«Arte della memoria locale» (1595)
del domenicano fiorentino
Agostino del Riccio

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Preambolo

 Autore di svariate opere che si diffusero sotto forma manoscritta[1], Agostino del Riccio (1541-1598) era frate domenicano: nato a Firenze nel 1541, egli trascorse il periodo di noviziato, intorno agli anni 1560[2], nel convento di San Marco, per soggiornare poi nel santuario della Madonna della Quercia, tra Bagnaia e Viterbo – dove poté visitare numerose località del centro Italia e scoprire le effervescenti attività pitturali e architettoniche di Roma – prima di ritornare definitivamente a Firenze, in cui trascorse il restante della vita nella ricca chiesa di Santa Maria Novella, con la funzione di arciprete dei terreni del convento. Come ne testimonia la Cronica Fratrum Sancte Marie Novelle de Florentia, «Frate Agostino del Riccio, sacerdote fiorentino di cui è possibile vedere la vera immagine nel chiostro grande del convento, là dove è rappresentata la morte di san Domenico, morì il 18 dicembre 1598»[3], all’età di cinquantasette anni.

Dotato di una vivida curiosità e di un’autentica passione per la botanica, la medicina, la storia naturale e la litologia, il frate domenicano, quantunque non fosse uomo di speciale cultura[4], scrisse voluminosi trattati di agronomia e di litologia che gli consentirono una certa fama e a cui fecero ricorso, tra Sette e Ottocento, eruditi fiorentini dello spessore di Giovanni Targioni-Tozzetti e di Pelli-Bencivenni. Per la redazione di questi testi, Riccio non si avvalse solo dell’esperienza pratica trasmessagli dalla cura degli orti del convento ma anche della frequentazione assidua del Casino di San Marco, creato da Francesco I – successo a Cosimo I nel 1574 – dove la produzione artistica era governata dall’antico ideale di artis et naturae coniungium[5], aspirazione che concorse tra l’altro a lanciare la voga dei vasi e arredi di pietre dure e il gusto per la fioritura del «commesso» fiorentino, ingegnosa pittura di pietra, sottile genere di mosaico che in sé riuniva le meraviglie della Natura e dell’Arte.

Le visite di Agostino alle officine granducali furono, a quanto pare, frequenti e permisero al frate non solo di conoscere artefici illustri quali i milanesi Giorgio Gaffuri e i fratelli Caroni[6], o scultori come Battista Ferrucci, che restaurava le statue antiche di villa Pratolino, ma anche di stringere legami di «amistà non piccola» con protagonisti dell’ambiente artistico come il decoratore e pittore naturalista Jacopo Ligozzi (1547-1627) e il nobile di corte Niccolò Gaddi (1537-1591), collezionista e mecenate assai rinomato che fece edificare, nel 1575-1576, l’omonima cappella nella chiesa di Santa Maria Novella[7]. Intorno agli anni 1595, il Riccio cominciò la redazione della sua imponente «trilogia» naturalistica, lasciata probabilmente incompiuta[8], recante il titolo di Agricoltura Sperimentale[9] per i due primi volumi e di Agricoltura Teorica per il terzo ed ultimo[10]: mentre la Sperimentale si presenta come una sorte di manuale agronomico per i principianti, diviso in capitoli dedicati a varie piante disposte secondo un criterio alfabetico[11], dove l’autore comunica minuziose informazioni sulle tecniche dell’orticoltura e sulle caratteristiche delle varie piante, la Teorica propone invece un elenco delle attività che l’agricoltore deve compiere ogni mese dell’anno.

Se Paolo Barocchi e Detlef Heikamp[12] furono i primi ad avvertire che il metodo adoperato da Agostino – sia nelle sue opere naturalistiche che nell’Arte della memoria o nella più tarda Istoria delle pietre (1597)[13] – rivela la predilezione del domenicano per un tipo di sapere enciclopedico, tributario del modello suggerito dalle collezioni d’arte granducali e degli alfabeti visivi appartenenti alla tradizione mnemonica ciceroniana, lo storico dell’architettura Koji Kuwakino ha recentemente proposto di valutare in chiave organica e unitaria l’intera produzione ricciana, in modo da poterne cogliere, aldilà dell’ingente varietà degli argomenti trattati, «l’aspetto enciclopedico-mnemonico sia nel campo dell’arte che nella scienza naturale in generale nel tardocinquecento italiano»[14].

Non a caso infatti, Agostino del Riccio fu l’autore di un singolare trattato in toscano sull’ars memoriae[15], dedicato «alla gioventù fiorentina studiosa di Lettere»[16] e, su più ampia scala, «a’ predicatori, oratori, studenti e brevemente […] a tutti, sì piccoli come grandi»[17]: appare a tal punto significativo che il domenicano, oltre alle opere già ricordate, accenni anche, nel secondo volume dell’Agricoltura Sperimentale, ad altri trattati da lui composti – dei quali non si è ritrovato tuttora nessuna traccia – tra cui un libro «de l’imprese», dato provante una conoscenza personale, da parte del frate, dell’ampia tradizione emblematica rinascimentale sviluppatasi tra Cinque e Seicento che, congiunta poi all’iconomistica e all’arte della memoria, costituirà un ricco repertorio ad uso dei predicatori[18].

Composto nel convento di Santa Maria Novella nel corso del 1595 – prima comunque della stesura dell’Agricoltura Sperimentale – l’Arte della memoria si presenta come un manuale didattico diviso in sette precetti in cui ogni capitolo è associato a un’immagine che ne riassume e ne simboleggia il contenuto. Il frate scelse così di raffigurare l’ars memoriae, a cui saranno assoggettate le altre regole, sotto le sembianze di «un re richissimo che con una mano si tocca la memoria»[19] e che potrà disporre, secondo le esigenze, della sua corte di consiglieri, di generali e di servi, ogni prescrizione essendo previamente allegorizzata o personalizzata.

Se la prima regola è dedicata alla tradizionale distinzione tra memoria naturalis, inerente ad ogni spirito umano, e memoria artificialis, frutto di un esercizio quotidiano, di una vera e propria pedagogia della memoria, la seconda regola, intitolata «luoghi et consiglier primo», tratta della scelta dei loci e delle loro proprietà specifiche: per prima cosa, essi devono essere sufficientemente luminosi per favorire una loro agevole percezione e permettere alle immagini collocatevi di non dileguarsi. Numerose altre condizioni regolano questa selezione: la stabilità, la distanza ragionevole e il concatenamento strutturato dei loci che deve permettere allo spirito di transitare con facilità dall’uno all’altro, secondo un principio d’introspezione basato su una retorica dell’ordo artificialis. Notiamo che la profonda fede del domenicano traspare nella scelta delle peculiari esemplificazioni proposte al lettore: così, il primo percorso mnemonico suggerito è diretto a memorizzare le otto beatitudini del Sermone sulla Montagna [Matt. 5, 3-10] mentre il secondo dovrà svolgersi nella chiesa di Santa Maria Novella, dove spetterà all’esercitante collocare le Virtù Teologali (Carità, Speranza e Fede) sugli altari delle cappelle circostanti.

Il domenicano differenzia poi i «luoghi comuni che non ritengono sempre le cose inparate a mente»[20], vale a dire quelli che garantiscono solo une memorizzazione passeggera,  dai «luoghi ch’insegnano ritenere a mente tutto quel che s’‹è› inparato per memoria locale»[21], assicurando così un incremento del patrimonio mnemonico dell’esercitante che gli consentirà «d’essere universale», poiché, sottolinea altrove Agostino, «quel che sappiamo a mente ci fa honore e veramente si può dir di sapere»[22]. Sebbene i principi enunciati da Agostino del Riccio appartenghino «al vecchio ordine di cose»[23], e il suo sistema di memoria sia estraneo «dalle ansie enciclopediche che caratterizzavano altre esperienze contemporanee»[24], ritroviamo in questa seconda regola un brano di grande interesse: a un certo punto il domenicano suggerisce di prendere a modello, nella pratica quotidiana dell’Arte, «i re potentissimi e ricchissimi che hanno ne’ lor gran palazzi molte stanze»[25]; la corrispondenza tra stanze e loci da una parte, tra il materiale contenuto nelle singole camere («l’anticagle…i panni d’arazzo…la loro argenteria…le gioie…l’armi da guerra, sì offensive come difensive…le vettovaglie»[26]) e le imaginies agentes dall’altra, rimanda, anche se la divisione degli oggetti avviene qua secondo criteri meramente tipologici, al procedimento di configurazione della collezioni d’arte e alla struttura ordinatrice della Wunderkammer[27].

La terza regola o «consiglier secondo» – illustrata da un’immagine rappresentante un uomo che tiene in mano un libro ed è circondato da oggetti eterogenei, tra cui si distinguono una statua su un piedistallo, un busto marmoreo e un leggio – è invece destinata a chiarire le prescrizioni relative all’uso delle immagini.  Dopo la distinzione classica tra figure reali («lione, bue, falcone e simili») e figure immaginarie («l’idria…un’ocha ch’habbi tre colli e tre capi»), Riccio evoca la necessità di scegliere immagini che siano in grado di suscitare stupore e meraviglia, a preferenza «reali e materiali» perché «le figure imaginarie muovano manco»[28], e ricorda in seguito l’utilità del ricorrere a analogie, metafore e similitudini nel richiamare alla mente le immagini prescelte. Vengono poi proposte al lettore lunghe liste alfabetiche di «fiumi e laghi», di «pesci», di «pietre preziose e tutte l’altre pietre insieme», di «d’animali grandi e piccoli che camminano sopra la terra» (ecc.) dove si riscontrano numerosi spazi vuoti che l’esercitante dovrà colmare a secondo delle sue cognizioni o preferenze.

Nel quarto, nel quinto e nel sesto capitolo, il domenicano espone tre sistemi di «luoghi» diversi: mentre i due primi sono basati rispettivamente sulla fisionomia umana, intesa come paradigma mnemonico esemplare, e sull’uso dello zodiaco, il terzo metodo consentirà invece all’esercitante di ricorrere a qualsiasi tipologia di «luogo», pubblico o privato, che l’autore insegna metodicamente a suddividere negli spazi necessari ad una disposizione equilibrata delle immagini. Queste regole sono sistematicamente arricchite di ampie esemplificazioni composte in base a una ripartizione ternaria, dove si chiariscono il modo con cui adattare la quantità di luoghi selezionati alle esigenze variabili dell’apprendistato mnemonico, il procedimento da seguire per passare dai loci e dai simboli ai loro attributi e significati, e infine la tecnica permettendo di memorizzarli stabilmente, tramite una ripetizione prima lineare, poi rovesciata.

Nella settima ed ultima regola, il frate domenicano confronta la pratica de l’ars memoriae all’atto di bere e di mangiare: «sicome si divide il mangiar che facciamo il giorno più volte, così e non altrimenti si viene ad inparare per memoria locale e cibare noi stessi di virtù, perché potremo cibare i nostri corpi subito che sian’ levati e pigliare la colazione della mattina et insieme quel che haviamo a avere a desinare et a cena, ma agraveremo troppo i nostri stomachi; ma, dividendolo in più tempi del dì, non ci fa nocimento e non aggrava i nostri corpi»[29]. La mnemotecnica perde ogni sua efficacia se non è soggetta ad una rigorosa divisione del tempo: come noi ci alimentiamo varie volte nel corso di una giornata, così e non diversamente, scrive Agostino del Riccio, va nutrita la memoria.

Utzima Benzi

Firenze, autunno 2007

 

[1] Cfr. infra, Bibliografia.

[2] Liber vestitionum et professionum (1556-1713), Firenze, Biblioteca Moreniana, Conv. Soppr. Ms. Palagi 78, f. 8v: «Fr. Augustinus Francisci de Riccio, civis florentinj filius, Petrus olim vocatus, annum agens septum decimum, sub Reverendissimo Patre Fratre Vincentio Iustiniano magistro ordinis, a Reverendo Patre Fratre Matteo Strozza clericorum accepit habitum die vigesima septembris 1558, et completo probationis temporem solitam ab eodem priorem habuit de profitendo protestationem die septima septembris 1589. Ut infra.

Ego Frater Matteus Strozza prior qui supra protestutus sum

Fr. Augustinus de Riccio.

Frater Cherubinus de Burgo S. Larentij supprior interfuj.

Frater Paulinus Bernardinus magister Lucensis baccalaureus interfui.

Frater Zenobius Bonaccursius magister novitiorum interfui.

Deinde ipse Fratre Augustinus eodem sub generali expressam atque solennem edidit professionem die octava septembris 1559, quam sua manu ita subscripsit.

Ego Frater Augustinus de’Riccio qui supra fateor me voluntarie professum professus est eidem R.P. priorem fr. Matteo Strozzae priusquam profiteretur fecit bonorum suorum renunciationem».

[3] Cronica fratrum Sancte Marie Novelle de Florentia, Firenze, Archivio del Convento Santa Maria Novella, I. A. 1., vol. I (1225-1666), f. 93v.

[4] Cfr. R. Gnoli, Introduzione ad A. del Riccio, Istoria delle pietre, a cura di R. Gnoli e A. Sironi, Torino, Umberto Allemandi & C., 1996, p. 11: «non dovette ricercar libri più di quelli che gli offriva la biblioteca del convento, ed anche tra quelli preferiva, a quanto pare, i testi scritti in volgare a quelli in latino».

[5] Cfr. D. Heikamp, «Agostino del Riccio. Del giardino di un re», in Il giardino storico italiano. Problemi di indagine sulle fonti letterarie e storiche, Atti del convegno (Siena, 1978), a cura di G. Ragionieri, Firenze, Olschki, 1981, p. 60.

[6] Questi maestri milanesi, nominati dal Riccio, furono introdotti nel Casino di San Marco prima del 1575. Il direttore di Giorgio Gaffurri e dei suoi figli Bernardino e Cristofano fu, secondo lo Zobi, Giovanni Bianchi (vedi A. Zobi, Notizie istoriche sull’origine e progresso dei lavori di commesso in pietre dure nell’I. e R. Stabilimento di Firenze, Firenze, 1853, pp. 183-184). I fratelli Ambrogio e Stefano Caroni o Carroni, giunsero a Firenze già nel 1572 (vedi La Cappella dei Principi e le Pietre Dure a Firenze, a cura di U. Baldini, A. M. Giusti e A. Pampaloni Martelli, Milano, 1979, pp. 264, 285, 286).

[7] Sulla figura di Niccolò Gaddi, vedi C. Acidini Luchinat, Niccolò Gaddi Collezionista e Dilettante del Cinquecento, in «Paragone», 359-361, Firenze (1980), pp. 141-175.

[8] D. Heikamp, op. cit., p. 60.

[9] Vedi su quest’opera l’articolo di D. Heikamp, di primaria importanza per la vita di A. del Ricco, il suo ambiente, le sue conoscenze, ecc. («Agostino del Riccio. Del giardino di un re», ed. cit., pp. 59-123).

[10] A. del Riccio, Agricoltura Sperimentale e Teorica, Firenze, B.N.C.F., ms Giovanni Targioni-Tozzetti 56, vol. I-III.

[11] Il primo volume dell’Agricoltura sperimentale (Firenze, B.N.C.F., Targioni Tozzetti 56, vol. I), è così suddiviso in trentotto capitoli trattanti «Degl’abeti», «Dell’acetosa », «Dell’acque», «Dell’aglio florido o salvatico», «Degl’agli nostrali», «Delle lodi che si danno agl’agricultori», «Dell’agresto», «Delle lodi dell’agricultura», «Dell’albicocche», «Dell’aneto», «Delli alberi» (ecc.).

[12] Cfr. P. Barocchi, Introduzione ad A. del Riccio, Istoria delle Pietre, ed. cit., pp. XX e sq.; D. Heikamp, op. cit., p. 61.

[13] A. del Riccio, Istoria delle pietre, Firenze, Biblioteca Riccardiana, Riccard. 230.

[14] Koji Kuwakino, Ut sapiens architectus: giardino, teatro, città come schemi mnemonici nell’età moderna (XVI-XVII secolo), Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Tesi di dottorato in Storia delle arte visive e dello spettacolo, Anno accademico 2006-2007, cap. I («Il giardino rinascimentale come locus amoenus e l’arte della memoria locale. Spazio mnemonico e immagini del sapere enciclopedico nel giardino ideale di Agostino Del Riccio [1541-1598]»), p. 32.

[15] Sull’Arte della memoria, cfr. F. A. Yates, The Art of Memory, Routledge, London, 1966; H. Blum, Die Antike Mnemotechnik, Hildesheim, George Olms, 1969; P. Rossi, Clavis Universalis. Arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Bologna, il Mulino, 1983; M. Carruthers, The Book of Memory: A Study of Memory in Medieval Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 1990; La cultura della memoria, a cura di L. Bolzoni e P. Corsi, Bologna, il Mulino, 1992; L. Bolzoni, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Torino, Einaudi, 1995; Memoria e memorie. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Roma, Accademia dei Lincei, 18-19 mai 1995, a cura di L. Bolzoni, V. Erlindo e M. Morelli, Firenze, Olschki, 1999; Seelenmaschinen. Gattungstraditionem, Funktionem und Leistungsgrenzen der Mnemotechniken vom späten Mittelalter bis zum Beginn der Moderne, a cura di J. J. Berns et W. Neuber, Wien, Buhlau, 2000.

[16] A. del Riccio, Arte della memoria locale, Firenze, B.N.C.F., ms. Naz. II, I, 13 (ex. Magl. Cl. V, 9), f. 1r.

[17] Arte della memoria locale, ms. cit., f. 5r.

[18] Cfr. E. Ardissino, Le «Imprese sacre» di Paolo Aresi, in «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», Firenze, Olschki, 34 (1998), pp. 5-7.

[19] Arte della memoria locale, ms. cit., f. 5r.

[20] Arte della memoria locale, ms. cit., f. 8r.

[21] Ibidem., f. 8r.

[22] Ibidem., f. 13v.

[23] F. A. Yates, L’arte della memoria, ed. cit., p. 227.

[24] L. Bolzoni, La stanza della memoria, ed. cit., p. 259.

[25] Arte della memoria locale, ms. cit., f. 13v.

[26] Ibidem., f. 13v.

[27] Su questa tematica vedi L. Bolzoni, op. cit., pp. 245-270.

[28] Arte della memoria locale, ms. cit., f. 16r.

[29] Ibidem, f. 46r.

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