VI.6   Il ‘giudizio di senso’ del fruitore è ‘libero’ di  aprire  l’opera d’arte a sempre ‘nuovi significati’, anche se è vincolato in parte dal senso trasmesso dalla ‘tradizione’

            Il criterio vincolante del ‘giudizio estetico’, che riconosce la ‘qualità’ dell’opera (cfr. VI, 5), non può e non deve rimanere ‘isolato’ dal ‘giudizio di senso’, perché da solo non è sufficiente alla fruizione e all’ermeneutica dell’opera d’arte.

            L’osservatore della ‘qualità estetica’ contempla il ‘bello’ che le è immanente e che ‘si dice’, ma nel mentre - cioè nell’”hic et nunc”, direbbe Benjamin [90] - lo contempla, ‘riflette’: egli lo “vuol comprendere”. Tale ‘comprendere’ però matura nel ‘giudizio di gusto-Urteilskraft’, che il fruitore manifesta dicendo il significato.

            Inoltre, quel “qualcosa” che l’opera dice mette l’osservatore ‘in questione’. Questi, infatti, non rimane pago della sola conoscenza di “un senso che si può conoscere, come avviene nell’opera dell’ermeneutica storica e nel suo rapporto con i testi” (cfr. VI, 4). Infatti, chi fa esperienza ermeneutica sta simultaneamente a confronto con ‘se stesso’ e con ‘quel che è detto dall’opera’, così “come se ogni incontro con un’opera d’arte significasse un incontro con noi stessi” (ripete Gadamer, memore dell’individualismo indotto dalla Riforma), oltrepassando “ogni distanza umana e spirituale tra uno spirito e l’altro” [91].

            Dunque l’osservatore, che in quel dato momento (percettivo-contemplativo-formativo) è ‘in presenza’ dell’opera d’arte ed entra in ‘dialogo’ con essa: mentre si lascia dire qualcosa è stimolato all’intelligenza del senso di quanto l’opera-gli-dice, e provoca la ‘risposta’.

            Questo intrigo dialogico avviene ‘in contemporaneità’, perché l’attualità del dire e del rispondere sta nel rendere ‘con-presenti’ gli interlocutori: l’opera dice se stessa, e l’osservatore ‘risponde’ dicendo anch’egli se stesso e come si è compreso - potremmo anche dire come ‘si è formato-gebildet’ - nell’evento-esperienza (Erlebnis-Erfahrung), che lo ha ‘modificato’ e coinvolto nel suo ‘sentirsi’ e ‘capirsi’ nel libero gioco delle potenze dell’animo.

            In tale ‘interpretazione comprendente’ (cioè del ‘verstehen-capire’) - così detta da Gadamer per distinguerla dalla ‘interpretazione riproduttiva’, propria della composizione musicale e del dramma, ove viene ‘ri-prodotta’ (appunto) nella realtà della ‘esecuzione’ [92] -, il “senso letterale” è  ‘superato’ ed ‘esteso’ dalla ‘partecipazione’ (che è ‘stare dentro: inne-stehen’) soggettiva e dicente del fruitore che ‘interpreta’.

            Il discorso, anzi ‘qualunque discorso’ (specifica Gadamer), “non dice soltanto qualcosa, ma qualcuno dice qualcosa ad un altro”. Pertanto il Filosofo può affermare che “il discorso non equivale a comprendere il senso letterale di ciò che viene detto nel graduale assommarsi dei significati delle parole; piuttosto, il comprendere porta a compimento il senso unitario di ciò che viene detto, e questo si trova sempre al di là di ciò che viene semplicemente detto” [93].

            Problema decisivo dell’ermeneutica è dunque rilevare quale criterio è  ‘valido’ per stabilire ‘in che senso’ l’interpretazione è ‘libera’ di andare al di là del significato letterale, e se (e come) tale ‘oltrepassare innovativo’ è in qualche modo ‘vincolato’, così che l’esperienza di senso non cada nell’arbitrio, anche “se non c’è un criterio stabile di giudizio” [94].

            Gadamer ‘dialettizza’ (per così dire) i termini relazionali dei due dialoganti: l’opera d’arte, che si apre a significati che si sono man mano  ‘assommati’ nel corso del tempo; e l’osservatore, che in quei precedenti ‘significati’ capisce che è detto qualcosa che egli ora è in grado di ‘interpretare’ ed aprire  ad un ulteriore ‘senso nuovo’, che è un senso ‘non chiuso’ in sé, ma che ‘presagisce’ che il rinnovamento proseguirà nel futuro, “in sovrabbondanza di determinazioni”, direbbe Heidegger [95].

            La ‘soluzione’ di Gadamer sta nel pensare il fondamento della ‘storia’ e della ‘storicità’ dell’opera d’arte e del suo fruitore; ‘fondamento’, che nella ‘contemporaneità: Gleichzeitigkeit’, ha un punto d’incontro, quello di unità di passato e presente e di presentimento del futuro [96].

            Espressamente Gadamer rifiuta l‘interpretazione ‘storicista’ dell’opera d’arte, perché “la realtà dell’opera e la sua capacità espressiva non si lascia rinchiudere nel suo orginario orizzonte storico in cui l’osservatore ed il creatore dell’opera erano veramente contemporanei” [97].

            O meglio. L’opera d’arte conserva “in modo molto limitato in se stessa la propria origine”, ma nell’attualità dell’esperienza artistica e della coscienza estetica, cioè nell’incontro dialogante, essa ‘mantiene comunque il proprio presente’, espressione di una verità tale “che - ripete con insistenza Gadamer - non coincide mai con ciò che l’autore di un’opera aveva con essa pensato”. Ed aggiunge: “Sia che si chiami questo fatto creazione inconscia del genio, sia che dal punto di vista dell’osservatore, si parli di inesauribilità concettuale di ogni espressione artistica, in ogni caso la coscienza estetica può richiamarsi sempre al fatto che l’opera d’arte comunica sempre se stessa[98].

            Parimenti, il fruitore non è in grado d’interpretare l’opera estetica qualora ne perda l’immediatezza dell’intuizione e dell’esperienza personale (Erfahrung), che lo hanno ‘modificato’. Pertanto “è un errore credere che l’unità dell’opera significhi qualcosa di concluso rispetto a colui che si rivolge ad essa, e che da essa viene raggiunto” [99].

            Occorre, dunque, sciogliere la ‘tensione’ tra il ‘passato ermeneutico’ ed il ‘presente ermeneutico’, tra la ‘storia-tradizione’ e la ‘contemporneità’, tra la ‘diacronia’ e la ‘sincronia’, e determinare “in che senso” l’elemento mutevole e libero del giudizio del fruitore può sottostare ad un criterio vincolante; e, di contro, ‘in che senso’ la costante storica  tramandata dalla ‘tradizione’ possa godere di un criterio di libertà [100].

            Gadamer risolve tale problema, riflettendo su i due estremi dell’asse relazionale.

            Nel fruitore costatiamo che il giudizio di senso si concretizza nella libera intellezione di ‘nuovi significati’ nel dire dell’opera: ‘ciò che ieri nell’esperienza dell’arte appariva predominante, oggi non lo è più’, e non viene più esperito “allo stesso modo”. Tuttavia, in quel più di senso, che modifica l’ermeneutica del passato, v’è “qualcosa di positivo”: il capire ‘in modo nuovo’ (e quindi libero) è “provocato” dalla ‘esperienza di ieri’, così che questa impregna ancora  e limita “la storicità della nostra esistenza”. Tale limite si pone quindi come ‘criterio vincolante’ della “scoperta di senso”, perché la dizione del ‘nuovo’ e del ‘di più’, mentre chiarifica la non-conclusività dell’opera nella ermeneutica escogitata nel passato, ne afferma in obliquo  l’effettiva esistenza che ‘viene a noi’ [101].

            Gadamer concepisce la ‘tradizione’ non come pura ‘conservazione’, ma come ‘trasmissione: Übertragung’ e ‘traduzione: Übersetzung’, che “insegna a dire e a capire in modo nuovo quanto è più veccio: ein Älteres neu sagen und erfassen lernt”, ed è “continua interazione tra il nostro presente ed il suo tempo ed il passato, di cui anche noi facciamo parte” [102].

            Nell’ermenutica del passato, che trasmette il senso assommatosi e costituitosi in ‘tradizione’, discerniamo perciò - ritiene Gadamer - un ‘criterio vincolante’ ma  ‘limitato’, perché il senso dell’origine rimane nel processo che lo prolunga fino all’hic et nunc dell’incontro con il fruitore dell’opera [103].

            Nella ‘contemporanneità’ del nuovo dialogo la ‘tradizione del senso’ non occulta se stessa rifiutandosi all’interpretazione del fruitore, ma si lascia svelare, comprendere e dire da lui.

            Quindi la ‘tradizione’ si lascia aprire all’orizzonte di quel ‘di più di senso’ (appunto), che l’osservatore vi coglie. Il ‘già detto’ vincolante ed il ’di più nuovo e libero’ si integrano ed integreranno, si superano e si supereranno ad infinitum nel ‘tempo-Zeit’ - che fagocita come il dio Crono i suoi ‘figli’. Mentre l’osservatore nell’attualità del giudizio provocato dalla ‘forma in presenza’ si trova nella condizione di Giano bifronte: guarda indietro e scorge il passato che gli viene incontro; volge lo sguardo dal presente in avanti e  presagisce il futuro.

            “La tradizione (Übelieferung) rende per noi libera la direzione di un cammino (gibt uns die Richrung eines Weges frei) - affermava Heidegger. [...] Non ci consegna ad una potenza coercitiva del passato e dell’irrevocabile (liefert uns nicht einem Zwank des Vergangenen und Unwiderruflichen). Tramandare (Überliefern), délivrer, è un liberare (ist ein Befreien), è porre nella libertà del dialogo con ciò-che-è-stato (in die Freiheit des Gespräches mit dem Gewesen)” [104].


[90] Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilià, cit., p. 311: “L’hic et nunc del’opera d’arte [...], la sua esistenza unica e irrepetibile”: che è altro detto  per indicare l’aura”.

[91] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p. 71.

[92] L’attualità del bello, cit., p. 68. Nella ‘interpretazione riproduttiva’ l’opera è riprodotta nell’esecuzione; nella interpretazione comprendente la ‘riproduzione’ è soltanto “nella mente” e nella mente rimane.

[93] Ib., pp. 76-77.

[94] Ib., p. 67.

[95] M. Heidegger, Concetti fondamentali, cit., pp. 42-44: “Dietro la uniformità e la vuotezza del termine ‘è’ si nasconde una ricchezza che quasi non si avverte. [...[ Ogni volta l’’è’ ha un significato diverso e conferisce al dire un’accentuazione diversa. [...] Sopra tutte le cime / è pace ...  (Goethe) [...]. Che cosa vuole dire? Su tutte le cime ‘ci si sente in pace?’. Oppure sulle cime ‘si trova’ ‘esiste’ ‘si dffonde la pace?’ [...] Qui non va bene nessuna delle delucidazioni dell’’è’ precedentemente fornite, e anche nel caso mettessimo insieme tutte queste delucidazioni, neppure la somma ricavata potrebbe andar bene. [...] In questò ‘è’ parla una ricchezza raccolta nella sua unicità. Qui ad impedire una immediata delimitazione e un’interpretazione dell’’è’ non è la vuotezza tipica dell’assenza delle determinazioni, ma la pienezza dovuta ad una sovrabbondanza di determinazioni“.

[96] Per le motivazioni ultime delle affermazioni di Gadamer, cfr. M. Heidegger, Concetti fondamentali, cit., p. 26: “Tutto ciò che viene prima è per lui [l’uomo moderno] qualcosa di passato con il quale, a seconda delle sue esigenze, può spiegare ciò che viene dopo e ciò che lo riguarda al presente. Da ciò che viene prima non proviene perciò alcuna forza decisiva poiché esso non viene più esperito come il momento iniziale della storia. ma l’inizio (Anfang) è esperibile come inizio solo là dove noi stessi pensiamo inizialmente ed essenzialmente. Questo inizio non è il passato, in quanto in esso è già deciso tutto ciò che verrà, ma è sempre l’avvenire”.

[97] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p. 71.

[98] Ib., p. 71.

[99] Ib., p. 27.

[100] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., pp. 68-69. - La dialettica tra sincronia e diacronia appartiene, secondo il linguista Roman Jacobson, alle ‘funzioni del linguaggio’. Riporto a riguardo un passo significativo di Jacobson, che aiuta a comprendere un aspetto della soluzione di Gadamer quanto al rapporto ‘ermeneutica del passato’ ed ‘ermeneutica della contemporaneità’ come graduale assommarsi dei significati  (cfr. sopra). “Non si deve confondere la poetica sincronica, e neppure la linguistica sincronica, con la statica: ogni epoca distingue forme più conservatrici e forme più innovatrici. Ogni epoca è vissuta dai contemporanei nella sua dinamica temporale; d’altra parte, lo studio storico, in poetica come in linguistica, considera non solo i mutamenti, ma anche i fattori continui, durevoli, statici. Una poetica storica, come una storia linguistica veramente comprensiva, deve essere concepita come una soprastruttura fondata su una serie di descrizioni sincroniche successive”. Cfr. R, Jacobson, Linguistica e poetica, in “Estetica moderna” a c. di G. Vattimo, cit., p. 284.

[101] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., pp. 68-69.

[102] H.-G. Gadamer, Die Äktualität des Schönen, cit., pp. 64-65.

[103] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., pp. 68-69. Cfr. anche p. 11: L’incontro della riflessività dell’uomo e della nostra coscienza storica ci fanno guardare al “costume del passato come costume storico”, ed accettare “i contenuti figurativi della tradizione in costumi mutevoli”.    

[104] M. Heidegger, Che cos’è la filosofia?, cit., pp. 14-17.

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