⌂ d) «Que primo a fr. Bartholomeo de Sancto Concordio breviter eius manu scripta cognovi, deinde a fr. Ugolino ser Novi, qui scripsit post dictum fratrem B(artholomeum) succedentes stilo latiori» (Prol. f. 2r); a succedentes sottintendi fratres, oggetto di scripsit. Qualche nota trasmessa dai primi cronisti la si può sorprendere sotto la penna del redattore unico. Le precisazioni sul lettorato fiorentino di Giordano da Pisa (1302-07; Nuova cronologia..., AFP 60 (1990) 216-17) e soprattutto le circostanze del suo decesso, agosto 1310 in Piacenza sulla strada romea per Parigi, presente il maestro dell'ordine Americo da Piacenza (n° 107; MD 16 (1985) 328-30) - circostanze sperdute nel deserto senza tempi e senza luoghi - non poteva conoscerle né Domenico né Ugolino; sono amorosa memoria del primo cronista Bartolomeo. Domenico vi aggiunge in proprio una confidenza raccolta dal fiorentino Taddeo di Dino (OP 1301, † 1359; SOPMÆ IV, 286-87), anello a sua volta della catena della memoria conventuale: «Quid ultra dicam? Non preteribo quod michi fr. Taddeus Dini, vir excellentie magne, narravit. Dixit namque se audivisse ab uno de patribus maioribus nostre provincie: Plura, inquid, scit fr. Iordanis solus quam omnes fratres provincie simul» (n° 107 f. 15v). E a conclusione, contro l'"oggi" mediocre lancia la protesta dell'esemplarismo militante: «Hec sunt exempla tenenda priorum, hec fundamenta et hedificia, quibus adhuc nostra vilis debilitas substentatur, quorum adhuc calore nostra frigiditas recalescit; que si pro parte sequeremur, essemus Deo magis accepti et populis in pretio kariori» (n° 107 f. 16r). Ben illustra, il caso, le stratificazioni multiple depositate sulla riscrittura rimessa a noi lettori.
Più dissimulata altrove la trasmissione. Stefano da Vicopisano (fl. 1291-1305; MOPH XX, 99/1: 1291, 160/4: 1305) «prior Panormi Sycilie - tunc enim provincia illa Regni nostre erat unita» (n° 63). Obsoleta definizione delle province domenicane. Il cronista Domenico, provinciale romano 1378-80 e vicario nella Lombardia superiore dal 1388, non può ignorare che Palerno era territoro non della provincia del Regno bensì della "provincia Trinacrie" eretta nel 1378.
MOPH IV, 442/4-5 (1378); XIX, 38 § 303 (1393), 57 § 500 (1397); VIII, 107/8-9.22 (a. 1401). Costituzioni OP dist. II, c. 4, del 1380-88 circa, con aggiornamento marginale del 1405, BAV, Vat. lat. 7651 (xiv-xv), f. 24r: prov. «Trinaclie». ASV, Reg. Later. 17, ff. 3v-4r (Bonif. IX, Roma 10.IV.1391): «in prov. Trinacrie»; Reg. Later. 136, ff. 291v-292r (Aless. V, Pisa 28.VII.1409): «in prov. Trinaclie». M.A. Coniglione, La provincia domenicana di Sicilia, Catania 1937, 8-15, 402-05.
Scrive non prima dell'ultimo decennio del secolo. Semplicemente, e distrattamente, lascia passare la terminologia depositatasi nelle note dei cronisti precedenti (forse Bartolomeo); per costoro era esistita la sola provincia Romana fino al 1294-96, quando nei territori a sud del Patrimonio fu creata la "provincia Regni". Stefano priore palermitano prima del 1294-96: "quando la provincia del Regno era ancora unita alla nostra", dovevano esprimersi i cronisti pisani di primo Trecento.
E leggiamo per intero l'articolo su Bernardino da Peccioli, attivo dal 1288 cursore sentenziario in Pisa, fino al 1332, secondo gli Atti dei capitoli provinciali (MOPH XX, 84/16, 276/1, 370a). Nella personale stesura della biografia, Domenico raccoglie e riordina le fonti: Atti capitolari, testimonianza orale d'un vecchio frate, e qualcosa lasciato annotato dal secondo cronista Ugolino (già al lavoro molto prima che venisse meno il suo predecessore Bartolomeo † 1346?):
Frater Bernardinus de Peccioli, eloquentissimus licteratus, predicavit egregie, legit habunde, prior in pluribus conventibus. Apud papam Bonifatium valde fuit acceptus et tempore suo in romana curia ordinis procurator. Et ut michi dixit quidam frater antiqus, non fuit aliquis frater secularibus ut ipse gratiosus. Diffinitor capituli provincialis. Et post multos labores quos induratus animo grandi substinuit, transivit in patriam quietis eterne. Hunc fratrem dixit fr. Ugolinus fuisse primum quem mori videret cum tantis lacrimis ut numquam sic alium transivisse conspexerit. 1334. (n° 151).
La persistenza dell'istituzione conventuale asseconda l'informazione orale, genera tradizione viva, sul topos "ut audivi a fratre antiquo". Lungo il percorso il fatto si riveste della sua stessa rappresentazione; si dilata a ruoli normativi, insinuati da una comunità fortemente agitata da ragioni ideali, ipersensitiva a modelli validanti. Che non disdegna all'occasione l'aneddotica giocosa. Iacopo di ser Colo Geppi da Pisa passa grasse facezie conventuali sul fratello germano fra Andrea, candidato al magistero in teologia; vanno a solennizzare le vesperie di maestro Simone da Cascina:
Iacopo e Andrea di ser Colo (Nicola) Geppi da Pisa («ser Cholus Geppi de cappella Sancti Leonardi in Pratuscello»), frati domenicani, entrano in possesso di due parti dell'eredità materna (Gadduccia del fu Francesco di Leone, loro madre), la terza spetta al fratello Antonio: ASF, NA 8063, ff. 36r-37r (Pisa 5.X.1388/7), f. 41r-v (9 e 18.XI.1388/7), dov'è menzionato l'atto dotale 12.XI.1360/59 dei genitori. Il notaio ser Colo Geppi muore tra 1390 e 1397, poco prima di maggio 1397 (ib. 20729, VI, f. 11r: 22.V.1398/7). Ib. 8064, ff. 14v-15v (Pisa 29.VIII.1391/0); 17106, f. 61v (Pisa 29.I.1429) «fr. Iacobus Geppi de Pisis, sindicus et procurator conv. fratrum Sancte Caterine de Pisis OP». ASMN I.A.3, f. 55rb (Firenze 25.VIII.1399). Bonaini, Excerpta Annalium 598.
BAV, Barb. lat. 710 (xv in), ff. 115rb-116vb Vesperie quas feci <ego Simon de Cascina> in Pisis pro magistro Andrea Geppi de conventu pisano OP [26.I.1410]: «Quid iste in puerili etate in conventu florentino fecerit, germanus eius qui michi dixit est testis. Nec volebam dicere sed me obsecravit venitque de Pistorio Florentiam propter hoc. Hic vesperiandus de nocte semper in lecto mingebat, de die verbera et confusionem habebat. Quare astutulus cogitavit ligare membrum genitale ne posset aquam emictere. Unde sequtum est quod hic expergefactus clamabat pre dolore eximie; nam tanta est facta in illo membro inflatio quod oportuit venire medicum, qui quasi coram toto conventu, cum risu adstantium et huius pena permaxima, fregit ligamen et filum» (f. 115va). Cf. Käppeli, La raccolta 222.
e) Variazioni del caso senese. Un anonimo cronista avvia in luglio 1403 la Cronica fratrum di San Domenico in Camporegio: 1) confessa di non disporre precedenti notizie scritte sui frati, dalle origini 1221 fino al 1348; eccezion fatta per Ambrogio dei Sansedoni († 1287) e sua legenda; 2) dispone di nuda lista nominativa di 49 frati vittime della mortalità 1348, ma deplora che né prima né dopo sia stato annotato il giorno del decesso, «de die extremo» (quanto il cronista sa di Enea dei Tolomei, Cr Si n° 2, ed. 5, oltre nome e anno del decesso 1348, non contraddice: un esemplare del De paupertate Christi doveva circolare tra Siena e Firenze, SOPMÆ IV, 14; nessun'ombra di tradizione cronachistica); 3) sospetta lacune nella lista («nota quod plures non reperi quam supra notaverim»); 4) dal 1350 si serve dei nomimativi del liber anniversariorum et obituum, libro paraliturgico costruito a calendario per giorno e mese, destinato alla notazione dei suffragi annuali (così interpreto parole a noi ellittiche a loro domestiche, «ut inveniam in libro sacristie conventus Senarum»); e ne raccoglie notizie dalla tradizione orale o dagli Atti capitolari (Cr Si ff. 1r, 3r, 4r; ed. 1, 4, 7).
■ in libro sacristie conventus Senarum: parole che in ogni caso proclamano, se ancora ce ne fosse bisogno, l'irriducilibità della cronica fratrum ai libri commemorativi dei suffragi annuali, "obituari" o "necrologi" che si vogliano chiamare, visto che a fronte delle notazioni esequiali (solo nominative) nel libro di sacrestia si sente il bisogno d'avviare altro e diverso libro, quello appunto della cronica fratrum, rigorosamente ordinato sulla successione cronologica delle biografie dei frati.
Arrivato ai suoi tempi, il cronista si abbandona alla compiacenza della rivalsa e a dettagli esuberanti: fra Piero d'Ambrogio dei Montanini morì «in ordine annis viginti octo conpletis, etatis vero sue anno 41° inchoato, die 12 novenbris anno Domini 1403, ora noctis 3a» (Cr Si n° 118 f. 12v, ed. 19)!
f) Torniamo a Pisa. Viste le traversie redazionali, non è generoso insistere sugli errori d'omissione. Ne è al corrente il cronista stesso: «Omnes isti episcopi [= Cr Ps n° 139-141 f. 19v] defuncti sunt 1320 sed hic sunt positi oblivione scribentium. Credo enim, et ita comperi, quod multi fratres fuerunt qui ab isto libello antiquitus neglecti fuerunt», a ridosso della notizia su Orlando da Sovana (pr. Grosseto) n° 141 f. 19v. Dove "iste libellus" altro non è che la Cronica conventus antiqua Sancte Katerine de Pisis; libriccino per l'appunto, contro il formato dei "libri textus" e bibbie conventuali! Il medesimo che Domenico da Peccioli e noi abbiamo sottomano: "nel quale - parafrasando - mancano all'appello molti frati, dimenticati da gran tempo". Libellus variante pressoché canonica con cui le cronice fratrum chiamano se stesse. Non "iste libellus" cioè i perduti scartafacci dei primi due cronisti.
Così viene da intendere Barsotti, I manoscritti 287: «Ed il "libellus" cos'era? Una vera e propria cronaca no, perché "multi fratres neglecti fuerunt": ciò riceve conferma anche da molte carte del Seminario, che dànno notizie de Frati non ricordati nella cronaca».
g) Le omissioni invece saggiano un'intenzione maestra delle cronice fratrum. Appesa all'incipit minaccioso del prologo pisano: «Quamvis nulla sit cura iustis de caduca temporali memoria cum sint in eterna secundum divina promissa - etenim «erunt iusti in memoria eterna» prout in Psalmo clarius est expressum - ubi de reprobis e contra depromatur, quia «periit eorum memoria cum sonitu» (Prol. f. 1r). In positivo poco oltre: «debitum est hiis qui virtuose et in finem usque durantes duxerunt in bonum dies suos, honorem demus» (ib. f. 1v). Tessiamo le lodi dei giusti, perseveranti fino alla morte. Degli altri, se ne cancelli memoria, «depromatur».
Consistente il tasso di defezione, di frati che passano ad altra religione più austera o abbandonano illegalmente lo stato religioso (apostatae ab ordine). Contemporaneità tra decesso e registrazione in Cr SMN sosteneva la presunzione non temeraria di defezione a partire dall'omissione (Quel che la cronaca ..., MD 18 (1987) 227-325). Non così per quella pisana. Ma per converso, l'omissione è certa solo quando tale o talaltro frate della predicazione pisana morì domenicano. Sono le regole della cronica fratrum.
Ranieri dei Granchi da Pisa OP, estremi conosciuti 1326-45. Frate eminente, dalla carriera professorale, nei conventi Arezzo Pisa Lucca, dal 1331 al 1345. Poi silenzio. Lascia un poema sulle vicende del suo tempo, De proeliis Tusciae[31]. Sfuggito alla memoria d'Ugolino di ser Nuovo (1333-64) che l'ha conosciuto di persona? Sfuggito a Domenico da Peccioli? dalle predilezioni per frati dotti, uso a sollecitare dagli anziani notizie sui trapassati. La memoria di Ranieri travolta dalle devastazioni del '48? oppure "deprompta" dalla cronaca di casa, come vuole il programma del prologo? La precaria tessitura di Cr Ps insinua, non asserisce.
Soltanto incidentali testimonianze esterne, di natura legale o amministrativa, ci restituiscono il nome di chi abbandonò. Un Lando degli Erici 1348 (Bonaini, Excerpta Annalium 598-99 n. 1), Niccolò di Pietro 1356 (Bonaini, Chronica 557 n. 273), Niccolò di Guercio 1358 (Bonaini, Excerpta Annalium 598), ecc. Baronto di ser Dato da Pisa (fl. 1376-1428), tirato su da maestro Domenico da Peccioli, passa ai cistercensi tra 1404 e 1406 (su Baronto più avanti nel capitolo sui riformati veneti); l'annalista del 1550 ne recupera il nome all'anno 1392, libro I, a integrazione di Cr Ps; ma ignora che Baronto aveva mutato abito (Bonaini, Excerpta Annalium 598). Aldobrandino "Macciolis" nel 1309 espulso per colpe gravi e reiterate, esecuzione delegata al vicario del convento pisano; che non garantisce oltre la probabilità l'appartenenza d'Aldobrandino alla predicazione pisana (MOPH XX, 175/12-17).
Nessun controdocumento, alternativo alla cronica fratrum, guiderà alle ragioni reali della dissociazione, o ai mancati equilibri che l'hanno propiziata: irrequietezza affettiva e libertà intellettuale, istanze rigoriste e condotta riprovevole; propositi evangelici della regola e compromissioni dell'istituzione, esercizio sopraffattorio dell'autorità, consociazione col potente di turno. Rinuncia, la cronica fratrum, a dar voce alla dissociazione e alle sue ragioni. Declina la propria occasione storiografica: descrivere, a proposito d'un soggetto privilegiato quale il convento urbano, le dinamiche tra individuo e collettività, tra persona e istituzione, tra convento e polis. Opta per la reticenza. Pudico rimedio al disonore di famiglia. Aveva rinunciato, per ragioni ludiche, anche la novellistica, nell'atto stesso d'impossessarsi della materia.
h) Termini della praedicatio e implicanze amministrative. Il cronista si pronone «nomina et facta probata et proba fratrum istius pisani conventus scribere et notare» (Prol. f. 2r). Che per convenzione significava: soltanto e tutti i frati figli del convento, originari cioè della città e terrritorio del convento pisano (praedicatio), anche novizi non professi, ovunque deceduti. Non altrettanto scontato per il lettore moderno, indotto a sorvolare. La laconica sentenza regola la materia legale della cronica e la geografia conventuale. Redazionalmente operante, talvolta tramite precisazioni topografiche all'apparenza ridondanti.
Frater Hermannus de Sancto Miniate. Illud enim municipium fuit de predicationis terminis nostri conventus, et ideo illi ad nostrum conventum omnes originaliter pertinebant (Cr Ps n° 12)
svela che al tempo del cronista San Miniato non è più territorio del convento pisano, da tempo nell'orbita politica della repubblica fiorentina, dopo aver contrastato opposte pressioni di Lucca Pisa e Firenze[38]. Taluni samminiatesi son registrati da Cr SMN, dunque frati della predicazione fiorentina (Cr SMN n° 330 (1348), 332 (1348), 668, 722). Nel 1329 San Miniato e San Gimignano accolsero il convento domenicano (Alla ricerca di Ubaldo da Lucca, AFP 64 (1994) 45-46), con territori ritagliati dalla predicazione dei conventi confinanti: Pisa Siena Firenze. In continua interferenza, sulle fasce confinarie, con le vicende politico-militari delle città contendenti e ridefinizioni del contado e distretto.
Più dissimulato il caso «Frater Guido dictus de Ponte Here, tamen fuit de lambardis[41] de Libbiano vallis Here, licet pater eius ex causa habitaculum permutavit» (n° 246). Criptico ed esuberante. Perché tali precisazioni territoriali? e perché «licet…»? Il cronista deve giustificare l'appartenenza di Guido alla predicazione pisana e l'inserimento nella cronaca conventuale. Pontedera (pr. Pisa) tra Pisa e San Miniato. Libbiano (pr. Pisa) nella media Valdera, non distante da Peccioli castello originario del cronista, in direzione est verso San Gimignano, allora nel piviere Santa Maria a Cellori, diocesi Volterra, estremi confini orientali dello stato pisano[42]. La famiglia di Guido, della piccolà nobiltà rurale di Libbiano, s'era trasferita a Pontedera; cosicchè Guido è "da Pontedera" agli effetti amministrativi, e pertanto della predicazione del convento pisano. A voler trarre allo scoperto l'intera informazione dell'argomento territoriale: a destra del corso dell'Era, la predicazione pisana dovev'estendersi fino a Peccioli inclusa, mentre Libbiano era già territorio d'altro convento (San Gimignano, non esistendo convento in Volterra).
«Frater Nicholaus magister in sacra pagina. Hic fuit de Bolsingis de Prato, nobilis erat parentela, et inde expulsi cives pisani[43] fuerunt» (n° 245). Oppure: «Frater Ubaldus de Vallechia, de nobilibus de Vallechia, que est ultra castrum Pietresancte; aliqui facti sunt ex eis pisani cives, de quibus hic pater fuit» (n° 13), «Frater Deodatus Piccini. De Castagnechio olim, postea in Cieuli vallis Cascine residentiam fecerunt» (n° 254), che sembrano argomentare a petto della predicazione lucchese. Decisive, siffatte testimonianze, per disegnare la mappa delle predicazioni e seguirne gli aggiustamenti terminali. Di primissima qualità per inseguire le vicende dei frati sardi tra dissoluzione delle colonie pisane e annessione al regno aragonese (e alla provincia domenicana d'Aragonia)[44]; intorno al 1329; ma con tardive pendenze, c'informano le cronache pisana e fiorentina[45]. Mobilità e contese terminali delle predicazioni conventuali: soglia a una storiografia politica dei conventi mendicanti.
[31] SOPMÆ III, 291-92. Bonaini, Chronica 516-17, 544. Cristiani, Nobiltà e popolo 513b "Granchi". Ranieri dei Granchi da Pisa OP, De proeliis Tusciae, ed. C. Meliconi, Rerum ital. script.2 XIV/II (1915-22); «fr. Raynerius Granchi OP» (p. 3); IV, 1629-32 (p. 159): «Dicere de propriis licet hoc: fuit ipse Iohannis │ natus, et huic similis de Grancis Bartolomeus. │ Quot si tanta mihi contingunt funera soli, │ quanta putentur ea quae sunt tumulata per urbem!». P. CAU, L'assedio di Villa di Chiesa [= Iglesias, 1323-24], «Medioevo. Un passato da riscoprire» 9 (80) sett. 2003, pp. 31-32.
[38] Giovanni Villani [† 1348], Nuova cronica, ed. G. Porta, Parma 1990-91, II, 878a (Samminiato del Tedesco). Alle bocche della piazza, Diario di anonimo fiorentino (1382-1401), a c. di A. Molho e F. Sznura, Firenze 1986, 89-90, 116 (a. 1390-91). Nel 1375 ha un vicario fiorentino: G. Pinto, La Toscana nel tardo medioevo, Firenze 1982, 125 n. 136, 408, 410-19, specie p. 418. Samminiatesi e pisani «sono inimici», secondo pubblica voce (1399): Cronache di ser Luca Dominici, ed. G.C. Gigliotti, Pistoia 1933-1939, I, 198.
[41] Lambardi o cattani erano detti gli esponenti della piccola nobiltà rurale: cf. E. Fiumi, Storia economica e sociale di San Gimignano, Firenze 1961, 22-24, 41-42, 324a; AA. VV., I ceti dirigenti dell'età comunale nei secoli XII e XIII, Pisa 1982, 67-99.
[42] RD Tuscia I n° 2116 e 3322. Carta del dominio pisano di fine XIV sec. in O. Banti, Iacopo d'Appiano, Pisa 1971, 125, triangolo Peccioli Legoli Ghizzano; territorio limitrofo conteso sul finire del Trecento, ib. pp. 151-52, 155.
[43] Per lo statuto legale di "civis" nella repubblica pisana: Cristiani, Nobiltà e popolo 183-86.
[44] G. Melas, I Domenicani in Sardegna, R. Univ. Cagliari 1933-34 (ciclostile). G. Olla Repetto, Saggio di fonti dell'Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona relativa alla Sardegna Aragonese, I (1323-96), Roma (Pubbl. Arch. di Stato) 1975. F. Domínguez Reboiras, In civitate Pisana, in monasterio Sancti Domnini: Algunas observaciones sobre la estancia de Ramon Llull en Pisa (1307-1308), «Traditio» 42 (1986) 389-437; vi si apprende tra l'altro che, letto in passato "Sancti Dominici" anziché "Sancti Domnini", la sosta pisana di Raimondo Lullo era stata collocata presso i domenicani della città.
[45] Nel 1331 gli Atti del capitolo provinciale d'Aragonia non portano ancora traccia dei conventi sardi e corsi: A. Robles Sierra, Actas de los capítulos provinciales de la provincia dominicana de Aragón, «Escritos del Vedat» 22 (1992) 131-78 (aa. 1327-31). Cr SMN n° 344 (OP 1304, † 1348) «prior… Sancte Anne de Sardinea cum adhuc dictus conventus ad Romanam provinciam pertineret».