Intendo colui che progetta, avvia e scrive la maggior parte del nostro Liber novus. Presumo, per ipotesi di comodo, identità compilatore-scrivano; di fatto di nessuna rilevanza nel caso in questione, visto che non siamo in grado d’uscir fuori dal testo. Designiamolo mano A.
Il calendario (ff. 1’v-13’r), dalla notatio fortemente sfrondata, registra festività introdotte nella liturgia domenicana negli anni 1332 (san Servazio, 13 maggio), 1336 (san Marziale, 16 giugno), 1355 (sant’Adalberto, 24 aprile). Significativo il caso di san Procopio confessore (MOPH IV, 346/7-9, 356/37-39, 365/3-4; 380/36-38: a. 1357), alla data liturgica 8 luglio (f. 7’v): così vuole il capitolo generale 1357 dei frati Predicatori, quando il precedente iter costituzionale dei tre capitoli 1353-55 lo fissava al giorno 4 luglio. Assenti festività introdotte sullo scorcio del Trecento (traslazione di san Tommaso d’Aquino e di san Pietro Martire ecc.). Non altrettanto perentorio tuttavia l’argomento ex silentio, poiché il calendario è principalmente di supporto alla memoria dei ricorsi annui delle pictantie anziché alla celebrazione liturgica, laddove i calendari premessi ai libri d’uso liturgico recano i normali necessari aggiornamenti di mani posteriori.
Fin dalle primissime carte del libro il lavoro di mano A suppone l’anno 1364: «Tandem anno Domini 1364 fr. Zenobius de Guasconibus, tunc prior nostri conventus, ab heredibus illius Iacobi de Pictis… De hiis libro predicto conventus et fr. Iohannis de Infangatis car.10» (f . 4v righi 16 ss), che aggiorna precedenti del 1302-03 raccontati dall’Infangati. E riferisce via via negozi che suppongono gli anni: 1362 (f. 33r rigo 10), 1365 (f. 34r28), 1369 (34v13), «in die quo obiit beata Villana» 29.I.1360/1 (34v3ult), 1365 (35r5), 1363 (35r8.28), 1364 (36v1, 37r-v), 1365-66 (38r-39v), 22.II.1369/70 (39v penult), 1367 (40r12, 41r12), 20.III.1366/7 (41v6), 136* (42r4), 1368 (42v2), 22.IV.1371 (42v12), 22.XI.1374 (45r15), 30.IX.1376 (45r3ult), 16.V.1376 (45v16), 30.V.1376 (46r11). Mani diverse dai tratti più corsivi s’intromettono già in f. 42r per due registrazioni dalle date 1356 e 20.X.1371; dall’ultima entrata di f. 42v fino a f. 44v per registrare atti di gennaio-giugno 1374; sostituiscono definitivamente mano A da metà f. 46r e registrano alquanto irregolarmente entrate dalla date croniche 22.II.1379/80 (46r3ult), 1381 e 1366 (46v), 1403 (47r21), 1383 e 1372 (47v), e poi ancora altri recuperi vari dei decenni ‘70-90 (ff. 48-58); fino alle tardive appendici di secondo Quattrocento (ff. 53v-54r, 78v-79r), dopo che il libro era stato abbandonato (perché questo vogliono le numerose carte intermedie rimaste bianche nonché l’irregolarità delle registrazioni).
Mano A si è dunque dedicata al lavoro di compilazione tra gli anni 1365 e 1371; con ritorni nel ‘74 e ‘76, quando altri confratelli erano nel frattempo intervenuti a tenere aggiornato il libro sui bisogni amministrativi del convento. Corrobora la cronologia il caso di f. 3v: a lato dell’entrata di mano A (relativa al legato perpetuo di messer Ugo del fu messer Giovanni dei Bostichi del 1299 e trascinatosi inutilmente fino al 1329), uno dei continuatori di fine Trecento interviene al margine sinistro, scrive vacat e poco sotto: «fuit venditum per fr. Francischum Brucce[2] die 14 settembris anno 1376, sicut apparet in alio libro manu ipsius fr. Francisci car. 9»; e in calce alla transazione del priore Zanobi dei Guasconi 9.I.1363/4 con donna Giovanna vedova di Iacopo, il continuatore barra l’entrata e annota: «predicta domina decessit anno Domini 1375 die 14 mensis februarii» (f. 36r marg. inf.). Mano A non lavorava più sistematicamente alla redazione del Liber novus nel 1376, se registra un titolo di credito estinto in quel medesimo anno, e non conosce il sopravvenuto decesso di donna Giovanna, 14.II.1376, usufruttuaria d’una casa di proprietà conventuale. E probabilmente non lavorava più nemmeno nel 1374, se in calce a f. 28r altra mano annota l’aggiornamento alle pictantie degli Strozzi per la cappella dell’Annunciazione «Et nota quod 1374 de mense madii…» con rinvio alla registrazione integrale a f. 43v; e se in f 40v in rapporto all’entrata Giovanni dei Rondinelli 1363, altra mano rinvia all’aggiornamento 10.VI.1374 di f. 44r. Significativamente assente l’anno 1375, percosso dalla peste, ossessivamente evocata dal confratello a lavoro in quell’anno alla Cronica fratrum[3]; allo stesso modo che la messa in cantiere del libro cade a ridosso della «crudelissima peste» del 1363 (Necr. I, 95/1).
Chi è mano A? O semplificando alquanto, chi è l’autore del Liber novus?
Su f. 1r una mano cinquecentesca ha scritto in modulo grande a mo’ di frontespizio:
liber novus. Transunctus est liber iste ex libro fr. Iohannis de Infangatis, et per manus fr. Çenobii de Guaschonibus scriptus et intitulatus Liber novus conventus. Quod liber iste sit scriptus per manus predicti fr. Çenobii de Guaschonibus patet in isto libro c. 36. c. 37. ubi fit concessio sotietatis sancti Çenobii, que concessio et copia concessionis sic incipit: Noverint universi presentes literas inspecturi quod ego fr. Çenobius de Guaschonibus prior fratrum Predicatorum… etc. Memoria quod ego fr. Çenobius de Guaschonibus etc. Liber fr. Iohannis de Infangatis est in conventu nostro (f. 1r).
■ A piè di carta una mano d'inizio XX sec. ha scritto a penna in modulo minuto: «Il volume del P. fr. Giovanni de Infangatis è presentemente nell'Archivio di Stato in Firenze. Archivio 102 n. 221. Comincia con l'anno 1335 gennaio 8 e termina al 1347. P. Taurisano». Innocenzo Taurisano OP (1877-1960), che nel 1916 utilizza ampiamente il Liber novus nel contributo Il Capitolo di Santa Maria Novella in Firenze, MD 33 (1916) 10-30, 80-93, 217-230. ASF, CRS (già Conv. soppr.) 102 n° 221 è un libro d'amministrazione dell'ospizio di Montelupo dei sec. XVII-XVIII. Taurisano intendeva dire di ASF, CRS 102 n° 227, che è l'altro libriccino amministrativo di Giovanni degl'Infangati, sul quale vedi sopra; cf. Necr. I, 396-98.
Il sopraggiunto frontespizio Transunctus est liber iste (1r), è vergato da Mariotto d’Angelo da Firenze † 13.VIII.1557 (ancora sconosciuta in MD 26 (1995) 331): annotato in ASMN I.A.3.
Il frontespizio Transunctus tramanda un’antica notizia di casa? Trae l’informazione da sottoscrizioni nei fogli di guardia o nella coperta originale del codice?, per noi irraggiungibili. Non pare, se deve argomentare dal contenuto stesso del libro e da quanto ha letto nelle carte 36 e 37. Unica eccedenza ai riscontri con l’attuale stato del libro: «et intitulatus Liber novus conventus». Ma i rapporti logici non costringono a sottintendere “così intitolato dall’autore Zanobi”, una volta che il tardivo lettore aveva constatato che il libro, ritenuto opera di Zanobi, travasava e continuava il precedente dell’Infangati. Frontespizio dall’aria persuasiva, tuttavia; per secoli e a tutt’oggi dato per buono senza richiesta di credenziali.
In verità non è il solo Zanobi («Noverint universi presentes literas inspecturi quod ego fr. Çenobius de Guasconibus prior…», f. 36v: 1363) a comparire in prima persona sotto la penna di mano A. «Et ad horum omnium maiorem firmitatem et robur feci ego dictus prior <scil. fr. Angelus de Adimariis> hanc literam de verbo ad verbum secundum morem nostri conventus in libro conventus registrari» (f. 45r16-17: 22.XI.1374). «Noverint universi presentes literas inspecturi quod ego fr. Iacobus de Altovitis prior…» (f. 45r19: 30.IX.1376; ff. 45v-46r: 30.V.1376). Parimenti la mano del primo continuatore verga simile formula coniugata in prima persona per: «ego fr. Leonardus de Castro Florentino[7] prior» (f. 43v4: 4.V.1374); «ego fr. Angelus de Adimariis… vicarius in conventu» (f. 44r3: 10.VI.1374). È la formula declaratoria dell’autore diplomatico, di chi pone cioè l’azione giuridica, conforme all’instrumentum confessionis del notariato fiorentino. Che ogni copista può trascrivere senza diventar attore del negozio. Al modo che il notaio, o il suo scrivano, imbrevia nel protocollo di bottega quanto redatto in mundum e rilasciato all’avente diritto. Allo stesso modo che il compilatore del Liber novus trascrive le dichiarazioni in prima persona di Giovanni degl’Infangati: ego, michi e simili.
Copia cuiusdam litere in vulgari sigillate sigillo conventus et prioratus concessa Andree pictori.
Sia manifesto a chiunque vedrà questa scritta che io frate Çenobi de’ Guasconi, priore de’ frati Predicatori del convento di Santa Maria Novella di Firençe, di consentimento e volontà de’ frati del detto convento, anno Domini 1365 del mese di dicembre a dì 30, diedi ad Andrea di Bonaiuto dipinctore… E in testimonio de le predette[8] cose io frate Çenobi predetto la presente cedola di consentimento de’ detti frati ò scripta di mia propria mano e registrata nel libro del nostro convento e suggellata del suggello del convento predecto e del mio officio. Anno mesi e dì decto di sopra. Et ista habentur in supradicto libro conventus car. 116 (ff. 40v-41r).
L’io d’un brano siffatto non garantisce che autore diplomatico (Zanobi dei Guasconi) e autore redazionale siano la medesima persona. Perché non esclude che quest’ultimo abbia prelevato «dal sopraddetto libro» e riprodotto il formulario tale quale suona, visto che copia da antigrafo. La «presente cedola» - quella sì autografa di Zanobi - non sono le carte 40v-41r del nostro Liber novus bensì il diploma su cui il priore Zanobi ha apposto la corroborazione del sigillo conventuale (e su cui, verosimilmente, non avrà vergato la data cronica in cifre arabe!). Il tutto a sua volta regestato (non si dice per mano di chi) a carta 116 del libro avviato da Giovanni degl’Infangati, a uso di promemoria amministrativa della transazione.
Una parentesi di contesto: a proposito di questa famosa committenza al pittore Andrea di Bonaiuto da Firenze, approfitto per rimuovere il sospetto che i testi del Liber novus lungo la catena della tradizione siano passati per penne forestiere; com’è tenuto a ipotizzare il lettore d’autorevolissime monografie (peraltro dagli apprezzabili contributi di storia artistica): «El detto Andrea debbe aver dipinto tutto il Capitolo dal detto Kalendi di gennaro a due anni…»[10], essendo l’esito –arius>-aro (notaro, fornaro, gennaro ecc.) un conclamato distintivo degli idiomi centro-meridionali, Roma inclusa (Anonimo Romano [fl. 1325-60], Cronica, a c. di E. Mazzali, Milano 1991, 23), contro il canonico toscano –arius>-aio (notaio, fornaio, gennaio ecc.). Ma il Liber novus f. 40v scrive senza esitazione «El detto Andrea debbe avere dipinto tucto il capitolo dal decto kalendi di gennaio a due anni…». E torniamo al nostro discorso.
Più peso potrebbero avere i brani in prima persona che implichino attività redazionale in atto, sempreché il tutto a sua volta non fosse stato ricopiato nel nostro libro; specie là dove l’incipit Memoria quod coglie il memorialista nell’atto di redigere la notizia di famiglia nel “libro di ricordanze” (ché tale è il nostro Liber novus, come diremo subito) anziché dictare una carta di contratto:
Memoria quod ego fr. Çenobius de Guasconibus anno Domini 1364 die 11[12] mensis maii dum essem prior florentinus, de consilio antiquorum fratrum conventus florentini emi a domina Constantia de Pictis et a Cione filio eius, heredibus Iacobi de Pictis, de consensu et voluntate Iacobi et Bernardi filiorum Luce domini Fantonis de Rubeis sive de Rossis, territorium quod est iuxta ortum nostrum, de quo aliquando fuerat magna rixa et controversia inter conventum nostrum et personas superius nominatas. Et dictum territorium fuit mensuratum et inventum staiora x et pano<ra> quattuor[13], pro quo in universo, soluta gabella et notario, dedimus florenos Clj et soldos quinquaginta tres et denarios iiijor. Et in dicto contractu habui consiliatorem dominum Nicholaum Lapi et directorem ser Ginum ser Iohannis de Calençano[14] qui fecit instrumenta dicte emptionis, prout apparet in supradicto libro car. 19 (f. 37r; cf. f. 4v).
Memoria quod anno Domini 1365 die xj maii Iacobus et Bernardus, filii Luce domini Fantonis de Rubeis sive Rossi, assignaverunt dederunt concesserunt seu donaverunt michi fr. Çenobio de Guasconibus priori conventus Sancte Marie Novelle…, prout dicitur et habetur in supradicto libro car. 19 (f. 37r).
Ego fr. Çenobius predictus cedulam istam propria manu scripsi et in libro conventus registrari et transcribi feci ac etiam sigillum sepedicti conventus et mei prioratus apposui… Et predicta continentur in supradicto libro conventus qui fuit fr. Iohannes de Infangatis car. 116 (f. 37v4-9 : 4.VII.1364).
… In quorum omnium testimonium robur et firmitatem presentem cedulam ego fr. Çenobius prior… manu mea propria scripsi et registravi et sigillum sepedicti conventus et mei prioratus officii apponi feci (f. 39r4ult: 10.IX.1365).
Dove tuttavia permane il legittimo sospetto che il tutto fosse stato prelevato dalle integrazioni che erano andate ad aggiornare il precedente libro dell’Infangati («prout dicitur et habetur in supradicto libro»); che cedula ista (scrittura del tutto privata senza rogazione notarile) e carte del Liber novus non siano la medesima cosa, poiché non è su questo che Zanobi appone il proprio sigillo per la finale roboratio. Lo avrà apposto a pubblica fede sulla cedola vergata di proprio pugno, presa poi ad antigrafo dal nostro Liber novus. Nel modo che lo stesso priore Zanobi aveva provveduto a farla trascrivere da altri nel registro conventuale («et in libro conventus registrari et transcribi feci»).
In somma: che fra Zanobi di Bonaccio dei Guasconi sia l’autore-scrittore del Liber novus, come vuole l’indiscussa credenza a partire dall’iscrizione cinquecentesca di frontespizio, non trova conferma sopr’ogni dubbio. Dubbi non cavillosi. Ché le carte del codice, quantunque interpellate, restano mute sulla paternità del libro. Così almeno a nostro giudizio. La cronologia, certo, non si ribella (al pari che ad altre candidature contemporanee); al contrario potrebbe obiettare la coincidenza di composizione del Liber novus (1365-71) con magistero teologico e aggregazione al collegio magistrale dello studio cittadino del presunto autore. In ogni modo congruità temporale non varrebbe ancora autenticità d’attribuzione.
In religione dagli anni 1337-38, fra Zanobi di Bonaccio rifinisce la propria formazione intellettuale in Parigi, lettore in molti conventi della provincia Romana, priore in Santa Maria Novella 1362-65, definitore ai capitoli provinciale e generale. Maestro in teologia già in maggio 1365, incorporato nel 1369 nel collegio della facoltà teologica dello Studio generale della città di Firenze, reggente negli studi OP fiorentino e senese. Lascia sermoni e volgarizzamenti. Muore il 15 agosto 1383.
■ Piana 38, 52. Necr. I, 607 e 618, non distingue tra conseguimento del magistero e incorporazione nel collegio dei maestri. Nel 1366 per i domenicani del convento fiorentino era stato condotto dagli ufficiali fiorentini alla facoltà teologica dello Studio cittadino Rinaldo da Romena OP († 1370): A. Gherardi, Statuti della Università e Studio fiorentino dell'anno MCCCLXXXVII, Firenze 1881, 317. SOPMÆ IV, 488-90. Necr. I, 130-31, 605-23; II, 651b.
Da tener ben distinto dai molteplici confratelli omonimi (il “ritrovamento” del corpo del patrono cittadino san Zanobi nel 1331[17] aveva rilanciato le fortune dell’antroponimo?): suo fratello carnale fra Zanobi di Bonaccio dei Guasconi 1320-25 (intendi estremi d’entrata in religione e morte), premortogli; fra Zanobi di Stefano Cinghietti senior (1315-65) e iunior (1373-75); fra Zanobi di Iacopo Betti (1352-86); fra Zanobi di maestro Francesco degli Aliotti, deceduto nel 1418 «in multo senio»; fra Zanobi dei Girolami († 1377; per tutti costoro v. Necr. II, 651). E dai suoi consorti: messer Zanobi di Iacopo di messer Biagio dei Guasconi (1397-1464), dottore in diritto e docente nello studio fiorentino (R.M. Zaccaria, Documenti su Biagio Guasconi e la sua famiglia, «Interpres» 11 (1991) 304-06); Zanobi di Niccolò di messer Zanobi 1480 (A.F. Verde, Lo Studio Fiorentino 1473-1503, Pistoia-Firenze 1973-94, III/2, 1162; IV/1, 356 § 7); Ricordiamo un altro fratello del nostro Zanobi, fra Bernardo di Bonaccio OFM, maestro anch’egli in teologia e incaricato della cattedra fiorentina nel 1366 (A. Gherardi, Statuti della Università…, Firenze 1881, 559a. Piana 26-27).
I Guasconi, famiglia del popolo San Lorenzo e sesto Porta San Piero (successivamente quartiere San Giovanni), iscritta all’Arte della Lana, in vista nella mercatura e nelle cariche pubbliche nel corso del Trecento, si rafforza nella seconda metà del secolo; tra la medio-alta borghesia mercantile se nel 1378 Biagio di Bonaccio (fratello del nostro fra Zanobi) è tra i fiorentini armati cavalieri dai Ciompi vincitori sulle arti maggiori; successivamente schierata col partito albizzesco nelle competizioni egemoniche d’inizio Quattrocento, esiliata ed eclissata dall’avvento della supremazia medicea 1434.
■ G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze e altri scritti, ed. Milano 1972, 195 n° 26. C.C. Calzolai, Il «Libro dei morti» di Santa Maria Novella (1290-1436), MD 11 (1980) 157a. Alle bocche della piazza…, a c. di Molho - Sznura, Firenze 1986, 241b. R.M. Zaccaria, Documenti su Biagio Guasconi…, «Interpres» 11 (1991) 295-326.
Non ci è d’aiuto, a sbrogliare il caso di paternità del Liber novus, il ricorso al ms BNF, Conv. soppr. G 4.1111 (xiv), ff. 125r-203v (corrispondenti alla foliazione originale ff. 1r-79v, successivamente incorporati in un codice composito): Iohannes Boccaccii de Certaldo, De casibus virorum illustrium. In f. 203v a fine opera, la stessa mano che scrive l’intera opera del Boccaccio rubrica: «Iohannes Boccaccii… liber nonus et ultimus», e subito sotto: «Iste liber est fratris Çenobii de Guasconibus sacre theologie magister ordinis Predicatorum de Florentia». Altra mano quattro-cinquecentesca scrive nota di possesso conventuale «Conv. S. Marie Novelle de Florentia ord. Pred.». Ritenuti, ff. 125r-203v, autografi di fra Zanobi dei Guasconi:
Pomaro, Censimento I, 427: «piccola littera textualis di mano di Zenobi Guasconi che si sottoscrive a c. 203v; la scrittura è alquanto tremula e, anche in base a quella del liber novus del Guasconi († 1383) collocabile verso gli ultimi anni della sua vita» (vedi ib. pp. 383-84, 467). Più prudente B. Ross, New autographs of fra Giovanni Colonna, «Studi petrarcheschi» 2 (1985) 217: «This part of the codex belonged to Zenobi Guasconi and was apparently copied by him». Unicamente possessore per G.C. Garfagnini, Da Seneca a Giovanni di Salisbury: «Auctoritates» morali e «Vitae philosophorum» in un ms. trecentesco, «Rinascimento» 21 (1980) 203: il codice «rispecchia probabilmente gli interessi del suo possessore, fra' Zenobio Guasconi, priore di Santa Maria Novella nel 1362».
In forza della prima nota di possesso? dell’identità di mano col nostro Liber novus? Sui confini del circolo vizioso.
Di fatto il colophon del codice fiorentino garantisce sì l’originaria appartenenza del De casibus boccacciano (1355-60 prima redazione; V. Branca, Giovanni Boccaccio, Profilo biografico, Firenze 1977, 107) al nostro fra Zanobi già maestro in teologia (termine post 1365), e anzi la sua committenza di copia, non però l’autografia. Salvo che, accertato altronde che mano A del Liber novus sia di Zanobi, non la si veda ricomparire in Conv. soppr. G 4.1111, ff. 125r-203v. Ora trovo oggettive difficoltà a identificare senza discussione mano A del Liber novus col copista di Conv. soppr. G 4.1111, ff. 125r-203v. Quest’ultimo scrive: nota tironiana della copulativa et a due tratti e coda inferiore rientrata a destra (contro tratto unico in A); asta di d verticale o dalla lieve inclinazione a sinistra (contro pronunciata inclinazione in A); x a due tratti combaciati a schiena (contro due tratti a taglio trasversale in A); g dall’occhiello inferiore a forma verticalizzata e ritorno a chiudere (contro figura ovoidale in posizione orizzontale e rientro sospeso a sinistra in A); in p(ro), chiuso l’occhiello, prolunga il tratto abbreviativo a sinistra dell’asta verso il basso in linea divaricata e ondulata (contro la curva di rientro verso destra in A); lettere nell’insieme più verticalizzate e dai tratti più acuti (contro modulo palesemente tondeggiante in A).
Di certo l’anonima mano A del Liber novus ricompare tra le carte della Cronica fratrum dello stesso convento fiorentino (ivi conservato sotto la settecentesca iscrizione archivistica Necrologium vol. I) e ne redige gli elogi di f. 46r-v, corrispondenti ai numeri seriali 449/454 – 458/463 (Necr. I, 107-09, e 619 sesto capoverso). Vi lavora nel 1368, ma ricupera nomi di religiosi deceduti anche anteriormente e tralasciati dai precedenti cronisti.
Il Liber novus dunque messo su tra gli anni 1365 e 1371, successivamente aggiornato fino ai primissimi anni del Quattrocento. Lo imposta (ricordiamo le funzioni sussidiarie del calendario e della tabula) e ne scrive la maggior parte un’anonima mano gotico-libraria rotunda. Un frate del convento fiorentino. La tardiva tradizione conventuale ha creduto d’individuarlo in fra Zanobi di Bonaccio dei Guasconi († 1383). Riteniamone il nome tra le schede di ricerca. Senza legarci le mani. Un fortunato incastro di testimonianze grafologiche potrebbe attribuire la paternità, a lui o ad altri, con più convincenti argomenti.
[2] «fr. Franciscus Brucce de Florentia» non registrato dalla Cronica fratrum. In Santa Maria Novella nel 1373-74: Quel che la cronaca conventuale non dice..., MD 18 (1987) 302b n° 25, 303b n° 30.
[3] Necr. I, 116-18, 587. Ugo di Bartolo dei Bardi morì «anno Domini Mccclxxiiij duodecima die martii in quarta dominica quadragesime» (I, 116 n° 477): il ricorso si dà nell'anno comune 1374, non 1375, come si asserisce ib. I, 587.
[7] Cr SMN n° 520 (Lionardo di ser Giunta da Castelfiorentino OP † 1385): «ordinavit quod dicti Laudeses facerent tres pita<n>tias conventui nostro in festivitatibus santi Nicholai, santi Barnabe et santi Leonardi»; cf. Necr. I, 135, dov'è omesso santi Barnabe. Le tre pietanze in ASMN <I.A.3>, Liber novus f. 35v.
[8] predette ] pdce sotto compendio latino, convenzionale anche in testi volgari (subito dopo predetto in extenso). Preditte in idiomi toscani d'area occidentale.
[10] R. Lunardi, Arte e storia in Santa Maria Novella, Firenze 1983, 71a. Il gennaro potrebb'essere la pesta d'un proto non indigeno. Non così gli altri trascorsi testuali; si corregga: a vita sua durante in a vita sua; Betto tavernaio in Buto tavernaio; per prezzo di fiorini d'oro trecentosexantacinque in per preçço di fiorini d'oro sexantacinque (che modifica non poco e la tipologia sociale della casa di proprietà conventuale e l'entità del canone d'affitto scontato da Andrea con la pittura del capitolo); pagare a contanti in pagare contanti; sì che si possa in sì che possa.
[12] 11 (= due aste verticali non eccedenti l'altezza media delle lettere) cod, non ij; che per analogia con altri ricorsi (cf. ff. 11r marg. sup., 36v) andrà inteso 11 anziché 2. Necr. II, 447 trascrive «die II mensis maij».
[13] Staiora 10 e panora 4 in misure agrarie fiorentine del tempo equivalgono a poco più di mezzo ettaro, precisamente m2 5.425.
[14] Calençano riscritto Calenzano.
[17]
Villani XI,
169; vol. II, 732, che scrive Zenobio ancora su calco latino.
Zanobi: A.
Castellani, Nuovi testi fiorentini del Dugento,
Firenze 1952, II, 938a; costante in Alle bocche della piazza,
Diario di anonimo fiorentino (1382-1401), a c. di A. Molho e F.
Sznura, Firenze 1986, 248b.