VI.8   La teoria estetica di Gadamer non è proporzionata alla critica delle opere d’arte ‘iconìa’ e/o ‘ékphrasis’ di opere verbali

            Il merito di Gadamer di aver connesso l’opera letteraria e l’opera d’arte nel comune carattere ‘linguistico’ di ‘dire qualcosa a qualcuno’, il quale ne capisce il ‘senso’ e lo ‘interpreta’ e lo dispiega in ‘modo nuovo’ (cfr. VI, 2), termina a questo livello. Il quale è del tutto carente nello stabilire il criterio ermeneutico valido per sceverare nel variopinto mondo dell’arte il rapporto tra l’aspetto letterario e quello estralinguistico [122].

            Gadamer ha tralasciato la considerazione - classica o tradizionale, che dir si voglia - che tra l’opera letteraria e l’opera visiva s’istaura un ‘rimando: respectus’ intrinseco  e concreto, quando l’una (l’opera letteraria, ad esempio) è ‘fonte’ o ‘luogo’ d’intuizione e di ispirazione o esemplare dell’altra (quella visiva), e si qualificano ambedue per il loro comune ‘referente significativo’ (e quindi per la loro comune origine) ‘al di là’ di entrambe; oppure quando tutte e due connotano nel ‘deuten: indicare-interpretare’ e nel ‘trasmettere: übertragen’ piena autonomia nel loro ‘dire’ in ogni singolo e consecutivo momento del processo dialogante, che si snoda dall’autore letterario e dall’artefice alla ‘struttura-Werk’ e alla ‘qualità estetica-Gebilde’ fino all’ultino  fruitore in ordine di tempo (cfr. VI, 5) [123].

            Gadamer, ad  esempio, non tiene conto del duplice modo con cui viene realizzato nel corso della storia delle lettere e delle arti il “si dice del mito” (o di ogni altra rappresentazione fantastica di cui sfugge l’origine), vale a dire la sua espressione nelle opere di sostanza uditiva-poetica, e la espressione nelle opere di sostanza visiva-poetica. O meglio, Gadamer le ha de facto ‘subordinate’, e quindi ha reso vana l’autonomia e la ‘validità-dignità: Gültigkeit-Würdigkeit’ di uno degli estremi della relazione [124].

            Chi considera il saggio “Poetare e interpretare” di Gadamer apprende che il Filosofo riconosce alla ‘poesia verbale’ - che egli chiama “forma sonora della poesia” - il primato sull’arte ‘poesia visiva’ (che  si può descrivere alla maniera di Gadamer come ‘forma visiva della poesia’), in quanto la poesia verbale possederebbe per antonomasia “la più autentica attuazione” della “unità” di ‘suono e di significato’, cioè la presenza nella sua stessa lingua di “una sorta d’identità tra significato ed essere, così come il sacramento è insieme essere e significato” (cfr. VI, 7), perché (spiega) “il canto poetico è esser-ci: Gesang ist Dasein[125].

            Il monema ‘sacramento’ (nel senso gadameriano: cfr. VI, 7) non ha però due facce - ‘significante e significato’, come l’avrebbe descritto Martinet [126] -, ma ha una sola faccia, quella che (a guisa del Gesang) “attesta la nostra esistenza essendo esistenza (Dasein) essa stessa”, cioe l‘essere e significato (appunto). La qual cosa supera (aggiunge Gadamer) la “unità formale” che appartiene a tutte le arti, così che “in virtù” di tale peculiarità “è lei [la poesia ‘forma sonora’] che fin dai tempi più remoti fissa il compito proprio della stessa arte figurativa [forma visiva della poesia’]” [127].

            Ma siffatta inerenza (o ‘inne-stehen: stare-in’) all’unità di struttura e al significato esistenziale della poesia verbale, e di dipendenza da essa (o ‘inne-werden: divenire-in’) della poesia visiva, squilibra il rapporto opera letteraria-opera visiva, e trasferisce nel nostro tempo l’antica querelle sulla principalità tra occhio-pittura ed orecchio-poesia.

            Aristotele, ad esempio, sia pure in altro contesto (quello della mimèsi), poneva - ed ‘aequo iure’ - sullo stesso piano poesia ed arti visive: “Il poeta fa opera d’imitazione, esattamente come il pittore o un altro artista di pittura” [128].

            Leonardo da Vinci - precedente autorevole che contraddice la dottrina di Gadamer - rivendicava invece l’indipendenza ed il prestigio dell’arte visiva sull’arte poetica, perché “l’orecchio [del poeta] si fa nobile per le cose racconte, le quali ha veduto l’occhio”, così che “se tu dimanderai la pittura muta poesia, ancora il pittore potrà dire del poeta orba pittura [129].

            Inoltre, la teoria di Gadamer non contempla la ékphrasis, che di certo è forma ‘interpretativa’ sia delle opere poetiche che visive, che al pari del concetto fondamentale di ‘stile’, che è per Heidegger “un concetto fondamentale della ricerca in storia dell’arte ed anche in ‘filologia’, da cui anzi proviene”. Infatti - continua il Filosofo dei “concetti fodamentali”: i fili conduttori dell’interrogare, del rispondere e dell’espressione -, “questo concetto [lo stile] indica innanzi tutto le modalità dello scrivere e quindi del dire e del lingiaggio. Ma riguarda anche ‘il linguaggio formale’ di ogni ‘opera’, del quale si occupano gli storici delle arti figurative e della pittura, vale a dire gli studiosi di ‘storia dell’arte’ in generale” [130].

            Si ricordi, ad esempio, che il dipinto la ‘Calunnia’ di Apelle è stato tramandato dall’ékphrasis di Luciano. “Non bisogna prestar fede falsamente alla calunnia. [..] Voglio mostrarvi a parole, come in un dipinto, cosa sia la calunnia, da dove abbia origine e come operi. A dire il vero, era stato Apelle di Efeso in passato ad aver scelto questo tema per una pittura. [...] Apelle si vendicò della calunnia con questo quadro. [...] Descriviamo anche noi, se volete, il metodo di lavoro del pittore di Efeso, il volto della Calunnia, tracciando prima il disegno di contorno, in questo modo anche per noi l’immagine sarà più chiara” [131].

            Con tale ékphrasis Luciano ha connotato i ‘tre momenti’ inclusi nella ‘polisemia’ della mimèsi, studiati da Paul Ricoeur. Apelle ha ‘imitato’ l’azione del calunniatore nei suoi riguardi: ha indicato cioè l’azione che ha mosso Apelle a pitturare-mimetizzare un evento della propria vita; l’ha configurata in struttura visiva secondo il proprio metodo di lavoro; e l’ha trasfigurata donandole “un aumento iconico”, perché ‘significa un di più’ e lo ‘significa con altra forma [132].

            L’ékphrasis di Luciano fu encomiata da Leon Battista Alberti nel De pictura: “Lodasi leggendo quella descrizione della Calunnia”; che egli riassumeva quasi ad verbum “per ammonire i pittori in che cosa circa alla invenzione loro convenga essere vigilanti” [133].

            Sandro Botticelli si rifece suo modo all’ékphrasis lucianea nella Calunnia, conservata attualmente nella Galleria degli Uffizi. Giorgio Vasari scriveva che sotto la tavola della Calunnia, che l’artista aveva regalata a messr Fabio Segni, “si leggono oggi questi versi di detto messer Fabio”; e che qui riporto per confermare che la ‘intenzionalità’ di Sandro  nel metamorfosare in ‘sostanza visiva’ la èkphrasis della Calunnia, che si leggeva (e leggiamo) in Luciano da Samosata: Indicio quemquam ne falso laedere tentent / Terrarum reges, parva tabella monet. / Huic similem Aegypti regi donavit Apelles: / Rex fuit et dignus munere, munus eo [134].

            Nell’appropriarsi dell’ékphrasis di Luciano, Botticelli connota non solo che non si deve ritenere “un testo come interiore a se stesso e [ritenere] la vita esteriore al testo”, ma che anche quando si  prende l’abbrivo dalla struttura del ‘testo scritto’ per costruire un ‘ordito visivo’, questo non perde la referenza all’azione  calunniosa (estralinguistica), che aveva sconvolto la vita del pittore Apelle [135]: e che aveva sconvolto e sconvolgeva anche la vita di Sandro, quando fu accusato di ‘eresia’ [136], e quando vide fra Girolamo condannato dai Commissari (“tutti e’ più fieri delli inimici sua”, a detta di Francesco Guicciardini) al rogo in Piazza della Signoria per le calunnie velenosamente ordite contro di lui. L’Artista - che si professava ‘piagnone’ [137] - ha immortalato l’ignominoso evento dipingendo nella Calunnia il Savonarola nel ‘Domenicano’, che mentre tiene gli occhi fissi sulla Verità è costretto ad avviarsi verso il Giudice, che ha gli orecchi d’asino ampiamente aperti all’ascolto delle false accuse, e gli occhi socchiusi per non vedere i malevoli delatori e tanto più la Verità sullo sfondo.

            Leonardo stimò la ‘Calunnia’ di Apelle grande finzione pittorica, che regge al confronto di quasiasi grande finzione poetica: “E potrà dire uno poeta: io farò una finzione che significa cosa grande; questo medesimo farà il pittore, come fece Apelle la calunnia” [138].

            Manca, dunque, nella teoria ermeneutica di Gadamer il ‘dialogo’, che intercorre tra l’opera poetica e l’opera visiva, e tra queste ed il loro fruitore. Eppure in ambedue i domìni artistici si hanno le stesse caratteristiche strutturali e di qualità - ‘l’esserci-Dasein’ (cfr. sopra) -, che modificano e formano  il giudizio estetico ed il giudizio di gusto di chi le guarda.

            Si rifletta ancora su quanto Gadamer dice a proposito del ‘dire: sagen’: “La parola poetica attesta, per così dire, lo sfuggire del tempo. Anch’essa ‘sta scritta’, non come premessa o preannuncio, non come impegno (Zusage) ma come un ‘dire’ (sagen) che mette in gioco la sua peculiare presenza” [139]. Ora, anche il mito è ‘dire’ - anzi è ‘dire-sagen’ per eccellenza -, e viene  ‘gustato’ sia in forma verbale che in forma visiva.

            I ‘miti’ infatti venivano realizzati - ed in contemporaneità storica, talvolta - sia nel ‘detto-gesagt’ con il suono-parola della poesia; sia nel ‘detto-gemacht’, ‘messo su’ con mezzi visivi. Perciò anche il ‘dire’ della parola visiva-poetica pone (al pari della ‘parola suono poetico’) “in gioco la sua peculiare presenza” con la ‘qualità poetica’, immanente (come Dasein / Sein-da) nella qualità-quantità figurativa che la fa apparire (in determinazioni ‘spaziali’) e gustare quale ‘arte bella [140].

            In siffatte circostanze, il modo di ‘dire poetico’ (dichten) il ‘mito’ in forma verbale è analogo al modo di ‘dire poetico’ il ‘mito’ (e talvolta il medesimo ‘mito’) nella forma di ‘opera poetica’ (dichterisches Werk). Si ha infatti ‘coincidenza’ come nel ‘sacramento: essere e significato’ (cfr. VI, 7), e non precedenza o regola precettiva dell’una forma sull’altra, anche se non è dato distinguere il più delle volte se è stata l’arte visiva a prendere l’ispirazione e la materia  dalla composizione poetica - come ‘Fidia da Omero poeta’, annotava l’Alberti [141], o viceversa.

            Ed è ancora L. B. Alberti che, descritta la Calunnia di Apelle, osservava la ‘coincidenza’ - cui accennavo - del ‘gustare’ la ‘forma sonora’ e del ‘gustare’ la ‘forma visiva’. “Quale istoria se mentre che si recita piace, pensa quanto essa avesse grazia e amenità a vederla dipinta di mano di Apelle” [142].

            Questa breve recensione del modo differente di fare ermeneutica nel mondo dell’arte connota (come dicevo) la mancata estensione da parte di Gadamer  del carattere linguistico, comune all’opera letteraria e all’opera d’arte (cfr. VI, 2).

            Siffatta omissione nella ‘applicazione della teoria’ non solo zoppica ma addirittura elimina la ‘ricerca di senso’ nelle opere, che lo trasmettono ‘in accordo’ ai due estremi - quello letterario e quello visivo - dello stesso asse semantico [143]. Se infatti estendessimo il detto di Heidegger dalla parola all’opera d’arte avremmo che come ‘Nessuna cosa è dove manca la parola’, così ‘Nessuna cosa è dove manca l’opera’: e questo farebbe ‘zoppicare’ l’ermeneutica, perché non ‘con-prende’ uno dei due estremi dell’asse semantico [144].

            Certamente la critica che sto sviluppando guarda al ‘punto di vista’ di periodi storici riconosciuti ‘classici’: ho fatto il nome di Luciano da Samosata e di Leon Battista Alberti; ma non per questo si può ‘riportare’ e ‘tenere’ nella ‘léthê: oblivione-oscuramento’ tale criterio ermeneutico.

            Questa metodologia ermeneutica è ‘passata: gewesem’ ma non ‘sorpassata: vergangen (come il tempo che non torna più; un passato irrevocabile: Unwiderrufliches): lo documenta l’attuale-odierna produzione interpretativa: la Heutigkeit, dunque [145], che svolge il suo munus nella ‘ricerca di senso’ di opere d’arte che ‘dicono-trasmettono’ ai fruitori ed ai critici del nostro oggi ‘qualcosa’, che manifesta nella struttura e nella qualità ‘sensibili’ dell’ascolto e della visione una ‘intellezione: lógos / theológos’ tramandata nel tempo.

            È suffciente far riferimento alla ‘iconologia’ del Warburg Institut (cfr. II, 1-2), e alla ‘intellezione’ della ‘Parola di Dio’ e quindi alla ‘iconoteologia’, di cui ho discorso a proposito delle ‘opere-iconia della sacra Scrittura  [146].

            La teoria estetica di Gadamer si denota sotto questo ‘punto di vista’  non appropriato criterio ermenutico, che possa renderla ‘valida’ ed applicabile’ alle forme artistiche sonore-visive, che si esprimono e dicono secondo fonemi-monemi-  iconemi che sanno della ratio e/o della revelatio.

            Di più. Il Filosofo (che io sappia) non ha dato rilievo nell’ermeneutica filosofica alla linguistica di Ferdinando de Saussure, che ha insegnato a ritenere equivalente all‘immagine acustica, formata dal suono della parola - cioè alla “traccia psichica di questo suono” -, la “rappresentazione che ci viene data dalla testimonianza dei nostri sensi”, cioè dall’immagine visiva, formata dal colore dell’opera visiva, esposta alla luce. (Cfr. II, 2, e IV, 3).

            Quando si attua l’incontro ‘dialogante’ tra i due modi di essere immagine, allora la ‘immagine’ può essere assunta come il ‘medium’, che permette non soltanto di trascorrere dal suono della ‘parola-immagine’ alla visione della ‘espressione-ottica, ma anche d’intuire ‘opere-d’arte-visive’ che hanno la fonte d’ispirazione e d’iconografia in codici (e temi) alfabetici, e ‘opere-di-parola’ che prendono l’abbrìvo da codici (e temi) visivi.

            Non si confonda, tuttavia, il rapporto ‘parola-immagine’ (o ‘immagine-parola’) con la questione dibattuta nella critica attuale sul linguaggio-parola, vale a dire se è a quest’ultimo che spetti o meno la funzione fondante “rispetto a tutti gli altri linguaggi, quindi rispetto a tutte le arti” [147].

            La ‘parola-immagine’, cui faccio riferimento, posso connotarla come il dire per similitudine che, quasi ‘genus’, sta all’apice di un triangolo equilatero, e si dispiega quasi ‘species’ - con la ‘è’, direbbe Heidegger - negli estremi della base, che sono l’immagine-acustica, in-manente nella ‘parola’ che dice con segni  alfabetici che richiedono ‘tempo’; e l’immagine-visiva, in-manente nella ‘parola’ che dice con segni ottici che richiedono ‘spazio.

            Occore ‘superare’ nella ermeneutica la distinzione ‘orecchio-occhio’, ed insistere  nel loro convergere nella ‘realtà immaginale’, alla saussure. Infatti sia l’estetica dell’orecchio che quella dell’occhio si riportano all’immagine (l’apice del triangolo, di cui sopra); ed ha relativa importanza per la realizzazione artistica stabilire se tale ‘reductio’ - compresa quella insita nella ékphrasis (cfr. VI, 8) - avviene tramite lo ‘auditus’ o tramite il ‘visus’.

            La ‘unità’ nella ‘immagine’ del dire sonoro e del dire visivo era esplicita nella gnoseologia medievale ed aristotelico-tomista. Non soltanto per la conoscenza sensibile si richiedeva il ‘phantasma’, ma anche per quella intellettuale, sia come punto di ‘partenza: a quo’ per l’astrazione (operazione dell’intellectus agens), sia come ‘ritorno; ad quem al ‘reale sensibile’, impossibile senza la ‘conversio ad phantasmata’ (appunto).

            L’iter-ascensivo dal percetto all’intelletto, dall’individuale all’universale; e l’iter-discensivo dall’universale all’individuale, richiedono la mediazione della ‘fantasia’: “tesoro delle forme apprese per mezzo dei sensi: thesaurus formarum per sensum acceptarum [148].


[122] Cfr. quanto premesso in I. 1 sulla filologia letteraria e la filologia visiva.. Ricordo ancora che il Concilio di Nicea II riconosceva alle ‘immagini’ pari dignità sia che appartenesseo alla ‘tradizione non-scitta’ (a-gráphos), sia alla ‘tradizione scritta’ (eggráphos). Cfr. IV, 1.

[123] Paolo Rossi riferisce quanto Gadamer ha scritto “su un punto, che è davvero centrale” della filosofia di Heidegger, che lo catturò intellettualmente, cioè l’abbandono della relazione - il ‘respectus’ di cui sto parlando - che rende possibile il giudizio. “Vale la pena di rileggere le sue parole [di Gadamer]: ‘Era qualcosa di nuovo, di inaudito, Avevamo imparato che pensare dovrebbe essere mettere in relazione, e realmente sembra giusto che, pensando,  si  ponga una cosa in una determinata relazione con l’altra e si faccia su questa relazione l’enunciazione, che si chiama giudizio. Ma ora noi sperimentiamo: pensare è mostrare e portare a mostrarsi. Fu un evento di potenza elementare ..., un dono inconcepibile’”: cfr. P. Rossi, Paragone degli ingegni moderni e post moderni, cit.  p. 18. -  Faccio presente che il Concilio di Nicea II poneva esplicitamente “relazioni reciproche: mutuae relationes” tra le immagini visive (estralinguistiche) e le immagini acustiche (linguistiche) della sacra Scrittura: cfr. IV, 1. Cfr. anche n. 123.

[124] Faccio notare che alcuni lessemi usati da Gadamer - o almeno dai suoi traduttori - come interscambiabili non lo sono se interpretati nella loro valenza etimologico-filologica. Ad esempio ‘würdig’ e ‘gültig’: il primo lessema dice ciò che è degno di apprezzamento o ‘dignità: die Würde’, quale la coscienza; il seondo afferma la ‘validità: die Gültigkeit’, cioè quanto ha vigore’ e cioè il suo intrinseco ‘valore-Wert’.

[125] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p.38.

[126]  André Martinet, Elementi di linguistica generale, Ed. Laterza, Bari 1971, p. 23: “Come ogni segno il monema è un’unità a due facce, una faccia significata, il suo senso o valore, e una faccia significante, che la manifesta sotto forma fonica”.

[127] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., pp. 83-85, 169.

[128] Aristotele, Dell’arte poetica, 25, I, a c. di Gallavotti C., Mondadori ed., Milano 1978.

[129] Leonardo da Vinci, Il libro della pittura, in “Scritti scelti di L. da Vinci”, a c. di Anna Maria Brizio, UTET, Torino 1966, p. 203.

[130] M. Heidegger, Concetti fondamentali, cit., p, 22.

[131] Luciano da Samosata, Decrizione di opere d’arte, a c. di S. Maffei, Einaudi ed., Torino 1994, pp. 32-55. - Raramente è ricordata la ékphrasis che Cicerone ha dato dei ‘sentimenti’ di tristezza di dolore e di lutto di Calcante, Ulisse, Menelao ed Agamennone, raffigurati nel “Sacrificio di Efigenia”, come lo possiamo ancora ammirare su una pittura parietale del I secolo av. C., proveniente da Pompei e conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli: “Si denique pictor ille vidit, cum in immolanda Iphigenia tristis Calchas esset, tristior Ulixes, maereret Menelaus, obvolvendum caput Agamennonis esse, quoniam summum illum luctum penicillo non posset imitari”: cfr. M. T. Cicero, Orator, 22, 74.

[132] Paul Ricoeur, Mimesis et représentation, in “Estetica ed ermeneutica”, a c. di Riccardo Dottori e Horst Künkler, Libr. T. Pironti, Napoli 1981, p. 23: “Mimesis est une action  au sujet de l’action. Ce qu’elle préfigure au premier stade [Mimesi I: ce qui est imité est une action], ce quelle configure au deuxième.stade [Mimesi II: configuration de l’action], elle le trasfigure au troisième stade [Mimesi III: l’intersection du monde du texte et du monde de l’auditer ou du lecteur]. [...] Je dirait que la trasformation de l’action procède de ce que Francois Dagognet, parlant de la peinture et de l’écriture, appelle augnentation iconique, par quoi le monde signifie plus et signifie autrement”. - Secondo Ricoeur il terzo stadio (la Mimesi III) “correspond à ce que Gadamer, dans son Herméneutique Philosophique, appelle ‘application’” (p. 20).

[133] L. B. Alberti, De pictura, cit., n. 53, p. 92.

[134] G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori, a c. di Gaetano Milanesi, Ed. G. C. Sansoni, Firenze 1906, vol. III (Vita di S. Botticelli), p. 324.

[135] Paul Ricoeur, Mimesis et représentation, cit., pp. 23-24: “Il faut cesser de voir le texte comme interieur à lui-même et de voir  la vie comme extérieure au texte. Il faut plutôt accompagner une operation structurante qui commence dans la vie, s’investit dans le texte, et retourne à la vie”.

[136] G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, cit., t. III, pp. 314-315: “Con tutto che quest’opera [lAssunzione di nostra Donna, commessagli da Matteo Palmieri]  sia bellissima, e che ella dovesse vincere la invidia, furono però alcuni malevoli, che, non potendo dannarla in altro, dissero che e Matteo e Sandro gravemente vi avevano peccato in eresia”. - Gaetano Milanesi annota: “Dicevano che erasi in quella pittura seguìta una strana opinione di Origene intorno agli angeli, per dar nel genio al Palmieri che l’aveva adottata in un suo poema. L’altare [il dipinto era esposto nella chiesa di di San Pietro Maggiore] venne perciò interdetto e coperta la pittura”.

[137] Vasari racconta che Sandro era “partigiano” della ‘setta’ dei seguaci di Savonarola, e che questa sua appartenenza “fu causa che egli, abbandonando il dipingere e non avendo entrate da vivere, precipitò in disordine grandissimo. Perché essendo ostinato a quella parte, e facendo come si chiamavano allora, il piagnone, si diviò dal lavorare”: cfr. G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, cit., t. III, pp. 317-318. - Alcuni critici ritengono che Botticelli nel dipingere “La Derelitta” (Roma, Collezione Rospigliosi) abbia pensato a Savonarola. Cfr.Roberto Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, Le Lettere, Firenze 1997, pp.384-385.

[138] Leonardo da Vinci, Il libro della pittura, cit., p. 204.

[139] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p. 168.

[140] Ib., p. 84.

[141] L. B. Alberti, De pictura, cit., n. 54, p. 94: “Fidia, più che gli altri pittori famoso, confessava avere imparato da Omero poeta dipignere Iove con molta divina maestà”.

[142] L. B. Alberti, De pictura, cit., n. 53, p. 92.

[143] Nel mio “Saggio metodologico”, cit., nell’Appendice II - ove ho riassunto la terminologia da ‘Bildsprache’, che avevo cercato di formulare - descrivo la funzione dell’asse semantico figurativo-verbale: “Distingue ed unisce l’estremo-forma (o ‘astanza significativa’ o ‘expressum’ o ‘esecuzione’ nella sua materia e sub specie formae artificialis) e l’estremo-verbalizzato (fonte letteraria) metamorfosato nella inventio (o ‘struttura dell’immagine’), p. 209.

[144] Vattimo G., La fine della modernità, cit. cap. IV: “L’infrangersi della parola poetica”, pp. 73-86.

[145]  È Gadamer stesso che si appella alla “unità di passato e presente: die Einheit von Gewesen und Heutigen” - sia pure facendone la problamicità. “La memoria ed il ricordo che assumono in sé tanto l’arte passata e la tradizione della nostra arte, quanto l’arditezza del nuovo sperimentare forme inaudite, cioè contrarie alla forma, sono un’unica attività dello spirito, Dovremmo pertanto chiederci che cosa consegua da questa unità di passato e di presente”: cfr. H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., pp. 10-11.

[146] Cfr. IV, 2: “L’immagine come ‘iconia’ di impressione-espressione, e mimèsi-annamnèsi, figura-realtà, esemplato-esemplare”; IV, 3: “Le due vie della estetica iconica della Fede: l’immagine acustica della Parola e  l’immagine visiva del Mistero cristiano”.- Cfr.  anche E. Marino, Estetica, Fede e critica d’arte, cit., pp. 3-15. Cfr. ancora nel mio lavoro:Il Beato Angelico. Saggio sul rapporto persona-opere visive ed opere visive-persona, cit, il paragrafo VI, 6.1: “Inquadamento del munus dell’Angelico nella storia dell’estetica: la pittura è come la poesia e/o come la retorica: Simonide-Aristotele-Orazio-Cicerone-Cennini-Alberti” (p. 185 e ss.), ed il paragrafo VI, 6.2: La pittura dell’Angelico nella storia del dogma: la pittura è come la lettera dei Vangeli e/o come la predicazione della Parola di Dio: Concilio di Nicea II (a. 787) e Concilio di Costantinopili IV (a. 869-870)”, p.192 e ss.

[147] Gianni Vattimo, Poesia e ontologia, U. Mursia ed., Milano 1985, p, 44.

[148] Thomas Aq., Summa theol. I p. q. 78, art. 4.

precedente successiva