sunnita-maggioritarío. Il risultato non può non mettere in questione (o comunque appellare ad un ampliamento semantico) le categorie classiche presso gl’íslamologi arabizzanti e creare controparti irano-shi‘ita di falsafa, tasawwuf , kalâm ecc.; rivendicando persino modi e funzioni originali degli ishrâqîyûn (filosofi-mistici dell’Oriens e della Lux) che rompono l’ermeneutica di categorie e periodizzazioni mutuate altrove. L’Argument (IV, pp. I-XX) offre un lucido compendio di questa summa dell’islâm iraniano, che non mancherà di porte questioni agli storiografi interessati a fare il punto sul rinnovamento degli studi del pensiero filosofico in terra d’íslam. Cf. Id., Para el concepto de una filosofía irano-islámica, «Al-Andalus » 34 (1969) 395-407.

A. Badawi, Histoire de la philosophie en Islam (Et. de philos. médiév. 60), 2 voll., Paris 1972, pp. 886. Un ritorno alla linea classico-occidentalizzante non senza una rivalutazione dell’elemento arabo? Certo, se confrontata con Corbin, l’opera del Badawí dà la sensazione che la storiografia islamica sia a un bivio che non prevede incontri di sorta nell’immediato futuro. Gli autori in questione ne sono consapevoli e non si risparmiano nemmeno frecciate polemiche.

Nella prefazione si prende netto partito per una definizione razional-ellenistica della filosofia, con ovvie conseguenze sull’ínterpretazione della “filosofia in islâm”. L’A. esclude di proposito shi‘ismo, gnosticísmo, misticismo (perfino il «mysticisme spéculatif d’al-Suhrawardi» e quello ortodosso d’al-Ghazâlî), «car tous ces courants ne font pas appel, ou ne font que rarement appel à la raison. Nous nous inscrivons en faux contre ceux qui les incluent dans leurs histoires de Philosophie islamique, montrant par là cette philosophie sous une fausse lumière, la défigurant par ce manque de précision, et créant une confusion dans l’ésprit du lecteur non prévenu» (I, 5).

Vol. I, Les Philosophes théologiens. Dedicato ai teologi (mutakallimûn) «qui ont une pensée philosophique clairment articulée» (6), recensiti nelle due correnti mu‘tazilismo e ash‘arismo. Vol. II, Les Philosophes purs. Secondo la sequenza classica, in oriente: al-Kindî, al-Fârâbi, al-Râzî, Ibn Sînâ; in Spagna musulmana: Ibn Bâjja, Ibn Tufayl, Ibn Rushd (ma una brevissima trattazione tocca anche Ibn Masarra, al-Batalyawsi, Abû al-Salt). La Transmission de la Philosophie grecque au monde arabe (Paris 1968) del medesimo autore va considerata parte integrante del secondo volume dell’Histoire. Nell’insieme, opera di grande impegno intellettuale e vasta erudizione. Con l’opera di Corbin e Fakhry, è il tentativo più ambizioso d’una sintesi della “filosofia in terra d’islâm” in questi ultimissimi anni.

area indo-pakistana

Tutt’altro orientamento presso gli autori indo-pakistani. Meno conosciuto, sorvolato dalla storiografia “arabizzante”, merita una segnalazione a parte.

M.M. Sharif (Inst. of Islam, Culture, Lahore), Muslim Philosophy and the Modern European thought. Atti XII Congr. Intern. Filos. (1958), Firenze 1960, 201-12. Scorcio sull’influsso della filosofia musulmana (in pratica al-Ghazâlî) sulla filosofia europea da Cartesio a Kant. Uso costante e indistinto di “Muslim Philosophy”. Né viene motivata la costante “Muslim Philosophy” tra le variabili “filosofia medievale” e “filosofia moderna”.

M. Saeed Sheikh, Studies in Muslim Philosophy, Lahore 19692. Rappresenta il modello classico del manuale. La bibliografia sulle opere generali (234-35) segnala altre opere scolastiche.

AA. VV., Re-orientation of Muslim Philosophy (Pakistan Philos. Congress), Lahore 1962. Contiene le seguenti interpretazioni:

S. Hossein Nasr (Univ. Teheran), discepolo e collaboratore di Corbin, riasserisce con determinazione le posizioni del maestro non senza una marcata nota di confessionalità (1-5). Cf. Id., Islamic Studies, Beirut 1967, 97-106; The tradition of Islamic philosophy in Persian and its significance for the modern world, «Iqbal Rev.» 12/3 (1971) 28-49; The Meaning and the role of «Philosophy» in Islam, «Studia Islamica» 37 (1973) 57-80.

B.S. Siddiqi (Govern. College, Lahore),  6-11. Gli studi sulla filosofia musulmana - si dice - sono ancora in mano agli orientalísti europei, spesso viziati da due premesse: a) politico-religiosa: studio dell’islâm per sottomettere politicamente i paesi musulmani e convertirli al cristianesimo; b) intellettuale: tendenza a individuare influssi esterni sminuendo l’originalità del pensíero islamico. Compito nuovo: riscopríre «quanto è essenzialmente islamico nel pensiero medievale» (11), accentuarne «the Islamic elements» (13). Si usa indifferentemente Islamic, Muslim, Arabic philosophy. Dagli esempi addotti si deduce che l’A. pensa esclusivamente ai falâsifa.

D.M. Azraf (Narsinghi College, Dacca), 20-27. «Poiché Muslim philosophy è la philosophy of Muslims, ha come sua caratteristica la fede nell’infallibilità del corano che la distingue da ogni altro sistema di pensiero» (20). Tutto il saggio è ispirato da questa premessa.

M. Saeed Sheikh (Govern. College, Lahore), 28-50. Netta distinzione tra “muslim philosophy” e “Islamic philosophy”. La prima potrebbe risultare finanche un-Islamic (si cita il caso di Abû Bakr al-Râzî). Al filosofo musulmano - si dice - può accadere, come al sarto musulmano, di rivestire un pensiero islamico con una veste non-islamica. “Muslim philosophy” è solo una nozione fattuale, mentre “islamic philosophy” è una norma, un ideale in base al quale si giudica del successo o non, dell’adeguamento o non, di segmenti storici della “muslim philosophy”. Poste così le cose, sorge l’antitesi passato-futuro: ciò che la filosofia musulmana è stata, e ciò che deve o dovrà essere. Ammesso che il periodo medievale fu almeno in parte un fallimento, resta che «Islamic philosophy ís our very hope and aspiration of the future... » (29). Interessante lo scorcio storiografico a conclusione. L’A. critica tre recenti tentativi si «storia della filosofia musulmana» di autori musulmani (J.M. Lufti, A. Salam Nadwi, A.F. El-Ehwani) a motivo della loro disinformazione scientifica e frammentarietà; dall’altra denuncia i limiti degli storici occidentali (de Boer, O’Leary) troppo occupati con le dottrine neoplatoniche nella filosofia musulmana. Tra gli uni e gli altri, si lascia cadere la seguente confessione: «As to the Orientalists work on Muslim philosophy I have to submit that I personally know very little because of the shameful barrier of language, particularly of German and French among others. Those qualified in European languages would find a whole wealth of the material on the subject carefully referred to by the Dominican P. J. de Menasce in his bibliographical work: Bibliografische Einführungen... (1948)» (48). La mancata aderenza agli umili fatti della storia e la pressione fortemente confessionale terminano prevedibilmente ad ardori apologetici: «Islamic philosophy is the most daring venture and the boldest philosophical experiment that human mind can ever perform... » (31).

Per concludere, segnaliamo L. Gardet, Islam, Religion et Communauté (Paris 1967), introduzione lucida e sintetica alle diverse componenti culturali-religiose in civilizzazione islamica - dalle scienze religiose e scienze strumentali a quelle del fiqh, kalâm, tasawwuf, falsafa... Id., Études de philosophie et de mystique comparées, Paris 1972: Aux débuts de la réflexion théologique de l’Islam, 97-109; Le problème de la «philosophie musulmane», 111-34 (già in Mélanges E. Gilson, Toronto-Paris 1959, 261-84) (Ricordo, di Louis Gardet, conferenza-dibattito sul kalâm in Karachi genn. 1971, invitato da un centro culturale islamico; ni pregò di fargli da interprete franco-inglese). E gli aggiornamenti bibliografici dello stesso G.C. Anawati, Bibliographie de la philosophie médiévale en terre d’Islam pour les années 1959-1969, «Bull. de Philos. Médiév.» 10-12 (1968-70) 316-69; Dix ans de recherches dans le domaine de la philosophie Musulmane: bilan des travaux des années 1960-1970, «Abr-Nahrain» (Leiden) 12 (1971-72) 44-46.




finis

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