IV

IL CONCILIO DI NICEA II (a. 787) FORMULA 
LA NECESSITÀ ED IL METODO DEL RAPPORTO
‘ESTETICA E FEDE

Andrea di Buonaiuto da Firenze, capitolo SMN_est, s. Tomm. d'Aquino (1365-67): Veritatem meditabitur guttur meum (Prov. 8,7)Premessa

L’esposizione sulla necessità che il critico d’arte superi la categoria iconologica di Panofsky e la proporzioni (meglio, elevi) alla categoria iconoteologica, quando la ‘cosa illuminata dalla luce’ è intuìta - cioè “l’occhio può vederla’,  per usare il linguaggio di L. B. Alberti [1] - non grazie al ‘lume del lógos-ratio’, ma alla ‘luce della Fede’ (cfr. III, 2), non è riflessione personale e soggettiva di chi scrive, bensì insegnamento ‘esemplare’ del Concilio di Nicea II del 787, che non solo è esso stesso ‘luogo dommatico-teologico’ di  articoli di Fede, ma ‘fonda’ la sua dottrina-pastorale su altri ‘sei concili’ e sul ‘magistero dei santi Padri’; insomma, su tutta la ‘Tradizione-non scritta’ (quella per immagini-visive), che ‘canta all’unisono’ con la narrrazione-scritta (quella per immagini-acustiche) del Vangelo.

            I Padri del Concilio Niceno, infatti, hanno difeso la ‘iconodulìa’ adducendo non solo le ‘ragioni di Fede’, assimilate nello ‘ascolto’ della sacra Scrittura e nella ‘Tradizione’ della Chiesa, ma anche le ‘ragioni dell’arte’, che essi apprendevano dalla ‘sapientia saecularis’ (cioè ‘profana’)  degli operatori d’immagini (cfr. sopra: III, 2).

            Ai Padri Niceni si deve riconoscere di avere impostato la problematica, teorica e di metodo, del rapporto arte-Fede/Fede-arte, e di aver proposta la seguente soluzione: ‘quale l’estetica della Fede, tale l’estetica dell’arte figurativa’, e ‘quale l’espressione verbale della sacra Scrittura, tale l’espressione figurativa dell’arte’.

            Queste ricerche, sempre attuali eppure disattese, sono l’oggetto della ‘critica iconoteologica’, che qui viene esposta (cfr. III, nn. 1-2).

IV.1  L’arte figurativa-di-Fede è ‘Tradizione-non scritta’ della sacra Scrittura

            Nei testi del Concilio di Nicea II (a. 787) troviamo esplicita riflessione ed analisi della ‘estetica-di-Fede’ (e/o della ‘teologia-dell’estetica’) e delle opere d’arte-immagini ‘ispirate’ dall’ascolto della sacra Scrittura.

            Basterà enucleare quanto i Padri conciliari hanno affermato sulla legittimazione delle ‘immagini, patrimonio sia dell’arte liturgica che dell’arte di devozione, per giudicare il loro alto grado di valutazione dell’estetica e della storia dell’arte.

            Il Concilio di Nicea II prende l’abbrivo per la difesa delle immagini [2], e conseguentemente della iconodulìa, dal ‘fatto’ che le espressioni figurative appartengono di diritto al credo e alla pietà dei fedeli.  Costituiscono in realtà ‘parte’ essenziale del ‘tutto’ (cfr. II, 2), che è il ‘patrimonio della Fede’  trasmesso alla Ecclesia: sono infatti ‘Tradizione-parádosis’.

            I  Padri conciliari affermano che essi intendono seguire “il sentiero regio” tracciato storicamente dal “magistero dei santi Padri, ispirati da Dio”, e dalla “Tradizione della Chiesa”, che essi riconoscono come tale perché è lo Spirito Santo: “il quale ha dimora nella Ecclesia”, che la manifesta loro [3].

            Percorrendo siffatto sentiero - Heidegger lo chiamerà “Leitfaden”, cfr. V, 3. 2. 2 - essi sono in grado di  definire la liceità e l’opportunità di venerare “la figura della preziosa e vivifica Croce [...], l’immagine del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo, della intemerata e santa Madre di Dio e nostra Signora, degli Angeli degni di riverenza, e di tutti i santi e gloriosi uomini” [4]. Dall’esame, infatti, di ben “sei concili”, si rileva che “le pitture dei Santi sono state tramandate nella Ecclesia non altrimenti che la sacra lettura dei vangeli” [5].

            In realtà, le immagini compongono quella ‘Tradizione’ peculiare, che non appartiene alla galassia verbale, perché ‘non-scritta: a-gráphos’, ma è costituita dalla galassia ‘pitturata: ana-zográphos’. L’arte figurativa della Ecclesia pertinemte all’occhio è ‘vista’ come via che percorre lo stesso territorio della rivelazione divina in parallelo alla via della sacra Scrittura pertinente all’udito, e con la quale ‘canta all’unisono: concinit’ la storia dell’Evangelo (cfr. IV, 3) [6].

            È dato di esperienza che è dal cosmo della Fede consegnato alla s. Scrittura che  le immagini visive traggono, e di necessità, ‘origine(-Ursprung)’. Ed è con l’influsso dello Spirito Santo che i fedeli cercano approfondimento intensivo ed estensivo del ‘patrimonio della Fede’, ricorrendo tuttavia anche alla ‘ratio’ e alla ‘cultura’ sincroniche, cioè alle conoscenze profane della ‘eloquenza’ e ‘sapienza secolare’ [7].

            In tal modo le immagini artistiche ‘cristiane’ rispecchiano sia l’Evangelo, sia la ‘dottrina’ formulata e professata dai Santi Padri maestri e teologi; e costituiscono ‘via autonoma’ di manifestazione-ostensione della storia della salvezza, ‘via’ dunque ‘non indipendente’, perché speculare e convergente allo ’ascolto’ del messaggio evangelico.

            I Padri di Nicea spiegano che v’è una ‘materia-contenuto’ che richiede schemi propri e ‘codici visivi’, che portano mediante l’occhio all’intuizione di figurazioni nel dominio della ‘conoscenza sensibile’, che è il campo proprio dell’estetica - si abbia presente la gnoseologia di A. G. Baumgarten [8] -, anche (ovviamente) del sensibile o estetico-della-Fede, con cui il Popolo di Dio ‘in cammino’ esperisce con occhi ed intelligenza la storia della salvezza [9].

            In  tal modo gli schemi formali o ‘motivi artistici’ (preiconografici): linee, colori, proporzioni e plasticità, divengono la ‘techne’ base della ‘costruzione’ del ‘tutto’ della figurazione; gli schemi iconografici denotano le immagini, le narrazioni e le allegorie pertinenti alla sacra Scrittura; e gli schemi simbolici metamorfosano l’altro storico-culturale, che avviva l’animo dell’artista in sin-cronia (o disin-cronia, come per i cristiani della prima evangelizzazione) con la civiltà in cui egli agisce.

            Siffatte forme estetico-conoscitive, che critici formalisti relegano nel  cosmo estetico della ‘forma-vuota’, si presentano chiaramente come ‘forma-piena’ - si richiamino le analisi di Benedetto Croce [10] -, cioè ‘unità individue’, e non solo dei tre strati rilevati da E. Panofsky (preiconografia-iconografia-iconologia), ma anche e soprattutto di quello specifico ‘strato’ improntato dal suono dell’ascolto della Parola divina. Tale ‘strato iconoteologico’ è l’effetto ultimo (‘ultimus in executione’, ma ‘primus in intentione’), che viene poi tramandato ‘illibate’ (dice il Concilio), cioè senza togliere nulla, di generazione in generazione.

            Dunque le ‘espressioni iconiche’, per la simultanea e coincidente referenza all’Evangelo al Magistero e ai Fedeli, costituiscono un solo ‘concento’ (leggiamo nel testo del Concilio di Nicea; cfr. sopra), perché armonizzano la immagine visiva di Cristo  e dei suoi ‘amici’ con la immagine uditiva della Parola pronunziata - insomma, ‘sensibilmente’ connotata - dal Salvatore e dai suoi discepoli.

            Avviene, dunque, che la ‘intuizione’ della raffigurazione ‘iconica’ delle ‘gesta’ (e dei ‘gesti’) del ‘Dio-fatto-uono' e dell’’Uomo-Dio’ fonda e provoca un ‘rapporto-di-verità’ col mistero rivelato, perché costituisce anch’esso - come la ‘via’ dell’ascolto - ‘fede-pìstis’, che è ‘prova-argumentum’ e certezza (insieme) della realtà visibile del Salvatore,  e non ‘fantasia’ quasi parto della pura facoltà dell’immaginazione e del sentire poetico.

            E questo è l’insegnamento che scaturisce dalle ‘rationes’ dei Padri Niceni. “L’espressione della pittura icònica, che canta all’unisono con la predicazione della storia dell’Evangelo, ha come effetto di produrre sicurezza sulla vera e non fantastica incarnazione del Verbo di Dio [...]. Infatti, quelle cose che denunziano reciproche referenze, hanno senza dubbio anche mutue relazioni” [11].

            La ‘verità delle ‘mutuae relationes’ viene meglio appresa se si tiene presente che  le immagini acustiche e le immagini visibili sono reciprocamente  lo ‘in quo’, cioè ‘segno formale’ - dicono gli aristotelici-tomisti -, che non fissa su di sé l’intuizione, ma - quasi vetro traslucido - la fa attuare direttamente sul ‘signatum’, che è il sussistente o il ‘prototipo’. Pertanto il Concilio Niceno II può affermare: “Quanto più di frequente si guardano le immagini formate mediante similitudine, tanto più coloro che le contemplano sono con ardore elevati alla memoria ed al desiderio dei prototipi” [12].

            Siffate considerazioni permettono di descrivere i rapporti tra le ‘espressioni-artistiche ed il ‘Vangelo’ e la ‘Tradizione-Magistero’  con i segueti effati.

            “Ut Traditio Ecclesiae, [ita] imaginalis formatio: come la Tradizione della Chiesa, [così] l’espressione della pittura icònica” [e viceversa];

            “Ut magisterium sanctorun Patrum, [ita] imaginalis formatio: come il magistero dei santi Padri, [così] l’espressione della pittura icònica” [e viceversa];

            “Ut Theologia, [ita] imaginalis formatio: come la teologia, [così] l’espressione della pittura icònica” [e viceversa].

            Siffatti enunciati non sono che esplicitazione e prosieguo (‘tradizione’, appunto) dei più generali rapporti  configurati dal Concilio di Nicea II, che è lecito improntare alla sentenza - o ‘sapienza secolare’ - del poeta Simonide e poi di Orazio: “Ut pictura, poesis” [13]; vale a dire:

            “Ut Evangelium, [ita] pictura: come l’Evangelo, [così] la pittura”;

            “Ut praedicatio evangelica, [ita] pictura: come la predicazione del Vangelo, la pittura”; e

            “Ut Fides, [ita]  pictura: come la Fede, la pittura”.

            Queste ‘massime’ trovano conferma nel mistero di Cristo, che si  rivela-trasmette-attua nell’ “anni circulum” della storia della salvezza, solennizzata sia con la Parola-che-si-ascolta, sia con l’Immagine-che-si-vede, perché (spiegano i Padri Niceni) come la lettura - o ‘liturgia della Parola’ - porta all’orecchio e quindi alla mente il contenuto del testo, così la visione delle pitture - o dei ‘segni sacramentali’ - trasferisce all’occhio e quindi all’animo il contenuto dell’espressione figurativa [14].


[1] L. B. Alberti, De pictura, Reprint a c. di Cecil Grayson, Laterza ed., Roma-Bari  1975, lib. I, n. 2, p. 11: “Quidquid in superficie ita insit ut possit oculo conspici. [...] Ea solum imitari studet pictor quae sub luce videntur”.

[2] In lingua italiana è più esatto tradurre il monèma  eikôn dei documenti del Concilio di Nicea II con ‘immagine’ che non con ‘icona’. Quest’ultimo lessema, infatti, rimanda alla struttura pittorica e all’uso di devozione delle raffigurazioni sacre in ambito bizantino. Cfr. P.-L. Carle, Le colloque du Collège de France des 2 et 4 octobre pour préparer le XIIème centenaire de Nicee II (787-1987), in “Divinitas” 32 (1988), p. 567

[3] Conc. Nicea II, [Terminus]: “Regiae quasi continuati semitae, sequentesque divinitus inspiratum sanctorum patrum nostrorum magisterium et catholicae traditionem ecclesiae - nam Spiritus sancti hanc esse novimus, qui nimirum in ipsa inhabitat -, definimus [...]”, in Conciliorum. oecumenicorum. decreta, a cura di G. Alberigo ed altri, Istituto per le scienze religiose editore, Bologna 1973, p. 135, 36-43.

[4] Conc: Nicea II, [Terminus], in Conciliorum oecumenicorum decreta, cit., p. 135, 44-45, p. 136, 1-13. In questo contesto i Padri del Concilio specificano che essi intendono riferirsi ad immagini in qualsiasi ‘materia’ esse siano espresse ed in qualsivoglia ‘luogo’ siano esposte: “Definimus [...] venerabiles ac sanctas imagines proponendas, tam quae de coloribus et tessellis, quam quae ex alia materia congruenter se habente in sanctis Dei Ecclesiis et sacris vasis et vestibus et in parietibus ac tabulis, domibus et viis” (p. 136, 1-7).

[5] Conc. Nicea II, Actio sexta. Tomus I: “Videmus igitur omnes et intelligimus, quod et ante sacras sex synodos, et post has etiam, sanctorum picturae in Ecclesia traditae fuerint, non aliter ac sacra evangelii lectio”, in B. Carranza, Summa conciliorum et pontificum a Petro usque ad Paulum III [...], Venetiis ad signum Spei 1546, p. 295v.

[6] Conc. Nicea II, [Terminus]: “Et ut compendiose fateamur, omnes ecclesiasticas sive scripto, sive sine scripto [eggráphos ê agráphos] sancitas nobis traditiones [paradóseis] illibate servamus; quarum una est etiam imaginalis picturae formatio [‘ê tês eikonikês anazographéseos ektyposis’], quae historiae evangelicae concinit”: cfr. Conc. oecum. decreta, cit., p 135, 24-34

[7] Ho già ricordato l’appello lanciato da Tommaso nel momento di trapasso dalla cultura neoplatonica-agostiniana a servirsi della cultura recentemente introdotta dai traduttori dell’opera di Aristotele e dall’insegnamento di Alberto Magno: “Commendabile est quod aliquis eloquentiam et sapientiam saecularem ad obsequium divinae sapientiae trahat”, in Contra impugnantes Dei cultum et religionem, cap. 12, Ed. Leonina, t. XLI, 135A. - Cfr. citazione al paragrafo  III, 2, note 37-38.

[8] Alexander G. Baumgarten, Immanuel Kant, Il battesimo dell’estetica, a c, di  Leonardo Amoroso, Edizioni ETS, Pisa 1993, p. 42: “Aesthetica (theoria liberalium artium, gnoseologia inferior, ars pulchre cogitandi, ars analogi rationis) est scientia cognitionis sensitivae”. Cfr. V, 1).

[9] I Padri del Concilio di Nicea II ribadiscono con autorità estrema, vale a dire togliendo la comunione ecclesiale a chi lo rifiuta, il rapporto espressioni artistiche e narrazioni evangeliche: “Si quis evangelicas historias imaginibus expressas non admittit, anathema sit”, in Conc. oecum. decreta [Terminus - Anathem. de sacris imag. II], cit., p. 137, 31-33.

[10] Dobbiamo a Benedetto Croce la diffusione dei lessemi ‘intuizione-espressione’ per indicare la natura dell’arte quale ‘impressione-sensibile’ trionfata dalla ‘forma-espressione’, cioè produzione-visione d’immagine dovuta all’attività dello spirito dell’artista, che sintetizza  (a priori) forma e contenuto, immagine e sentimento. Così il sentimento (o materia) non sta da solo ma è ‘figurato’; e la forma non è vuota ma è riempita, vale a dire è ‘sentita’: di qui la nota descrizione dell’arte quale ‘sentimento lirico’. L’estetica viene in tal modo ad assurgere a ‘scienza dell’attività espressiva’, cioè rappresentativa o fantastica. Cfr. B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, G. Laterza, Bari 1909; Id., Breviario di estetica. Quattro lezioni, G. Laterza, Bari 1925; Id., Soria dell’estetica per saggi, Ed. Laterza, Bari 1967.

[11] Conc. Nicea II, [Terminus], in Conc. oecum. decreta, cit., p. 135, 29-35: “Imaginalis picturae formatio, quae historiae evangelicae praedicationis concinit, ad certitudinem verae et non secundum phantasiam Dei Verbi inhumanationis effectae, et ad similem nobis utilitatem commode proficiens. Quae namque se mutuo indicant, indubitanter etiam mutuas habent significationes”.

[12] Conc. oecum. decreta, cit., p. 136, 16-20: “Quanto enim frequentius per imaginalem formationem videntur, tanto qui has contemplantur, alacrius eriguntur ad primitivorum earum memoriam et desiderium”.

[13] Rensselaer W. Lee, Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura, Bibl. Sansoni, Firenze 1974. Cfr. anche Weswly Trimpi, The Meaning of Oracès. Ut pictura poesis, in “Journal of the Warburg and Courtland Inst.”, v. 36 (1973), pp. 1-34.

[14] Conc. Nicea II,  Actio Sexta. Tom. I: “Quae leguntur ubi ad aures venerint, ad animum deinde legamus, et transmittimus: et quae oculis videmus in picturis, ea quoque mente complectimur: atque ita per ista duo invicem consequentia, lectionem et picturam, unam cognitionem acquirimus, qua ad recordationem rerum gestarum pervenitur”, in B. Carranza, Summa conciliorum ..., cit., p. 295v. Cfr. quanto si è detto sul rapporto che intercorre tra la forma artistica e la forma letteraria in II, 2.

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