VI.7   Cosa e come s’intende ‘criticare’ la validità e l’applicabilità dell’ermeneutica di Gadamer: dall’eccedenza di sempre nuovi significati delle opere d’arte, al trasferimento ‘laicizzante’ del linguaggio-rivelazione’ della ‘Parola di Dio’ al linguaggio-verità della ‘Parola dell’uomo’.

            Alla maniera di Eric D. Hirsch (cfr. VI,1), premetto che i presenti appunti di critica all’ermeneutica di H.-G. Gadamer, che potrebbero sembrare ‘estrinseci’, in realtà non lo sono [105].

            Nei miei rilievi, la ‘teoria gadameriana’, che il Filosofo di Heidelberg ha pensato come sistema coerente, viene interrogata sulla sua ‘validità’, ponendola di contro a punti di vista che ‘giudicano’ in altro modo - uso la terminologia di Gadamer -, vale a dire con altri princìpi e ed altro metodo, ed altro tipo di ermeneutica dunque, l’opera d’arte ed il suo fruirne.

            Principi e metodo  - questi ultimi, proposti nel ‘dialogo’ come ‘sed contra’ -, che evidenziano che i ‘principi: Gründe’ di Heidegger-Gadamer non hanno la forza d’imporsi come ‘validi’, o ‘compatibili’ o convincenti né al pensiero (Denken) riflessivo e ‘comprendente’ dell’ermeneutica filosofica’, né alla  ermeneutica che non ricusa la logica e la metafisica [106].

            Anzi, a tale critica logico-metafisica - ma anche alla critica filológico-classica - i principi ed il metodo dell’ermeneutica di Gadamer appaiono  (dirò con il ‘metafisico’ Tommaso) “ragioni probabili o sofistiche” [107], non pertinenti all’interpretazione delle opere d’arte, che ‘rivelano’ e ‘dicono’ e intessono il ‘dialogo’ sul loro ‘come-wie’ e sul loro ‘che cosa: was’ - che costituiscono l’asse  ‘domanda-risposta’, che si fronteggiano (sono Ant-Wort, appunto) per portare alla comprensione la ‘sapienza-sophón’ heideggeriana (cfr, VI, 5) -, sia sulla ‘verità-lógos’ che sulla verità-theológos, che è (quest’ultima) esegesi della sacra Scrittura, il cui oggetto si chiarisce con la ‘luce della Fede: lumen Fidei’ (cfr. III, 1-2).

            Pertanto, la critica investe il ‘sistema ermeneutico’ del Filosofo nel suo insieme, e pone in dubbio la ‘universalità’ e la ‘applicabilità’ dei criteri di ‘giudizio estetico-giudizio di senso’, con i quali Gadamer intende dirigere il processo interpretativo dell’opera d’arte: dalla ‘origine’ della sua produzioe e del suo dire al ‘fruitore’ dialogante, che la dischiude  con libertà (ben poco vincolata) all’eccedenza di ‘sensi nuovi’; anzi, ‘sempre nuovi’.

            Gadamer ha frammentato il ‘tutto’ dell’opera d’arte in momenti di contemporaneità e di soggettività, che restano sconnessi, nonostante lo sforzo del Filosofo di recuperarli in una ‘unità di senso’, che (ritengo) non è ‘compatibile’ con il di più di senso, che singoli e mutevoli fruitori, sensibili al ‘gusto: Geschmack’ - provocato dall’accordo piacevole tra le facoltà dell’immaginazione e dell’intelletto -, ma meno attenti a salvaguardare la ’oggettività della res visa’, sviluppano nel corso del tempo. Tale processo temporale, infatti, non permette di pervenire alla ‘unità’ o al ‘tutto: das Ganze’ dell’opera, perché l’in-finito o l’in-limitato è per definizione in-pertransibile. Si ‘ascolti’ l’argomento di Zenone d’Elea: il piè veloce Achille non raggiungerà mai la tartaruga partita un attimo prima da una posizione più avanzata (anche minima), perché dovrebbe attraversare uno spazio ‘infinito’, appunto.

            Quindi, la ‘unità di senso’ (in quanto tale) non è mai ‘gustabile’, perché  il  sempre ‘aperto’ al nuovo e al di più lo rende di continuo ‘relativo’ quanto alla conoscenza del significato, e pertanto non più (o non sempre) in ‘relazione’ all’opera d’arte e alla sua ‘verità di visione’. Perciò non vi sarà mai un fruitore proporzionato a ‘comprendere’ (nel senso etimologico di ‘afferare insieme’) ed a ‘congiungere’ in catena omogenea il punto di origine (lo ‘Ursprung-Urquelle’) dell’opera d’arte ad un termine definito, in cui si svolga ‘quel gioco d’insieme: Zusammenspiel’ degli schemi formali-semantici-simbolici (cfr. I, 2), che ne fanno (per dirla con Heidegger) “luogo [e contrada] che raccoglie le cose nel loro reciproco con-appartenersi: Ort [Gegend], in dem die Dinge auf das Zusammengehören in ihr versammelt [108].

            La riflessione di Gadamer segue la filosofia di Heidegger sull’uomo dell’età moderna, per il quale “tutto ciò che viene prima è qualcosa di passato”, che “non viene più esperìto come il momento iniziale [das Anfängliche] della storia”. Per l’uomo moderno “l’inizio [Anfang] è esperibile come inizio solo là dove noi stessi pensiamo inizialmente ed essenzialmente”. E queso “inizio non è il passato, in quanto in esso è già deciso tutto ciò che verrà, ma è sempre l’avvenire; come tale noi dobbiamo considerare l’inizio” [109]. Conseguentemente Gadamer prende come ‘inizio’ l’arte moderna  - ma sarebbe meglio specificare: l’arte del XIX secolo e del post-moderno. “Noi, egli scrive, dobbiamo mettere in questione l’ovvietà del concetto dominante di arte, e riscoprire i fondamenti antropologici su cui riposa il fenomeno dell’arte, e a partire dai quali dobbiamo elaborare la sua nuova legittimazione (eine neue Legitimation erarbeiten müssen)” [110].

            Ora al nuovo inizio - spiega Heidegger - “appartiene in primo luogo la determinazione dell’essenza della verità, nella cui luce l’uomo occidentale cerca e trova il vero, lo mette al sicuro e lo trasforma” [111]. E Gadamer, riflettendo sulla storia dell’arte, specifica che “ogni volta che viene posta la questione della verità, ritorna il tema dell’arte. Occorre quindi dare “giustificazione (Rechtfertigung)” all’opera d’arte, che “si fonda sulla verità: auf die Warheit besitzt[112]: verità che nella filosofia di Heidegger non è più ‘adeguazione’ o ‘corrispondenza’, ma ‘manifestazione’ ed ‘evidenza’ [113] (cfr. VI, 6).

            Sullo sfondo di queste ‘fondamentali’ considerazioni prospetterò alcune specifiche disarmonie, atte a connotare la non-compatibilità della teoria ermeneutica di Gadamer con la storiografia e con la critica del cosmo dell’opera d’arte, che si manifesta necessariamente sia con il ‘che cosa dice’ l’opera secondo il ‘lógos’ (iconologia), sia con il ‘che cosa dice’ l’opera d’arte quando esprime un senso,  che va al di là del lógos’ (sia esso ‘ratio’ o ‘parola’), perché si manifesta iconia della s. Scrittura, che è un ‘dire rivelato’, evangelo che è ‘dire-annunzio bello-buono’, ed ermeneutica della storia della salvezza (cfr. IV, 1-3).

            È nella interpretazione di siffatte opere-iconoteologiche, che si riscontra la più forte  ‘icompatibilità’ - si potrebbe anche affermare: ‘contraddizione’ - dell’ermeneutica estetica di Gadamer.

            Questi, sempre sulla scia di Heidegger, ha preso a ‘modello’ di ermeneutica l’esegesi della sacra Scrittura, che è ‘linguaggio-Parola di Dio: Gottes-Wort-Sprache’ (cfr. VI, 3).

            Gadamer però, nell’appropriarsi concettualmente e metodologicamente del linguaggio divino, lo ‘ribalta’. Avviene così che il Filosofo trasforma lo ‘ascoltare e credere: hören und glauben’ - ed, aggiungo, il ‘vedere-sehen’ - secondo la sacra Scrittura nel linguaggio dell’uomo [114], ‘metro’ della  ‘scienza secolare’ dell’ermeneutica estetica, che delinea lo ‘ascoltare e comprendere: hören und verstehen’ del singolo individuo ‘cogitante’ sul fondamento (Grund)  dell’indipendente suo pensare (denken) e ‘fruitore’ dell’opera d’arte ‘vista’ a questo solo livello.

            Ho già accennato agli ‘inizi’ di Heidegger studente di teologia, pensoso dell’esegesi-Auslegung del testo biblico ed interessato a capire-scoprire il rapporto tra la Parola della sacra Scrittura ed il pensiero teologico-speculativo (cfr. VI, 3).

            Anzi, nell’opera “In cammino verso il linguaggio”, il Maestro di Gadamer spiega che egli era pervenuto al superamento della concezione del ‘linguaggio-ratio’ in quella  del ‘linguaggio-Wort’, esaminando l’incipit del Quarto Vangelo: “In principio (en archê) era il Verbo (o Lógos), ed il Verbo era presso Dio, ed era Dio il Verbo. Era questi in principio: Jm Anfang war das Wort - cito la traduzionre di Lutero [115] -, und das Wort war bey Gott, und Gott war das Wort. Das selbige war im Anfang bey Gott (Giocanni 1, 1-2) [116].

            In questi versetti giovannei, letti in ‘lingua greca’, son presenti i lemmi ‘fondamentali’  del ‘linguaggio’ di Heidegger, vale a dire: ‘ARCHÊ-principium: Grund’, e  ‘LÓGOS-Verbum: Wort’.

            Nel Nuovo Testamento troviamo ancora altri enunciati fondamentali heideggeriani, quali: “Io [Gesù] sono la via (odós) e la verità (alêtheia): [nella traduzione di Lutero]: (Jhesus spricht:) “Jch bin der Weg und die Warheit” (Giovanni 14, 6); e “La tua [del Padre] Parola (lógos) è verità (alêtheia): [traduzione di Lutero]: Dein Wort ist die Warheit” (Giovanni 17, 17); e soprattutto l’affermazione di Cristo “Io sono / Egô eími / [nella traduzione di Lutero]: Ichs sey” (Giovanni 8, 24) [117], che rimanda al nome di Dio rivelato a Mosé: “Colui che è / Qui est” (Esodo 3, 14).

            Le affermazioni evangeliche. ed in primo luogo quella sul tetragramma, significano secondo Tommaso “la natura divina incomunicabile [...], l’essere medesimo [...] l’essere al presente, [... che] non conosce passato o futuro” [118]: spiegazioni che di certo non trovano corrispondenza nella chiarificazione che Heidegger raggiunge quanto all’essere-parola guida: “L’essere è il più vuoto e al tempo stesso la sovrabbondanza”, che ha bisogno del “termine di collegamento” che sta nella ‘è’, che “rivela una ricchezza in cui si esprime l’essere dell’ente” [119].

            Ricordo ancora: ‘ascoltare la parola’, che è il ‘filo conduttore-Leitfaden’ di ogni chiarificazione dell’inizio: “Chi ascolta la parola (tòn lógon) e crede (o pisteúôn) [...] ha la vita eterna: [nella traduzione di Lutero] Wer mein Wort höret und gleubet [...], der hat das ewige Leben” (Giovanni 5, 24); e il nascondere-rivelare nel dire del ‘mistero’, secondo l’insegnamento di Paolo: “Il mistero (tò mystêrion) che fu nascosto (absconditum: apokekrumménon) per tanti secoli [...], Dio ha ora svelato (manifestatum: ephanerôthê) ai suoi santi: [nella traduzione di Lutero]: das Geheimnis, das verborgen gewesen ist vor der Welt her, und von den Zeiten her, nu aber offenbart ist seinen Heiligen” (Colossesi 1, 26-27).

            Gadamer, al pari di Heidegger, riflette sul “testo religioso” della sacra Scrittura, e vi riconosce un ‘impegno’ (Zusage), che è richiesto dalla “traduzione luterana: Sta scritto”, che equivale - e qui si può individuare la ‘laicizzazione’ o ‘strumentalità’ dell’uso del linguaggio del Nuovo Testamento all’ermeneutica filosofica - al ‘lasciarsi comunicare’ della “parola poetica”, di cui è “peculiare la verità” [120].

            Prendo ancora un riferimento dallo scritto del Teorico dell’ermeneutica filosofica; esempio paradimmatico della ‘laicizzazione’ dell’esegesi di un testo cruciale del Nuovo Testamento. Gadamer applica la nozione di ’identità tra significato ed essere’ e della presenza sacramentale di Cristo nella eucarestia a quella dell’identità tra significato ed essere e della presenza nella poesia  e nell’opera d’arte.

            È interessante seguire il discorso di Gadamer, che è un certo modo di fare esegesi e teologia. “A me - come protestante - è sembrata sempre molto significativa nella Chiesa protestante la disputa continuamente dibattuta sull’eucarestia, in particolar modo tra Zwingli e Lutero. Io sono dell’avviso, assieme a Lutero, che le parole di Gesù: ‘Questa è la mia carne, e questo è il mio corpo’ non intendono dire che il pane ed il vino ‘significhino’ questo. Lutero ha, credo, visto molto bene come stanno le cose, ed ha tenuto fermo in questo punto, per quanto ne sappia, all’antica tradizione romano-cattolica, che il pane ed il vino del sacramento siano [nel testo tedesco è usato il presente indicativo: sind: sono] la carne ed il sangue di Cristo. Questo problema della dogmatica è per me soltanto un’occasione per dire che possiamo pensare, anzi dobbiamo pensare qualcosa del genere, se vogliamo pensare seriamente l’esperienza dell’arte; e precisamente il fatto che nell’opera d’arte non si rimanda semplicemente a qualchecosa, quanto piuttosto che in essa vi è propriamente ciò a cui si rimanda” [121].

            Chiarifico che secondo la “antica tradizione romano-cattolica’ ‘sacramento: sacrum signum indica la ‘presenza’ di Cristo sotto le ‘apparenze: species’ del pane e del vino, che in quanto tali rimangono segno, che denota la presenza reale del ‘signatum’, che è còlto dalla sola fede. Ricordo le espressioni di Tommaso nell’Ufficio del “SS. Corpo e Sangue di Cristo”, a lui attribuito: “Verbun caro panem verum / Verbo carnem efficit, / Fitque sanguis Christi merum / Et si sensus deficit, / Ad firmandum cor sincerum / Sola fides sufficit”.


[105] E. D. Hirsch, Teoria dell’interpretazione e della critica, cit., p. 160: “Ho criticato sfavorevolmente il trattato sull’interpretazione di H. G. Gadamer perché la sua concezione non può fornire alcuna norma soddisfacente di validità. [...] La mia critica è pertanto estrinseca, soprattutto in quanto io nego alcuni degli assunti di base su cui Gadamer ha condotto la sua indagine. [...] In veste di critico, non ho il diritto (e forse il dovere) di giudicare il suo scopo in base a criteri estrinseci, tanto più se ritengo che quello scopo sia per qualche rispetto fallace o deleterio ?”. Cfr. VI, 1.

[106] Paolo Rossi,  ad esempio, ‘critica’ la filosofia heideggeriana (e dei suoi discepoli) in tutto il suo costituto. Riferisco quanto il Professore fiorentino ha sintetizzato in brevi periodi: “Le argomentazioni appartengono all’epoca della metafisica, dominata dalla logica e la nozione di verità come correttezza delle rappresentazioni. La metafisica è giunta al suo compimento. [..]. È sempre difficile ‘ragionare’ con chi considere i ‘ragionamenti’ forme inferiori di attività intellettuale rispetto al ‘pensiero’ nel quale si sta esercitando”: cfr. P. Rossi, Paragone degli ingegni moderni e post moderni, Il Mulino, Bologna 1989, pp. 19-21.

[107] Thomas Aq., Summa contra Gentiles, lib. I, cap. VII: “Quaecumque argumenta contra fidei documenta ponantur, haec ex principiis primis naturae inditis per se notis non recte procedere. Unde nec demostrationis vim habent, sed vel sunt rationes probabiles vel sophisticae. Et sic ad ea solvenda locus relinquitur: Tutti gli argomenti addotti contro gli argomenti della fede, non derivano logicamente dai pincìpi primi naturali noti per se stessi. E quindi essi non hanno valore di dimostrazioni; ma, o sono ragioni solo dialettiche, o addirittura sofistiche, e quindi si possono sempre risolvere ”.

[108] M. Heidegger, L’arte e lo spazio, cit., p. 20.- Cfr. VI,3.

[109] M. Heidegger, Concetti fondamentali, cit., p, 26.

[110] H.-G. Gadamer, Lattualità del bello, cit., p. 5.

[111] M. Heidegger, Concetti fondamentali, cit., p, 26.

[112] H.-G. Gadamer, Lattualità del bello, cit., p. 3.

[113]  P. Rossi, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, cit., p. 18: “Nella filosofia di Heidegger [...] il concetto di verità è effettivamente costruito mediante la separazione tra ‘evidenza’ e ‘adeguazione’, mediante la dissociazione fra ‘corrispondenza’ e ‘manifestarsi’ [...] La verità non ha a che fare con il modo in cui gli enunciati dichiarano qualcosa. Consiste solo nel fatto di questa disvelatezza. Heidegger non allarga il concetto specifico di verità, dà alla parola verità un altro senso”.

[114] M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, cit., p. 30: “Di contro alla definizione del parlare come fatto puramente umano, altri pongono l’accento sull’origine divina della parola”.

[115] D. Martin Luther, Biblia. Das ist: die gantze Schrifft: Deudsch auffs new zugericht, Herausgg. von Hans Volz, Deutscher Taschenbuch Verlag, München 1974, Band 3.

[116] M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, cit., p. 30: “Secondo l’inizio del prologo del Vangelo di Giovanni, il Verbo era in principio presso Dio. Ma non si cerca solo di liberare il problema dell’origine dai ceppi della spiegazione logico-razionale, si vogliono rimuovere anche i limiti di una descrizione puramente logica del linguaggio”.

[117] Nelle affermazioni evangeliche: “Io sono” ed “Io sono la verità” possiamo riconoscere l’enunciato di Heidegger: “verità significa la non-ascosità dell’Essere: Wahrheit bedeutet die Unverborgenheit des Seinscfr. M. Heidegger, L’arte e lo spazio, cit., pp. 16-17. Cfr. VI, 3.

[118] Thomas Aq., Summa th., I p., q. 13, art. 2: “Se il nome Colui che è non sia il nome più proprio di Dio”. Cfr. anche I p., q. 3, art. 4: “Se in Dio essenza ed esistenza siano la stessa cosa”: “ Dio non è soltanto la sua essenza, ma anche il suo essere”.

[119] M. Heidegger, Concetti fondamentali, cit., p. 62 ess. “Parole guida per la meditazione intorno all’essere. paragr. 8”.

[120] G.-H. Gadamer, L’attualità del bello, cit., [Parte IV. “Il contributo dell’arte poetica nella ricerca della verità], pp. 160-163.

[121] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p.38.

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