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4. Dal racconto di Iacopuccio alla legenda di Francesco

La premessa del De miraculo facto in conventu fratrum Predicatorum in Aretio asserisce l’inesauribile fecondità della radice e tesoro di san Domenico lungo i tempi (§2); sulle cadenze della ripresa della legenda liturgica "post transitum" (MOPH XVI, 424: lect. I-II). Modellata sul genere del protema di sermone; preordinata com’è a subordinare la funzione illustrativa del racconto («Hoc ideo premissum est quia noviter…» §3). Il racconto di Iacopuccio entra nel sistema delle significazioni; la guarigione diventa exemplum. La solitudine contestuale della narrazione, sospinta dall’intento agiografico, non è infranta da idiotismi linguistici. Non, ad esempio, dall’illimitato uso di ipse e sue declinazioni, ben oltre i bisogni grammaticali dell’enfasi dimostrativa; ossessivo come un tic lessicale del latino di Francesco su calco volgare; talvolta al limite dell’impaccio:

«Et cum appropinquasset hostiam ori ipsius fratris Iacobutii vigilantis, ipse aperiens os suum…» (§9); «Postquam autem ipse frater Iacobutius sacram hostiam transglutivit mox ipse gloriosus et pius pater beatus Dominicus cum lumine simul disparuit, et statim ipse frater Iacobutius…» (§11).

Né è infranta da frammenti di domestico dialogo in racconto diretto (Iacopuccio e suo inserviente, Iacopuccio e san Domenico) sopravvisuti nella redazione di Francesco (§6). È piuttosto la legenda stessa, all’origine del processo astrattivo del racconto, a scoprirsi; là dove si allontana dallo stupore dell’evento provvidenziale o dal racconto ingenuo (ingenuo perché tagliato su misura delle parole della sofferenza e speranza, o perché ignaro d’intenti subordinanti), e svela di conseguenza la strutturazione. Prossima essa stessa a denunciare gli amminicoli che concorrono alla fabbrica; dissimulati a pena nelle zone periferiche al focus dell’intenzione:

ipse beatus Dominicus suo proprio sinu extraxit unam patenam calicis de auro refulgentem et postea extraxit pissidem et de pisside hostiam, et tenens hostiam manu dextera et patenam sinistra dixit… (§9).

dum autem quamlibet hostiam ministrat <sacerdos>, accipiat eam cum manu dextera et patenam cum sinistra supponendo eam hostie, et sic transferat usque ad fratrem communicandum; et cum tradit ei, dicat… (AGOP XIV L 1, f. 394rb. Cf. Ordinarium OP 247 § 114)

Iacopuccio, febbricitante a morte, ha inseguito i moti delle mani di Domenico, prodromi della guarigione? Estrazione ordinata di patena pisside e ostia, gesto multiplo e incrociato delle mani, compiti canonicamente distribuiti tra mano destra e sinistra, sono prescritti dal rito liturgico della comunione (testo in colonna destra, per il quale più oltre sotto §9). È Francesco da Trevi, dotto e acculturato, a prestare decoro liturgico all’apparizione di Domenico. Dopotutto, l’evento prodigioso non è avvenuto tra i giorni 4 e 5 agosto, vigilia e festa liturgica di san Domenico?

Ripercorriamo la scrittura di Francesco.

§ 2. Di Domenico dobbiamo intendere «id quod scribitur in Psalmo: Iustus germinabit sicut lilium et florebit in eternum ante Dominum». Nessun versetto dei Salmi ha un testo siffatto. A formarlo concorrono più da vicino Os. 14, 6 «Israel germinabit sicut lilium», e Ps. 91, 13 «Iustus ut palma florebit, sicut cedrus Libani multiplicabitur». Francesco non sta leggendo quanto «scritto nel salmo» ma si lascia andare alla memoria liturgica del testo «Iustus germinabit sicut lilium ecc.», versetto a seguito dell’inno delle Lodi nella festività di san Domenico (esemplare della liturgia domenicana (1256 ca.), sezione Breviarium: AGOP XIV L 1, f. 127va; Breviarium OP (xiii s.), AGOP XIV L 2, f. 401rb); memoria contaminata per attrazione d’affinità con l’altro testo della medesima liturgia, condiviso con l’ufficio dei confessori, «Iustus ut palma florebit in domo Domini, sicut cedrus Libani multiplicabitur», di gran lunga più prossimo al dettato del salmo.

§ 2. Il «paterfamilias» compare nel responsorio Mundum vocans al mattutino dell’ufficio di san Domenico, «paterfamilias servum mittit…» (AGOP XIV L 2, f. 398rb).

§ 2. «Hic est velut lingnum planctatum et radicatum in aquis gratiarum, de quo dicitur in Ieremia: Ne aliquando desine facere fructum». Approssimativa citazione biblica di Ier. 17, 8 «Et erit quasi lignum quod transplantatur super aquas, quod ad humorem mittit radices suas et non timebit cum venerit estus et erit folium eius viride et in tempore siccitatis non erit sollicitum nec aliquando desinet facere fructum»60; disturbata da ricordi contigui, Ps. 1, 3 «Et erit tanquam lignum quod plantatum est secus decursus aquarum quod fructum suum dabit in tempore suo»; incrementata da reminiscenze d’altra provenienza, quale il binomio extrabiblico "aquae gratiarum" e tradizionali sviluppi dal «fons aquae salientis in vitam aeternam» (Ioh. 4, 14). 

§ 5. Giorno quattordicesimo, critico delle sorti del malato. In ricerca esemplare dell’«hora principii paroxismi» delle febbri acute?, come vuole il sapere del tempo, e le comuni conoscenze mediche divulgate dai manuali e dalla pratica. Vincenzo da Beauvais, Speculum naturale XIV, 3 (De horis febrium):

«Diversificantur autem status aegritudinum. Nam valde acutarum longinquior status est usque ad quatuor dies, et febres ephemerae sunt de hac summa (…). Et sequuntur eas febres acutae, et sunt illae quarum status pervenit ad 14 dies, et quod est supra illud»61.

Esattamente il quattordicesimo giorno!

§ 7. Luce nella notte. «Quasi stella matutina in medio nebule et luna plena in diebus suis et sol refulgens…» (Eccli.  50, 6-7), nel capitolo dei primi Vespri della liturgia di san Domenico (AGOP XIV L 1, f. 127rb; XIV L 2, f. 397va), nella legenda liturgica di Umberto da Romans (lectio IV: MOPH XVI, 372). Bagaglio ormai consueto, se anche Teodorico da Apolda accoglie il tema a inizio del Liber de vita et obitu et miraculis sancti Dominici, I c. 1, «ut lux spendens, sicut luna plena in diebus suis».

§ 8. «Lumen»! Contro il buio della notte, «circa primum sompnum noctis» (§7), e della morte imminente. «Pater luminum» è detto di Dio (Iac. 1, 17; cf. I Ioh. 1, 5), ma ci si conceda d’applicarlo a Domenico. Spianano la strada il brano evangelico della liturgia di san Domenico («Vos estis sal terre…, vos estis lux mundi», Mt. 5, 13 ss); la lezione IX con relativo commento di sant’Agostino, «Vos estis lumen mundi…» dal lumen dell’antica volgata contro lux di quella geronimiana (AGOP XIV L 1, f. 127va); la più frequentata antifona della liturgia domenicana «O lumen ecclesie, doctor veritatis…» (AGOP XIV L 1, f. 127va; XIV L 2, f. 401va). Digià tra i versi antichi di Guittone d’Arezzo († 1294) nella lauda per san Domenico:

Lux mundi e sal terre son certo,
segondo in aperto fa prova   
el sovrabondoso lor merto,   
unde ciascun merto par mova;   
che poco avanti avevano lodato Domenico maestro e medico:   
Tu mastro reggendo e ’nsegnando   
medico sanando oni ’nfermo66.

§ 8. San Domenico appare a Iacopuccio in forma di frate. Modello epifanico già noto ai "miracula post transitum", nella parte della legenda destinata alla lettura a mensa, capitolo "De villa Geneu iuvenis quidam gravissima infirmitate detentus": «Ipse vero inter hec inextimabili timore depressus, voto simul et voce qua poterat Deo se et beato Dominico commendat. Statimque in forma fratris beatus Dominicus aderat» (AGOP XIV L 1, f. 199vb (f. 198vb: «Residuum legi potest in mensa»; cf. MOPH XVI, 346 n° 90, 430 n° 55).

§ 9. Domenico impartisce la comunione a Iacopuccio sul filo delle disposizioni liturgiche allora in vigore nell’ordine. Materia preziosa delle suppellettili d’altare:

«Circa sacram communionem et modum communicandi in conventu notandum est quod ad reservandam sacram communionem haberi debet vas decens et honestum super altare maius honorifice collocandum, infra quod habenda est pixis argentea vel eburnea vel de aliqua materia pretiosa» (esemplare della liturgia domenicana 1256 ca., sezione Missale conventuale, § De sacra communione, AGOP XIV L 1, f. 394rb; cf. Ordinarium OP 246 § 107).

Estratte dall’altare del suo seno patena e pisside, Domenico esegue il simultaneo duplice gesto di tener l’ostia con la mano destra e di sottoporvi la patena con la sinistra; poi somministra l’ostia mentre pronuncia la formula. Come prescrive il rituale liturgico: «Dum autem quamlibet hostiam ministrat <sacerdos>, accipiat eam cum manu dextera et patenam cum sinistra supponendo eam hostie, et sic transferat usque ad fratrem communicandum; et cum tradit ei, dicat: Corpus domini…» (AGOP XIV L 1, f. 394rb. Cf. Ordinarium OP 247 § 114).

Il capitolo provinciale Città di Castello 1323 richiama a maggior diligenza circa la «communione sanctissimi sacramenti prout in nostro ordinario quantum ad tempus et modum expressius continetur»: MOPH XX, 225 rr. 8-15.

§ 11. Ricevuta l’ostia, il frate viene ammonito «ne post communionem spuat cito» e a raccogliersi nel silenzio della preghiera, «orare secreto» (AGOP XIV L 1, f. 394rb;cf. Ordinarium OP 248 § 115 e 118). Iacopuccio inghiottisce l’ostia - insiste due volte il racconto - e cade nel segreto del sonno ristoratore.

§ 12. Il giorno 4 agosto il medico aveva dichiarato l’assoluta impotenza dell’arte contro il male, e abbandonato il morente alla misericordia di Dio (§§ 5-6). Il 5 mattino, festività di san Domenico, Iacopuccio guarito corre in chiesa a render grazie al santo. Il medico è lì, tasta il polso, certifica l’avvenuta guarigione. Lo esigono le norme processuali per accogliere la prova del miracolo («miracula probata et comprobata»).

L’autore Francesco si sente in debito d’una spiegazione circa la presenza del medico: si trovava lì, il medico, in visita ad altri malati. Familiare con i canoni della legenda, ignaro d’astuzie narrative, il nostro Francesco da Trevi. Al medico, fortuitamente presente in visita ad altri, affida due asserti tra loro disparati: l’inspiegabilità naturale dell’accaduto e l’attribuzione della guarigione ai meriti di Domenico.


60Testo parigino della volgata: Paris, Bibl. Nat. lat. 16721 (xiii s.), f. 120ra.

61Ed. Duaci 1624, 1283. L’«hora principii paroxismi» in XIV, 4 (col. 1284).

66Guittone d’Arezzo, Meraviglioso beato vv. 24-25, 52-55: ed. G. Contini, Poeti del Duecento, Poesia cortese toscana e settentrionale I, Torino 1976, 41-43. Databile tra gli estremi 1265 e 1294, verosimilmente più prossima al secondo: Cl. Margueron, Guittone d’Arezzo hagiographe: la Canzone xxxvii sur s. Dominique, «Romania» 102 (1981) 75-109.


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